sabato 6 marzo 2010


Israele, pilota s'appisola in volo

Ha preso un sonnifero per sbaglio
Il pilota di un Boeing 737 ha preso un sonnifero per sbaglio e si è praticamente "appisolato" durante un volo della El Al, la compagnia di bandiera israeliana. Dopo essere stato portato via da una delle hostess, il volo è proseguito grazie al secondo pilota che ha potuto prendere il controllo della situazione. I passeggeri a bordo non si sarebbero accorti di nulla. La El Al ha aperto un'inchiesta sulla vicenda. Il pilota del boing avrebbe dovuto ingerire una pillola per l'ipertensione. Invece, per sbaglio, ha preso un sonnifero. Un errore banale che poteva essere fatale a tutte le persone a bordo del volo El Al partito da Kiev. In pochi minuti l'uomo ha cominciato ad essere disorientato e sempre meno vigile. Fortunatamente una delle hostess si è resa conto di quello che stava accadendo ed ha soccorso il pilota trascinandolo via dalla cabina di pilotaggioLa compagnia più importante di Israele, El Al ha chiarito che "in nessun momento i passeggeri sono stati messi in pericolo".http://www.tgcom.mediaset.it/, 3.3.010


Gerusalemme - Keren Hayesod


M.O.: HAMAS, NEGOZIARE CON ISRAELE PUO' CONDURRE SOLO AL FALLIMENTO
(ASCA-AFP) - Gaza City, 3 mar - Il movimento islamista di Hamas ha esortato il presidente palestinese Mahmud Abbas affinche' non torni ai colloqui indiretti di pace con Israele perche' sono destinati al fallimento.''Negoziare con l'occupatore potra' portare solo al fallimento'', ha spiegato il portavoce di Hamas Sami Abu Zuhri all'Afp, al termine di una riunione tra i ministri degli Esteri arabi avvenuta al Cairo.''L'alternativa e' per Abbas quella di ritornare ad un'opzione patriottica, supportata dagli arabi e dai palestinesi: ovvero fermezza e resistenza'', ha spiegato Abu Zuhri.


Israele: moto esplode accanto a un autobus, un morto e diversi feriti

Una motocicletta è esplosa oggi accanto a un autobus urbano nella cittadina di Kiryat Ata, nel nord di Israele. Nell'esplosione è morto il conducente della motocicletta. Una decina di passeggeri dell' autobus sono stati feriti lievemente o colti da shock, secondo le prime notizie diffuse dalle emittenti locali. Si ignorano per ora le cause dello scoppio e se questo abbia una matrice terroristica. Giovedì 04 marzo 2010 http://unionesarda.ilsole24ore.com/


Cambio di programma negli incontri Santa Sede-Israele

Speciale comunicato congiunto per posticipare la Plenaria dal 27 maggio al 15 giugno. Nessun intoppo o ostacolo, solo “bisogni logistici” di entrambe le parti.
Tel Aviv (AsiaNews) – Con una mossa fuori dell’usuale, i capi delle delegazioni della Santa Sede e dello Stato di Israele hanno emesso ieri un comunicato comune. Finora i comunicati erano sempre seguiti a particolari incontri del gruppo che si occupa dei negoziati. Come si sa, le delegazioni sono impegnate da oltre un decennio sui negoziati riguardi alla sicurezza fiscale della Chiesa in Israele e la salvaguardia delle proprietà della Chiesa, in particolare dei Luoghi santi.Il comunicato emesso ieri è il seguente:“I due presidenti della Commissione bilaterale permanente fra la Santa Sede e lo Stato di Israele sono d’accordo in alcuni cambi di programma alla già annunciata agenda di incontri. La prossima Plenaria avverrà il 15 giugno in Vaticano e sarà preceduta da alcuni incontri di lavoro da programmare”.Una fonte vicina ai negoziati ha spiegato ad AsiaNews che il Comunicato è stato stilato perché il cambio di data rispetto al precedente programma non sia interpretato come derivato da qualche speciale problema. La fonte assicura che il cambio di agenda dei prossimi mesi è solo il frutto di un desiderio di aggiustamento a “bisogni logistici” di entrambe le parti, come pure di “massimizzare” i benefici derivanti da ogni sessione.In precedenza, la Plenaria era stata fissata per il 27 maggio di quest’anno.


Silvan Shalom

Italia-Israele/ Frattini riceve vicepremier israeliano Shalom

Progetti congiunti in settori economia e turismo
Roma, 4 mar. (Apcom) - Il ministro degli Esteri Franco Frattini ha ricevuto il Vicepremier israeliano e ministro per lo Sviluppo Regionale e per lo Sviluppo del Negev e della Galilea, Silvan Shalom. Come riferisce una nota della Farnesina, ampio spazio durante il colloquio è stato riservato ai possibili progetti congiunti nei settori dell'economia, del turismo e dello sviluppo territoriale, nel contesto del rafforzamento dei rapporti economico-commerciali che ha ricevuto forte impulso dal Vertice Intergovernativo svoltosi il mese scorso. L' incontro ha altresì fornito l'occasione per uno scambio di vedute sulle prospettive del processo di pace, anche alla luce della posizione della Lega Araba favorevole al dialogo indiretto israelo-palestinese. Oggetto di discussione è stata anche la questione nucleare iraniana, con particolare riguardo all'impegno per indurre l'Iran ad accettare senza riserve l'offerta negoziale della comunità internazionale e ad adempiere agli obblighi in materia di non proliferazione.


Medio Oriente, la soluzione della Casa Bianca

In che consiste la proposta dei "colloqui indiretti"? http://www.lastampa.it/
L’amministrazione Obama si affida ad una nuova formula per tentare di far ripartire i negoziati fra israeliani e palestinesi. Si tratta di una ricetta con due ingredienti. Primo: i colloqui fra le due parti saranno «indiretti» ovvero israeliani e palestinesi si troveranno in stanze separate e a fare la spola sarà l’inviato Usa George Mitchell, consentendo così di ovviare al persistente disaccordo sulle nuove costruzioni a Gerusalemme Est e in Cisgiordania. Secondo: gli incontri «indiretti» si svolgeranno al Cairo, sotto l’egida della Lega Araba che ne ha stabilito la durata massima in quattro mesi. Se l’assenza di un dialogo diretto riporta le lancette dei rapporti fra israeliani e palestinesi al periodo precedente gli accordi di Oslo del 1993, l’ombrello formale della Lega Araba è la vera novità creando la base per un maggior «coinvolgimento della regione» nella composizione del secolare conflitto.Sin da quando è arrivato alla Casa Bianca Obama ritiene che i Paesi arabi possano avere un ruolo decisivo nella risoluzione della crisi potendo da un lato spingere il presidente palestinese Abu Mazen ad accettare difficili compromessi - ad esempio sulla rinuncia al diritto al ritorno dei profughi del 1948 - e dall’altro ammorbidire le resistenze di Israele sulle concessioni territoriali facendo leva sulla normalizzazione dei rapporti promessa dal piano saudita del 2002. Ad avvalorare l’importanza della «cornice regionale» c’è quanto sta avvenendo sul terreno: l’Egitto ha aumentato i controlli anti-terrorismo al confine con la Striscia di Gaza diventando di fatto il garante dell’assenza di guerra fra Hamas e Israele; la Giordania sta godendo dei frutti economici del boom di sviluppo che si registra nei maggiori centri della West Bank; l’Arabia Saudita guida il fronte dei Paesi arabi preoccupati del programma nucleare iraniano tanto quanto lo è lo Stato Ebraico. Tutto ciò contribuisce a fare della Lega Araba un interlocutore di Israele creando una situazione che offre a Obama la possibilità di tentare di sbloccare lo stallo ovviando alla difficoltà dovuta all’esistenza di due interlocutori palestinesi in attrito fra loro: Hamas a Gaza e l’Anp a Ramallah. La nuova ricetta Usa però ha due avversari dichiarati in Siria e Hamas ovvero gli alleati di Teheran. Maurizio Molinari, 5/3/2010


Università di Tel Aviv

Israel Apartheid Week, le università italiane s'inchinano ai palestinesi

Ancora un boicottaggio
In questi giorni, decine di università in tutto il mondo ospitano una serie di eventi legati all’Israel Apartheid Week. Giunta alla sesta edizione annuale, la manifestazione nasce con l’obiettivo di “educare riguardo al sistema di apartheid israeliano” e di imbastire una “campagna di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni” contro lo Stato ebraico. Le azioni di boicottaggio sono legate a tre richieste specifiche: fine “dell’occupazione e della colonizzazione israeliana di tutti i territori arabi e smantellamento del muro”, riconoscimento “dei diritti fondamentali degli arabo-palestinesi cittadini d’Israele” e rispetto, promozione e protezione “del diritto dei rifugiati palestinesi a far ritorno alle proprie case, in ottemperanza alla risoluzione 194 delle Nazioni Unite”.Gli atenei italiani coinvolti sono tre – Roma, Pisa e Bologna – e il calendario delle iniziative è molto ricco: si va dai documentari alle conferenze, dalle tavole rotonde ad un progetto “di sensibilizzazione e di teatro di strada sul boicottaggio dei frutti dell’Apartheid israeliano nei mercati rionali di Roma”, previsto per domani. All’Israel Apartheid Week hanno aderito gruppi studenteschi da ogni parte del globo: si va da Beirut a Edimburgo, da Gerusalemme a Londra, Da New York a Betlemme. Sul piano accademico, da segnalare è poi la risposta di 23 università canadesi in cui la Federazione degli Studenti Ebrei ha organizzato una contro-campagna intitolata Size Doesn’t Matter, e finalizzata – spiegano gli organizzatori al quotidiano “Haaretz” – a “sottolineare i molti risultati e contributi israeliani” sul piano culturale.L’Israel Apartheid Week – come tutte le iniziative di boicottaggio nei confronti della cultura e dell’economia israeliana – ha chiaramente suscitato molte polemiche. Il principale tema di scontro è l’equiparazione tra lo Stato ebraico e il Sudafrica: secondo Natan Sharansky, presidente dell’Agenzia ebraica per Israele, “il paragone tra Israele e l’apartheid sudafricano è senza alcun fondamento”. Sulla stessa linea si colloca l’editorialista del quotidiano conservatore “Jerusalem Post” Larry Derfner, il quale mette in luce come – a differenza dei neri in Sudafrica – “gli arabi con cittadinanza israeliana hanno avuto diritto di voto sin dal giorno in cui è stato fondato lo Stato ebraico”. Tra le accuse rivolte ai promotori dell’Apartheid Week c’è anche quella di antisemitismo, ma gli aderenti alle manifestazioni sottolineano come criticare le politiche israeliane non significhi attaccare gli ebrei.Tornando all’Italia, va segnalata anche una lettera scritta da alcuni docenti universitari di Pisa, Firenze e Milano in concomitanza con l’Israel Apartheid Week, intitolata “Diritto allo studio e alla libertà accademica in Palestina”. In questo caso, più che di boicottaggio, i docenti riflettono sulla “situazione universitaria e scolastica del popolo palestinese”. Dopo aver denunciato “gravi violazioni del diritto all’istruzione, della libertà di insegnamento e della libertà di pensiero”, la lettera critica il fatto che l’Italia nel 2009 sia “diventata primo partner europeo nella ricerca scientifica e tecnologica dello Stato di Israele, responsabile delle violazioni di cui sopra”: obiettivo dei docenti è l’organizzazione di seminari per individuare “degli strumenti di intervento concreto a favore delle università e delle nuove generazioni di studenti e studiosi palestinesi e arabo-israeliani”.Il rischio, secondo i firmatari, è che si vada incontro ad “un vero e proprio etnocidio del popolo palestinese ed arabo-israeliano”: le nuove generazioni, infatti, sarebbero esposte “ad una radicale perdita della conoscenza della propria storia e della propria identità culturale e linguistica”. Morti, discriminazioni, violazioni del diritto allo studio sarebbero da imputare a Israele che, solo nel corso dell’operazione Piombo fuso, “ha bombardato, distruggendo o danneggiando gravemente, 280 scuole/asili e 16 edifici universitari”. Certo, che la guerra non abbia favorito il sistema d’istruzione palestinese è fuor di dubbio. Quello che viene taciuto, però, è che parte dei problemi andrebbero addossati anche ad Hamas, che nelle università – più che un tempio della cultura e della formazione – vede spesso dei centri di reclutamento politici e terroristici.Pochi giorni fa, l’Università Islamica di Hebron ha sospeso ogni attività in seguito agli scontri scoppiati tra studenti di Fatah e di Hamas, i quali hanno accusato il presidente dell’Anp Abu Mazen di aver arrestato quattro colleghi. Secondo l’amministrazione universitaria, gli attivisti di Hamas avrebbero distribuito materiale “infiammatorio” dando così il via agli scontri. Simili incidenti non sono nuovi all’Università di Hebron, così come nell’Università Al-Azhar di Gaza. Ma le violenze non si limitano ai giovani: lo scorso anno, il rettore dell’Università Al-Aqsa – Ali Zeidan Abu Zahry – è stato cacciato e sostituito da un consiglio di tre membri cari ad Hamas. Fatah – come riporta l’agenzia di stampa Ma’an – commentò: “Hamas ha preso d’assalto l’Università in modo barbaro e ne ha assunto il controllo con la forza”.
L’elenco delle violazioni al diritto allo studio dei palestinesi dovrebbe insomma comprendere anche abusi interamente attribuibili ad Hamas, nel quadro dello scontro per l’egemonia politica e culturale in corso con i moderati di Fatah. E una cooperazione culturale tra atenei italiani e palestinesi è certamente auspicabile, a patto di valutare attentamente con quali istituzioni accademiche si sta collaborando. Questo però, a differenza di quanto lascia intendere Danilo Zolo sul “Manifesto” di ieri, non dovrebbe essere contrapposto all’accordo governativo che avvia un biennio scientifico e tecnologico italo-israeliano. Piaccia o no, le università dello Stato ebraico sono un esempio di eccellenza, e i loro talenti non sono responsabili delle politiche governative israeliane.5 Marzo 2010, http://www.loccidentale.it/


Il Tate Modern di Londra ospita Trembling Time,la rassegna di video arte israeliana

Trembling Time è una rassegna di video arte israeliana presentata in questi giorni alla Tate Modern di Londra. Curata da Sergio Edelsztein, direttore del Centro per l’Arte Contemporanea di Tel Aviv, la rassegna ha il merito di mostrare il grande impatto che i video artisti israeliani stanno avendo sulla comunità artistica internazionale: Yael Bartana, Omer Fast e Keren Cytter sono diventati nomi noti nel mondo dorato dell’Arte Contemporanea (in alto un'immagine di Yael Bartana tratta dal filmato presentato al Trembling Time 2001).In Israele la video arte nasce tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80, quando artisti come Raffi Lavie, Yair Garbuz e Michal Neeman iniziano a lavorare con l’immagine in movimento utilizzando il Super-8. Dopo un periodo di silenzio che dura fino agli anni ’90, entra in scena una nuova generazione di video artisti guidata da Doron Solomons, Guy Ben Ner e Boaz Arad.La rassegna parte da qui per arrivare fino ai lavori più recenti.Guy Ben Ner crea video nei quali, attraverso una messa in scena piena di riferimenti alla letteratura colta e al cinema di Buster Keaton, presenta se stesso e la sua famiglia e analizza quelle ossessioni della società contemporanea che sono il lavoro, i consumi e i rapporti personali.Gli stessi temi sono al centro della ricerca artistica di Doron Solomons. In A Shopping Day, Solomons riusa gli elementi del linguaggio pubblicitario per sovvertirne l’effetto e creare una storia tragicomica, così diversa da quelle raccontate nella pubblicità.I drammatici eventi della Seconda Intifada e le sue ripercussioni sulla società israeliana sono affrontati nei lavori di Avi Mograbi, Malki Tesler, Ruti Sela e Amir Yatzir.Ruti Sela in Beyond Guilt #2 invita in una camera d’albergo degli uomini che ha conosciuto su un sito internet. Davanti alla macchina da presa gli uomini parlano di se stessi e delle loro fantasie sessuali. L’artista cerca di capire come l’essere cresciuti in una società in guerra e l’aver avuto esperienze militari ha influenzato il carattere e le abitudini di questi adulti.Mentre Avi Mograbi in Detail si concentra sui dettagli di uno scontro tra una famiglia palestinese e dei soldati israeliani in Cisgiordania, Playground di Malki Tesler mostra una performer che crea scompiglio in un parco giochi quando occupa fisicamente uno scivolo impedendo così ai bambini di usarlo. La metafora della situazione politica Israeliana è tanto diretta quanto efficace.Questi sono lavori di artisti critici della politica Israeliana in Cisgiordania.Se la realtà contemporanea è l’oggetto dell’indagine artistica di molti artisti, la macchina da presa di Yael Bartana punta al passato e, suggestivamente, combina insieme alcuni dei capitoli della recente Storia ebraica: la scomparsa dell’Ebraismo dell’Europa Orientale, il Sionismo, la fondazione d’Israele e la questione palestinese. In Wall and Tower, un gruppo di coloni israeliani costruisce un insediamento nel centro di Varsavia. Summer Camp mostra dei volontari intenti a ricostruire una casa Araba distrutta dall’esercito israeliano; il film è girato nello stile dei documentari sionisti degli anni ’30.Una diretta conseguenza della ricerca che gli artisti hanno compiuto sul conflitto Israelo-Palestinese è il moltiplicarsi dei lavori intorno ai temi dell’identità personale e nazionale.Shajar Marcus e Boaz Arad offrono delle comiche riflessioni sulle complesse relazioni tra aschkenazim e sephardim in Israele. In Sabich Marcus si rifà al famoso film di Jackson Pollock in azione girato da Hans Namuth, per creare, lui un aschkenazita, un gigante sabich, una pitta ripiena di melanzane tipica della cucina Irachena.Boaz filma sua madre mentre prepara il gefilte fish (il piatto per eccellenza degli ebrei dell’Europa Orientale), racconta la storia della sua famiglia e commenta sulle rivalità tra ashkenazi e sephardi. Il video suggerisce l’inevitabile progressivo allontanamento di tanti Ebrei d’Israele dalle loro radici Europee: nella famiglia dell’artista solo l’anziana madre sa preparare il gefilte fish.Le incertezze del nostro confuso presente sono all’origine dei lavori di Keren Cytter: rielaborando il linguaggio cinematografico e rifacendosi ai film di genere, Cytter crea dei cortometraggi che, sorprendentemente, riescono a dare una nuova vita al formato filmico.Il futuro prossimo e quello lontano sono messi in immagine nei lavori di Uri Katzenstein e Miri Segal.Uri Katzenstein in Hope Machines crea il futuro post-apocalittico di un’umanità ridotta a vivere su piccole isole artificiali in un mondo sommerso dall’acqua, sotto un cielo perennemente arancione dove brillano tre soli. Qui gli uomini ripensano con nostalgia al loro passato (il nostro presente), il periodo della loro (nostra) ingenuità.Miri Segal, invece, in Be Right Back costruisce un mondo virtuale e medita sulla vita dell’uomo nella società tecnologica facendo riferimento a Nietzsche e alla realtà parallela creata dai computer.Trembling Time mostra la grande vitalità e qualità della video arte israeliana. Riflettendo sulla situazione politica Mediorientale e decostruendo la complessità della società tecnologica contemporanea i video artisti Israeliani creano opere che sfidano la nostra percezione del mondo dettataci dai mass-media offrendoci la visione di un’alternativa.Rocco Giansante http://www.moked.it/


L' alba ci colse come un tradimento. Gli ebrei nel campo di Fossoli. 1943-1944

di Picciotto Liliana G., € 20.00, http://www.libreriauniversitaria.it/
Fossoli, frazione di Carpi, fu lo scenario "inconsapevole" di una delle pagine più cupe della nostra storia: qui fu attivo, tra il dicembre e i primi giorni dell'agosto 1944, un campo di concentramento in cui vennero reclusi 2844 ebrei arrestati in tutta l'Italia centrosettentrionale sotto l'occupazione nazista. In quel periodo nel nostro paese giunse al culmine l'offensiva fascista contro gli ebrei che, iniziata con le leggi razziali del 1938, conobbe una brutale accelerazione con la Repubblica sociale. I governanti italiani scelsero infatti di adeguare la propria politica antiebraica a quella dell'alleato-occupante, che aveva già messo in atto autonomamente una serie di retate in diverse città nell'autunno del 1943. Il 30 novembre emanarono dunque un provvedimento che prescriveva l'arresto degli ebrei, cui sarebbe stato confiscato ogni bene, e il loro trasferimento in un unico luogo, individuato nel complesso di Fossoli, in precedenza utilizzato come campo per prigionieri di guerra e destinato anche ad altri internati, come i detenuti politici. Le autorità di Salò e quelle del Terzo Reich definirono una sorta di divisione dei compiti: gli italiani si occuparono dell'arresto e dell'internamento degli ebrei; i tedeschi, che dal marzo assunsero anche formalmente il comando del campo di concentramento, ne organizzarono la progressiva deportazione verso i lager in Germania e Polonia, attuata con modalità disumane.


Rebecca Sieff prima presidente Wizo nata 1890

Nel nostro ebraismo le donne hanno una parte speciale
non solo in famiglia e nei tanti loro ruoli individuali, ma anche come insieme nel tessuto sociale e comunitario, ne è esemplare la capacita di aggregazione e la continua straordinaria attività dell’Adei. A Torino e in alcune altre Comunità oggi assistiamo allo sviluppo di un ulteriore dimensione al femminile: “il Beth Ha Midrash delle donne”. Un folto gruppo di donne che si ritrovano per analizzare e approfondire passi di Torà, di Talmud e di altre fonti. Gli impegni quotidiani del lavoro, della famiglia, della casa, gli interessi e le esigenze di relax, non frenano un numero crescente di donne giovani e meno giovani e dei più diversi orientamenti perché mosse da passione e dal desiderio di studiare e di confrontarsi. Il Beth Ha Midrash stimola, costringe alla riflessione, obbliga a porsi domande, avvicina ed offre spazi a donne che difficilmente si sentirebbero completamente a proprio agio nel confrontarsi in contesti di studio aperti a tutti. Probabilmente anche le discussioni sul cresciuto numero dei matrimoni misti che hanno messo più in luce il significato della matrilinearità e quindi il ruolo e la responsabilità delle donne hanno contribuito a questa impetuosa crescita. In ogni modo, il Beth Ha Midrash delle donne è una realtà di successo in diverse Comunità italiane, possiamo dunque riconoscerne un’espressione ebraica di vitalità e creatività, al femminile, naturalmente.Sonia Brunetti Luzzati,pedagogista, http://www.moked.it/



Joe Biden vicepresidente USA

Riprendono i colloqui indiretti fra Israele e Anp


Gerusalemme, 4 mar - Il quotidiano israeliano Haaretz pubblica oggi la notizia che Israele e Autorità nazionale palestinese potrebbero annunciare l'avvio di colloqui di pace indiretti già la prossima domenica, dopo l' arrivo in Israele -sabato sera - dell' inviato Usa George Mitchell. Secondo Haaretz gli Stati Uniti sperano che l'annuncio preceda l'arrivo in Israele del vice presidente americano Joe Biden, atteso lunedì prossimo. Lo stesso giornale riferisce inoltre che il presidente Shimon Peres, in colloqui privati con personalità politiche, ha espresso il parere che il premier Benyamin Netanyahu non potrà portare avanti il processo di pace nel contesto dell' attuale coalizione di partiti, alcuni dei quali di estrema destra, che sostiene il suo governo. Secondo Peres perciò Netanyahu dovrebbe rivolgere un'offerta al partito di maggioranza relativa Kadima della signora Tzipi Livni, che guida l'opposizione, di entrare nel governo a condizioni onorevoli. Il Presidente avrebbe invece criticato i tentativi del Premier di provocare una scissione all'interno di Kadima.


kibbutz Ruhama


Rassegna stampa

Nejad Hamid Masoumi per molti è un signor nessuno. Un normale giornalista, corrispondente della tv di Stato iraniana, da dieci anni in Italia. Baffi e capelli neri, dai modi sempre cortesi, tutti i giorni varcava il portone dell’Associazione stampa estera a via dell’Umiltà. A un passo da Fontana di Trevi. Finché un giorno, ieri, viene arrestato. Il quasi invisibile cronista è una spia di Teheran coinvolta in un traffico d’armi tra Italia e Iran. L’operazione ha messo le manette a due 007 iraniani e cinque italiani (Sole 24 Ore). A proposito di spie: il Foglio spiega perché il gran capo della polizia di Dubai è così efficiente contro Israele. Ricordate la polemica contro il Mossad, accusato di aver ucciso un leader di Hamas facendosi scudo con passaporti inglesi, irlandesi, francesi e tedeschi? Bene, ecco il profilo del generale Dahi Khalfan Tamim: l’uomo che vuole incastrare 26 agenti israeliani e chiede un mandato di cattura per il premier Bibi Netanyahu. Sul settimanale Sette del Corriere, invece, Stefano Jesurum fa ripartire l’offensiva contro Vittorio Feltri, il direttore del Giornale che lanciò palle di fuoco contro Gad Lerner, accusandolo di essere vendicativo con la finanza vaticana ma di non criticare quella ebraica. "Filoisraeliani antisemiti", è il titolo dell’articolo. Sempre sul Sole 24 Ore Ugo Tramballi intervista il premier palestinese Salam Fayyd, il quale racconta la strategia di investimenti, che vuole raccogliere all’estero, per proclamare lo stato di indipendenza entro il 2011.Fabio Perugia (cliccare sui titoli per l'articolo intero) http://www.moked.it/

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........ . Aggiornamenti dal versante Israele ci sono invece dati da Virginia Di Marco su il Riformista, che ci informa sulle ultime mosse dei protagonisti da Ramallah e Gerusalemme, così come Rita Fatiguso, su il Sole 24 Ore, ci rammenta che esiste anche un’altra Palestina, non quella militante (e disperata) che ci è servita quotidianamente come piatto forte del conflitto aperto con gli israeliani ma un paese che si adopera per maturare economicamente, avendo ben più di una carta a suo favore. Il Foglio, nell’articolo «finalmente c’è un po’ di Sapienza», fa una rassegna dell’andamento dell’iniziativa promossa da una rete internazionale di atenei, tra i quali tre università italiane (quelle di Roma, Bologna e Pisa), per il sostegno alle accademie palestinesi e il correlativo boicottaggio di quelle israeliane. La buona notizia è che La Sapienza ha stipulato un gemellaggio con la Tel Aviv University, rivelando così come l’adesione alla campagna contro Israele sia assai meno compatta e tangibile di quanto gli organizzatori non intenderebbero far pensare. In realtà in ogni università coesistono, negli stessi luoghi e nel medesimo tempo, minoranze tanto determinate quanto rumorose, che pretendono con le loro iniziative di parlare a nome di tutti, con maggioranze silenziose, sospese tra disinteresse ma anche dissenso. Il ricorso al nome di prestigiosi atenei per giustificare prese di posizione politiche, tanto nette quanto conflittuali, non deve farci pensare ad una immediata e corale adesione da parte di chi dentro quei posti ci lavora, studia e, in parte, vive. La realtà universitaria italiana, come quella di qualsiasi altro paese, è troppo ampia e articolata per potere essere ricondotta ad una sola volontà. Sarebbe come dire che la vittoria parziale, in una qualche tornata occasionale, di un partito (pensiamo ancora all’Olanda di questi giorni), sia l’espressione di un consenso compatto, ossia di una omogeneità di opinioni che di certo, invece, non esiste. Rimane il pluralismo come caposaldo delle democrazie occidentali e l’esibizione di una qualche determinazione verbale non deve essere scambiata per l’acquisizione di una supremazia intellettuale e morale che – invece - non sussiste. Quel che tuttavia è non meno vero è che un tema come il conflitto israelo-palestinese, per le sue ricadute emotive e identificative, raccoglie un grande seguito negli ambienti intellettualizzati, da dove sono frequentemente partite iniziative che hanno polarizzato il giudizio del pubblico. La responsabilità della comunicazione e dei comunicatori è una questione troppo delicata per essere risolta con qualche exploit che chiama alla facile mobilitazione animi già esacerbati da una forte lettura ideologica degli eventi. Infine, per gli amanti del genere spionistico, che in queste settimane ha conosciuto una nuova impennata grazie alle vicende di Dubai, dove un gruppo di agenti del Mossad avrebbe operato, sotto false coperture, per l’eliminazione di uno dei faccendieri e dirigenti di Hamas, segnaliamo l’articolo di Paola Caridi su l’Espresso dedicato allo Yaman, acronimo di Yehidat Mishtara Meyuhedet, un reparto operativo della polizia di frontiera israeliana composto di poche centinaia di appartenenti capaci di adoperarsi nelle situazioni più critiche. Alle parole si corredano le foto, suggestive e acrobatiche, di quello che, a detta dell’autrice, è qualcosa di così segreto da essere conosciuto anche attraverso un articolo di giornale. Claudio Vercelli, http://www.moked.it/


Finalmente

Secondo un intelligente progetto cubano-iraniano in via di presentazione alle Nazioni Unite, d'ora in poi i servizi segreti israeliani dovranno essere pubblici in modo di poterli accusare con un certo anticipo. Il Tizio della Sera, http://www.moked.it/


Quentin Tarantino

Inglorious Basterds,Tarantino di fronte ai sopravvissuti

Pochi giorni dopo l'annuncio delle nominations agli Oscar di quest'anno il film di Quentin Tarantino, Inglorious Basterds, è stato proiettato a Los Angeles, alla presenza del regista, per un pubblico di ebrei sopravvissuti alla Shoah.Tarantino ha compiuto una ricostruzione della storia assai ardita e per questo molto criticata. Nel film fa morire tutte le più alte gerarchie della Germania nazista in un attentato, in verità mai avvenuto.La reazioni emotive del pubblico speciale, direttamente connesso con le vicende rappresentate, o meglio con la verità storica cui esse rimandano, non si lasciano nascondere. “Ecco quel che si meritavano i nazisti!”: il pensiero si legge chiaro e tondo sugli occhi attoniti degli astanti mentre Aldo Raine, il bel Brad Pitt, scortica lo scalpo dei soldati tedeschi uccisi. Si poteva percepire chiaramente il piacere della vendetta, il godimento viscerale nel vedere i nazisti uccisi e pestati da un gruppo di killer ebrei. Risate goffe e nervose, battiti di ciglia poco frequenti, bocca spalancata: Inglorious Basterds ha fatto riemergere, nelle vittime dell'orrore nazista, sentimenti latenti, sotterranei. Forse anche poco politicamente corretti. Nella sua unicità all'interno della filmografia sulla Shoah, nel suo programmatico e dichiarato revisionismo, con l'arroganza propria di chi vuole riscrivere la storia, questo film è riuscito a toccare corde mai prima d'ora accessibili. Non quelle della commozione, non quelle dello sdegno, quelle più animali e più intime, le più segrete, quelle della rivalsa. È questa l'alchimia sprigionata dall'incontro tra il mondo ebraico, la cui psiche collettiva non ha certo attraversato intonsa il Ventesimo secolo, e il mondo di Quentin Tarantino, che dai tempi di Kill Bill ci ha abituato all'etica della vendetta, dominante e ossessiva.Rimane aperto il dibattito sulla legittimità compiuta dal regista americano. Per alcuni l'introduzione della fantasia nella storia è ingannevole e quindi pedagogicamente sbagliata. Per altri invece è un'operazione dissacrante e affascinante, quindi artisticamente molto riuscita.Ma è lecito romanzare la Shoah? Ci si chiede all'uscita dalla sala. Può arrecare danno alla Memoria? O invece, con il venire meno dei testimoni diretti, proprio l'arte potrà essere custode della Memoria e interlocutrice privilegiata della società civile, soprattutto delle nuove generazioni?Seduto tra gli spettatori di questa proiezione speciale allestita dalla testata statunitense Jewish Journal, in incognito, c'era anche Quentin Tarantino, incuriosito dal dibattito più che dal film. Quando una signora ha obiettato che esiste il rischio che la versione del film venga presa sul serio e possa fomentare il vero revisionismo storico, solo allora il regista ha preso la parola, tra lo stupore generale, per chiarire una volta per tutte che la sua è solamente una fiction, che non ha alcuna pretesa di valore storico. Ha ricordato che le prime parole del film sono “once upon a time”, il classico incipit delle favole per bambini.Una favola in grado di risvegliare e portare alla luce del sole le emozioni più ferine che abitano l'animo umano.Manuel Disegni, http://www.moked.it/


Leggendo e rileggendo la Meghillàt Ester, sono ovviamente molte le interpretazioni che se ne possono dare. Una di queste è vederla come un fatto di cronaca che potrebbe essere accaduto ieri. In un grande paese medio-orientale esiste un regime autoritario presieduto da un capo supremo che vive recluso nel Palazzo e delega le grandi esternazioni pubbliche a un potente politico il cui cognome, secondo l'onomastica corrente, suonerebbe Hamdata-nejad (discendente di Hamdata). Il regime usa erigere alti pali dove effettua pubbliche impiccagioni. A un certo punto, i consiglieri e la moglie del suddetto potente leader gli dicono: "Se quel Mordechai è un ebreo, non ce la puoi fare contro di lui e finirai per cadere prima di lui". In quel lontano paese ci sono due tipi di antisemiti: i sanguinari forcaioli e i gelidi viscerali. Il testo della Meghillàt Ester è un grande allegoria, e questa lettura sembrerà riduttivista. Ma non si può negare che le costanti della longue durée abbiano un certo fascino.Sergio Della Pergola,Università Ebraica di Gerusalemme, http://www.moked.it/


L’interprete di Arminio Wachsberger

a cura di Clara e Silvia Wachsberger Proedi editore Euro 15
“….forse noi adulti dovevamo essere puniti per peccati che senz’altro avremo commesso, ma…i bambini, perché? Perché i bambini?”Sono le ultime struggenti parole di Arminio Wachsberger, sopravvissuto ai campi di sterminio di Aushwitz-Birkenau la cui testimonianza giunge a noi grazie alla sensibilità e alla generosità delle figlie Clara e Silvia. “L’interprete”, recentemente pubblicato dalla casa editrice Proedi, “è per la maggior parte la trascrizione dell’intervista realizzata nel 1998 dalla Spielberg Survivors of the Shoah Visual History Foundation, che ha meritoriamente raccolto, filmando, la testimonianza diretta di migliaia di sopravvissuti ancora in vita alla fine degli anni Novanta, tra cui 400 italiani, costruendo un archivio di enorme importanza.”, ma è soprattutto un tassello prezioso nella sua unicità che va a comporre quel vasto mosaico che è la memorialistica sulla Shoah.Ogni nuovo racconto sull’orrore dei campi di sterminio è un frammento di storia irripetibile che va conservato con cura perché, soprattutto ora che molti sopravvissuti stanno scomparendo, il ricordo di quanto è accaduto rimanga vivo nelle nuove generazioni cui spetta il compito imprescindibile, seppur arduo e difficile, del “passaggio del testimone”.Quale parola può descrivere ciò che l’uomo ha saputo fare all’uomo?
Arminio Wachsberger ci è riuscito con la sua testimonianza semplice che rivela un animo limpido e buono che si apre con generosità ogni qualvolta può salvare un fratello ebreo dalla morte ma anche un ufficiale nazista che ha dimostrato umanità non tralasciando mai la gratitudine nei confronti di chi, in un modo o nell’altro, si è prodigato per salvargli la vita.Andando con la memoria a ritroso nel tempo Arminio racconta con delicatezza di toni la sua infanzia a Fiume “un porto dell’Austria-Ungheria che riforniva prevalentemente l’Ungheria di cui rappresentava una sorta di enclave”, attorniato dall’affetto dei genitori e dei fratelli in un clima caratterizzato dalla stretta osservanza ai principi della fede ebraica (“mio padre era molto ortodosso, ma con giudizio, ……un chasid e usava abbigliarsi in modo tradizionale”).Con entusiasmo ci narra dei suoi studi nella prima yeshivà italiana a Gorizia, della sua passione per l’aviazione e del servizio militare prestato in Aeronautica. Il matrimonio con Regina nel 1937 e la nascita della piccola Claretta nel 1938, eventi gioiosi in qualsiasi famiglia, sono funestati dall’avvento delle leggi razziali che mutano drasticamente le prospettive di vita e di lavoro per gli ebrei italiani. E’ solo grazie alla generosità del dott. Eigenmann, un fervente antifascista al quale porterà eterna gratitudine, che Arminio può cominciare a lavorare per l’Ammonia come “esperto chimico” benché non fosse quella la sua specializzazione!Ma è il 16 ottobre 1943 a segnare uno spartiacque nella vita di Arminio e della sua famiglia. Alle 5 della mattina due SS si presentano alla porta di casa della famiglia Wachsberger in via Lungotevere Ripa e prelevano tutti gli occupanti anche il piccolo Vittorio, il nipotino di due anni, ospite per quella notte.Caricati sui camion insieme ad altri ebrei vengono portati presso il Collegio Militare di Via Lungara in una zona quasi centrale di Roma e nel tragitto l’animo buono di Arminio compie il primo di una lunga serie di atti generosi: in un momento di distrazione dei tedeschi getta il piccolo Vittorio fra le braccia della portinaia di uno stabile che, compresa al volo la situazione, prende il piccolo salvandolo dalla deportazione e dalla morte.Per attenuare la brutalità dei nazisti Arminio che conosceva molte lingue si offre come interprete alleviando in tal modo la sofferenza di tanti ebrei che non capivano cosa dicesse il comandante di quella operazione, un giovane capitano particolarmente crudele di nome Dannecker.Costretti a salire sui vagoni bestiame “fino a riempirli all’inverosimile” tutti gli ebrei catturati nella razzia del 16 ottobre partono per Auschwitz dove il treno arriva il 22 ottobre dopo un viaggio drammatico, anticamera dell’inferno che li attende nel campo di sterminio.
Mentre la moglie e la figlia vengono subito destinate alle camere a gas Arminio fa la conoscenza del comandante del campo Rudolf Hoess e del responsabile sanitario Josef Mengele ai quali deve nuovamente offrirsi come interprete anche per aiutare i compagni che non comprendono i brutali ordini tedeschi.Da quel momento inizia una lunga discesa agli inferi dove l’uomo si dimostrerà capace di ogni atrocità nei confronti dei suoi simili, un percorso di dolore, sofferenza e perdita della dignità umana. E nelle parole di Arminio ritroviamo la sofferenza di Primo Levi, Alberto Sed, Shlomo Venezia, Liliana Segre e di tutti gli ebrei che hanno conosciuto l’indicibile ma ai quali il destino ha consentito di tornare da quell’inferno per raccontare ciò che avevano vissuto.
I forni crematori, le selezioni, gli appelli, il freddo atroce, le crudeltà inflitte per divertimento, gli urli (Los, Los!), le terribili marce della morte declinano il racconto di Arminio che senza cedere all’emozione rivela lo strazio del suo cuore quando narra della morte di due cari amici Leonello e Giancarlo Della Seta che fino all’ultimo aveva cercato di salvare!La liberazione è per il giovane interprete un ritorno alla vita: è il 30 aprile 1945 quando i soldati americani già entrati a Monaco arrivano a Tutzing, sul lago Starnberg, ultima tappa del suo drammatico viaggio.La disperazione per la perdita della moglie e della piccola Claretta pervade il suo cuore ma nell’animo di Arminio come in quello di molti sopravvissuti comincia a germogliare una tenue speranza nel futuro e anche per colmare il terribile vuoto che si era creato con la morte dei suoi cari dopo qualche tempo conosce una bellissima ragazza ungherese di Sighet, Olga Wiener, anch’ella deportata nei campi di sterminio nel maggio 1944 e unica sopravvissuta della sua famiglia insieme alla sorella.
Dopo il matrimonio Olga e Arminio rimangono a Feldafing fino al 1949. Deciso ad emigrare in America, Arminio che nel frattempo era diventato padre di una bimba alla quale aveva dato il nome della prima figlia morta ad Auschwitz, torna sulla sua decisione ed accetta la proposta del suo vecchio datore di lavoro, il dott. Gino Eigenmann, il quale stava aprendo a Milano un nuovo settore sempre nel campo chimico.Nelle ultime pagine di questo straordinario libro di memorie Arminio condivide con noi la sorte occorsa ai suoi fratelli e parenti: i matrimoni, le nascite, le morti e in particolare la perdita dolorosissima del nipotino Amos nel 1961 che lo farà precipitare in una profonda depressione. Nel meraviglioso album fotografico che arricchisce il volume è racchiuso il senso più profondo della vita di Arminio Wachsberger: nonostante il dolore che si percepisce dallo sguardo, nell’immagine che lo ritrae insieme ai figli e ai nipoti c’è la forza della sua grande rivincita. Hitler che voleva sterminare il popolo ebraico ha fallito nel suo intento e ancora una volta la vita ha vinto sulla morte!Le parole di Arminio, raccolte con rara sensibilità dalle figlie Clara e Silvia, sono una goccia nel mare delle sofferenze umane che è stata la Shoah. Milioni di gocce non possono eliminare del tutto i pregiudizi e l’ignoranza che ancora albergano nella nostra società, ma è dall’ascolto di queste preziose testimonianze che le nuove generazioni possono prendere coscienza del passato e acquisire una migliore consapevolezza del presente e del futuro. Perché “la Memoria non muoia con noi”.Giorgia Greco

venerdì 5 marzo 2010




Arnoldo Foà

Rassegna stampa

Arnoldo, l'amabile burbero Sulla scena, fra le centinaia di personaggi cui ha dato voce e vita, non si è fatto problemi a vestire le sottane di quattro diversi pontefici: «E non è tutto ricorda divertito perché una volta mi è toccato dare voce persino al Creatore. Per un ateo mi sembra una bella soddisfazione». Ad ascoltarla, sulla soglia del suo novantacinquesimo compleanno, quella voce calda, profonda che ha fatto rabbrividire e commuovere intere generazioni di italiani, quella voce che ha lanciato dai microfoni della radio Alleata di Napoli il segnale della riscossa e della liberazione, quella voce che ha attraversato un secolo non è appannata. L'immancabile pipa non l'ha irruvidita, gli anni non l'hanno incrinata. Fra i nuovi progetti di lavoro e qualche momento di riposo, ci aspetta nel suo appartamento romano, ornato delle sue multiformi creazioni, disegni, dipinti, sculture, ricordi del lavoro di attore e degli innumerevoli viaggi che hanno accompagnato un' esistenza segnata dall'irrequietudine. Accanto ad Annamaria, che ama teneramente ricambiato, Arnoldo Foà non può fare a meno di cedere al vecchio vizio e di restare perennemente sotto i riflettori. Ora che che decine di colleghi, amici appassionati e tanta parte del suo pubblico se ne sono andati in punta di piedi, Arnoldo Foà porta il peso immenso dei grandi vecchi che hanno amato troppo la vita. Migliaia di ore sul palcoscenico, tanti amori, quattro matrimoni, l'affetto di milioni di italiani che hanno amato la sua voce e la sua arte, un'identità ebraica contraddittoria, difficile e combattuta, ma mai negata, sempre portata a testa alta, con fierezza, come spesso avviene agli ebrei italiani. Negli scorsi giorni ha regalato al lettore italiano un libro di memorie, Autobiografia di un artista burbero, Sellerio, pp. 212. […]Guido Vitale, Pagine ebraiche (ripreso dal Riformista, 3 marzo 2010)
Università europee contro Israele. Schiaffo alla libertà di pensiero Mentre anche la Siria, secondo a quanto anticipa oggi il quotidiano Haaretz, sta nuovamente valutando la possibilità di arrivare presto a un accordo di pace con il governo Netanyahu, le università europee hanno dichiarato invece la nuova, solita guerra. Una guerra annuale che dura sette giorni, la «Settimana contro l'apartheid di Israele» […][…]Perché, infatti, fare circolare film come Valzer con Bashir o Lebanon e confrontarsi con le idee dei loro autori? Meglio farli tacere, come il regime iraniano sta tentando di fare con il loro collega Jafar Pahani, arrestato ieri mattina a Teheran. Meglio ignorare la quantità impressionante di pensiero critico che gli intellettuali israeliani hanno prodotto in questi anni, riuscendo non di rado a bloccare o moderare le spinte più intransigenti della politica e dei settori meno concilianti dell'opinione pubblica. La tentazione sarebbe quella di lasciar correre, di ignorare queste forme aggressive di ostilità minoritaria […][…]Quello che sta accadendo nella «Settimana contro l'apartheid di Israele» a Roma, Pisa, Bologna, Amsterdam, Toronto, Londra, è però un insulto alla dialettica culturale, uno schiaffo immeritato a quella libertà di pensiero che uomini come Oz, Abraham Yehoshua, David Grossman hanno sempre difeso con forza e con coerenza. Come hanno nello stesso tempo difeso senza esitazioni la loro patria da tutti quelli che la volevano e la vogliono distruggere. Paolo Lepri, il Corriere della Sera, 3 marzo 2010
Difendere il Mossad per difendere Israele La santimonia di quei censori d'Israele che si ergono a proteggerlo da se stesso raramente brilla d’onestà intellettuale. S'agghindano da amico preoccupato e lanciano strali pieni di livore mascherati da buoni consigli. Ma alla fine non riescono a celare il rancore. E il caso di David Gardner (Financial Times e ll Sole 24 Ore di sabato scorso). Affidandosi a letteratura faziosa e spesso fantasiosa quali gli scritti di Avi Shlaim - lo storico di Oxford malato della stessa propensione alle filippiche contro Israele con l'aggravante di una parallela riluttanza a criticare le tirannie arabe di cui ha passato la vita a fare apologia - Gardner usa la scusa dell'assassinio a Dubai del terrorista di Hamas Mahmoud alMabhou per ricordare al lettore tutti i fallimenti del Mossad e per offrire un messaggio politico neanche troppo velato - i servizi farebbero meglio a far di punto, altrimenti tali avventatezze producono imbarazzi o peggio, veri e propri disastri politici. [...][...] Primo, la storia nota di ogni servizio segreto (una professione che si fonda spesso sulla violazione delle leggi di altri paesi) abbonda di fallimenti: i successi sono più spesso tenuti segreti e solo più tardi e solo in parte resi noti. Pensiamo soltanto alla guerra in Iraq o alla rivoluzione in Iran, la prima avvenuta grazie a informazioni sbagliate, la seconda avvenuta perché non anticipata dai servizi. Posto che Gardner abbia ragione il Mossad è in buona compagnia. Secondo, anche ammettendo che sia stato Israele a ordinare l'assassinio di alMabhou - e alcuni dettagli della storia sollevano qualche dubbio - cosa ci si aspettava? Immaginiamoci la scena. Immigrazione di Dubai agli assassini israeliani: «Nazionalità?». «Israeliano!». «Professione?». «Agente del Mossad». «Scopo della visita?». «Assassinio di un terrorista di Hamas!» «Benvenuti a Dubai!». [...][...] E sesto, a un Israele cui si rinfaccia l'uso eccessivo della forza nel reagire agli attacchi dei suoi nemici - vedi Operazione Piombo Fuso su Gaza - si dovrebbe applaudire, non deprecare di aver preso a cuore tale critica e questa volta di aver eliminato una minaccia senza danno collaterale alcuno. […]Emanuele Ottolenghi, il Sole 24 ore, 3 marzo
Hollywood si prende troppe licenze. Così il nazismo diventa gioco Già l’anno scorso c'eravamo meritati Bastardi senza gioita di Quentin Tarantino, dove Hitler non moriva a Berlino maa Parigi, nell'incendio di un cinema. Dove ebrei americani, combattenti per la libertà, strappavano lo scalpo ai nazisti che catturavano; o incidevano una svastica sulla fronte di coloro che lasciavano in libertà. Il sergente Donnie Donowitz, alias «l'Orso ebreo», giocava a baseball con i crani delle proprie vittime. Lo stesso Hitler diventava una sorta di Grande Produttore che aveva esteso a Germania ed Europa le frontiere dei suoi studio. E Tarantino, quando gli si chiedevano spiegazioni sul significato ultimo del suo film, non temeva di rispondere che, per gli angeli sterminatori antinazisti le cui «nonnette» europee erano rimaste «impotenti» quando per la prima volta si andò a «bussare alle loro porte», il tempo era scaduto e «l'ora della vendetta» era suonata. [...][...] Oggi è un altro gigante del cinema americano, Martin Scorsese, a impadronirsi del materiale altamente infiammabile che è la storia del nazismo, e nel farlo, temo, si assume una responsabilità dello stesso genere. Anche in questo caso, il talento non è in causa. Né è in causa la trama del film, dal titolo «Shutter Island» (nei cinema italiani da venerdì, ndr), che mescola con un virtuosismo sbalorditivo i riferimenti a Hitchcock, a Samuel Fuller, a Vincent Minnelli o al film troppo spesso sottovalutato di Val Lewton e Mark Robson, «Il vampiro dell'isola». Ma cosa pensare, di nuovo, dell’identificazione implicita di Guantanamo con i campi della morte? Cosa pensare dell'isola del Diavolo, situata nel cuore degli Stati Uniti, dove l'amministrazione avrebbe riciclato dopo la guerra ex criminali nazisti? E Dachau? Che dire delle immagini del campo di Dachau allegramente confuso con Auschwitz, visto che sul frontone dell'entrata appare la celebre scritta: Arbeit Macht Frei? Che pensare degli ossari dove morti colorizzati ci guardano con occhi da bambole di cera o di plastica e tornano, lungo tutto il film, come un terribile Leitmotiv, a ossessionare il cervello dell’eroe? E come non sussultare, infine, quando appare l'inquadratura della camera a gas vuota di cui Leonardo Di Caprio, errando nei sotterranei dell'ospedale psichiatrico dove svolge la sua inchiesta, apre inavvertitamente la porta e intravede i rubinetti delle docce non più usati? [...]Bernard Henri Lévy, il Corriere della Sera, 3 marzo 2010 (cliccando sui titoli si aporono articoli) http://www.moked.it/


"STRANGERS"

Il Pitigliani Kolno’a Festival sbarca nella Laguna

Dopo il successo dell’edizione romana, sbarca nella città lagunare il Pitigliani Kolno’a Festival con una rassegna di sette lungometraggi e due documentari che dal 2 al 18 marzo arricchiranno la programmazione della Casa del Cinema di Venezia. Ogni anno il Pitigliani Kolno’a Festival presenta il meglio della cinematografia israeliana suddivisa in quattro sezioni: La sezione “Sguardo sul nuovo cinema israeliano”, lungometraggi e documentari, “Scuole di cinema da Israele”, cortometraggi provenienti dalle più rinomate scuole di cinema israeliane. Le ultime due sezioni, una dedicata alle realtà israeliane e l’altra al cinema di argomento ebraico, variano ogni anno tema. Nel 2009 per la sezione “percorsi ebraici” si sono prese in considerazione le realtà ebraiche ai quattro angoli della Terra, mentre per la sezione dedicata a Israele si è deciso di festeggiare i 100 anni della città di Tel Aviv con i classici della cinematografia locale.Un evento che si è potuto realizzare grazie all’impegno della sezione veneziana dell’Adei e alla collaborazione del Pitigliani Centro Ebraico Italiano, con il contributo del Centro veneziano di studi ebraici internazionali, del Ministero degli Esteri di Israele e dell’Hotel Kosher restaurant Giardino del Ghetto.Già da tempo L’Adei Venezia dedica serate alla proiezione di film israeliani o di interesse ebraico, l’intento di questa rassegna è di riuscire a portare questa attività al di fuori delle mura comunitarie cercando di coinvolgere il pubblico cittadino.A inaugurare il festival, l’intervento del curatore Dan Muggia che ha posto l’attenzione sull’evoluzione del cinema israeliano negli ultimi anni: “L’evoluzione del cinema israeliano è rappresentata dal fatto che i grandi soggetti, come il conflitto israelo-palestinese o la tensione tra le varie componenti etniche della società, non vengono più indagati attraverso un filtro politico, ma attraverso un filtro personale analizzando le influenze della realtà israeliana odierna sull’individuale”. Presenti all’evento Roberto Ellero, direttore del settore cultura del Comune di Venezia e responsabile del centro Culturale Candiani di Mestre e il regista Erez Tadmor; di quest’ultimo la firma da coregistra sui due film che aprono la rassegna: Una grande storia (Sipur Gadol) e Stranieri (Zarim). Il primo film, realizzato insieme a Sharon Maymon, racconta le avventure di un gruppo di persone obese della città israeliana di Ramle, che dopo il tentativo fallimentare di mettersi a dieta cercheranno un riscatto nella pratica sportiva del Sumo. Nella seconda pellicola, realizzata insieme a Guy Nattiv, viene invece descritta una storia d’amore impossibile: sei giorni immersi nella vita di Eyal, un israeliano proveniente da un kibbutz, e di Rana, una palestinese di Parigi. I due incontratisi per caso nella metropolitana di Berlino durante la finale della coppa del mondo 2006, dopo varie vicissitudini si ritroveranno profondamente innamorati l’uno dell’altro.La rassegna proseguirà nei prossimi giorni con Meduse di Etgar Keret e Shira Geffen (giovedì 4, ore 18/21), Souvenirs di Shahar Cohen e Halil Efrat (martedì 9 ore 18), Noodle di Ayelet Menahemi (martedì 9 ore 21), Il giardino di limoni di Eran Riklis (giovedì 11 ore 18/21), La forza di nuotare di Yaron Zilberman (martedì 16 ore 18), Vacanza d’estate di David Volach (martedì 16 ore 21) e infine La sposa siriana di Eran Riklis (giovedì 18, ore 18/21).Michael Calimani, http://www.moked.it/



E se qualcuno avesse messo in giro la voce:«L'undici settembre alle Torri Gemelle non è andato a lavorare nessun Italo-americano e nessun Italiano...»E se qualche rivista di satira avesse poi messo in giro questa vignetta...... vi avrebbe fatto piacere?http://digilander.libero.it/


A proposito di antisemitismo

Nel momento in cui i segnali di antisemitismo - come ricordato, anche ieri, in questa newsletter - sembrano moltiplicarsi, dovunque, in modo sinistro e inquietante, e l’Europa, e l’Italia, ricominciano, con la cosiddetta settimana di boicottaggio contro Israele, a dare il peggio di sé, non sarà inutile formulare, a mo' di "pro-memoria", quattro brevi considerazioni in ordine all’antico, velenoso fenomeno. La prima osservazione da fare è che è sempre un grave errore far coincidere l’antisemitismo con il suo più recente, o più incombente, "abito" o "travestimento", giacché sua prima caratteristica è proprio la straordinaria capacità di mimesi, camaleontismo e adattamento. In virtù di tale attitudine, esso si è annidato, in passato, negli abiti più disparati - di taglio teologico (il popolo "deicida"), economico (gli avidi usurai), biologico (la razza inferiore), politico (gli scherani del capitalismo o, al contrario, i sovversivi bolscevichi) -, senza mai, tuttavia, esaurirsi in nessuno di essi, in quanto, “passato di moda” un abito (in genere per una sconfitta storica dei suoi promotori, come per il nazifascismo), è facilissimo indossarne un altro, apparentemente assai diverso. “Voi odiate gli ebrei - scrisse, nella sua Lettera a Hitler, nel 1932, Louis Golding - per certe vostre ragioni. Per esempio: hanno ucciso Cristo, hanno generato Cristo. Sono i granitici baluardi del capitalismo, sono gli acidi che dissolvono il capitalismo. Hanno un aspetto repellente, seducono e portano alla perdizione i giovani e le ragazze nordiche”. (E, se avesse scritto qualche decennio più tardi, avrebbe probabilmente aggiunto: “si lasciano portare al macello come agnelli, sono guerrieri feroci e spietati”).Per combattere - o semplicemente comprendere - l’antisemitismo occorre pertanto, innanzitutto, saperne riconoscere e smascherare i vari travestimenti, passati, presenti e futuri, senza preferire (per ingenuità, o per viltà) quelli ormai dismessi, o in declino, nella cui condanna sembrano potersi facilmente raggiungere ampie convergenze, e facendo finta di non vedere i nuovi paludamenti dell’odio antiebraico. Anche se, certo, è più comodo e meno rischioso, al giorno d’oggi, parlare del superamento dell’accusa di “deicidio” piuttosto che delle sue “versioni aggiornate” (come il “palestinicidio”), o prendersela con tiranni già abbattuti, morti e sepolti, piuttosto che con i loro baldanzosi "nipotini”. Francesco Lucrezi, storico, http://www.moked.it/


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Educazione ebraica, direttori delle scuole a confronto

Il Centro bibliografico dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane ospita oggi e domani l’undicesimo forum di formazione per direttori scolastici organizzato dal Centro pedagogico del Dipartimento educazione e cultura Ucei (Dec). “Il Forum è nato quasi quattro anni fa come piattaforma di dialogo e di confronto aperto fra i direttori della rete delle scuole ebraiche italiane”, spiega Odelia Liberanome, coordinatrice del Centro. A presiedere le sessioni dei lavori di oggi e di domani il rav Roberto Della Rocca, direttore del Dec, che ha aperto la giornata citando e commentando il famoso passo della Bibbia che riguarda il vitello d’oro. “La scuola è un punto critico in cui il confronto può essere molto delicato”, ha osservato poi il Rav Della Rocca nello spiegare la grande responsabilità che compete agli educatori. A moderare l’incontro lo psicologo ed esperto di coaching Daniel Segre.Oggi saranno argomento di dibattito e confronto: I punti forti dell’educazione ebraica in Italia, e i Possibili sviluppi per il rafforzamento delle prospettive per il futuro dell’educazione ebraica.Domani i lavori riprenderanno alle 9 del mattino. Daniel Segre parlerà di: aggiornamenti e riflessioni al termine del primo quadrimestre e La scuola e la società in cui opera, nuovi valori. Marta Morello analizzerà e presenterà il progetto sul clima scolastico condotto a Torino.Nel pomeriggio saranno invece presi in esame i progetti futuri del Forum di formazione per direttori scolastici.Lunedì e martedì della prossima settimana a Firenze ci sarà il terzo incontro dei vicepresidi e collaboratori alla direzione che affronterà tematiche relative ai ruoli che queste persone ricoprono all’interno delle scuole ebraiche.l.e. http://www.moked.it/


"Marry Him" (Sposalo)

è il titolo dell'ultimo saggio di Lori Gottlieb nel quale si sostiene la necessità di accontentarsi di un' "anima abbastanza gemella" senza cercare la perfezione. Per la psichiatra Michelle Friedman della scuola rabbinica "Yeshivat Chovevei Torah" è un invito a tornare "ai tempi di patriarchi e matriarche" perché "accettavano molti compromessi ma condividevano solidi valori comuni".
Maurizio Molinari,giornalista, http://www.moked.it/


"Noi Göring, sterilizzati per evitare altri mostri"

Un regista israeliano racconta in un documentario le vite dei discendenti dei criminali nazisti
Dice Bettina Göring: «Ho gli stessi occhi, zigomi e profilo del mio prozio Hermann. Gli assomiglio più di sua figlia». Che fardello, condividere il cognome e i geni del feldmaresciallo di Hitler responsabile della «soluzione finale al problema ebraico». Bettina è nata dieci anni dopo il processo di Norimberga, vive a Santa Fe, nel New Mexico, si occupa di medicina alternativa e, come il fratello, a trent’anni si è fatta sterilizzare: «Non volevamo produrre nuovi Göring». La sua storia, insieme ad altre di figli di gerarchi nazisti, è stata raccolta dal regista israeliano, Chanoch Zeevi, che ha realizzato il documentario «Hitler’s Children», i bambini di Hitler, in uscita la prossima estate. Il padre di Bettina, Heinz, era stato adottato dal potente zio dopo essere rimasto orfano. Pilota della Luftwaffe, abbattuto e poi fatto prigioniero dai sovietici, tornato in Germania non parlò mai di lui. La nonna, invece, «lo adorava». Era la responsabile delle crocerossine della Germania nazista, in rapporti di amicizia con i vertici del regime: «Aveva un sacco di foto che la ritraevano con Hitler - ha raccontato Bettina -. Negava i crimini. Un giorno guardavamo insieme un documentario tv sull’Olocausto e lei si mise a gridare: tutte bugie, non è vero niente». Bettina è cresciuta dilaniata dai sensi di colpa: «Mi sono sentita responsabile dell’Olocausto, responsabile della mia famiglia che vi aveva partecipato così attivamente». Un altro Göring, Matthias - figlio di Ernst Wilhelm, cugino di Hermann, medico di guerra e prigioniero in Unione Sovietica - oggi vive in Israele, dove si occupa dei sopravvissuti agli attentati kamikaze. Porta la kippah, mangia Kosher, celebra lo Shabbat e studia l’ebraico per convertirsi. La famiglia pensa che sia diventato matto, lui racconta al regista: «Dopo decenni passati a soffrire per il mio cognome e a disprezzare gli ebrei, ho trovato la mia strada». Della sua infanzia dice solo: «Non è stata delle più felici, ci angariavano senza pietà». Prima della guerra i Göring erano una famiglia ricca e unita. Crollato il Terzo Reich, crollarono pure loro. Il padre di Matthias aveva aperto un ambulatorio vicino ad Heidelberg, ma gli facevano trovare lungo. Così erano poveri: «Quando noi figli chiedevamo qualcosa, mia madre ci diceva: non potete averla, perché tutti i nostri soldi sono andati agli ebrei. Erano diventati il simbolo di tutto quello che non potevamo avere». Come lui, anche Katrin Himmler, pronipote di Heinrich, il capo delle SS, ha trovato la salvezza in Israele: ha sposato il figlio di un sopravvissuto all’Olocausto: «Eravamo predestinati». Del prozio dice: «Non ho mai avuto paura di avere “il sangue dell’ Himmler malvagio”». Infatti ha avuto un figlio e adesso pensa a come «un giorno gli racconterò la storia del suo avo». Nel documentario c’è poi Monika Hertwig, 65 anni, figlia del comandante del lager di Cracovia, Amon Goeth. Al regista racconta dettagli raccappriccianti: «Gli piaceva sparare dal balcone sulle madri con il figlio in braccio, per vedere se con una pallottola riusciva a ucciderne due». E’ una donna disperata: «E’ possibile separare il padre dall’assassino? Quanto dell’assassino è in me?». Racconta di quando - aveva 12 anni - entrò in un caffè e fissò l’uomo che lavava le tazze: «Aveva le maniche arrotolate e si vedeva un numero tatuato. Mi disse che era stato nel lager di Cracovia. Oh! gli dissi, mio padre era il capo. Lui rabbrividì e mi chiese: “Tuo padre era Amon Goeth?». Lei gli sorrise, contenta di aver trovato qualcuno che avrebbe potuto raccontarle qualcosa di lui. «Lui mi indicò la porta e mi intimò di non farmi vedere mai più». Sua madre, Ruth, era stata l’amante di Goeth. Si suicidò nel 1983, non riuscendo a convivere con il pensiero che l’uomo che un tempo aveva amato fosse un criminale. E avendo sentimenti ambigui anche verso la loro figlia. Monika aveva 11 anni quando le disse: «Sei come tuo padre e morirai come lui». Goeth era stato impiccato vicino al lager che aveva diretto.


Israele, on line le T-shirt degli 007

Due palme, il profilo dell'albergo Burj al-Arab, i volti di due uomini e sopra l'immagine di una pistola la scritta "Mossad Dubai". Sul sito Israel Catalog è possibile acquistare una T-shirt celebrativa dell'omicidio di Mahmoud al-Mabhouh, capo di Hamas, responsabile dell'approvvigionamento di armi dall'Iran, delitto attribuito ai servizi segreti israeliani del Mossad. Disponibile in più colori, costo di listino 22 dollari, ma è previsto uno sconto, la maglietta è l'ultima di una serie, dove si può trovare altre icone famose, come la sagoma dell'Uzi, la maneggevole mitraglietta di progettazione israeliana. http://www.tgcom.mediaset.it/


Quneitra

Israele-Siria, tregua a suon di mele
Tel Aviv, 2 mar - E' iniziata oggi al valico di Quneitra l'esportazione di diecimila tonnellate di mele dalle alture occupate del Golan verso Damasco. Le operazioni di transito avvengono sotto la supervisione della Croce Rossa internazionale con la cooperazione delle Nazioni Unite e dureranno prevedibilmente alcune settimane. Il valore complessivo di queste esportazioni è stimato in diversi milioni di dollari. Un momento di distensione nei rapporti sempre molto tesi fra Israele e Siria. Si tratta del quinto anno consecutivo in cui il valico di Quneitra viene aperto per consentire l'introduzione in Siria di mele che - secondo il portavoce militare israeliano - sono state prodotte nel Golan da agricoltori non solo drusi-siriani ma anche israeliani.
Arriva a Beirut il libro Storia di amore e di tenebre, scritto dall'israeliano Amos Oz e tradotto in arabo
Tel Aviv, 3 mar -Storia di amore e di tenebre, questo il titolo di uno fra i libri di maggior successo internazionale dello scrittore israeliano Amos Oz. E’ stato tradotto anche in arabo e nei prossimi giorni uscirà a Beirut. Ad occuparsi delle traduzione è stato lo scrittore Jamil Ghneim. La prefazione è stata scritta dall’avvocato arabo Elias Khoury, il cui figlio George fu ucciso anni fa a Gerusalemme da attentatori palestinesi che erano convinti fosse di religione ebraica. “Finanziando la traduzione del libro - ha spiegato l'avvocato Khoury - ho cercato di lanciare a mio modo un messaggio di tolleranza”. "Pensavo che si trattasse di una storia provinciale, comprensibile solo a chi aveva vissuto nella Gerusalemme negli anni della mia giovinezza. Mentre lo scrivevo - ha detto Amos Oz al quotidiano Haaretz - non ero sicuro che anche a Tel Aviv esso sarebbe stato compreso". Invece è stato tradotto in 27 lingue e venduto in un milione di copie.
Netanyahu: “Pronti a riprendere le trattative con la Siria”Beirut,
3 mar -Il premier israeliano Benyamin Netanyahu si è detto "pronto a recarsi immediatamente a Damasco per incontrare il presidente siriano Bashar al Assad" per avviare colloqui di pace tra i due Paesi. A divulgare la notizia è stato il quotidiano panarabo Asharq al Awsat, secondo lo stesso la proposta del premier israeliano giunge in risposta a quanto affermato la settimana scorsa dal ministro degli Esteri siriano Walid al Muallim circa la "disponibilità siriana ad accettare un ritiro israeliano a tappe dalle Alture del Golan", occupate dallo Stato ebraico nel 1967.
Riprendono i colloqui indiretti fra Israele e Anp
Gerusalemme, 4 mar - Il quotidiano israeliano Haaretz pubblica oggi la notizia che Israele e Autorità nazionale palestinese potrebbero annunciare l'avvio di colloqui di pace indiretti già la prossima domenica, dopo l' arrivo in Israele -sabato sera - dell' inviato Usa George Mitchell. Secondo Haaretz gli Stati Uniti sperano che l'annuncio preceda l'arrivo in Israele del vice presidente americano Joe Biden, atteso lunedì prossimo. Lo stesso giornale riferisce inoltre che il presidente Shimon Peres, in colloqui privati con personalità politiche, ha espresso il parere che il premier Benyamin Netanyahu non potrà portare avanti il processo di pace nel contesto dell' attuale coalizione di partiti, alcuni dei quali di estrema destra, che sostiene il suo governo. Secondo Peres perciò Netanyahu dovrebbe rivolgere un'offerta al partito di maggioranza relativa Kadima della signora Tzipi Livni, che guida l'opposizione, di entrare nel governo a condizioni onorevoli. Il Presidente avrebbe invece criticato i tentativi del Premier di provocare una scissione all'interno di Kadima.http://www.moked.it/


ara pacis

Ara Pacis, a Roma si prepara anche il vertice fra Peres e Abu Mazen

Il 21 e 22 aprile prossimo il presidente di Israele Shimon Peres e Abu Mazen, presidente dell'Anp, si incontreranno all'Ara Pacis in occasione delle celebrazioni del Natale di Roma. Ieri mattina si è svolto in Campidoglio l’incontro di preparazione e il sindaco della capitale, Gianni Alemanno, ha presentato il programma dell'incontro insieme ai rappresentanti dei due Paesi, l'ambasciatore Uri Savir (collegato in videoconferenza) e l'ambasciatore Al-Aflak.L’evento di aprile prossimo sarà distinto in due momenti; il primo (del 21 aprile) sarà dedicato all’insediamento del “Consiglio per la dignità, il perdono e la riconciliazione” promosso dalla Glocal Forum. Nello stesso giorno il Consiglio avvierà un confronto con le principali ONG, Associazioni, Fondazioni che promuovono il peacebuilding.Il secondo appuntamento vedrà l’incontro dei presidenti Peres e Abu Mazen, presso l’Ara Pacis, insieme al sindaco Alemanno che punta a "lanciare un messaggio per dimostrare che Roma può essere il luogo ideale per parlare di convivenza pacifica, utile alla stabilizzazione e alla crescita del Mediterraneo” chiarendo, però, che"Spetta alla diplomazia e non a noi di dirimere i problemi concreti, ma un segnale di questo genere può aiutare le trattative tra israeliani e palestinesi, rappresentando un simbolo potente in grado di generare fatti concreti".L’ambasciatore palestinese Hussein Al-Aflak ha poi aggiunto: “Fino ad ora è mancata l’applicazione dei colloqui, in una partita dove serve un arbitro che fischia e non i tifosi delle due parti”. Poi, è intervenuto l’ambasciatore e presidente del Peres center for peace ,Uri Savir,che apprezzando l’iniziativa ha aggiunto “La pace non è un problema solo di una nazione ma ne riguarda tutte” e chiamando my fiend Abu Mazen ha confermato l’impegno d’Israele a continuare il cammino del dialogo. Così nell’Urbe si respirerà un clima disteso e incoraggiante per l’incontro tra Peres e Abu Mazen, o almeno sembra.I fumi della guerra di Gaza hanno soffocato il flebile anelito dei “vecchi” colloqui da cui sarà difficile ripartire soprattutto perché lo Stato che quotidianamente è minacciato di scomparire, Israele, dovrà confrontarsi (lontano dall’Ara Augustae) con un terzo interlocutore: Hamas.
2 Marzo 2010, http://www.loccidentale.it/