sabato 15 novembre 2008

Rahm Emanuel

USA: IL PADRE IMBARAZZA EMANUEL, INFLUENZERA' OBAMA IN FAVORE DI ISRAELE

Chicago, 14 nov. - (Adnkronos) - Rahm Emanuel e' stato costretto a scusarsi con la comunita' arabo americana per le dichiarazioni rconsiderate offensive per gli arabi del padre Benjamin. "Ovviamente mio figlio influenzera' il presidente in favore di Israele, chi e' forse un arabo? Non va mica a pulire i pavimenti alla Casa Bianca" ha infatti il pediatra israeliano detto a Ma'ariv, commentando la nomina del figlio a capo dello staff d Barack Obama. Le pesanti parole non sono piaciute all'American-Arab Anti-Discrimination Committee che ha inviato una lettera al deputato democratico chiedendogli di "prendere le distanze pubblicamente" dalle dichiarazioni del padre. Ed alla presidente dell'associazione degli arabi-americani, Mary Rose Oakar, sono arrivate le "scuse a nome della sua famiglia" di Emanuel che ha anche invitato per un incontro i rappresentanti della comunita' arabo-americana. Prima di trasferirsi a Chicago, Benjamin Emanuel negli anni quaranta e' stato membro dell'Irgun, l'organizzazione militante sionista che ha condotto attacchi nella Palestina sotto il mandato britanico.

venerdì 14 novembre 2008

Knesseth


Questa l'autorevole risposta del Professor Sergio Della Pergola ad un articolo uscito ieri sul blog. In seguito alle inesattezze dell'articolo citato, ho deciso di eliminarlo dal blog.

L'articolo postato ieri su Gerusalemme include gravi e pesanti inesattezze, e' stata scritta da persona molto incompetente e tendenziosa. Innanzitutto, nel 1967 Gerusalemme Est non era in mano dei palestinesi bensi' del Regno Ascemita di Giordania. L'esercito israeliano entro' nella parte orientale solo dopo che i Giordani avevano cannoneggiato il centro della citta', incluso il campus dell'Universita' di Gerusalemme. Gerusalemme non e' certo la citta' piu' povera di Israele, anche se si trova al di sotto della media nazionale israeliana nella scala della ricchezza. E' vero che i redditi dei quartieri molto religiosi e arabi sono bassi, e la qualita' della vita e' inferiore a quella delle altre zone, ma cio' deriva primariamente dalla scarsa partecipazione alla forza di lavoro da parte degli uomini ebrei ortodossi, e delle donne musulmane. Impianti di high-tech, l'universita' di Gerusalemme, e il turismo sono fonte di proventi. Il turismo non e' fuggito e gli alberghi nell'alta stagione non hanno una stanza libera. Il bilancio migratorio e' negativo, e fra quelli che partono per altre localita' in Israele vi sono molte famiglie ortodosse. Pertanto la maggioranza della popolazione ebraica comprende molti ebrei religiosi o moderatamente tradizionalisti che conducono uno stile di vita moderno. La prova e' che il nuovo sindaco Nir Barkatt, che non e' religioso, e' stato eletto a larga maggioranza. I palestinesi di Gerusalemme Est hanno il diritto di voto alle elezioni municipali, ma se non lo esercitano, non possono poi lamentarsi di non essere rappresentati in consiglio comunale. La barriera di sicurezza e' stata costruita per impedire gli intollerabili atti di terrorismo che insanguinavano la citta' dagli anni 90. Se fosse raggiunta la pace, come e' certo auspicabile, la barriera potrebbe essere facilmente smantellata. Sergio Della Pergola

giovedì 13 novembre 2008


Famoso il caso di quell'ebreo romano che alla liberazione di Roma, uscendo dal Vaticano (dove era stato nascosto) vide entrare un membro della famigerata Banda Koch armato di tutto punto.

Ma la Chiesa ha aiutato anche i nazisti a mettersi in salvo

Lo storico Steinacher racconta la fuga dei criminali nazisti e il ruolo centrale di Bressanone Alto Adige — 10 settembre 2008 È la città vescovile, paese d'arte, meta turistica, è anche sede delle vacanze di Papa Benedetto XVI; ma da quando è uscito il libro di Gerald Steinacher, Bressanone è anche uno dei nodi cruciali della fuga dei criminali nazisti dal Reich verso il Sudamerica e tutte quelle altre mete dove - chi più chi meno - hanno trovato la salvezza. E' anche per questo motivo che l'autore di «Nazi auf der Flucht» ha volutoorganizzare la prima presentazione del suo volume proprio nel capoluogo della Valle Isarco. Invitato dall'associazione Heimat, lunedì sera Steinacher si è trovato dinanzi ad un pubblico davvero folto, nella sala congressi dell'accademia Cusanus (centro studi della diocesi locale)per parlare della sua ultima fatica, un volume di oltre 350 pagine in cui descrive per la prima volta nella storia, come molti nazisti siano riusciti ad acquisire - ed acquistare - una nuova identità grazie alla complicità della Chiesa locale, che a suon di raccomandazioni scritte,era riuscita a fare in modo che la Croce Rossa internazionale fornisse loro dei passaporti falsi, ma validi per il loro espatrio. «Il mio non èun libro che si vuole fermare a Bressanone o solo all'Alto Adige, ma è un'opera di respiro molto più ampio», spiega l'autore. Certo, macome descrive dettagliatamente nel suo libro, per scappare dalla Germania verso l'estero nazisti e criminali di guerra non avevano grandipossibilità di scelte: in Jugoslavia c'era Tito, nell'Europa dell'est le forze sovietiche e la Spagna era troppo lontana; l'unica soluzione era la linea retta verso il sud, verso i porti liguri, e per arrivarci, l'unica maniera era passare attraverso il confine del Brennero. Una scelta obbligata ma che si rivelò decisamente fortunata per i nazisti, visto che è proprio qui, nella sede della diocesi di Bressanone e poi a Bolzano e a Merano, che persone come Josef Mengele si «trasformarono» in Helmut Gregor di Termeno, Adolf Eichmann nel bolzanino Riccardo Klement, e Gerhard Blast in Franz Geyer di Valdaora, tanto per citarne alcuni. Nuova identità, nuova vita, nuove possibilità. Il tutto grazie all'intercessione della Chiesa, che attraverso alla Pontificia commissione assistenza del Vaticano - del vescovo romano Alois Hudals, di quello di Bressanone Geisler e del vicario generale Alois Pompanin, in primis - chiedeva alla Croce rossa di rilasciare dei passaporti internazionali. «Molti nazisti venivano ribattezzati e a loro veniva dato un nuovo nome, e in Alto Adige questa era una prassi molto comune - ha spiegato Steinacher durante la presentazione - dall'esame di alcuni atti resi pubblici solo recentemente, è emerso che i sacerdoti locali hanno aiutato in maniera continua moltissimi criminali di guerra: è stato reso noto solo ultimamente che durante il processo di Gerusalemme Adolf Eichmann aveva dichiarato di essere stato accolto a Vipiteno dal parroco locale, padre Corradini, che lo aveva addirittura ospitato a casa sua. E solo dopo pochi anni era riuscito a raggiungere l'Argentina». Certo, perché come emerge dall'opera di Steinacher, i nazisti non avevano avuto fretta nel lasciare l'Europa: subito dopo la Liberazione i controlli erano troppo serrati; ovunque,tranne che in Alto Adige, una sorta di terra di nessuno, dove i fuggitivi potevano vivere sotto mentite spoglie attendendo i documenti per l'espatrio. In «Nazi auf der Flucht», poi, Steinacher vuole sfatare un mito, quello dell'Odessa, la «Organization Der Ehemalige SsAngehoerige», un'organizzazione che secondo la coscienza popolare avrebbe organizzato l'espatrio ed il mantenimento dei criminali diguerra: «È una convinzione sbagliata, che è giunta fino a noi a causa anche di una letteratura che ha travisato i fatti storici - spiega - in realtà la fuga dei nazisti era basata essenzialmente sull'improvvisazione: si muovevano senza grandi mete, e molti di questi non avevano un soldo in tasca: quando gli agenti del Mossad hanno trovato Eichmann, non volevano credere che si trattasse di lui, perché si erano trovati dinanzi ad un poveraccio. Ad altri, chiaramente, è andata meglio: Mengele, per esempio, aveva vissuto quattro settimane in un lussuoso hotel di Vipiteno grazie al sostegno della sua famiglia». Ma come facevano dunque a sopravvivere? Lavorando per imprenditori locali e soprattutto per i frati nei conventi locali: molti di loro hanno vissuto anni nel convento dei Cappuccini a Bressanone e in quello dei Francescani a Bolzano. Il libro di Gerald Steinacher, dunque, è una miniera di informazioni, di nomi, di fatti mai resi pubblici descritti minuziosamente. Un saggio che si legge come un romanzo, anche se per ora, il pubblico altoatesino di lingua italiana interessato alla materia è costretto a consultarlo con il vocabolario in mano.Luca Masiello http://ricerca.quotidianiespresso.it/altoadige/archivio/altoadige/2008/0...1 sur 113/09/2008
BOLZANO. Riassumere in poche righe 380 pagine di uno studio storico approfondito e documentatissimo, oltre che impossibile, pare inutile, o peggio. Occorrerebbe leggerselo tutto, per capire tutto. Vale comunque la pena citare qualche episodio. Un paio delle centinaia di storie romanzesche raccontate da Gerald Steinacher.Per esempio, la fuga di Adolf Eichmann. (Per chi non lo ricordasse, fu proprio lui a organizzare la logistica ferroviaria dell'Olocausto). Steinacher ha ricostruito la fuga grazie a un manoscritto dello stesso Eichmann, vergato in carcere durante il celebre processo di Gerusalemme, nel 1961, e fatto sparire per non imbarazzare il Vaticano, in periodo di dura Guerra fredda. Steinacher l'ha scovato negli archivi della Cia, in quel di Washington.Be' insomma: ai primi di maggio del 1950 Adolf Eichmann arrivò a Vinaders am Brenner, in Austria, a sei chilometri dal passo del Brennero. «A Vinaders - racconta Steinacher - c'era un'osteria. Un bel posticino, da cui sono passati davvero in molti...».Da lì, l'ingegnere dell'Olocausto percorse un sentiero nel bosco: la via più breve per arrivare a un niente dalla Statale, a Terme di Brennero. Qui, ad attenderlo con la bicicletta, c'era il parroco di Vipiteno, Johann Corradini. «Eccezionale ciclista», annotò Eichmann nel suo diario. I due raggiunsero Vipiteno. Poi, smessi i panni da tirolese, con tanto di cappello piumato, Eichmann si concesse «un bicchiere del buon vino sudtirolese». Rimase in parrocchia per qualche giorno; in seguito, scese a Bolzano a bordo di un taxi. Nel capoluogo venne alloggiato per qualche settimana al convento dei Francescani, in pieno Centro. Infine, grazie a un documento d'identità ricevuto in omaggio dal comune di Termeno, se ne poté partire alla volta di Genova. Col nome di Riccardo Klement, nato a Bolzano. Optante, dunque apolide. E così, con in tasca il suo bel passaporto rilasciato dalla Croce rossa, si imbarcò sul piroscafo Anna, in classe C. Destinazione: Argentina. Chapeau.Altra storia, assolutamente magnifica, è quella del pilota Hans-Ulrich Rudel. Un asso della Luftwaffe, conosciutissimo nel Terzo Reich. Non un criminale, certo, ma un convinto, un eroe del nazismo. Be', nel 1948 arrivò in Austria, risalì la Zillertal, scollinò in valle Aurina, raggiunse la Pusteria e infine si stabilì a Bolzano, a casa di un vecchio camerata. Nel suo diario scrisse entusiasta della magnifica aria libera di Bolzano, bellissima terra tedesca. Anche Rudel finì in Argentina. Perché il governo Peròn, desideroso di raggiungere la supremazia in Sudamerica, voleva dotarsi di un'aeronautica efficiente e moderna. E chi, meglio degli assi della Luftwaffe? Così, il governo argentino aveva spedito dei messi in Alto Adige, per reclutare piloti, tecnici e quant'altro. Allo scopo ci si era serviti anche di personale sudtirolese, che procacciava uomini a seconda della bisogna. La ciliegina sulla torta è questa: Rudel arrivò in Argentina mica da solo, ma si portò dietro l'intera sua squadriglia. E negli anni dopo, tutti insieme si occuparono di ridisegnare l'aeronautica argentina.Poi, ci sarebbe la storia di Franz Stangl, il comandante del campo di sterminio di Treblinka (un milione di morti, circa). Lui preferì il passo di Resia e la Venosta. A Merano, dove a Castel Lauders c'era un punto logistico ad hoc, si incontrò con vari altri colleghi del lager. E anche lui espatriò tranquillo e beato.E che dire di Josef Mengele, quello degli esperimenti sugli esseri umani a Auschwitz? Messo piuttosto bene economicamente, a Vipiteno si sistemò in un bell'albergo.Una storia che lascia stupiti riguarda infine Erich Priebke (eccidio delle Fosse Ardeatine). Dopo aver ricevuto un documento di identità - secondo il quale era un direttore di albergo lettone, apolide, di nome Otto Pape - se ne stette bel bello a Bolzano, in attesa che gli venisse spedito il passaporto della Croce rossa internazionale. Il suo indirizzo? Via Leonardo Da Vinci numero 24. Si trattava di un piccolo edificio parte del vecchio ospedale civile. (da.pa)http://stage7.presstoday.com/_Standard/Articles/5132722


Colloqui di pace

di Uri Savir , Luca Sossella Editore Euro 15,00

Qual è il più importante diritto per ogni essere umano?
Non possono esserci dubbi sul fatto che il diritto alla vita rappresenti l’anelito e la speranza che albergano nell’animo di ogni genitore, di ogni uomo, di ogni donna.E la pace è senz’altro l’espressione più immediata di questo desiderio, la pace quale condizione umana naturale in grado di preservarci dai conflitti e dalle sofferenze.Purtroppo nel mondo globalizzato nel quale viviamo la guerra sembra divenuta una costante nel rapporto fra gli Stati moderni.
A fronte di un mondo sviluppato che grazie alla globalizzazione ha accumulato ulteriore ricchezza vi sono paesi in via di sviluppo che non ne hanno raccolto i frutti, sono ancora in balia della povertà e della malattia e dove mettono radici idee fondamentaliste e si sviluppano armi di distruzione di massa.“In queste condizioni, creare e mantenere la pace è un compito arduo” e pertanto “l’opera di pacificazione, il peacemaking devono essere riformati”.
Questi i concetti salienti espressi da Shimon Peres nella prefazione al libro di Uri Savir con il quale uno dei più importanti operatori di pace nel mondo, offrendo ai lettori un approccio nuovo, ha accolto una sfida importante: fare la pace.Nato nel 1953, Uri Savir ha studiato relazioni internazionali alla Hebrew University di Gerusalemme ed è stato il negoziatore capo israeliano degli Accordi di Oslo negli anni fra il 1993 ed il 1996. Attualmente è Direttore del Shimon Peres Center for Peace e Presidente dell’organizzazione Glocal Forum che si occupa di promuovere attività e scambi cooperativi fra le città del mondo.Per Uri Savir l’empatia con l’ “Altro” è alla base della pacificazione e grazie alla sua esperienza è convinto che raggiungere la pace sia possibile, benché “l’atto pratico di mettere fine a un conflitto sia un difficile processo con alti e bassi”.Occorre mettere la pace al primo posto dell’agenda internazionale non dimenticando – ribadisce Savir – che “la pace è sostenibile solo se una società la desidera. In poche parole, è più facile democratizzare la pace che democratizzare delle società autocratiche”.
Partendo dal presupposto che gli attuali metodi di pacificazione sono antiquati e che è indispensabile coinvolgere nel peacemaking tutti gli strati della società, Savir mette in luce i difetti del peacemaking tradizionale per poi passare ad analizzare e suggerire gli elementi necessari per creare una pace moderna.Pone l’accento sull’importanza dei pacificatori, sulla necessità della pianificazione individuando gli obiettivi strategici e le soluzioni creative fino ad analizzare il ruolo dei media nelle fasi di un negoziato.Dopo aver descritto nel dettaglio le componenti di una pace moderna e i metodi per realizzarla l’autore sostiene che solo il laboratorio della vita può “verificare la validità di questa teoria” e propone il bacino del Mediterraneo – una regione che lotta per mantenere un equilibrio tra la guerra e la pace – come microcosmo per sondare e analizzare la “pace moderna”.Il terrorismo che ha sconvolto il mondo dopo l’11 settembre 2001 può essere contrastato attraverso la glocalizzazione, la diplomazia creativa e il peacebuilding utilizzando i valori della pace – rispetto dell’altro, libertà di scelta, rifiuto dei pregiudizi ecc. - come arma primaria.“Senza questi valori – scrive Savir – la pace è semplicemente l’intervallo fra le guerre”.Consapevole che in molti paesi ancora non esiste una “cultura della pace”, con questo libro Uri Savir ci ha fornito un trattato, un manuale tecnico, un saggio per riflettere sulle innumerevoli possibilità di crescita e sviluppo economico offerte agli Stati che perseguono la pace.E’ un progetto originale e innovativo al quale l’autore si avvicina con la consapevolezza che mentre la guerra è un fallimento che travolge vite umane e risorse, la pace - un processo ben più lungo della guerra - è soprattutto una “ coalizione di intenti, un’alleanza di volontà oltre che un esercizio di intelligenza” e di sensibilità.
Giorgia Greco


2012 La Shoah nel pianto di un bambino

di Rinaldo Boggiani Edizioni Associate Euro 11

E’ difficile trovare le parole adatte per descrivere il male assoluto, la Shoah, quell’immenso crimine del quale si è macchiato una parte del genere umano: uomini che lo hanno perpetrato materialmente ed altri che hanno taciuto e consentito che l’indifferenza prendesse il posto della ragione.Ma tacere non è possibile: è solo attraverso il ricordo che quelle persone, spazzate via da una ferocia inaudita, continuano a vivere nella nostra memoria.Rinaldo Baggiani sente prepotente il bisogno di scrivere, di rivivere e far rivivere. “Perché niente possa essere dimenticato. Perché nessuno possa essere perdonato se dimentica”Da questo impegno, da questa profonda esigenza nasce “2012 La Shoah nel pianto di un bambino”. Un libro originale che è difficile catalogare in una struttura narrativa definita: non è un romanzo, non è un saggio, non è una composizione poetica ma di ciascuno di essi ha le caratteristiche più salienti.
Con garbo narrativo e uno stile aulico, con sfumature oniriche, l’autore ci conduce in quell’inferno che sono stati i campi di sterminio nei quali milioni di persone hanno perso la vita e fra essi tantissimi bambini.Proprio su quelle piccole vittime innocenti strappate alle cure e all’affetto dei loro familiari, l’autore concentra il suo sguardo attento e partecipe, partecipe di un dolore che scava in profondità, che toglie il respiro.Rinaldo Baggiani dà voce ai bambini, lascia che siano loro a descrivere la sofferenza dei loro cuori, l’orrore di cui sono testimoni: “Mamma e papà divorati da umani. Mamma e papà umiliati dai cani. Per noi il mondo si era capovolto”.
E ancora è l’indifferenza che colpisce lo scrittore e sulla quale si sofferma con parole accorate.
….” I pianti dei bimbi salivano al cielo ma il cielo era sordo al pianto dei giusti. Bussavano alla porta di amici vicini la porta si chiuse per paura e sospetto”.I capitoli brevi, le frasi dure come sferzate incidono la mente, colpiscono il cuore. “Venni strappato all’ultimo abbraccio e buttato nel fuoco perché non servivo”In questo bel libro non ci sono date, non sono riportati i nomi di luoghi o persone perché l’autore ricorda che quell’immenso crimine potrebbe ripetersi a causa dell’indifferenza e dell’intolleranza verso il diverso che pervadono il genere umano e si insinuano come un veleno anche nelle menti più illuminate.Ecco perché è importante leggere questo libro: per non dimenticare mai cosa è successo, per “opporsi anche alle più semplici forme di critica verso chi è diverso” nella consapevolezza che se il ricordo cede il posto all’oblio “il fuoco ritorna”.
Giorgia Greco

martedì 11 novembre 2008

CINEMA: A ROMA LA VERSIONE RESTAURATA DE 'IL GRIDO DELLA TERRA'

Roma, 10 nov. (Adnkronos/Adnkronos Cultura) - Sara' presentata alla Casa del Cinema di Roma, nell'ambito del Pitigliani Kolno'a Festival (15 -19 novembre), la versione restaurata de "Il grido della terra" di Duilio Coletti, uno dei primo film che raccontano la nascita dello Stato d'Israele. La pellicola sara' proiettata nell'ambito della sezione "Israele nel cinema - tra mito e demistificazione", alla quale collabora attivamente il Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma. Partendo dalle vicende di tre amici che si ritrovano a guerra finita in un caffe' romano (un ufficiale inglese, un ebreo italiano e un sabra), il film di Coletti tiene insieme, con notevole abilita' di messa in scena, drammi umani, speranze ideali e divergenze politiche. Alla ricostruzione storica si intreccia efficacemente la storia d'amore di una giovanissima Maria Berti, nella parte di un'ex-deportata, divisa tra i due militanti sionisti.All'origine del film, che all'epoca venne giudicato dalla censura "troppo critico nei confronti di un paese amico", sta probabilmente l'incontro tra il regista Duilio Coletti e Carlo Levi, che collaboro' alla sceneggiatura. Insieme a loro Alessandro Fersen (cosceneggiatore e interpete del ruolo del rabbino), lo scenografo Emanuele Luzzati e Leo Levi, cui si devono le ricerche musicologiche per i canti frequentemente usati come controcanto nella costruzione drammaturgica del film.

Ristorante arabo della Galilea

Dimagrire stando seduti: l'invenzione arriva da Israele

Gerusalemme- Una via di mezzo tra una sedia e una sauna. È quanto hanno presentato due designer industriali israeliani: una sedia che senza muover un muscolo permetterebbe di bruciare grassi e dimagrire.Battezzata `I-cool seat` la poltrona dal disegno avveniristico, a metà fra un grill e un guscio da astronave, grazie a un sistema, brevettato, che accelera il dispendio energetico attraverso la temperatura corporea, regolandola `ad hoc` permetterebbe di dimagrire stando seduti.Secondo i due progettisti, Alex Padwa e Daniel Leibovicz, senza fare alcun tipo di esercizio fisico la sedia permetterebbe di bruciare calorie più del normale. Ma non è tutto. Secondo Padwa e Leibovicz, la sedia creerebbe un “microambiente personalizzato“, con la temperatura da impostare e regolare a proprio piacere, indipendentemente dal clima nel resto della stanza o dell`ufficio.(11/11/2008 - in collaborazione con AdnKronos)


La notte dei cristalli

Berlino, 10 novembre 1938. La notte dei cristalli

Il pogrom della “notte dei cristalli”, avvenuto la notte tra il 9 e il 10 novembre 1938, segna un decisivo passo avanti della campagna antisemita nazista. La violenza e le devastazioni di quella notte portarono alla luce una nuova ferocia antisemita, che avrebbe portato alla cosiddetta “soluzione finale”. Il pretesto per scatenare le violenze contro gli ebrei fu l’assassinio, il 7 novembre 1938, di Ernst von Rath, diplomatico tedesco**. Tre giorni dopo, durante la notte dei cristalli (così ironicamente definita riferendosi ai vetri infranti delle vetrine dei negozi ebrei), vennero date alle fiamme 119 sinagoghe, saccheggiati 7500 negozi di ebrei, 91 israeliti vennero uccisi e 26000 chiusi nei campi di concentramento. Appariva ormai chiaro che il “problema ebraico” non era risolvibile – agli occhi dei nazisti - senza violenza. La «notte dei cristalli» è la conseguenza della campagna d’odio scatenata contro gli ebrei dal nazismo: un atto di follia indotto, ma che trovava una pronta risposta nell’antisemitismo diffuso tra i tedeschi.
L’antisemitismo affonda le sue radici nella stessa cultura europea. I primi forti pregiudizi iniziarono a comparire in Europa nella seconda metà dell’Ottocento. Scrive Maurice Agulhon:
Il nazionalismo si definisce non tanto per l’ostilità, banale e da tutti condivisa, alle nazioni straniere quanto per l’ostilità al nemico interno, l’antinazionale, l’internazionale, il sopranazionale. Ed è precisamente negli anni Novanta che il nemico interno prende la forma di ebreo, o meglio di mito dell’ebreo.
Questo “mito dell’ebreo” trova, però, origine molto tempo prima e, in parte, nella stessa religione cristiana. Dopo la dissoluzione dello stato ebraico, gli ebrei si sparsero in tutta Europa e «la stessa diaspora […] segnò anche la dissoluzione di una identità definita di popolo, identità che sussistette individualmente nei secoli solo perché garantita dal potere unificante dell’immenso patrimonio culturale». In tutta Europa si diffuse un antigiudaismo pagano, accompagnato da un antigiudaismo cristiano. Come osserva Finzi: E’ lo spettro dell’ebreo “deicida” che sta alla base di un mito vivo nell’Europa dal Medioevo agli inizi del secolo XX inoltrato: quello dell’omicidio rituale di Pasqua. Secondo questa leggenda nera gli ebrei per la loro Pasqua avrebbero ucciso un bambino cristiano il cui sangue avrebbe dovuto essere usato nel pane azzimo pasquale» – e, continua Finzi - «è il racconto innanzitutto di un tradimento e di un tradimento per denaro. Il messaggio che trasmette è molto chiaro: l’ebreo è infido e avido, complotta alle spalle dei suoi benefattori.
Così, il pregiudizio oscura la storia e si radica nel senso comune di intere popolazioni, dando origine allo stereotipo dell’ebreo traditore e “deicida”, che verrà ulteriormente rafforzato in epoca moderna dalla nascita del concetto di “razza”. Nell’Ottocento si affermò l’idea di nazione e anche gli ebrei, seppur sparsi in tutta l’Europa, più che sentirsi una minoranza religiosa facevano propri i sentimenti nazionalisti diffusi nei Paesi in cui vivevano: «una parte di ebrei che rifiuta la via dell’assimilazione, che vuole mantenersi ebrea, persegue con tenacia la via dell’integrazione». Proprio da questa spinta nazionalista nacque il sionismo, movimento che aveva come obiettivo la formazione di uno stato ebraico, in Palestina o altrove. Il sionismo, però, venne guardato con diffidenza dall’Europa, che continuava a ritenere l’ebreo l’”infedele” e il “traditore”. La situazione precipitò l’ 8 maggio 1920, quando il “Times” pubblicò un articolo che garantiva l’autenticità dei documenti conosciuti come I protocolli dei savi di Sion. Questi documenti si rivelarono poi un falso: redatti in realtà dai servizi segreti russi, che avevano adattato al nuovo contesto alcuni brani di un libello satirico contro Napoleone, erano stati pubblicati per la prima volta in Russia nel 1903. Questi documenti “svelavano” l’esistenza di «un segreto “direttorio” mondiale ebraico il cui obiettivo è instaurare il dominio degli ebrei sul globo per mezzo delle idee democratiche, radicali, socialiste, comuniste». Tutto ciò contribuì alla nascita della teoria della congiura ebraica, che serviva a distogliere l’opinione pubblica dalle reali cause delle tensioni sociali.
Questo antisemitismo “sociale” veniva nel contempo accompagnato da un antisemitismo “economico”. La figura dell’ ebreo “traditore per denaro” si rifletteva perfettamente nell’ambito economico e portò all’identificazione dell’ebreo con l’usuraio. Fin dal Medioevo agli ebrei erano vietati moltissimi mestieri ed anche nel secolo XIX «leggi, costumi, statuti delle corporazioni vietavano loro il possesso di terre, il godimento di beni comuni, moltissimi mestieri». Dunque, per l’ebreo, prestare denaro rimaneva una delle poche attività proficue concesse. Fu con la condanna della Chiesa che il termine “usura” assunse il significato negativo che ancora oggi possiede. La maggioranza degli ebrei si dedicò, dunque, ad attività commerciali: «in un’era di espansione capitalistica, essi hanno colto l’occasione di far tesoro della lunga esperienza di economia di mercato conquistando posizioni nella scala sociale». Molti ebrei divennero così impegnati nel settore della finanza e dell’attività bancaria, dando, però, un’ulteriore spinta alla diffidenza e al pregiudizio diffusi tra la popolazione europea.«Con l’avvento del nazismo e la sua dottrina razzista l’antisemitismo compie un agghiacciante salto di qualità. Gli ebrei sono considerati “non degni di vivere”». L’ideologia razzista compare brutalmente nel programma politico esposto nel Mein Kampf, ove il messaggio di “riscossa nazionale” lanciato da Hitler si basa sulla necessità di preservare la razza “ariana”, destinata a diventare padrona della terra. Al centro del programma compare un feroce antisemitismo, presentato, allo stesso tempo, come autodifesa della patria e dovere religioso. Risorge, così, nel pensiero nazista, l’immagine dell’ebreo “deicida”, infido e traditore, responsabile della rovina dei popoli, mosso dallo scopo del dominio universale.
L’ebreo è il nemico perché è portatore del maggior pericolo di contaminazione della razza. Vive frammisto agli “ariani”, poco riconoscibile per quanto segnato dalle stimmate fisiche del “tipo ebraico”. Senza una terra, privo di un suo “spazio vitale” non può partecipare all’universale lotta per il potere fra le “razze” e i popoli nella “consueta” forma di guerra tendente alla conquista di territori, al allargare il proprio “spazio vitale”. E dunque non può che servirsi di metodi occulti e immorali».L’ebreo, dunque, secondo l’ideologia nazista, acquista i tratti del nemico della “razza ariana”, un germe che avvelena dall’interno la società tedesca, fino a portarla alla corruzione e alla rovina.Tuttavia, la “notte dei cristalli” non avrebbe mai avuto luogo se il partito nazista non avesse riscosso tanto successo tra la popolazione tedesca. E’ privo di senso pensare che l’influenza esercitata dai nazisti fosse legata esclusivamente alla figura di Hitler. Hitler era sicuramente un individuo carismatico, ma questo non è sufficiente a spiegare la presa di potere del suo partito. «La realtà è che Hitler e i nazisti erano prigionieri delle circostanze dell’epoca […]. Senza una crisi che travagliava il mondo il partito nazista tanto per cominciare non sarebbe neppure nato».
Per capire la situazione della Germania bisogna tornare al trattato di Versailles. Al termine della prima guerra mondiale la Germania si arrese e dichiarò l’armistizio. I tedeschi, però, non si ritenevano sconfitti e «si diffuse la leggenda della “pugnalata alle spalle”, l’idea cioè che, mentre soldati tedeschi sacrificavano le proprie vite, altri, dietro le linee, in patria li stavano tradendo»In realtà non c’era più motivo di continuare la guerra, dal momento che la Germania aveva raggiunto per la prima volta la democrazia e la guerra sarebbe comunque terminata con una sconfitta. Il trattato di Versailles, in aggiunta, impose alla Germania pesanti sacrifici territoriali ed economici, lasciando il paese umiliato e in una situazione interna insostenibile.Il governo socialdemocratico era ritenuto responsabile della sconfitta e della vergogna nazionale: «erano i politici della sinistra che avevano acconsentito all’umiliante armistizio del novembre 1918, i cosiddetti “criminali di novembre”». Ciò contribuì a rinvigorire i pregiudizi nei confronti degli ebrei; infatti «la maggioranza dei leader che avevano promosso il colpo di Stato di sinistra erano ebrei» e la responsabilità della situazione tedesca del primo dopoguerra venne così attribuita agli ebrei che, nella mentalità comune, governavano il paese «nella cornice di una cospirazione mondiale promossa dal giudaismo internazionale». E’ in questo orizzonte che il nazismo riesce a salire al potere. Agli occhi dei tedeschi l’hitlerismo acquista
l’immagine di un regime forte e severamente paternalistico, difensore dei tradizionali valori della patria, capace di affrontare, con la necessaria energia, i più gravi e urgenti problemi e di risollevare, davanti al mondo, l’onore e l’autorità di una Germana umiliata.
In Germania l’antisemitismo era diffuso, ma non in maniera così esagerata da poter dare una spiegazione di ciò che sarebbe poi accaduto. Il nazionalsocialismo aveva messo al centro del suo programma politico l’antisemitismo, ma larghe masse della popolazione non si accorsero della gravità di tale decisione: il “problema ebraico” era considerato una questione marginale, «il costo doloroso dell’effettivo recupero della dignità nazionale». Non è possibile indagare sulle singole responsabilità di questa presunta “ignoranza”; se realmente la maggior parte della popolazione non si fosse accorta di ciò che stava accadendo e si fosse lasciata manovrare dal regime fino a farsi indurre ad atti di terribile violenza e a silenzi ancora più feroci, rimane un mistero. Mai potremo sapere cosa pensassero le coscienze di tutte quelle persone che assistevano, immobili, alla premessa di ciò che sarebbe stata una delle più grandi stragi della storia. Ad ogni modo il regime, nei primi anni, agì con molta cautela nel diffondere tra la popolazione il programma antisemita. «Le misure antiebraiche furono propinate al popolo tedesco, fino al novembre 1938, a piccole o grosse dosi, ma sempre nei momenti più opportuni»; inoltre, «siccome il terrore era riservato per lo più ai soli oppositori politici del nazismo o agli ebrei, la maggioranza dei tedeschi poteva assistere con indifferenza, se non con piacere, a quella che Göring chiamava “la resa dei conti”». Nel settembre del 1935, con l’applicazione delle Leggi di Norimberga, il “problema ebraico” assunse anche una dimensione legislativa: «L’estromissione degli Ebrei dalla vita pubblica e […] anche dalle attività economiche, fu perseguita dapprima con azioni “selvagge” e poi sistematicamente per via legislativa».«Numerosissimi tedeschi all’epoca erano favorevoli alle restrizioni imposte agli israeliti», dal momento che gli ebrei erano molto numerosi in certe attività professionali (come ad esempio in quella legale) e l’impressione che si era diffusa tra i tedeschi era che gli ebrei monopolizzassero certe professioni. Quest’atmosfera portò alla formazione di una profonda spaccatura tra i tedeschi e gli israeliti: i primi evitavano i secondi perché ritenuti “contagiosi”. I tedeschi si sentivano una comunità “pura” e gli ebrei la contaminavano. Nel novembre 1938 si manifestò dunque in tutta la sua veemenza l’antisemitismo che si era diffuso tra la popolazione tedesca nei primi anni del regime. Indubbiamente, come abbiamo spiegato precedentemente, fu una strage indotta dalla propaganda antisemita del nazismo, ma che aveva trovato presso la popolazione tedesca una pronta risposta, sia per la situazione di crisi della Germania, sia per i pregiudizi antisemiti radicati nella mentalità della maggior parte della popolazione.
Nel 1938 la situazione interna della Germania aveva raggiunto una certa stabilità: «in nessun altro momento della storia del regime nazionalsocialista la resistenza interna era stata, sia a destra sia a sinistra, così debole e disarmata». Il Patto di Monaco, infatti, aveva riconosciuto alla Germania il ruolo di potenza egemone al centro dell’Europa e già in marzo Hitler aveva annesso il territorio austriaco, confermando la potenza militare tedesca. Il regime si trovava così incontrastato al governo del paese e la più piccola provocazione sarebbe bastata a scatenare la violenza. Il 7 novembre 1938 a Parigi, un giovane ebreo polacco, Herschel Grynszpan, ferì a colpi di pistola Ernst von Rath, un diplomatico tedesco. Due giorni dopo von Rath morì. Il 9 novembre Goebbels fu informato della morte di von Rath mentre si trovava a Monaco, dove erano riuniti i capi del Partito. Nel contempo si erano verificate alcune manifestazioni antisemite nelle province dell’Assia e del Magdeburgo; Goebbels, sfruttando la situazione, non solo aveva intenzione di istigare le manifestazioni, ma di organizzarle e metterle in atto. Così, informato Hitler, ottenne il permesso per un’azione delle SA. I dirigenti politici presenti a Monaco informarono i distretti e vennero così mosse le SA sull’intero territorio tedesco. La mostruosa azione scatenata da Goebbels aveva destato stupore all’interno dello stesso Partito: «gli stessi capi delle SS rimasero sorpresi, quando seppero delle decisioni concordate».
Himmler, che ne fu informato da Hitler, osservava in una nota da lui dettata nel corso di quella stessa notte: «Suppongo che Goebbels, nella sua ambizione di potere, di cui da tempo mi sono reso conto, e nella sua stolidezza, abbia avviata, proprio in un momento internazionalmente così difficile, questa azione». Nonostante il dissenso di alcuni capi nazisti le violenze si scatenarono ugualmente sul territorio tedesco. Quella notte gli ebrei furono tirati giù dai loro letti, massacrati e ridotti in fin di vita nelle loro stesse abitazioni, i loro negozi e le loro case vennero distrutti, 119 sinagoghe furono incendiate, 26000 ebrei vennero arrestati e chiusi nei campi di concentramento e 91 vennero uccisi.«Ciò che accadde nel corso del grande pogrom fu uno “spettacolo”, nel senso heiniano della parola, spaventoso e completamente imprevedibile, nel complesso delle sue mostruose dimensioni, dalla maggioranza del popolo tedesco».
Molti tra i tedeschi rimasero indignati di fronte a quel terribile spettacolo, molti se ne vergognarono, increduli che una nazione civile potesse promuovere atti del genere; «la stragrande maggioranza dei tedeschi, però, a quanto sembra fu d’accordo con l’esclusione degli ebrei dal corpo della collettività germanica».Il potere dei nazisti era ormai fuori controllo e «le circostanze dell’episodio rivelano, una volta ancora, quanto disastrosi potessero essere, nella Germania nazista, eventi non programmati». Quella notte cominciò il terrore; la brutalità, la violenza, le devastazioni della «notte dei cristalli» furono il preludio della “soluzione finale”.
L’antisemitismo, fino a quel momento rimasto semi-nascosto, coperto da un regime che avrebbe dovuto risollevare la Germania dalla crisi, in quella notte esplose, mostrando tutta la sua violenza. Da lì ad Auschwitz il passo era ormai breve.
Giorgia Corrias, http://coalova.itismajo.it/

**Un ragazzo ebreo diciassettenne, vistosi ripetutamente negato il rinnovo del passaporto, andò all’ambasciata tedesca di Parigi ed esplose cinque colpi di pistola al secondo consigliere, von Rath, ferendolo gravemente. E ancora una volta il caso giocò un ruolo determinante nella successione degli avvenimenti. Von Rath morì il 9 novembre, mentre tutti i “magnati” del regime erano a Monaco per festeggiare con Hitler il 9 novembre 1923: quel giorno, in uno scontro con la polizia berlinese che ne stroncò il tentativo insurrezionale, Göring era stato ferito e Hitler arrestato. Verso le ore 21, un messo si avvicinò a Hitler e gli sussurrò la ferale notizia: von Rath era morto. Cosa successe dopo lo dicono le cronache di allora.


Il Tempio di Gerusalemme, come doveva essere.

STRUTTURA DEL TEMPIO di GERUSALEMME

Il centro di ogni pratica religiosa per i Giudei, era il Tempio di Gerusalemme. Il primo Tempio era stato concepito da re Davide, ed edificato dal figlio Salomone; distrutto nel 586 a.C. dal babilonese Nabucodonosor, fu riedificato grazie alle concessioni del persiano Ciro il Grande nel 538. Si tratta del cosiddetto secondo Tempio.All’epoca di Gesù esso era stato completamente rifatto da Erode il Grande, che aveva iniziato i lavori di restauro e ampliamento nel 20-19 a.C., e aveva terminato nel giro di un anno e mezzo il Tempio vero e proprio, rispettando il disegno tradizionale salomonico; ma i lavori sulle parti restanti terminarono solo nel 64 d.C., pochi anni prima della sua definitiva distruzione da parte dell’esercito del generale romano Tito. I vangeli fanno allusione alla lunghezza di questi lavori, ed all’imponenza delle opere realizzate. Sebbene quello di Erode fosse in realtà il terzo edificio, esso è considerato tradizionalmente come facente parte dell’epoca del secondo Tempio, considerandolo moralmente tutt’uno col Tempio dei reduci dall’esilio babilonese.
Non è facile ricostruire quale fosse la disposizione precisa dei vari edifici, ma la struttura generale del santuario ci è nota.L’intero complesso misurava circa 121.000 metri quadri, circondato da un muro che correva per 256×288×430×443 metri. Sul lato nord il tempio era collegato con la Fortezza Antonia, costruita da Erode sulle rovine di una precedente torre, e a sud est si trovava il famoso Pinnacolo di cui parlano i vangeli (Mt. 4,5; Lc. 4,9).L’ingresso principale (vi erano ingressi su tutti i lati, ciascuno con un nome: Porta nord, Porta dorata, etc.), preceduto da un locale per le abluzioni rituali (mikveh), si trovava sul lato sud, ed era costituito da una grande gradinata con due porte, una doppia e una tripla. L’atrio era costituito da portici e gallerie coperte che percorrevano tutto il lato esterno dell’edificio; quello sul lato sud, appunto, era detto Portico regio, mentre quello a est si chiamava Portico di Salomone (Gv. 10,23; At. 3,11), e guardava sul torrente Cedron.
Oltrepassati i portici, ci si ritrovava nell’ampio Atrio dei Gentili, uno spiazzo accessibile anche ai pagani, occupato da cambiavalute, venditori di animali per i sacrifici, visitatori (Gv. 2,14; Mc. 11,15), maestri della legge (Gv. 18,19); tutti gli stranieri che giungevano a Gerusalemme non mancavano di visitare il Tempio, di cui il Talmud scriverà: “Colui che non ha visto il Tempio di Erode in vita sua, non ha mai visto un edificio maestoso”.Al centro dell’Atrio dei Gentili, si ergeva un luogo sopraelevato, separato dal resto con una balaustra di pietra che segnava il limite oltre il quale pagani e incirconcisi non potevano avanzare. Numerose iscrizioni in greco e latino ammonivano gli stranieri, come quella ritrovata nel 1871, che recita: “Nessuno straniero metta piede entro la balaustrata che sta attorno al Tempio e nel recinto. Colui che vi fosse sorpreso, sarà la causa per se stesso della morte che ne seguirà”.Superata la balaustrata, si entrava in un altro atrio, al quale si accedeva tramite nove porte; la più nota era la Porta bella, ove stazionavano numerosi mendicanti in attesa di elemosina (At. 3,2), che introduceva nell’Atrio delle donne, così chiamato perché ad esse non era permesso superarlo. Quest’area più interna e circoscritta, separava i giudei dai pagani, ed era una sorta di luogo d’incontro; in esso si raccoglievano anche le offerte per la tesoreria del Tempio, amministrata dai Leviti, in recipienti a forma di corno (Mc. 12,42-44). Sui quattro angoli, c’erano dei locali separati: il deposito della legna, dell’olio e del vino, la camera dei Nazirei e quella per l’ispezione dei lebbrosi.
Tramite la Porta di Nicanore, il luogo ove le madri offrivano il sacrificio dopo la nascita del loro primogenito (Lc. 2,22), si accedeva all’Atrio degli Israeliti.
Il santuario aveva la pianta del tempio di Salomone: superato il parapetto che introduceva all’Atrio dei Sacerdoti, si trovava il grande Altare degli olocausti, collocato di fronte all’entrata del Tempio propriamente detto, ed il deposito dell’acqua. L’altare era costruito di pietra grezza mai toccata da strumenti metallici, con gli angoli decorati con protuberanze a forma di corno.
Dodici gradini conducevano al Santo, con l’altare dei profumi (Lc. 1,9) in legno di acacia rivestito di ori, ove si offriva due volte al giorno una speciale mistura di aromi (Es. 30,1-10 e 34-36; 37,25-28. È l'incenso che offre Zaccaria in Lc 1,9), la tavola dei pani della proposizione (Es. 25,23-30; 37,10-16; 40,22) ed il candelabro aureo a sette braccia (menorah), con ornamenti a fior di mandorlo, sul quale ardevano lampade ad olio.Poi, isolato da una spessa cortina, il Santo dei Santi, un locale cubico di nove metri di lato, spoglio e senza finestre, ove solo il sommo sacerdote nel giorno delle espiazioni poteva penetrare, vestito di semplice abito di lino bianco (Lev. 16,12).
Dopo che l’arca dell’alleanza era scomparsa con la presa di Gerusalemme del 587, il Sancta Sanctorum era vuoto. http://spazioinwind.libero.it/

riproduzione del Tempio del Bible Museum di Amsterdam dimensioni: 27x9x13.5 metri

Storia del Tempio di Gerusalemme

Il Tempio di Gerusalemme fu costruito dal Re d'Israele Salomone, questi visse attorno al 960 AC ed era figlio del Re Davide, il quale ebbe per primo l'idea di costruire una "casa" per l'Iddio d'Israele. Ma Dio non ritenne opportuno che fosse lui a costruire il Tempio poiché aveva sparso troppo sangue, fu quindi costruito da suo figlio Salomone.
Il Tempio aveva la funzione di essere il luogo in cui il Sacerdote, che era l'intermediario fra l'uomo e Dio, entrava e sacrificava un animale per l'espiazione della colpa del popolo. Il sangue dell'animale però costituiva un simbolo, ovvero copriva temporaneamente il peccato, pertanto il sacrificio per il popolo doveva essere effettuato con cadenza periodica, annualmente. Questo atto aveva la funzione di insegnare al popolo che "senza spargimento di sangue non c'è remissione di peccato", per introdurre il concetto espiatorio divino di Gesù Cristo, il quale avrebbe dato se stesso, perfettamente uomo e perfettamente Dio, per l'espiazione del peccato di tutto il popolo, dei Giudei prima e dei Gentili (i non ebrei) dopo. La figura del Sommo Sacerdote, l'unico autorizzato ad attraversare la cortina dal luogo Santo al luogo Santissimo in occasione del Sommo sacrificio, allo stesso tempo prefigura Gesù, il quale è il Sacerdote Supremo, il quale essendo senza peccato è l'unico che dando se stesso ha potuto essere un sacrificio gradito a Dio per l'espiazione del peccato, che pur essendo rivolto a tutti indistintamente, ha effetto esclusivamente sul credente, dato che si è salvati per grazia attraverso la fede e non per opere altrimenti la grazia non è più grazia. E' anche per questo che nel Vangelo, alla morte di Gesù viene evidenziato che "la cortina si spezzò" ovvero, con la morte di Gesù, con il Suo sacrificio, ormai l'uomo aveva libero accesso a Dio, dato che la cortina (la tenda) che separava il luogo Santo dal luogo Santissimo era squarciata. Chiaramente non poteva essere un terremoto a squarciarla ma quello fu un atto di Dio, il quale intendeva dare un segno evidente di ciò che stava accadendo.
La prima volta il Tempio fu distrutto da Nabucadonosor, il più potente re Babilonese, nel 587 AC, il quale oltre a distruggere il Tempio deportò il popolo a Babilonia, Israele in quel tempo era già stato diviso in duo con il regno del Nord chiamato Israele, ed il regno del Sud chiamato Giuda, perché comprendeva sostanzialmente la sola tribù di Giuda. La divisione avvenne con i re Geroboamo (Israele) e Roboamo (Giuda) circa nel 930 AC . Nessun re di Israele seguì mai l'insegnamento di Dio e questa nazione venne distrutta e deportata per mano degli Assiri circa nel 730 AC si persero così traccia delle discendenze delle altre Tribù di Israele, proprio in seguito alla deportazione ed alla dispersione del popolo. Giuda al contrario mantenne la sua unità sebbene con alti e bassi, ebbe dei re che seguirono l'insegnamento di Dio, fu comunque deportato per 70 anni in Babilonia, per poi rientrare nella terra promessa con l'aiuto di Ciro il Persiano. Il Profeta Geremia profetizzò che Giuda sarebbe stato deportato per mano dei Babilonesi per 70 anni, mentre Isaia profetizzo che Ciro avrebbe ricondotto il Popolo a Gerusalemme. Il Tempio di Gerusalemme fu ricostruito e completato nel 515 AC. Il profeta Daniele profetizzò che il Messia sarebbe venuto 483 anni dopo la ricostruzione delle mura di Gerusalemme, il Messia in base alle profezie doveva provenire dalla Tribù di Giuda, ecco perché Dio fece in modo che Giuda esistesse fino alla venuta di Gesù Cristo, poiché era necessario poter dimostrare la Sua discendenza, in modo chiaro ed inequivocabile, dato che in Israele si usava registrare ogni nascita in un apposito registro, questa abitudine aveva anche la funzione di verificare che le persone alle quali venivano affidati posti di responsabilità non avessero nella propria famiglia dei malfattori, una specie di "Antimafia" dei giorni nostri.
La seconda volta il Tempio fu distrutto dai Romani per mano di Tito nel 70 AC, molti Ebrei circa 1.100.000 furono uccisi, il resto venne deportato. Questo fatto ha una duplice valenza, la prima dimostra agli Ebrei che Gesù è l'unico Ebreo che avrebbe potuto adempiere le profezie che lo riguardano, ed in ogni caso essendo stata cancellata ogni traccia delle discendenze del popolo di Giuda, è impossibile ad un Ebreo determinare se discende da Isai e da Davide. Pertanto nessun Ebreo oggi può affermare di essere il Messia potendo dimostrare la sua discendenza. L'altro aspetto è quello dottrinale. Dopo la morte e la resurrezione di Gesù i Cristiani si trovarono in contrasto con gli Ebrei ortodossi, i quali affermavano che era necessario proseguire la tradizione ebraica, incluso il sacrificio annuale nel Tempio per l'espiazione del peccato del popolo. Con la distruzione del Tempio, veniva a mancare l'occasione di contesa con la dispensazione della Grazia attraverso la fede. La legge infatti non salva, ma è il "tutore" che evidenzia la realtà peccatrice dell'uomo, affinché questi realizzi la sua incapacità di redimersi da solo ed invochi la salvezza di Cristo per la sua colpa.
La Bibbia dice che il Tempio verrà ricostruito, dato che durante i 7 anni di Tribolazione sarà ristabilito il sacrificio ed il Tempio sarà profanato dall'Anticristo. Si sa che oggi nel mondo Ebraico esistano i piani già pronti per la ricostruzione del Tempio, ci sono già i finanziamenti, l'unico problema, se così si può dire, è dato dal fatto che la dove dovrebbe sorgere il Tempio c'è ora la Moschea di Gerusalemme. http://www.rapimento.com/

lunedì 10 novembre 2008


Decreto Ministeriale 30 luglio 1940-XVIII

Determinazione dei contributi a carico dei professionisti di razza ebraica
Il Guardasigilli Ministro per la Grazia e la Giustizia Visto l'art. 32 della legge 29 giugno 1939, n. 1054, sulla disciplina dell'esercizio delle professioni da parte dei cittadini di razza ebraica;Ritenuta la necessità di determinare i contributi a carico degli iscritti negli elenchi speciali per il funzionamento delle Commissioni di cui agli articoli 12 e 15 della legge stessa;Di concerto con il Ministro per l'interno, col segretario del P.N.F. Ministro Segretario di Stato, e coi Ministri per le finanze, per i lavori pubblici, per l'agricoltura e le foreste e per le corporazioni;Sentito il Consiglio dei Ministri;Decreta:Art. 1. I professionisti che aspirano all'iscrizione negli elenchi speciali preveduti dall'art. 4 della legge 29 giugno 1939, n. 1054, debbono versare un contributo di lire duecento.Art. 2. I professionisti iscritti negli elenchi speciali sono tenuti al versamento di un contributo annuale di lire cento, che deve essere eseguito nel gennaio di ogni anno.Quando l'iscritto risulti moroso nel versamento, è disposta la sua cancellazione dall'elenco speciale dopo una interpellanza notificatagli mediante lettera raccomandata con assegnazione di un termine non maggiore di giorni quindici per il versamento stesso.Art. 3. Il ricorso della Commissione centrale indicato all'art. 15 della legge 29 giugno 1939 citata, quando non sia proposto dal Procuratore generale o dal prefetto, deve essere accompagnato dal versamento di lire cento.Art. 4. I versamenti delle somme stabilite dagli articoli precedenti sono eseguiti presso il locale ufficio del registro con imputazione al bilancio di entrata dello Stato.Le ricevute dei versamenti di cui agli articoli 1 e 3 del presente decreto debbono essere allegate alla domanda di iscrizione nell'elenco e al ricorso; quella del versamento di cui all'art. 2 deve essere presentata alla Commissione.Le domande ed i ricorsi di cui al comma precedente sono dichiarati irricevibili se non risulti la prova dell'eseguito versamento.Art. 5. Il contributo di lire duecento di cui all'art. 1 è dovuto anche dai professionisti che hanno ottenuto l'iscrizione negli elenchi speciali anteriormente all'entrata in vigore del presente decreto. La Commissione pronuncerà la cancellazione dall'elenco in confronto di coloro che non avranno provveduto al versamento della somma dopo una interpellanza notificata a norma dell'art. 2, comma secondo.Il contributo annuale di lire cento è dovuto a cominciare dal primo anno dell'iscrizione, in aggiunta a quello di lire duecento di cui all'art. 1, fermo il disposto del comma precedente.Art. 6. Nel bilancio del Ministero di grazia e giustizia saranno stanziate annualmente in due appositi capitoli, in limiti non eccedenti i versamenti effettuati, a norma del presente decreto, le somme necessarie rispettivamente alle spese per i servizi relativi agli iscritti negli elenchi speciali preveduti dall'art. 4 della citata legge 29 giugno 1939 e a quelle per premi di operosità da corrispondere in relazione a tali servizi.Roma, addì 30 luglio 1940-XVIIIIl Ministro per la grazia e giustizia, Grandip. il Ministro per l'interno, BuffariniIl Segretario del P.N.F., MutiIl Ministro per le finanze, Di RevelIl Ministro per i lavori pubblici, SerenaIl ministro per l'agricoltura e le foreste, Tassinarip. Il Ministro per le corporazioni, Cianetti http://www.olokaustos.org/


Regio Decreto Legge 23 settembre 1938 - XVI, n. 1630

Istituzione di scuole elementari per fanciulli di razza ebraica

Vittorio Emanuele III per Grazia di Dio e per la Volontà della Nazione Re d'Italia Imperatore d'Etiopia Veduto il testo unico delle leggi e delle norme giuridiche sulla istruzione elementare, post-elementare e sulle opere di integrazione, approvato con il R. decreto 5 febbraio 1928 - VI, n. 577, e successive modificazioni; Veduto l'art. 3, n. 2, della legge 31 gennaio 1926 - IV, n. 100;Riconosciuta la necessità assoluta ed urgente di dare uno speciale ordinamento alla istruzione elementare dei fanciulli di razza ebraica;Udito il Consiglio dei Ministri;Sulla proposta del nostro Ministro Sottosegretario di Stato per l'educazione nazionale, di concerto con quello per le finanze;Abbiamo decretato e decretiamo:Art. 1. Per i fanciulli di razza ebraica sono istituite a spese dello Stato speciali sezioni di scuola elementare nelle località in cui il numero di essi non sia inferiore a dieci. I relativi insegnanti potranno essere di razza ebraica.Art. 2. Le comunità possono aprire, con l'autorizzazione del Ministero per l'educazione nazionale, scuole elementari, con effetti legali, per i fanciulli di razza ebraica.Per gli scrutini e per gli esami nelle dette scuole il Regio provveditore agli studi nomina un commissario.Nelle scuole elementari di cui ai comma precedenti, sono svolti i programmi stabiliti per le scuole di Stato; salvo per ciò che concerne l'insegnamento della religione cattolica.Art. 3. Nelle scuole elementari per i fanciulli di razza ebraica sono adottati i libri di testo di Stati, con opportuni arrangiamenti, approvati dal Ministero dell'educazione nazionale.Le spese relative sono a carico delle comunità israelitiche. Art. 4. Il presente decreto, che andrà in vigore il giorno della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del Regno, sarà presentato al Parlamento per la conversione in legge. Il Ministro proponente, è autorizzato alla presentazione del relativo disegno di legge.Ordiniamo che il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sia inserto nella raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti del Regno d'Italia, mandando a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.Dato a San Rossore, addì 23 settembre 1938 - Anno XVIVittorio EmanueleMussolini, Bottai, Di Revel Visto il Guardasigilli: Solmi

domenica 9 novembre 2008

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