sabato 23 gennaio 2010


Israele/ L'Intelligence sbarca su Facebook

Mercoledí 20.01.2010 http://www.affaritaliani.it/
NetanyahuL'intelligence israeliana sbarca su Facebook. Lo hanno annunciato le Forze di Difesa israeliane (IDF), precisando che questa settimana sarà creato un nuovo team che ci occuperà del rapporto con i media. I particolari saranno pubblicati sul magazine ufficiale dell'esercito, 'Hamahaneh', ma sin d'ora è chiaro che verrà posta una particolare attenzione ai post che saranno pubblicati sui siti di social network come 'Facebook'. La creazione della nuova unità, che si occuperà delle informazioni fornite dai militari ai media, fa parte delle indicazioni della Commissione Winograd, incaricata di valutare le falle nella campagna del Libano. Il nuovo Dipartimento per la Sicurezza e l'Informazione monitorerà con attenzione siti come Facebook, MySpace e Twitter, ma anche i rapporti di centinaia di ufficiali con i giornalisti. L'unità avrà anche il potere di predisporre il test della verità sui soldati sospetti di fuga di notizie.



Elton John torna a esibirsi in Israele dopo 27 anni

Unico concerto il 17 giugno, biglietti disponibili da febbraio
20 gen. (Apcom) - Sir Elton John si esibirà il 17 giugno in Israele. Si tratta della seconda performance della popstar britannica, dopo un concerto 27 anni fa all'Hayarkon Park a Tel Aviv. Lo scrive il quotidiano israeliano Haaretz nella sua edizione online. La Discount Bank israeliana ha annunciato che offrirà ai suoi clienti la possibilità di acquistare in anticipo i biglietti a partire dal 9 febbraio. Gli altri fan potranno comprare i tickets quattro giorni dopo.



Uno dei momenti migliori di Israele

Se qualcuno aveva ancora dei dubbi sul fatto che Israele è capace di grandi cose, gli eventi dell’ultima settimana dovrebbero aver sciolto ogni residua perplessità. Da un’estremità all’altra del mondo, i migliori ideali dell’ebraismo e del sionismo hanno trovato evidente espressione, nel momento in cui Israele prendeva parte non a una, ma a due straordinarie missioni cariche di significato.Al di là dell’oceano, in mezzo alle strade di Port-au-Prince cosparse di macerie, le squadre di soccorso delle Forze di Difesa israeliane sono andare scrupolosamente alla ricerca di eventuali sopravvissuti, fra le rovine della capitale di Haiti dopo il devastante terremoto del 12 gennaio. In corsa contro il tempo, questi giovani israeliani in uniforme accompagnati da cani specificamente addestrati, si sono stoicamente sistemati fra cumuli di detriti e rottami per mettere al sicuro i feriti. Durante lo scorso fine settimana i soccorritori in divisa verde hanno estratto un uomo di 58 anni da sotto le rovine della sua casa; lunedì hanno salvato la vita a una studentessa che era rimasta intrappolata per sei giorni sotto l’edificio distrutto dell’università. Nel frattempo l’ospedale da campo creato dalle Forze di Difesa israeliane per curare le vittime del disastro si faceva rapidamente conoscere come il meglio condotto ed equipaggiato nell’area. Montato venerdì scorso in un campo di calcio, il complesso vanta 40 dottori e 24 infermieri specializzati oltre a paramedici, attrezzature e personale per i raggi X, unità di terapia intensiva, reparti pediatrico e maternità, persino una farmacia. Nessun altra missione, nemmeno quella degli Stati Uniti, ha messo in funzione così rapidamente un complesso così avanzato. Non stupisce che la tv americana CBS si sia spinta a definire l’ospedale delle Forze di Difesa israeliane “la Rolls-Royce della medicina ad Haiti”. In effetti le squadre mediche israeliane hanno fatto un lavoro così formidabile che persino la CNN (vale a dire, una tv che non perde occasione di descrivere negativamente Israele) non è riuscita a trovare nulla da criticare nell’opera delle Forze di Difesa israeliane. Benché un’enorme distanza separi Israele da Haiti, con più di 10.500 chilometri di oceano fra i due paesi, il popolo ebraico ha dimostrato che la sua mano tesa può scalcare qualunque lontananza e attraversare qualunque divario quando si tratta di salvare vite umane.Ma gli abitanti dell’isola caraibica non sono stati gli unici a beneficiare dell’intervento umanitario di Israele questa settimana. Più vicino a casa abbiamo assistito all’arrivo in Israele di 82 membri della comunità Falash Mura, i discendenti di ebrei etiopici convertiti al cristianesimo secoli fa. Al loro arrivo all’aeroporto Ben-Gurion, all’alba di martedì scorso, i nuovi immigrati sono stati accolti dal ministro degli interni Eli Yishai e dal ministro per l’assorbimento degli immigrati Sofa Landver. È stata una scena che non può che riempire di orgoglio il cuore di ogni ebreo: i superstiti dell’ebraismo etiopico hanno terminato il loro viaggio millenario facendo ritorno alla terra dei loro progenitori. Centinaia di altri ne arriveranno, nei prossimi mesi, dal momento che il governo israeliano si è infine mosso per completare mantenere la promessa di permettere a ciò che rimane di quella comunità di realizzare la aliyà (ristabilirsi in patria). E così, mentre i nemici di Israele continuano a proclamare rumorosamente che il sionismo è razzismo, Israele si presenta come uno dei pochissimi paesi che accoglie a braccia aperte un’intera comunità di neri africani.Dunque è stata una settimana davvero speciale per la nobiltà d’animo degli israeliani. Nell’arco di pochi giorni lo stato d’Israele ha salvato vite umane di ebrei e non ebrei, da un estremità all’altra del pianeta. È stato, sotto ogni aspetto, uno dei momenti migliori di Israele.Tutto questo servirà a cambiare l’immagine che il mondo ha di noi? Ne dubito. Ma per lo meno dovrebbe contribuire a modificare l’immagine che abbiamo di noi stessi, così spesso presi dalla negatività che sembra inondare i notiziari di ogni giorno, tanto che tendiamo a non vedere trascurare ciò che c’è di bello e di splendido in questo paese e nelle sue imprese. È in momenti come questo che dovremmo fermarci un momento, e dire: grazie al cielo, esiste lo stato di Israele. Senza di esso il mondo sarebbe un posto assai meno nobile.di Michael Freund (Da: Jerusalem Post, 20.1.10)
Filmato delle quadre di soccorso israeliane che traggono in salvo un uomo rimasto intrappolato sotto le macerie ad Haiti http://www.youtube.com/watch?v=oSsCBuBVzQw&feature=player_embedded L’ospedale dal campo delle Forze di Difesa israeliane ad Haiti in un servizio della CNN http://www.youtube.com/watch?v=yz44iZKUMng http://www.israele.net/


Israele e Iran si stringono la mano a Madrid

Ieri durante la Feria Internazionale Fitur del turismo di Madrid, che ogni anno riunisce i più importanti operatori dell’industria turistica mondiale, il ministro israeliano del turismo, Stas Mezeshkinov, ed il suo omologo iraniano si sono stretti la mano.È stato il primo “contatto” tra autorità di alto rango dei due paesi dall’aprile 2005, quando durante il funerale di Papa Giovanni II, gli allora presidenti dei due Stati -Moshe Katsav y Mohammed Jatamì- fecero lo stesso. I due, seduti uno accanto all’altro per motivi di ordine alfabetico, intercambiarono anche una breve conversazione sulla loro comune provincia di nascita. Conversazione in seguito smentita da Jatamì.“Siamo della stessa regione e il turismo può servive come ponte per il dialogo e per aumentare la comprensione” . Queste le parole di cortesia di Mezeshkinov “ al suo interlocutore di Therán. La feria è stata testimone di un secondo miracolo quando il responsabile dello stand iraniano si rivolse al ministro ebreo dicendogli” abbiamo meravigliosi luoghi naturali e culturali da vedere dove lei è il benvenuto“Un invito che ha quasi dell’incredibile considerate le minacce di distruzione che il presidente Mahmud Ahmadineyad ha rivolto più volte ad Israele.
Annastella Palasciano http://www.newnotizie.it/, 21 gennaio 2010






George Mitchell

Mitchell in Israele mentre scoppia polemica Netanyahu-Anp

Gerusalemme, 21 gen. - (Adnkronos/Dpa) - L'inviato americano per il Medio Oriente, George Mitchell, e' arrivato oggi in Israele, dove ha incontrato il ministro della Difesa Ehud Barak, in un nuovo tentativo di far ripartire il processo di pace. Ma il suo arrivo coincide con una nuova polemica fra israeliani e palestinesi, scatenate dalle parole del primo ministro israeliano.





Vegetazione in un kibbutz

Israele: clandestini sono una minaccia


Netanyahu, crea danni economici e culturali
(ANSA) - GERUSALEMME, 21 GEN - L'immigrazione illegale minaccia il carattere ebraico e democratico dello stato israeliano, afferma il premier Netanyahu.'Siamo quasi l'unico stato del Primo Mondo che puo' essere raggiunto a piedi dal Terzo Mondo.La presenza di migliaia di immigrati illegali 'sta causando danni socio-economici e culturali'. Netanyahu conferma l'intenzione del governo di costruire una 'barriera fisica' con l' Egitto per impedire un' inondazione di clandestini.



Hagannah soldier. June 1948

Con scelta di tempo degna di nota, tre giorni prima della visita del Pontefice al Tempio di Roma, la Chiesa Cattolica critica la politica di espansione edilizia condotta da Israele a Gerusalemme Est a maggioranza araba. Secondo il lancio dell'agenzia Ansa da Gerusalemme, 14 Gennaio, "a esprimersi una delegazione di presuli cattolici in missione in Terra Santa. E' stata denunciata in particolare 'la politica di svuotamento di Gerusalemme est dagli arabi residenti' attribuita allo Stato ebraico, puntando l'indice contro quello che 'appare un approccio discriminatorio e umiliante' dell'attuale governo israeliano verso i palestinesi". La politica di Israele nei confronti dei territori palestinesi è controversa e io stesso ho espresso le mie critiche in varie occasioni. Ma non si può "puntare l'indice" e dunque colpevolizzare Israele falsificando i dati. I dati sono questi: nel 1967, al momento dell'annessione israeliana di Gerusalemme Est, la sua popolazione araba era di 71 mila (su un totale di 268 mila). Nel giugno 1983 gli arabi erano aumentati a 122 mila, alla fine del 2000 erano 209 mila, e all'inizio del 2010 sono 275 mila (su un totale di 780 mila). Fin qui, dunque, lo "svuotamento di Gerusalemme Est dagli arabi residenti". Ma se andiamo qualche chilometro a Sud, a Betlemme, lo svuotamento della popolazione cristiana c'è e si vede. Chi comanda per le strade di Betlemme non è Israele bensì l'Autorità palestinese. Per l'islamizzazione della città della Natività la Chiesa Cattolica può ringraziare chi a lungo è stato il suo leader spirituale appunto in Terra Santa, il Patriarca Latino Monsignor Michael Sabah, che con la sua arrogante posizione anti-israeliana ha incoraggiato senza riserve il nazionalismo palestinese e ha finito per premiare il fondamentalismo musulmano. E i Cristiani, minacciati e depredati, se ne vanno. Le parole del Dialogo al Tempio (e la strage dei Copti in Egitto) invitano a un'onesta riflessione nella Chiesa Cattolica info@ucei.it
Sergio Della Pergola, Università Ebraica di Gerusalemme.

venerdì 22 gennaio 2010


La guerra segreta per salvare il patrimonio artistico

Una dozzina d’anni fa, Robert Edsel, americano di Dallas, passeggiava per Firenze dopo aver accompagnato il suo bambino a scuola. All’improvviso, attraversando Pontevecchio, ebbe una folgorazione. Come era stato possibile salvare i tesori artistici del capoluogo toscano durante la Seconda guerra mondiale dalla razzia dei nazisti?A partire da quel momento Edsel, che si era trasferito in Italia dopo aver lasciato gli affari (era imprenditore nel settore energetico), ha dedicato la sua vita alla ricerca delle opere d’arte trafugate dai nazisti e alla ricostruzione dello straordinario lavoro dei suoi “precursori”, i 345 ufficiali dell’esercito americano che durante il conflitto furono arruolati nel corpo Monuments, Fine Arts, and Archives (“MFAA”), che aveva il preciso compito di tutelare il patrimonio artistico dell’Europa martoriata dalla Guerra, più noti come Monuments Men.Ai suoi eroi Robert Edsel, che nel 2000 è tornato a Dallas dove ha allestito il quartier generale della sua attività, ha dedicato una fondazione, la Monuments Men Foundation for the Preservation of Art, allo scopo di “custodire l’eredità del lavoro eroico e senza precedenti degli uomini e delle donne che servirono nella MFAA”. Grazie all’eco mediatico ottenuto attraverso il suo impegno, è stato possibile conseguire nuovi risultati davvero incredibili. Nel novembre del 2007 il nipote di un soldato americano che aveva combattuto in Europa nel 1945 si mise in contatto con Edsel. Spiegò che aveva in casa due grossi volumi che il nonno aveva trovato sul pavimento del Berghof, la residenza di Hitler sulle Alpi Bavaresi. Dopo alcuni mesi di ricerche, si scoprì che si trattava del sesto e dell’ottavo volume dell’archivio dell’Einsatzstab Reichsleiter Rosenberg. L’ERR era stata costituita nel 1940 per requisire le proprietà di ebrei e dissidenti politici, e le ricchezze dei territori occupati, specialmente le opere d’arte. Tutto ciò che i nazisti incameravano veniva accuratamente catalogato in quaderni corredati di fotografie e indicazioni sulle circostanze della requisizione, i cosidetti “album di Hitler”. Al processo di Norimberga furono presentati 39 volumi di questo genere, fondamentali per ritrovare opere che erano state nascoste in Germania nei luoghi più impensabili, come boschi, caverne e case abbandonate e per restituirle, quando possibile, ai legittimi proprietari.“L’ossessione di Hitler e Göring per l’arte e i loro sforzi per portare in Germania i cimeli di tutta Europa sono un aspetto del conflitto mondiale che viene ricordato poco - spiega Robert Edsel - Tuttavia è mia convinzione che questa storia, queste opere, oltre a rappresentare un patrimonio culturale europeo e mondiale, abbiano in qualche modo contribuito ad accorciare i tempi della guerra. Tutte le risorse umane ed economiche che Hitler impiegò per il saccheggio dei tesori artistici furono distolte dal fronte, e furono molto più consistenti di quanto non si immagini”.Nel settembre 2009 è uscito il libro di Robert Edsel intitolato “Monuments Men”, che racconta la straordinaria storia di “quegli uomini e quelle donne che, senza veicoli, benzina o autorità attraversavano l’Europa in una corsa contro il tempo per salvare i tesori dell’arte dalla follia nazista”. Come Mary Regan Quessenberry di Boston, la seconda donna ancora in vita di cui si conosce l’identità che fece parte dei Monuments Men. Il 10 novembre scorso la nipote ha contattato la Fondazione per segnalare ciò che aveva fatto sua nonna. Robert Edsel è corso a incontrarla donandole una copia dorata della risoluzione approvata dal Parlamento americano in onore dei Monuments Men in occasione del 63° anniversario del D-Day nel 2007. Mary, nata nel 1915, laureata in Arte a Harvard, nel 1942 lasciò il suo lavoro di insegnante per arruolarsi nel primo gruppo di donne che servirono nell’esercito americano. Furono scelte in 450 su 400 mila che se ne erano presentate. Quando nel 1945 lesse sul giornale dell’esercito Star and Stripes che cercavano ufficiali con background storico e artistico per l’MFAA, non ci pensò due volte. Rimase in Europa fino al 1948, quando si congedò col grado di maggiore. Tra i Monuments Men si annoverano molte tra le più grandi figure del panorama museale e artistico americano degli anni Cinquanta e Sessanta, tra cui Paul Sachs, che fu direttore del Fogg Art Museum, Lincoln Kirstein, fondatore del New York City Ballet, e James Rorimer, direttore del Metropolitan Museum.
Rossella Tercatin


Le gran signore che facevano sognare

Da qualche tempo, dentro il mondo ebraico, è maturato un interesse intorno alle “scritture bambine”. Se osservato dall’interno il fenomeno sembrerebbe rafforzare il paradosso di Yerushalmi. Lo scoglio dell’emancipazione ha prodotto una memoria incardinata nella pedagogia ebraica (mi-dòr ledòr, di generazione in generazione). Dalla scuola i bambini non devono essere tolti “neppure per la costruzione del Tempio”, insegna il Talmud. Quali fossero però le fantasie di questi bambini non lo sappiamo. Sappiamo del fascino esercitato da alcuni episodi biblici (la crudeltà è un aspetto dell’infanzia: la testa di Oloferne tenuta in mano da Giuditta, le orecchie di Amanno), ma non sappiamo con quali occhi giudicassero la trasformazione antropologica che l’eguaglianza aveva prodotto, né disponiamo di fondi archivistici che altre culture europee posseggono (Mont-Saint- Agnan presso Rouen, in Francia; i family magazines). Nelle soffitte ebraiche italiane è raro trovare qualcosa che assomigli a tutto ciò, si ha l’impressione che l’età anteriore al bar mitzvà, anche dopo l’emancipazione, sia stato un continente da attraversarsi a passo rapido. All’archetipo greco-latino del poeta ut puer fa riscontro la figura ebraica del puer senex, che è come dire il primo della classe, il bambino prodigio. A un’analisi meno superficiale le cose si configurano diversamente, almeno per quanto concerne il periodo che precede la Grande Guerra. Uno dei settori in cui “il senso della famiglia”, che Nello Rosselli indicherà nel famoso discorso di Livorno del 1924 come costitutivo della sua identità ebraica, è proprio la letteratura per l’infanzia. Capita che il fenomeno della secolarizzazione, accanto a vistose forme di assimilazione, si fermi davanti ad alcuni nuclei culturali forti, dove la memoria ebraica, pur laicizzandosi, si tramanda. Per parafrasare il titolo di una delle ultime discendenti di questa tradizione, Elsa Morante, il mondo ebraico pare salvato da mamme che inventano storie per i loro ragazzini. Non è un luogo comune, ma un capitolo concreto di storia della letteratura italiana. Vorrei limitarmi a una breve rassegna di nomi e di titoli. Il “Corrierino dei Piccoli” era stato progettato da una delle figlie di Cesare Lombroso, Paola, Zia Mariù come amava firmarsi. Il Corriere dei grandi, sotto la direzione di Albertini, si approprierà poi della sua creatura in certa misura disebreizzandola. Sono soprattutto donne a delimitare il territorio, naturalmente con eccezioni. Anche vistose. Dante Lattes aveva un fratello che si chiamava Guglielmo, che un anno dopo la fondazione del Corrierino, si cimentò in una impresa non meno ambiziosa: emulare De Amicis e scrivere un Cuore d’Israele (1908). Della scrittura bambina ebraico-italiana è importante in primo luogo il tema del linguaggio, con apice indiscusso nell’indimenticabile refrain di Natalia Ginzburg nel Lessico famigliare: il baco del calo del malo, il beco del chelo del melo… Una riflessione importante sulla filosofia del linguaggio bambino hanno le storie di Totò, inventate da Giorgio Fano, con illustrazioni di un giovane Sergio Tofano, ma domina la poetica del fanciullino di Pascoli e l’eredità di Collodi e Vamba si percepisce nell’esperimento educativo della sorella di Paola Lombroso, Gina, protagonista della scuola per i bambini del popolo la Casa del Sole (1930) e nelle sue “commedie” di Leo e Nina dedicate ai figlioli (1916). Si firmava Cordelia, per scrivere di Curpiddu, Virginia Tedeschi Treves, mentre a Trieste folleggiava come Haydée, Ida Finzi, nota per il suo irredentismo e per I bambini di San Giusto. E poi Lina Schwarz, Luisa Cohen Enriquez. E dopo la pubblicazione delle corrispondenze famigliari, come dimenticare il Tupinino, personaggio uscito dalla fantasia di Amelia Rosselli creato per rallegrare l’infanzia dei due fratelli, Nello e Carlo. Quei figli e nipoti di Zia Mariù diventati adulti saranno, ebraicamente parlando, degli agnostici Zeno, un po’ nevrotici, ma pronti a scrivere favole per i propri figli ricche di humour ebraico. Meglio di ogni altra narratrice, la Morante, da Arturo a Useppe de La storia, ha saputo descrivere i problemi connessi al passaggio dall’infanzia all’adolescenza. Marta Minerbi Ottolenghi si situa esattamente lungo questo crinale. Nata a Quarto di Genova nel 1895, la Ottolenghi Minerbi svolse l’intera sua carriera nel mondo della scuola come insegnante e poi direttrice didattica a Mogliano Veneto nel 1936. Dopo la guerra, che le aveva portato via il marito deportato in Germania, si dedica ai bambini, cercando di spiegare loro che cosa è stata la guerra e la Resistenza: O partigiano portami via (1965) è il titolo che la renderà famigliare a un pubblico più vasto, ma nella memoria ebraica italiana, specialmente torinese, il suo nome va associato a Ninìn bimbo felice (1956), che rappresenta l’antefatto dei diari di Emanuele Artom, da poco ristampati in edizione critica, a cura di G. Schwarz (Diari di un partigiano ebreo, 2008). Avvalendosi dell’aiuto della madre dei due bambini, Amalia Artom, la Minerbi ci ha regalato qualche cosa di più. Di Ennio sono le favole e i disegni, che rinviano alle illustrazioni della prima edizione del Giornalino di Gian Burrasca. Attraverso la prosa nitida della Ottolenghi cogliamo gli aspetti dell’educazione ebraica alla libertà, alla serietà del lavoro intellettuale, ma anche l’amore per la matematica, il senso dell’umorismo nella Storia di un balbuziente (metafora della diversità). Nulla di crepuscolare o di lacrimoso: la forza di questa autrice è nella sobria pietà.
Albertro Cavaglion, Pagine Ebraiche, febbraio 2010



Spiegazione opera donata al Papa domenica‏

E’ nata a Mirano l'opera che domenica 17 gennaio il Rabbino Capo della Comunità Ebraica di Roma ha donato a Benedetto XVI. L'artista è Tobia Ravà e l'opera La direzione spirituale, concepita presso PaRDeS Laboratorio di Ricerca d'Arte Contemporanea, Mirano (VE). In cambio il Papa ha donato un’opera di Piranesi.
1166 La Direzione Spirituale di Tobia Ravà a cura di Maria Luisa Trevisan
L’opera commissionata all’artista veneziano Tobia Ravà dal professor Riccardo Di Segni, Rabbino Capo della Comunità Ebraica di Roma, quale dono a Papa Benedetto XVI in occasione della visita alla Sinagoga di Roma del 17 gennaio 2010 (la seconda in 22 secoli, la prima circa vent’anni fa da parte di Giovanni Paolo II, era l’aprile del 1986), al Tempio romano, rappresenta l’immagine di un bosco azzurro. La direzione spirituale, titolo dell’opera, è data dalla prospettiva centrale del pioppeto che porta verso l’infinito, in un’immagine interamente realizzata con numeri, lettere e parole ebraiche, che insieme costituiscono una texture alfanumerica sostenuta da una ferrea logica linguistica, quella della ghematrià, secondo la quale ogni lettera corrisponde ad un numero e così ogni parola ha oltre che un significato letterale anche un valore numerico, ma anche filosofico e segreto. In questo modo riesce a ricavare persino radici quadrate di concetti ed il numero teosofico di qualsiasi cifra sommandone tutte le unità in modo da ridurlo ad una sola cifra. L’opera si fa testo, apparentemente indecifrabile e criptico, ma non appena ci si addentra nella foresta di simboli, e con un po’ di pazienza si cominciano ad isolare le lettere ed i numeri, si scoprono dei meravigliosi significati nascosti tra i rami e nei meandri di questi boschi. Affiorano nomi, messaggi, date ed anche la firma dell’artista (32). L’opera è incentrata sulla data della visita che compare in alto, in cielo, e sul nome “baruch”, in omaggio a Benedetto XVI, ed il numero 16, che troviamo invece a terra, con tutti valori ghematrici, numerici e teosofici collegati; è un inno al divino, alla terra, al creato, all’amore, all’unione e alla concordia tra gli uomini, come nella citazione testuale del Salmo 122, verso 6: shalu 377 shalom 376 Jerusalem 586 isch laiu oheveich (Pregate per il bene di Geusalemme: possano godere di tranquillità coloro che ti amano). Sulla linea dell’orizzonte vi è il numero 45 che rappresenta l’uomo in quanto ghematrià di adam (uomo in ebraico, parola composta da alef, ossia la presenza divina, equivalente ad 1, e dam, sangue, 44). L’opera ha in effetti i colori corrispondenti a queste due parole, dell’infinito, dell’uno, eterno, indivisibile con l’azzurro che si fa sempre più etereo, rarefatto ed evanescente fino al bianco. Questo colore che è in superficie ha come base una colorazione rossa, simboleggiante il sangue e la carne dell’uomo. Non si tratta della natura (parola che è presente in ebraico, ha teva) spontanea e selvaggia, ma regolare e controllata dall’uomo che in questo caso si fa socio di Dio nella creazione. L’uomo crea una natura ordinata: i Pioppi sono piantumati tutti ad una certa distanza, spesso lungo gli argini dei fiumi in aree golenali per rafforzarne le sponde e contenere le acque troppo abbondanti. Il pioppeto è un tema ricorrente nella produzione artistica di Ravà e rappresenta la riqualificazione dell’essere umano che piantando alberi migliora il pianeta. L’artista ama affermare che preferisce l’uomo che pianta alberi piuttosto di quello che cementifica le sponde e costruisce capannoni.L’opera d’arte così come il testo biblico può quindi essere letta secondo i 4 livelli del PaRDeS, che significa “frutteto” o “giardino”, parola che ha dato origine al termine “paradiso”. PaRDeS giunse ad avere un significato filosofico nell’ebraismo per un racconto narrato nel Talmud , in cui PaRDèS sembra rappresentare un “luogo” ideale, simbolico, interiore, e consono alla mediazione esoterica. Nell’ebraico più tardo “coloro che passeggiano nel frutteto” sono i giusti impegnati nella meditazione mistica. Le quattro consonanti PaRDèS vennero poi a rappresentare i quattro livelli stabiliti d’interpretazione delle Scritture. Ciascun verso della Bibbia può essere letto in riferimento al suo Pshàt, ovvero il suo ovvio e diretto significato, oppure secondo il Rèmez, un’allusione all’allegoria, filosofica o morale in esso contenuta; o ancora secondo il Deràsh, ovvero gli antichi metodi rabbinici di interpretazione, o in riferimento a Sod, il significato esoterico o qabbalistico. Il testo come anche l’opera d’arte o qualsiasi situazione della vita presenta al contempo diversi livelli di significato: questo aspetto del pensiero ebraico ha contribuito ad avere un approccio diverso, più articolato e pluridirezionale nella visione e soluzioni dei problemi sia a livello teorico che pratico.


Gerusalemme - Yad Vashem


Le iniziative a cui partecipa la Fondazione dal 25 al 28 gennaio e legate al ricordo della figura ed esempio di Giorgio Perlasca.

28 gennaio A Basilea (Svizzera) all'Università ore 18, in occasione della Giornata della Memoria, viene organizzata dal Polo Scolastico di Basilea con il patrocinio del Consolato Generale d’Italia una conferenza dal titolo “Per non dimenticare”. Relatori oltre a Franco Perlasca, Presidente Fondazione Giorgio Perlasca, la dott.ssa Giuseppina Ruggieri, dirigente scolastico del Consolato Generale d’Italia, la dott.ssa Gaetana Farruggio reggente del Consolato Generale d’Italia di Basilea. Coordina il prof. Antonio Scolamiero. Presenti, oltre alle autorità consolari, anche autorità cantonali e cittadine, nonché rappresentanti dell’ASRI (Associazione Svizzera Rapporti Culturali ed Economici con l'Italia) e dell'Unitre di Basilea, e della Comunità Ebraica di Basilea.27 gennaio a Limena (Pd), alle ore 10 presso il Prà del Vescovo (via Dante) sarà inaugurato il Giardino dei Giusti, dedicato alla memoria di un Giusto dell'Umanità, Giorgio Perlasca 25 gennaio a Bergamo alle ore 15.00 nella Sala Consiliare della Residenza Municipale, nell’ambito delle manifestazioni del Giorno della Memoria, l’Amministrazione comunale promuove un incontro con Franco Perlasca, Presidente della Fondazione Giorgio Perlasca, dal titolo “La storia maestra di vita – l’esempio di Giorgio Perlasca, Giusto fra le Nazioni”. 25 gennaio A Fontaniva (Pd) alle ore 8.30 incontro/dibattito di Franco Perlasca con gli studenti delle classi terze dell'Istituto comprensivo "L.B. Alberti", sul tema "La storia maestra di vita –l’esempio di Giorgio Perlasca, Giusto fra le Nazioni”.



Equivoci e distorsioni sul sinodo dei vescovi del Medio Oriente

Il 19 Gennaio in preparazione del Sinodo dei Vescovi del Medio Oriente, la Santa Sede ha pubblicato i Lineamenta, ossia le grandi linee della politica Vaticana in Medio Oriente. Se Benedetto XVI ha evitato di parlare di politica nella sua visita al Tempio Maggiore, questo documento è pieno di politica, in generale anti-israeliana. Al punto 18 è scritto: “L’occupazione israeliana dei Territori palestinesi rende difficile la vita quotidiana per la libertà di movimento, l’economia e la vita religiosa (accesso ai Luoghi Santi condizionato da permessi militari concessi agli uni e agli altri, per motivi di sicurezza)”. Si ignorano totalmente le ragioni che hanno spinto Israele a istallare posti di controllo, ossia il terrorismo palestinese che pur essendo fortemente diminuito, miete ancora vittime civili israeliane come è accaduto pochi giorni fa. Al punto 63 è detto: “Causa di questa ostilità è l’occupazione da parte d’Israele dei Territori palestinesi e di qualche territorio libanese e siriano.” Ciò è falso poiché anche quando finisce l’occupazione israeliana, continua l’ostilità sia dei palestinesi sia dei paesi Arabi vicini (come il Libano).Forse il paragrafo più importante da un punto di vista ebraico è al numero 75 dove è detto fra l’altro: “La soluzione dei conflitti è nelle mani del Paese forte che occupa un Paese o gli impone la guerra. La violenza è nelle mani del forte ma anche del debole, che, per liberarsi, può ugualmente ricorrere alla violenza a portata di mano. Diversi nostri Paesi (Palestina, Iraq) vivono la guerra e tutta la regione ne soffre direttamente, da generazioni. Questa situazione è sfruttata dal terrorismo mondiale più radicale.” E’ qui riassunta la dottrina politica del Vaticano di fronte al Medio-Oriente: la colpa è tutta di Israele nemmeno nominato. Il Vaticano ritiene che Israele, che è il più forte, occupa un paese non suo o impone la guerra, e dimentica così le provocazioni, il lancio di missili sulle popolazioni civili israeliane durante otto anni e gli atti terroristici. Il terrorismo radicale sfrutta la situazione che ne deriva. Nulla è più falso nella consecutio temporum delle guerre di Israele.Questi esempi tratti da un lungo documento sono la prova dell’ostilità vaticana nei confronti di Israele e della mancanza di equidistanza dai contendenti. Ci domandiamo cosa ne guadagni la Santa Sede a non capire che di fronte alla marea islamica e al terrorismo radicale, Israele costituisce una barriera di difesa per i cristiani, altrimenti costretti a fuggire dal Medio Oriente.Sergio Minerbi, storico, newletter UCEI del 21 gennaio



Haiti: se il Paese della guerra salva le vite

Fiamma Nirenstein, Il Giornale, 21 gennaio 2010
Una parte della stampa internazionale accusa Israele di ignorare i diritti umani. Eppure ad Haiti è in prima fila soprattutto nella cura dei feriti e nella ricerca dei dispersi. Chi viene da una terra dove la morte è sempre in agguato, rispetta il valore dell’esistenza.Chi vede che cosa sta facendo Israele ad Haiti, resta a bocca aperta: non c’è mezzo di comunicazione di massa, non c’è rappresentanza diplomatica che non abbia lodato il lavoro di quei volontari che non dormono e salvano vite a catena, e che lo fanno al massimo della competenza scientifica e umana. Ma non illudiamoci: non ci vorrà molto perché Cnn, Sky News, Cbs e tutte le tv internazionali, accusino di nuovo Israele di essere un Paese crudele, violatore di diritti umani, oppressore, assassino di bambini. Loro lo sanno, ma seguitano a lavorare fra le rovine e nell’ospedale da campo.«Loro» sono i duecentoventi medici e paramedici israeliani, fra cui molti soldati, che sono arrivati per primi sull’isola distrutta, hanno cominciato a scavare e non hanno ancora smesso, hanno messo su un ospedale da campo che non sgarra di un millimetro dai migliori standard internazionali; a questo ospedale si rivolgono tutti i Paesi che cercano con buona volontà, ma in grande confusione (prima di tutto gli Stati Uniti), di portare aiuto ai terremotati. «Solo gli israeliani sono riusciti a portare velocemente un’assistenza avanzata», ha detto alla Cnn la dottoressa Jennifer Furin della Harvard Medical School.Fra gli israeliani ci sono cinquanta ragazzi specializzati nell’estrarre sopravvissuti dalle rovine: ancora ieri hanno salvato due fratellini, e hanno strappato dalla morte più orrida decine di feriti e moribondi. Gli israeliani curano 500 persone al giorno, si sono portati da casa le migliori macchine salvavita, possono affrontare operazioni difficili, hanno fatto partorire con successo sei puerpere salvando tutti i neonati, persino due prematuri. La tv ha detto che l’ospedale degli israeliani è la Rolls Royce dei soccorsi umanitari a Haiti, ma in realtà è il dono amoroso di un popolo di soli sette milioni di abitanti, certo non ricco e sempre in pericolo; che, come ha detto la Cnn, in genere pessima su Israele, «è arrivato qui dall’altra parte dell’oceano». Perché lo fa? Perché sa che la vita umana non ha prezzo, come invece sembrano pensare in tanti fra quelli che hanno risparmiato, per esempio i Paesi petroliferi.Qualcuno ironicamente ha scritto che si tratta di «un impegno sproporzionato», come era stata definita «sproporzionata» la guerra contro Hamas per difendere la vita dei cittadini israeliani colpiti dai tredicimila missili. Ma sproporzionati questi impegni non sono né l’uno né l’altro, bensì collegati l’uno all’altro. Solo chi sa che cosa significa dover difendere la vita giorno dopo giorno sa che cosa vale ed è in grado di farlo come si deve. E guardando un po’ più lontano, solo un popolo che per un lungo periodo, durante la Shoah, ha visto i suoi membri privati del loro nome, della famiglia, della loro umanità, sa che ogni vecchia donna di Haiti, ogni giovane colto nel pieno della sua gioia di vivere, ogni neonato in pericolo, somigliano a quegli esseri umani allora investiti dall’orrore.Ma al di là delle ragioni morali, come fa Israele a essere così preparato scientificamente, ordinato e instancabile? L’ha spiegato Bill Clinton, inviato ad Haiti per l’Onu: «La tanta esperienza sul campo di battaglia gli ha insegnato a costruire magnifici ospedali da campo, e gli sono grato per questo».Anche il terrorismo è stato maestro di velocità, scientificità, precisione. Durante l’Intifada il dottor David Applebaum, un medico dell’ospedale di Gerusalemme «Hadassa», venne ucciso da un terrorista suicida al caffè Hillel insieme a sua figlia Nava che avrebbe dovuto sposarsi il giorno dopo. Con loro finirono a pezzi tanti altri avventori. Il lutto per il dottor Applebaum fu particolarmente amaro: aveva infatti inventato un metodo nuovo per curare a catena i feriti trasportati a dozzine al pronto soccorso sulle ambulanze ogni volta, e capitava tutti i giorni, che un terrorista attaccava i civili israeliani. Il metodo Applebaum è stato copiato in tutto il mondo perché sa affrontare mirabilmente la confusione compiendo un’immediata classificazione della gravità delle ferite e quindi non perdendo un secondo nel salvare la vita e le parti del corpo in pericolo e nell’aiutare psicologicamente i traumatizzati.È da studi sul campo come quello di Applebaum che Israele ha imparato ad amministrare sul campo i sentimenti di pietà. Ma non basta. Purtroppo la parabola di Applebaum dice che il prezzo per imparare quest’arte è ed è stato per Israele terribilmente elevato. Sproporzionato.

giovedì 21 gennaio 2010


Bulgaria e Israele, proseguono rapporti bilaterali in diversi settori

I rappresentanti di Israele e Bulgaria si sono incontrati la scorsa settimana e hanno discusso dei rapporti bilaterali in diversi settori. I rapporti tra i due Paesi, ha detto Peres, sono su una linea di amicizia, ma la Bulgaria potrebbe fare ancora di più per promuovere il turismo presso gli israeliani. Borisov ha risposto annunciando un forum turistico su larga scala in Israele, cui parteciperà anche la Bulgaria, e che si svolgerà in febbraio 2010. La notizia è riportata dalla Sofia News Agency.Il presidente israeliano ha lodato la cooperazione bilaterale in tutti i campi tra cui la lotta al terrorismo e ai cambiamenti climatici; per quanto riguarda l'economia, il premier bulgaro ha incontrato il primo ministro israeliano Netanyahu, che ha consigliato la controparte bulgara di ridurre gradualmente l'IVA. Il premier bulgaro si è impegnato a convincere il Ministro delle Finanze, Simeon Djankov. Borisov ha aggiunto che erano 18 anni che un premier bulgaro non visitava Israele e ha aggiunto che il Paese è un partner strategico per il futuro. Il premier bulgaro ha concluso dicendo che un consigliere finanziario-economico arriverà in Bulgaria nelle prossime settimane per supportare la prosecuzione dei dialoghi bilaterali; Netanyahu stesso si è impegnato ed ha espresso il desiderio di guidare una delegazione d'affari israeliana a Sofia presto.

19 Gennaio 2010, http://www.portalino.it/


Merkel e Netanyahu


Germania-Israele: Netanyahu con la Merkel per nuove sanzioni a Iran

Nell’incontro tra la cancelliera tedesca Angela Merkel e il primo ministro israeliano Netanyahu tenutosi a Berlino , è nata una intesa riguardo punti caldi con cui Israele vuole tenere in allerta la comunità internazionale. Dopo aver condotto il ministro israeliano al memorial dell’olocausto i due capi di governo hanno tenuto una conferenza stampa in cui hanno voluto entrambi dimostrare il proprio dissenso per la situazione iraniana. La Merkel, quasi sollecitata da Netanyhau, ha voluto precisare la propria posizione riguardo il piano nucleare iraniano:”Abbiamo chiarito che se la reazione dell’Iran non cambiera’, cooperemo nella preparazione di ampie sanzioni… preferibilmente nel quadro di una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu”.A fare eco ci sono le parole di Netanyahu che chiede “sanzioni rovinose” spiegando che un “regime” come quello iraniano non può tentare di costruire armi nucleari sotto gli occhi inerti della comunità internazionale, sospetto che per israele è una certezza nonostante le continue smentite del governo iraniano. Ahmadinejad e i suoi ministri più volte hanno rivendicato il loro diritto a sostenere un programma nucleare, ovviamente per scopi esclusivamente civili, per questo, dopo le restrizioni dei paesi occidentali considerate eccessive hanno deciso di non proseguire con i dialoghi.Dopo i timori sul nucleare iraniano espressi da israele, la stampa tedesca riporta la notizia dell’interesse da parte dello stato ebraico riguardo ad un sottomarino nucleare di produzione tedesca, quasi una contraddizione, a voler dimostrare la posizione israeliana sul piano bellico.L’incontro di Berlino è visto come uno storico evento in prossimità delle commemorazioni sulla Shoah, i due paesi infatti, protagonisti della tragedia, ormai ampiamente riconciliati tornano a ritrovarsi in stretti rapporti.Merkel e Netanyahu hanno poi discusso sulla situazione israelo-palestinese, discussione in cui è stato espresso appoggi politico della Germania in previsione di nuovi accordi per la stabilizzazione del clima in medioriente, dove si vedono coinvolte le 5 potenze mondiali più influenti. L’iran, inoltre, è stato frequentemente sollecitato al dialogo anche a fronte di una collaborazione più stretta sul tema palestinese e afghano, paesi dove le forze statunitensi, in primis, hanno interessi a mantenere stabili e pacifici. Israele dice di contare sull’appoggio di alcuni stati europei e di tenere ai suoi rapporti, nonostante le condanne della comunità internazionale a proposito dell’operazione “Piombo fuso”.19 gennaio 2010, http://www.newnotizie.it/


Fini, antisemitismo non e' solo storia di ieri

Roma, 18 gen. (Adnkronos) - ''E' un incontro che ha consentito di mettere in evidenza le tante convergenze che ci sono tra il governo israeliano e la mia personale opinione su quello che sta accadendo in Medio Oriente e che dovrebbe essere l'azione della Ue e, piu' in generale, della comunita' internazionale contro il terrorismo, contro un antisemitismo che non e' soltanto storia di ieri, ma anche di oggi. Basti pensare all'azione che quotidianamente viene messa in campo da Stati sovrani come l'Iran e da organizzazioni come Hamas ed Hezbollah''. A sottolinearlo e' il presidente della Camera, Gianfranco Fini, al termine di un incontro a Montecitorio (durato quasi un'ora) con il vicepremier israeliano Silvan Shalom.



Haiti: chiamato 'Israele' bimbo nato ad ospedale da campo israeliano

Tel Aviv, 18 gen. (Adnkronos/Dpa)- E' stato chiamato Israele il primo bambino nato nell'ospedale da campo che e' stato allestito a Port-au-Prince dall'esercito israeliano. La madre, una donna sulla ventina, ha voluto cosi' ringraziare i suoi soccorritori presso i quali si e' presentata oggi alle tre del mattino. il piccolo e' in buona salute. Il padre del bambino e' disperso nel terremoto e gli altri tre figli della coppia vengono accuditi dai parenti.


parco archologico Cesarea

SICUREZZA: MANGANELLI, VERSO GRUPPO LAVORO ITALIA-ISRAELE

Dare vita ad un gruppo di lavoro congiunto italo-israeliano capace di rendere efficace lo scambio di informazioni e di esperienze nei settori della sicurezza e dell'immigrazione, condividendone le "best practice". E' uno degli obiettivi dei quali ha parlato il capo della polizia, Antonio Manganelli, nel corso dell'incontro con il capo della polizia israeliana, Dudi Cohen(18 gennaio 2010) http://www.repubblica.it/


soldatessa israeliana


TRATTO DALLA RASSEGNA STAMPA DELL’UNIONE DELLE COMUNITA’ ITALIANE

Nei giorni scorsi si sono ripetuti due fatti di estrema importanza: il terremoto di Haiti e la visita di un papa alla sinagoga di Roma. Di entrambi i giornali di tutto il mondo hanno raccontato tutto, o meglio quasi tutto quello che andava raccontato; ed anche questa rassegna ne ha diffusamente parlato. Quasi tutto, dicevo; non ho infatti trovato molte tracce di una realtà che vorrei ricordare ai nostri lettori. Immediatamente dopo il terremoto di Haiti (che, come accennavo più sopra, si era già verificato ben12 volte con simile intensità negli ultimi secoli), il governo israeliano aveva provveduto a far partire un'unità di crisi; sempre pronta a portare soccorso dove avvengono catastrofi umanitarie, in qualunque luogo esse avvengano (ricordiamo, tra i tanti, i soccorsi in Turchia ed in India). Due aerei sono decollati da Israele e già sabato 16 un ospedale da campo era il primo ad essere operativo a Port au Prince. Il notiziario in inglese mail@jerusalemonline.com, che chiunque può ricevere direttamente sul proprio computer, nell'edizione di domenica 17 annunciava che già 8 persone erano state salvate dalle unità speciali israeliane, e questa notte aggiungeva che ancora un'altra donna era stata estratta viva dalle macerie dell'università. Le unità speciali hanno incominciato ad operare immediatamente, lavorando con le squadre messicane conosciute durante precedenti interventi, tenendosi fuori dalle querelles che hanno invece disturbato il compito di altre unità di crisi, inviate da altri paesi, ma in concorrenza tra di loro. Duecentoventi israeliani, tra uomini e donne; oltre il triplo degli inglesi; intervento sproporzionato anche questo? Gli israeliani, senza preoccuparsi di come Haiti potesse aver votato nei vari consessi internazionali impegnati a censurare il loro Stato, sono stati tra i primi ad accorrere nonostante la distanza geografica, le dimensioni ridotte del loro Stato, e la necessità di non lasciarlo comunque mai sguarnito; solo il desiderio di solidarietà guidava questi uomini. Avrei voluto trovare, su qualche quotidiano nazionale, una breve che ricordasse questa realtà ai suoi lettori; no, questa volta non si è parlato degli israeliani (tranne che al TG5 e, oggi, Il Foglio), forse perché non potevano essere messi sul banco degli accusati, o perché erano più interessati alle dispute con la domestica di casa Netanyahu. Ma su Repubblica Ermanno Accardi ha parlato martedì dei giocattoli che da Gaza stanno per inviare ad Haiti... Sappiano i nostri lettori che sabato, dopo le preghiere nelle quali gli ebrei hanno ricordato il salmo 104 in cui si parla dei movimenti tellurici, gli haitiani hanno baciato il loro tallet. Le immagini del lavoro degli israeliani nel momento stesso in cui riportano alla luce un haitiano rimasto sepolto per giorni, e della gioia di tutti gli astanti, mostrate da informazionecorretta.com, sono di quelle che rimangono impresse nella memoria in modo indelebile. Un bambino nato domenica nell'ospedale israeliano di Port au Prince (l'unico anche oggi ad essere del tutto operativo, montato in solo 8 ore, ed in grado di effettuare 5000 interventi al giorno), è stato chiamato Israel. Una israeliana, nella divisa di Tsahal, è stata ripresa felice accanto al neonato ed alla madre haitiana.La CNN ha trasmesso un altro bel servizio. Ancora dal sito Jerusalemonline.com, nell'edizione di lunedì, abbiamo appreso che un terrorista, responsabile di un attentato perpetrato in un pub di Tel Aviv 6 anni fa, dopo aver scontato una pena nelle prigioni egiziane, è stato ora nominato professore alla London School of Economics: anche questa istituzione inglese, nonostante le sue grandi tradizioni, si sta piegando al volere dei fondamentalisti islamici? Sarà solo un caso che il mancato attentatore dell'aereo diretto a Dallas avesse studiato proprio in quell'ambiente in rapida trasformazione?Sul Corriere Bernard Henry Levy ritorna sulla figura di Pio XII, mentre sul Foglio Andrea Monda intervista il rabbino Neusner che ha anche incontrato Benedetto XVI. Su La Stampa Maria Corbi ricorda il piccolo Stefano Taché ed i suoi assassini che non hanno mai pagato per il loro crimine; alla mamma del piccolo che continua a rifiutare di parlare, anche a distanza di anni, non posso dire altro che la comprendo bene. Sul Corriere si parla della pièce portata in teatro che ricorda l'eroica vicenda del console italiano Zamboni: riuscì, da solo, a salvare tanti ebrei a Salonicco. Sull'indizione in ottobre di un Sinodo per il Medio Oriente, che dovrà trattare sia delle divisioni tra le varie fedi cristiane, sia dei problemi religiosi e politici da affrontare con i vari stati, troviamo numerosi articoli: sul Riformista (Cristiani trattati come non cittadini, e ci si chiede se si avranno di nuovo dei martiri cristiani), su Avvenire (il dialogo con gli ebrei è già aperto anche in Medioriente, mentre è più problematico con la maggior parte dei paesi medio-orientali), sul Messaggero (la diaspora cristiana pare inarrestabile, e questo per colpa dei fondamentalisti), mentre sul Corriere è riportato in una breve un documento davvero criticabile delle Chiese orientali. Pochi quotidiani ricordano la seconda seduta congiunta dei governi di Germania ed Israele, questa volta svoltasi nella capitale tedesca: avvenimento ricco di significati, e del quale si deve ringraziare la cancelliera Merkel. La Stampa, in una breve, intervista il Capo dei servizi informazioni militari di Israele: per questioni strategiche ci dice che è crisi profonda con la Turchia (dove ricordo si è appena recato il ministro della difesa Barak). Il Corriere (oltre a Repubblica) parla del viaggio del Prefetto della Polizia Manganelli in Israele: scambi di esperienze tra tecnici, con l'Italia interessata ad acquistare moderna tecnologia da usare anche nella lotta alla mafia, ed Israele interessata ai metodi di lavoro italiani. Herald Tribune, come sempre severo con Israele, esamina le difficoltà ancora da risolvere prima che possa entrare nell'Organisation for Economics Cooperation: ostacoli persistono per la sua industria delle armi, per quella dei medicinali e per i territori annessi di Gerusalemme e del Golan. L'Unità dedica un articolo ai nuovi arrivi dall'Etiopia di falashmura. Tutto in difesa di Hamas un articolo su Terra che chiama Gaza "riserva indiana": ai palestinesi viene impedito di lavorare, mentre Netanyahu frena la trattativa per liberare Gilad Shalit per non concedere un successo ad Hamas. Simile il tono di Michele Giorgio sul Manifesto che parla dei disastri provocati dall'alluvione in un wadi di Gaza dove tanti beduini, dimenticando le antiche abitudini (ndr), si erano accampati. Una volta nei wadi si mettevano bastoni di misurazione per vedere il livello delle acque, oggi si costruiscono accampamenti, e poi la colpa è naturalmente di Israele (dove ricordo che si sono avuti alcuni morti per le stesse, abbondanti piogge che servono sì a riempire i bacini ed a far diventare verde il deserto, ma che anche causano danni non indifferenti).Emanuel Segre Amar

mercoledì 20 gennaio 2010



PILLOLE DA ISRAELE
הַבָּאִים יַשְׁרֵשׁ יַעֲקֹב, יָצִיץ וּפָרַח יִשְׂרָאֵל; וּמָלְאוּ פְנֵי-תֵבֵל, תְּנוּבָה
Nei giorni a venire Giacobbe metterà radici, Israele germoglierà e fiorirà, e tutto il mondo sarà pieno del suo prodotto. (Isaia 27:6)
Notizie di David Pacifici Speciale Haiti
Tel Aviv, 14 gennaio:Uno dei due Jumbo 747 di aiuti per Haiti alla partenza da Ben Gurion. L'ospedale da campo sarà montato e tutto il team di 220 persone entrerà in funzione di Shabbat 16 gennaio. La legge della Torà prescrive che si faccia qualunque lavoro di Shabbat se c'è la speranza di salvare una vitaStasera 14 gennaio partirà da Israele diretto ad Haiti un team dell'esercito di 220 persone tra cui 40 dottori e 5 squadre di soccorso e recupero. Impianteranno un ospedale da campo con camere operatorie ed un reparto di terapia intensiva. Si prevede che verranno visitate e curate almeno 500 persone al giorno.Haiti, 17 gennaio:Il comandante della missione israeliana: non abbiamo grandi budget ma ci concentreremo nei campi dove vantiamo speciali esperienze: medicina di emergenza, ricerca e recupero vittime, assistenza post trauma e purificazione dell'acqua sono straordinariamente all'avanguardia in Israele. Porteremo anche aziende high tech esperte nel ripristino di reti di comunicazione collassate.Haiti, 17 gennaio: Mentre la Croce Rossa Internazionale, l'organizzazione che oggi non visita Ghilad Shalit rapito a Gaza, non riesce a far arrivare a Haiti un ospedale da campo da 50 posti, l'ospedale dell'esercito israeliano con 150 posti letto funziona in pieno già dall'alba di Sabato. Oltre all'esercito una piccola squadra di 6 uomini di Zaka, l'organizzazione di ebrei ortodossi in prima linea nel soccorso negli attentati palestinesi in Israele, ha tirato fuori dalle macerie dell'università 8 studenti vivi dopo 38 ore di lavoro ininterrotto. Al termine del salvataggio si sono ammantati nel tallith ed hanno recitato le preghiere dello shabbat attorniati da un pubblico sorpreso che li festeggiava baciando i loro tallitot.Haiti, 17 gennaio:In mezzo alla desolazione ed alla morte un lieto evento all'ospedale dell'esercito Israeliano: è nato un bambino sano assistito dal dott. Dar della Hadassah di Gerusalemme. La mamma lo chiamerà Israel. In un paese dove si nasce in casa anche in tempi normali il piccolo Israel ha goduto di cure veramente eccezionali.Haiti, 17 gennaio:Le prime parole di France Gilles, 69 anni, tirato fuori dai soldati israeliani dalle rovine di un palazzo: "Venite da Israele? Ma non mi prendete in giro!"
Haiti 17 gennaio. Sapete quanti pasti l'ONU distribuisce a Haiti? Ottomila, avete capito bene, 8.000 a tre milioni di superstiti. Ma, si giustifica Ban Ki Moon, il segretario generale, più volte al giorno... e diamo anche biscotti energetici....Haiti 18 gennaio. I principali ospedali israeliani hanno contribuito alla missione ad Haiti inviando i medici, infermieri e altri professionisti tra i più alti in grado nelle rispettive strutture addestrati alle emergenze e alla gestione dei disastri. Nelle prossime ore nasceranno altri due bambini...Haiti 18 gennaio.Il comandante dell'Ospedale Israeliano, Col. Dott. Kreis: "Attualmente è il più importante centro medico nell'area colpita dal terremoto". Il vice direttore, Dott. Bar-Tal: "I pazienti più gravi, sia feriti nel terremoto che malati, ci arrivano dalle strutture gestite dagli americani, dai russi e da atri gruppi che non possono gestire i casi più seri".


Lettera inviata al Direttore di Popoli. http://www.popoli.info/

Caro Direttore sono da anni un abbonato e fedele lettore di Popoli. Mi ha colpito la pagina dei libri del numero di Gennaio 2010, interamente dedicata al Medio Oriente. La recensione del libro di Giulio Meotti Non smetteremo mai di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri d’Israele – cui erano dedicate poche righe – finiva con la frase: “Un libro di vittime, ma solo da una parte.” Peccato che analoga considerazione non fosse riservata al libro di Nandino Capovilla Un parroco all’inferno. Abuna Manuel tra le macerie di Gaza, di cui invece si scrive “l’autore raccoglie una testimonianza straordinaria”. Anche Giulio Meotti raccoglie testimonianze straordinarie relative a vittime di cui si parla poco o, come in questo caso, in maniera sommaria. Cordialmente.
Tonino Nocera.


Chi vuole vedere la mamma faccia un passo avanti….

a cura di Maria Pia Bernicchia, Proedi Euro 12
E’ il faccino delicato di Sergio De Simone, nel cui sorriso si legge tutta la gioia di vivere di un bimbo di pochi anni, che accoglie come una promessa il lettore che ha la fortuna di prendere in mano “Chi vuole vedere la mamma faccio un passo avanti….”Quel mare di sofferenze umane che è stata la Shoah non ha risparmiato neppure i bambini, le creature più innocenti e fragili che si possa immaginare. Il prezioso libro di Maria Pia Bernicchia, pubblicato da Proedi, uno straordinario omaggio a tutte quelle creature cui la ferocia nazista ha impedito di crescere, di formarsi una famiglia e di avere a loro volta dei figli, racconta il tragico destino occorso ai venti bambini di Bullenhuser Damm (fra i quali l’unico italiano era il piccolo Sergio De Simone).
La lettura di questo saggio è una lenta, costante, inesorabile discesa in un inferno umano inimmaginabile, un deserto dell’anima che non conosce eguali e che mostra a quali livelli può giungere la malvagità dell’uomo. Il libro ricostruisce, attraverso un lungo lavoro di ricerca supportato dalla fede nella “memoria” e dalla ferrea volontà di non dimenticarli, le vicende di un gruppo di bambini ebrei, 10 maschi e 10 femmine, deportati ad Auschwitz-Birkenau da ogni parte d’Europa (Francia, Polonia, Italia, Olanda, Jugoslavia) e successivamente, con un tremendo inganno, trasferiti al campo di concentramento di Neuengamme, a circa 30 chilometri da Amburgo, per essere destinati ad esperimenti medici sulla tubercolosi condotti dal medico nazista Kurt Heissmeyer. Inizialmente i bambini che giungono ad Auschwitz sono separati dalle loro famiglie e se minori di quindici anni destinati allo sterminio; dopo il mese di ottobre 1944 non vengono più inviati direttamente alle camere a gas ma un destino ancor più crudele li attende. A Birkenau si allestisce un blocco speciale, la baracca 11 (“…con il pavimento d’argilla, una vecchia stalla di cavalli…”), dove i venti piccoli ebrei vengono nutriti con cibo buono, ingrassati per essere sottoposti ad esperimenti medici: insieme ai bimbi della baracca di Mengele devono recarsi all’ambulatorio per farsi visitare e attendere a lungo con il freddo che già imperversa inesorabile in quei mesi.Ma le loro sofferenze sono solo agli inizi: con uno stratagemma crudele, la promessa di riabbracciare la mamma, il dott. Mengele li convince a farsi avanti. La mattina del 27 novembre 1944 i 20 bambini partono da Birkenau alla volta del lager di Neuengamme , famoso per la fabbrica di mattoni rossi, “un lager di soli adulti, nessun bambino..”. Dopo alcuni mesi, nel gennaio del 1945, il dott. Kurt Heissmeyer che aspira a raggiungere la notorietà, comincia gli esperimenti nella baracca 4a, “……intorno c’è il filo spinato, i vetri delle finestre sono imbiancati per impedire che si veda dentro”. Quelle povere creature, utilizzate come cavie, vengono infettate con il virus della tubercolosi, poi vengono asportate loro le ghiandole linfatiche per trovarvi tracce di anticorpi. E’ il 20 aprile 1945: l’esperimento è fallito, i bambini sono gravemente ammalati e con gli inglesi alle porte diventa necessario fare sparire i piccoli.
Da Berlino giunge l’ordine di trasferirli nella scuola di Bullenhuser Damm e di ucciderli. Poco prima della mezzanotte il dottor Trzebinski pratica loro un’iniezione di morfina per farli addormentare, quelli invece che danno ancora segni di vita sono condotti in un’altra stanza e impiccati “come quadri alla parete”. Quella stessa notte i cadaveri dei bambini vengono nuovamente trasferiti dalla scuola al lager di Neuengamme e cremati.Di loro non si sarebbe saputo più nulla, i carnefici avrebbero potuto occultare l’orribile crimine se il dottor Henry Meyer, prigioniero danese a Neuengamme, non avesse scrupolosamente annotato i cognomi, l’età, il paese d’origine dei bambini sui quali venivano compiuti gli esperimenti. Quella lista affidata alla Croce Rossa ha permesso di salvare i nomi dei bimbi di Bullenhuser Damm.
Il processo ai 14 responsabili del massacro si conclude il 3 maggio 1946 con la condanna a morte per impiccagione di 11 di loro, mentre gli altri tre, Heissmeyer, Klein e Strippel, rimangono impuniti ancora per molti anni.E’ grazie al giornalista tedesco Gunther Schwarberg che ha dedicato la sua vita a cercare gli assassini del Terzo Reich se il massacro della scuola di Bullenhuser Damm è stato portato alla luce. Raccogliendo i più piccoli brandelli di memoria, Schwarberg ha ricostruito la storia di quei venti bambini ebrei con un lavoro di ricerca durato decenni, dando vita il 20 aprile 1979 all’”Associazione dei Bambini di Bullenhuser Damm” di cui Philippe Kohn, fratello di Georges-Andrè, il più grande dei 20 bambini, è presidente.
Nella scuola che fu teatro di quel massacro e che dal 20 aprile 1980 si chiama Janusz Korczak Schule in memoria del pedagogo polacco che scelse di morire a Treblinka insieme ai bambini dell’orfanotrofio che dirigeva, c’è una lapide nella quale il visitatore può leggere: “Qui sosta in silenzio, ma quando ti allontani parla”.E’ ciò che dovrebbe fare il lettore una volta terminata la lettura del libro di Maria Pia Bernicchia: un documento di inestimabile valore sia sotto il profilo storico che umano, il frutto di un accurato lavoro di ricerche, di studi, di viaggi compiuti dall’autrice che per oltre trent’anni ha insegnato lingua, cultura e civiltà tedesca. Il volume che si delinea in quattro parti – dai ricordi dell’infanzia dei 20 bambini al tragico epilogo, dal processo ai carnefici alle celebrazioni che ogni anno tengono viva la loro memoria - è arricchito da documenti storici e processuali oltre che da numerose fotografie che “donano un volto” ai piccoli ebrei barbaramente uccisi.Quello di Maria Pia Bernicchia è un libro che scuote la coscienza del lettore, si conficca nel cuore e lancia un monito affinché ciascuno di noi si faccia portatore di un messaggio per l’umanità intera: Zakhor. Al Tichkah.Ricorda. Non dimenticare mai. Giorgia Greco

martedì 19 gennaio 2010


Cara Chicca

A visita del Papa in Sinagoga, appenna conclusa, in preda a grande emozione per la grandiosità dell'evento, mi viene spontanea l'associazione con il lungo, bellissimo, apassionato lavoro espletato da te, allo scopo di migliore conoscenza ed apprezzamenti tra italiani ed israeliani, tra cattolici ed ebrei. Che tu e questo tuo lavoro siate benedetti !!
Ad un livello più prosaico, ringraziamenti e complimenti per l'organizzazione del viaggio, la sua puntualità, aderenza al programma e spero, raggiungimento del suo scopo (vedi sopra). Ad Angela abbiamo esternato gli stessi complimenti. Ultimo, solo in ordine di scrittura, apprezzamento ai componenti del gruppo !!Con cordialità ed affetto Marcello (viaggio 2009-2010)


Il dialogo e il rispetto della differenza

“Siamo rimasti quelli che siamo sempre”. Sono le parole, semplici e profonde, con cui Leone Sabatello, di recente scomparso, ha raccontato la sua scelta di fedeltà di fronte alla possibilità di una salvezza attraverso l’abiura e la conversione. È “questa forza, questa tenacia, che rende grande la nostra Comunità” – ha sottolineato Rav Riccardo Di Segni a metà del suo denso discorso pronunciato ieri in sinagoga. Sta qui il “miracolo della sopravvivenza” del popolo ebraico.Da parte sua Benedetto XVI ha indicato nel “dramma singolare e sconvolgente della Shoah” il vertice di un “cammino di odio”. E, riprendendo quel che aveva detto nella sua visita ad Auschwitz, ha affermato che “i potentati del Terzo Reich volevano schiacciare il popolo ebraico nella sua totalità”, e volevano “uccidere quel D-o che chiamò Abramo, che parlando sul Sinai stabilì i criteri orientativi dell’umanità”. Nel suo discorso e nei suoi gesti, oltremodo misurati, si deve leggere però l’aspirazione a proseguire un cammino comune, un “cammino irrevocabile di dialogo, di fraternità e di amicizia”.In questo senso la visita di ieri va vista come un dialogo riuscito. Ed è un sollievo – come quando si ricomincia a parlare dopo una interruzione. Ma non basta. E perciò è un errore usare toni trionfalistici e imprudente sostenere che le divergenze che hanno preceduto questo incontro vanno dimenticate. Le divergenze restano. Non solo nella lettura dei fatti storici più recenti, da Pio XII (su cui ha richiamato l’attenzione Riccardo Pacifici) al ruolo della Chiesa durante il nazismo e il fascismo, alla questione dei bambini ebrei, salvati da istituzioni religiose, ma la cui identità è stata cancellata. Molti altri capitoli dovranno essere aperti. D’altronde le divergenze tengono aperto lo spazio del dialogo. Perché il dialogo può esserci solo dove non c’è appropriazione dell’altro, ma rispetto per la “differenza”.Occorre riconoscere che in realtà si è solo all’inizio di un lungo cammino e che solo attraverso una più profonda conoscenza reciproca e attraverso progetti comuni – come quello di una “ecologia non idolatrica” proposto da Rav Di Segni – si possono muovere passi decisivi. Il dialogo non può ridursi solo alla discussione sulle diverse letture dei fatti storici. Né ci si può accontentare di una convergenza in alcuni temi esegetici. Piuttosto il dialogo deve avere uno spessore teologico. Certamente Ratzinger è tra coloro che, nella chiesa cattolica, hanno riscoperto il valore della Torà anche per i cristiani. Lo ricorda ad esempio Gian Maria Vian in un articolo pubblicato ieri (Messaggero 17 gennaio), dove peraltro accenna – nello stesso contesto – alla “ideologia pagana del nazionalsocialismo”. Il problema riguarda anzitutto il cristianesimo che ha bisogno – oggi più che mai – di una autoriflessione critica, di un percorso quasi di teshuvà. Perché solo così – come diceva già Elia Benamozegh – il cristianesimo potrà “spogliarsi di tutto ciò che ha di contrario all’ebraismo”, deporre “i brandelli di paganesimo che lo hanno reso irriconoscibile” e che hanno perpetuato “l’inimicizia, la lotta fratricida tra ebraismo e cristianesimo, per cui il mondo piange ancora”. Vi è nel cristianesimo un enorme potenziale trattenuto dall’antiebraismo cristiano. Al fuoco del Maghen David, della Stella che – dice Rosenzweig – ha attraversato e attraversa la storia, a quella fede e fedeltà, “miracolo della sopravvivenza dell’ebraismo”, il cristianesimo può attingere nuova vita. Ma per questo deve per sempre lasciarsi alle spalle la teologia della sostituzione e l’insegnamento del disprezzo. Non l’abolizione e il superamento della Torà, ma il suo compimento e la sua diffusione devono essere la meta del cammino comune.Donatella Di Cesare, filosofa http://www.moked.it/