sabato 21 novembre 2009

Massimo Bordin
Conversazione settimanale con il direttore di Radio Radicale Massimo Bordin.

Sintesi degli argomenti di questa settimana:

Due soldati israeliani processati e condannati per aver rifiutato di sgomberare delle case di settlers.L'aumento di soldati religiosi che si arruolano: il fenomeno del nazionalismo religioso e la crescente contestazione di destra all'interno dell'esercito.La richiesta del "congelamento" degli insediamenti.Le differenze tra Arafat e Abu Mazen che sono emerse anche durante il ricordo di Abu Mazen alle celebrazioni per l'anniversario dalla morte di Arafat alla Muqata nei giorni scorsi.Abu Mazen è andato a sondare il terreno per verificare se andare avanti o meno sulla decisione di non ricandidarsi alle prossime lezioni presidenziali, indette da lui stesso per gennaio. In generale si pensa all'opportunità o meno di queste elezioni, dal momento che sembra quasi sicuro che Fatah le perderebbe.Saeb Erekat, storico negoziatore palestinese, ha sollevato l'idea di dichiarare unilateralmente la nascita di uno stato palestinese. Come? Facendo rilasciare alle Nazioni Unite una risoluzione ad hoc. Anche se dovesse avere valore solo simbolico, non è detto che questa iniziativa all'ONU non passerebbe, soprattutto sulla scia della vicenda del Rapporto Goldstone.Frattanto, Netanyahu ha ribadito la richiesta di sedersi al tavolo delle trattative senza precondizioni (come quella del "congelamento"), riaffermando la disponibilità a grandi concessioni. Plausibile, ricordandoci degli accordi di Wye Plantation, fatti proprio da Bibi nel 1998 e in generale dei grandi gesti di uomini di destra per cercare di raggiungere la pace.Yaakov Katz, membro del governo Netanyahu, ha contestato la possibilità di dichiarazione unilaterale di uno Stato palestinese, facendo riferimento alla possibilità che allora anche Israele annetta unilateralmente zone della West Bank e richiamando piuttosto alla Risoluzione 242 che invita a sedersi al tavolo dei negoziati.Il Times di Londra rivela oggi (17.11.09) che Muhammad El Baradei, il direttore dell'AIEA, avrebbe stilato da settembre un documento segreto, presentato dal Times come un documento di resa, che darebbe all'Iran la possibilità di arricchire il suo uranio, concedendo in cambio all'Agenzia per l'Energia Atomica di effettuare alcune ispezioni cicliche.Mentre Obama dichiara "è il momento che l'Iran si comporti in maniera pacifica e trasparente", l'AIEA ha rilasciato due rapporti, questi pubblici: uno sulla visita al sito segreto di Qom, scoperto il mese scorso e un altro sulla Siria.Nel primo rapporto si parla dell'eventualità che, essendo la centrale di Qom stata mantenuta in segreto molto bene per lungo tempo, esistano altre centrali non dichiarate.Il secondo rapporto fa riferimento a 3 luoghi nelle vicinanze del sito bombardato in Siria nel settembre 2007 dove, con i resti del reattore nucleare bombardato allora, sembra si stia continuando un'attività di arricchimento di uranio e plutonio.I sospetti sul rapimento da parte di forze che collaboravano con il Mossad di Ali Reza Askari, un ufficiale della difesa iraniano scomparso all'inizio del 2007 mentre si trovava in Turchia, forse ora detenuto in un carcere israeliano. Fonte: la radio militare israeliana (Galei Tzahal). Si suppone che sia Askari dietro al passaggio di informazioni sul reattore siriano succitato, bombardato nel settembre 2007 e sulla sorte di Ron Arad, il pilota israeliano scomparso dal 1986.Fronte delle trattative israelo-siriane: il consiglio di Sarkozy a Netanyahu di concentrarsi su quel fronte dato lo stallo su quello palestinese. Il viaggio di questi giorni di Kouchner in Israele e Siria segue la visita della settimana scorsa di Bashar Assad a Parigi.Nuovi revisionismi: un professore dell'Università di Gaza in un'intervista alla televisione Al Aqsa ha sostenuto che le lamentele degli ebrei che costruirono le Piramidi, per cui furono maltrattati e sfruttati, sono una mera bugia. I ritrovamenti archeologici hanno dimostrato che gli schiavi ebrei erano trattati benissimo.


Israeli soldier aiming his weapon. May 1948.

Le mogli dei dittatori ci fanno lezione

Il Giornale, 17 novembre 2009, Fiamma Nirenstein
L’Unità esalta la conferenza contro la fame delle first lady del Terzo mondo. Dove a spiegare come sconfiggere il sottosviluppo erano la signora Ahmadinejad e la rappresentante del governo cubano.È davvero corruttiva rispetto al ruolo della donna nella società, alla sua dignità, all’uso del corpo la prima pagina dell’Unità di ieri: una schiera colorata di foto di donne avrebbe dovuto testimoniare l’eccellenza della femminilità nel combattere la battaglia contro la fame nel mondo in occasione di un vertice di first ladies nell’ambito della Conferenza della Fao. Ma queste donne, che hanno come caratteristica predominante quella di essere mogli, se poi si va a guardare mogli di chi, si vede che il giornale fondato da Antonio Gramsci cade in una deprimente trappola propagandista. La patente di combattenti contro l’ingiustizia sociale che viene loro attribuita da un titolo «Donne contro la fame» infatti, certo non è quello più meritato da chi condivide e sostiene le politiche di paesi totalitari, discriminatori verso le donne, che perseguitano ogni opinione diversa e che sono poveri non per destino divino, ma perché la dittatura impoverisce la gente.
Il senso comune accredita alla donna un ruolo rassicurante e materno, nutriente, di servizio. Basta richiamare appunto questi stereotipi con un titolo accattivante per cui la donna, lo stereotipo della donna, si batte contro, mette sempre qualcosa in tavola, sconfigge la fame, perché persino la moglie di Ahmadinejad, Azham al Farahi, piazzata in pole position nella prima foto a sinistra, la passi liscia. È diventata una first lady in lotta contro la fame, e proprio per questo l’aveva spedita il regime degli Ayatollah. Eppure, non le vede l’Unità?, da sotto il suo chador spuntano inaudite persecuzioni dei diritti umani, si affaccia la figura della donna che davvero è il simbolo dell’Iran che soffre anche a causa di donne come Azham e il suo regime: Neda Agha Soltan, uccisa in piazza a 27 anni. Come ignorare che le esecuzioni nel 2009 finora sono 343, non sappiamo incluse quante donne lapidate accusate di adulterio? Come scordarsi, in un Paese armato fino ai denti e in corsa verso l’atomica, la mortalità infantile al 30 per mille, la popolazione sotto la soglia della povertà al 53 per cento, l’inflazione al 30 e la disoccupazione fra il 10 dichiarato e il 25 reale? Questo, mentre la first lady iraniana ha pontificato, proprio nello stile di suo marito, sui crimini del capitalismo che ha causato la miseria del mondo, e ha suggerito di seguire lo stile iraniano. Furbescamente poi, ha anche chiesto (piuttosto che di distruggere Israele come al solito) di occuparsi dei bambini di Gaza: è molto più umanitario, ma la scelta di quegli specifici bambini con tanti che soffrono nel mondo dice, come il marito: gli ebrei sono infami persecutori.
Oltre a Azham, sulla copertina, a farle da cornice rassicurante appaiono due donne nere, fra cui Juliana Nwanze, moglie del presidente dell’Ifad, il fondo internazionale per l’agricoltura e un’altra che, benché in prima, resta non identificata; e poi, Suzanne Mubarak, la moglie del presidente Mubarak d’Egitto, e Leila Ben Ali, moglie del presidente tunisino. Certamente non due star della democrazia, con i dovuti distinguo. Al vertice c’era anche la moglie di quello che viene ritenuto a buon diritto uno dei peggiori dittatori del mondo, Mugabe, presidente dello Zimbabwe. Molti regimi dittatoriali hanno approfittato della discussione alla Fao per mandare la sua figura materna a fargli propaganda: ha parlato anche la signora Maria Esther Reus Gonzalez, ministra cubana della giustizia, ovvero di un Paese i cui dissidenti sono incarcerati.Non vogliamo fare di tutte le erbe un fascio, sappiamo che la signora Mubarak si è battuta a fondo contro le mutilazioni genitali e per la pace. Sappiamo anche che l’Egitto è un Paese dove il rais ha addosso il terrorismo della Fratellanza Musulmana. E tuttavia non possiamo ignorare che vi si reprimono duramente i dissidenti, e un terzo dei bambini soffre di malnutrizione. Quanto a Mugabe il 75 per cento della sua popolazione vive in disperata povertà, 10 milioni sui 13 ogni giorno lottano per sopravvivere a causa delle sue politiche.
Salvo eccezioni, i Paesi più affamati sono quelli dittatoriali: la mancanza di controllo da parte della popolazione, crea situazioni di corruzione in cui la classe dirigente può arricchirsi alle spalle del popolo purché ubbidisca. In generale da queste conferenze si esce preoccupati, perché da una parte si pianificano aiuti mentre un mare di accuse investe il mondo capitalista, dall’altra si sa che almeno in parte non saranno utilizzati a favore delle popolazioni. Il mondo non sarà salvato da agiate mogli in rappresentanza dei loro dittatori, ma da donne che, e sono tante, capiscono che libertà e benessere devono formare una parola sola.

mappa di Gerusalemme


"Per i palestinesi anche Gerusalemme è un insediamento d'Israele"

L'Occidentale, 20 novembre 2009Intervista a Fiamma Nirenstein di Andrea Holzer
Una pioggia di critiche sono piovute addosso al governo israeliano, dopo l’approvazione di un piano regolatore che prevede la realizzazione di 900 appartamenti nella zona di Ghilo, a sud-ovest della Città Santa, da parte dell’amministrazione municipale di Gerusalemme. L’Onu, gli Stati Uniti, l’Autorità Palestinese e altri governi occidentali, hanno gridato alla scandalo e profetizzato la fine prematura dei negoziati, benché l’approvazione del piano preveda comunque molti altri passaggi burocratici (le palazzine, infatti, vedranno la luce soltanto tra diversi anni).Il fatto è che Ghilo non è "un insediamento", visto che fa parte della Città Santa, e le cosiddette “precondizioni” poste dall'amministrazione Obama, di cui tanto si è parlato, facevano riferimento allo stop degli insediamenti fuori dalla capitale israeliana. Ma gli arabi considerano sacra quella parte di Gerusalemme in cui sarebbe passato il Profeta, così come gli israeliani reclamano il diritto inalienabile di abitare quella che considerano da sempre la “loro” capitale. E' uno dei nodi della irrisolta questione israelo-palestinese. Abbiamo chiesto a Fiamma Nirenstein, Vicepresidente della Commissione Esteri della Camera dei Deputati, di spiegarci meglio cos'è accaduto a Ghilo.Onorevole Nirenstein, sono in molti a credere che il governo israeliano abbia commesso un errore nel dare la sua approvazione al piano regolatore nella zona di Ghilo, Lei che ne pensa? Che Ghilo non ha affatto il carattere di un insediamento. E' un quartiere attraversato dalla Linea Verde, da cui si vede, vicinissimo, il centro di Gerusalemme, ma è stato costruito solo dopo il 1967 su un’altura da cui i Giordani bombardavano il centro ebraico della città, senza che nessuno venisse scacciato o nessuna casa venisse distrutta, a differenza di quanto ci vuole far credere il dibattito corrente, utilizzando la parola "insediamento". È un quartiere che non ha nessun carattere ideologico, non c’è nemmeno un colono come lo immaginiamo noi in Italia. Ci abita solo gente comune a cui piace la vista di Gerusalemme e perfino una funzionaria dell’ambasciata italiana tempo fa aveva la sua abitazione proprio lì.Tanto rumore per nulla?E' in casi come questo che si vede l’errore dell’impostazione di George Mitchell [l'inviato speciale di Obama in Medio Oriente, ndr], che ha basato l’apertura del dialogo di pace su quest'idea sballata del blocco delle costruzioni, costringendo i palestinesi ad arrampicarsi su un albero altissimo dal quale ora non riescono più a scendere.Ma non esistevano delle "precondizioni" al processo di pace?Non ci sono mai state precondizioni di sorta all’idea basilare di sedersi intorno a un tavolo e trattare: è la base della risoluzione Onu 242 e della Road Map. Ma da quando Barack Obama si è inventato questa idea delle “precondizioni”, che comunque non possono e non devono riguardare Gerusalemme, i palestinesi si sono sentiti sospinti da un estremismo del tutto nuovo, persino nell'affrontare i colloqui che adesso si rifiutano di intraprendere...Ma perché allora i palestinesi non vogliono trattare, proprio ora che è stato approvato questo piano regolatore?Mahmoud Abbas in questo momento si trova in una posizione difficile, e quindi per lui questa nuova invenzione è come una manna dal cielo: finalmente può far vedere al mondo che sono gli Israeliani a non voler trattare. Ma come ho già spiegato, siamo di fronte a un colossale equivoco: Gerusalemme non è da considerarsi un insediamento. Il sindaco di Gerusalemme, Nir Barkat, ha dichiarato che la richiesta americana di fermare le costruzioni negli insediamenti è inaccettabile perché si basa su una questione religiosa e su un doppio standard di trattamento…Credo che Barkat voglia esprimere un concetto molto semplice: a Gerusalemme vivono ebrei, cristiani e mussulmani, e solo agli ebrei viene impedito di costruire. Ma a un arabo che volesse ampliare la propria casa a Gerusalemme, cosa diciamo? Detto questo, fra Gerusalemme e i suoi abitanti ebrei esiste un legame di tipo storico-geografico. In questa città la maggioranza delle persone è di religione ebraica da ormai moltissimo tempo e minare l’idea basilare che ci sia un nesso fra il popolo ebraico e Gerusalemme è inaccettabile.Allora siamo noi Occidentali ad aver impostato il problema in maniera sbagliata…Guardi, secondo me George Mitchell ha sbagliato tutto: in realtà avrebbe dovuto promuovere questi colloqui senza porre precondizioni assurde, è stato questo l’errore di base. Poi c’è anche il fatto che è facile, e comodo, trovare un capro espiatorio per un problema di così difficile interpretazione. E provi a indovinare chi sarà accusato questa volta?Israele...Bravo. Gli ebrei, come è sempre accaduto. Tutti amano dare addosso a Israele ma se si guarda ai fatti concreti e si legge la risoluzione Onu 242 si vedrà che non si può venire a capo della questione israelo-palestinese se non con una trattativa. Solo che è impossibile cominciare una trattativa chiedendo a qualcuno di rinunciare ai suoi diritti fondamentali, primo fra tutti quello all'autodifesa, ma come ho già detto l’Autorità Palestinese si trova in grande difficoltà e ha colto l’occasione per evitare una difficile trattativa. Adesso Abu Mazen è assediato da Hamas: in realtà sono loro a non voler trattare, non avendo un grande margine di manovra, e si trovano in acque torbide dal punto di vista della politica interna.Allora perché Obama si è immediatamente messo dalla parte di Abbas criticando la decisione israeliana?Perché in realtà Obama muore dalla voglia di ottenere qualche risultato concreto da esibire con il mondo arabo in particolare. All’inizio del suo mandato, e anche nel celeberrimo discorso del Cairo, aveva individuato la questione israelo-palestinese come uno dei problemi più urgenti da risolvere, ma ancora oggi non si sono fatti molti passi avanti, come vede.Riuscirà nel suo intento?Il Presidente Usa vorrebbe far vedere al mondo che lui è riuscito laddove molti altri hanno fallito. Sa bene che gli arabi non avvieranno trattative sulla pace se prima non otterrano quello che vogliono: dividere Gerusalemme, che è il cuore dello Stato Ebraico, e ottenere la loro capitale proprio lì, dove gli ebrei vivono dalla notte dei tempi. Per ottenere delle garanzie in merito è necessaria una severa trattativa. Abbiamo visto tutti quello che è successo quando gli israeliani si sono ritirati da Gaza: ora la Striscia è una terra di nessuno dove i terroristi di Hamas fanno il comodo loro. Lasciar loro anche una parte della Città Santa le pare una buona soluzione?



Khaled Abu Toameh

Che significa essere filo-palestinese Lo spiega bene un giornalista arabo

In un articolo pubblicato su Hudson New Khaled Abu Toameh, arabo palestinese di Gerusalemme, accusa le organizzazioni filo-palestinesi in Occidente di attivarsi in realtà contro Israele e di trascurare del tutto i Palestinesi in carne ed ossa, che hanno bisogno di porre un freno alla corruzione, alle faide interne, allo sfacelo delle istituzioni educative.
Ecco la traduzione dei passi più significativi dell'articolo.
'Negli ultimi anni è aumentato in modo considerevole il numero dei non-Palestinesi che si dichiarano attivisti pro-Palestina. Li si trova per lo più nei campus universitari in Europa e in America. Stupisce che molti di questi attivisti 'pro-Palestina' non siano mai stati in Medio Oriente, tanto meno a Gaza o nel West Bank. In maggioranza non sono neppure arabi, né musulmani. Che cosa li rende filo-Palestinesi? Secondo loro sono filo-Palestinesi perché parlano contro Israele all'Università o pubblicano materiale 'anti-sionista' su internet.(...)
Se qualcuno ha titolo a definirsi filo-Palestinese è chi fa pubbliche campagne contro la corruzione e contro la violazione dei diritti umani da parte di Fatah e di Hamas. Quelli che cercano di cambiare il sistema dall'interno appartengono davvero al fronte filo-palestinese.
Sono persone coraggiose che si oppongono sia a Fatah sia ad Hamas e chiedono di fermare gli assassinii reciproci e iniziare ad agire per migliorare le condizioni dei loro elettori. (...)
Gli attivisti pro-Palestina in occidente evidentemente non sono interessati alle riforme e al buon governo in Palestina. Per loro è molto più importante delegittimare Israele ed incitare contro i 'sionisti', anziché porre fine alla corruzione e alla violenza nella società palestinese. (...)
Dire al mondo quanto siano malvagi Israele e gli Ebrei non aiuta i Palestinesi quanto il richiedere un buon governo e aiutare la crescita di una leadership giovane e pulita nei Territori. (...)
Se il campo pro-palestinese in Occidente investisse nella promozione di una società moderata e civile in Palestina tanto quanto investe nella propaganda contro Israele, sarebbe di grande utilità per i Palestinesi.’Da: fondazionecdf.it,20 novembre 2009, di Khaled Abu Toameh




Benny Barbash

^ ^ ^ M U S A N E W S ^ ^ ^
Newsletter dell’Ufficio Culturale dell’Ambasciata di Israele

Invito tutti a visitare il nuovo magazine elettronico della casa Editrice La Giuntina: http://magazine.giuntina.it/
In home page viene riproposto parte dell’intervento di Benny Barbash all’ultimo Festival Internazionale di Letteratura Ebraica tenutosi a Roma dal 24 al 28 ottobre. Barbash, scrittore e sceneggiatore tra i più apprezzati in Israele ha preparato per il pubblico del Festival una presentazione multimediale che ripercorre la storia della “Città bianca” dagli albori fino ad oggi, un viaggio emozionante fatto di poesia, immagini e aneddoti, un quadro entusiasmante e al tempo stesso contraddittorio di una città multiforme, estremamente vivace e proiettata verso il futuro, ma al tempo stesso alla prese con i problemi che contraddistinguono tutte le grandi città di oggi e la società moderna. Minna Scorcu Coordinatrice Ufficio Culturale Ambasciata di Israele



Gerusalemme - spianata delle Moschee

Se l'Islam diventa partito

da Corriere della Sera del 18 novembre 2009, di Angelo Panebianco
La politica demo­cratica è struttu­ralmente vincola­ta a un orizzonte di breve periodo. La natu­ra del sistema democrati­co spinge gli uomini poli­tici ad occuparsi solo dei problemi che agitano il presente. Le altre grane, quelle che già si intravedo­no ma che ci arriveranno addosso solo domani o dopodomani non posso­no essere prese in consi­derazione. A differenza di ciò che fa la migliore me­dicina, la politica demo­cratica non si occupa di prevenzione. Se così non fosse, una notizia appena giunta dalla Spagna do­vrebbe provocare grandi discussioni entro le classi politiche di tutti i Paesi eu­ropei, Italia inclusa. La no­tizia è che, come era pri­ma o poi inevitabile che accadesse, c’è già su piaz­za un partito islamico che scalda i muscoli, che è pronto a presentarsi con le sue insegne nella com­petizione elettorale di un Paese europeo. Si tratta del Prune, un partito fon­dato da un noto intellet­tuale marocchino, da an­ni residente in Spagna, Mustafá Bakkach. Ufficial­mente, il suo intento pro­grammatico è di ispirarsi all’islam per contribuire alla rigenerazione morale della Spagna. In realtà, cercherà di difendere e diffondere l’identità isla­mica. Avrà il suo battesi­mo elettorale nelle elezio­ni amministrative del 2011. Se otterrà un succes­so, come è possibile, solle­verà un’onda (ce lo dico­no i flussi migratori e la demografia) che attraver­serà l’intera Europa. L’ef­fetto imitativo sarà poten­te e partiti islamici si for­meranno probabilmente in molti Paesi europei. A quel punto, la strada della auspicata «integrazione» di tanti musulmani che ri­siedono in Europa diven­terà molto ripida e imper­via. Perché? Perché la scel­ta del partito islamico è la scelta identitaria, la scelta della separazione, dell’au­to- ghettizzazione. Si po­trebbe anche dire, para­dossalmente, che quando nasceranno i partiti isla­mici sarà possibile valuta­re davvero quale sia, per ciascun Paese europeo, il reale tasso di integrazio­ne dei musulmani. Per­ché è evidente che il mu­sulmano integrato (per fortuna, ce ne sono già moltissimi), quello che vi­ve quietamente la sua fe­de e non ha rivendicazio­ni identitario-religiose da avanzare nei confronti del­la società europea in cui risiede e lavora, non vote­rà per il partito islamico. A votarlo però saranno co­munque molti altri, sia per adesione spontanea (in nome di un senso di separatezza identitaria) sia a causa della pressio­ne degli ambienti musul­mani che frequentano.
Al pari del partito isla­mico spagnolo, si capisce, ogni futuro partito islami­co europeo dichiarerà (e non ci sarà ragione di cre­dere il contrario) di rifiu­tare la violenza. Non po­trà infatti rischiare (pena il fallimento del progetto politico) vicinanze o con­taminazioni con cellule terroriste più o meno atti­ve o più o meno dormien­ti in Europa. Ma ciò non toglie che l’ideologia dei partiti islamici sarà co­munque quella tradiziona­lista/ fondamentalista.Sarà l’ideologia della cosiddetta Rinascita islamica, impregnata di valori antioccidentali e, alla luce del metro di giudizio europeo, illiberali. Si tratterà di forze illiberali che useranno la politica per strappare nuovi spazi, risorse e mezzi di indottrinamento e propaganda. Per questo, il loro ingresso nel mercato politico-elettorale europeo bloccherà o ritarderà a lungo l'integrazione di tanti musulmani. Che fare? La politica democratica non può facilmente difendersi da questa insidia. Però le possibilità di successo o di insuccesso dei partiti islamici nei vari Paesi europei dipenderanno da un insieme di condizioni.
Conteranno certamente anche le maggiori o minori chances che ciascun singolo musulmano avrà di ben inserirsi nel lavoro, e di poter accedere, per sé e per la propria famiglia, a condizioni di benessere (ma guai a credere che basti solo questo per annullare le spinte identitarie). Conteranno anche, e forse soprattutto, le caratteristiche istituzionali dei vari Paesi europei. Si difenderanno meglio, io credo, le democrazie dotate di sistemi elettorali maggioritari (che rendono difficile l’ingresso di nuovi partiti) rispetto a quelle che usano l’una o l’altra variante del sistema proporzionale.La Gran Bretagna ha commesso errori colossali con la sua politica verso l’immigrazione musulmana. Il suo scriteriato «multiculturalismo» ha finito per consegnare all’Islam, e anche all’Islam più radicale, importanti porzioni del suo territorio urbano (al punto che oggi la Gran Bretagna deve persino fronteggiare il fenomeno dei numerosi cittadini britannici, di lingua inglese, che combattono in Afghanistan insieme ai loro correligionari talebani). Tuttavia, quegli errori sono forse ancora rimediabili. Il sistema maggioritario rende infatti molto difficile l’ingresso nel mercato politico britannico di un partito islamico. Diverso è il caso dei Paesi ove vige la proporzionale nell’una o nell'altra variante: l'ingresso è relativamente facile e la politica delle alleanze e delle coalizioni, tipicamente associata ai sistemi proporzionali, garantisce influenza e potere anche a piccoli partiti. Una circostanza che i futuri partiti islamici potranno sfruttare a proprio vantaggio. Da antico, e non pentito, sostenitore del sistema maggioritario penso che quella qui descritta rappresenti una ragione in più per adottarlo.

Israele: Shalit forse in libertà alla fine di novembre

Tel Aviv, 18 novRadio Gerusalemme, basandosi su informazioni divulgate dalla emittente statunitense in lingua araba al-Hurra, ha affermato che sembra avviarsi verso la conclusione la trattativa indiretta fra Israele e Hamas per uno scambio di prigionieri che restituirebbe la libertà al caporale israeliano Ghilad Shalit, prigioniero a Gaza dal giugno 2006. Secondo al-Hurra lo scambio di prigionieri potrebbe avere luogo entro la fine di novembre. Finora tuttavia non è giunta alcuna conferma ufficiale. Ieri un dirigente di Hamas, Osama al-Mezini, ha pure affermato che le trattative procedono grazie alla mediazione di un emissario tedesco e che è stato possibile "superare ostacoli". Fonti di Hamas, citate da radio Gerusalemme, hanno tuttavia smentito che la conclusione della trattativa possa avvenire entro la fine di novembre. La sorte del caporale Shalit, che detiene anche la cittadinanza francese, è stata discussa dal padre del militare con il ministro francese degli esteri, Bernard Kouchner, oggi in visita a Gerusalemme.



Gerusalemme - Yad Vashem

Spiegare la Shoah agli arabi, Khaled ci prova

Khaled Kasab Mahameed è un avvocato palestinese. Musulmano di religione, israeliano di passaporto. Ha alle spalle sei anni di studi trascorsi in Svezia e una «missione» che lo assilla giorno e notte: far conoscere ai palestinesi il dramma dell'Olocausto. Nel villaggio palestinese di Nil'in ha creato lo scorso gennaio quella che lui definisce «la prima esposizione permanente in Cisgiordania con immagini riguardanti la Shoah». Quattro anni fa ha fondato a Nazareth, dove risiede, il primo museo dell' Olocausto nel mondo arabo. cresciuto in una famiglia in cui la tragedia del popolo ebraico non è mai stata un tabù: «Nel mondo arabo nessuno sa niente della Shoah. Nei libri di scuola avevamo mezza pagina su questo tema. Un giorno non sarà più così. La gente deve essere educata. Se non conosci la sofferenza dell'altro non puoi comprenderlo fino in fondo. Non puoi capire gli israeliani senza studiare l'Olocausto». Per spiegare il contesto nel quale questa idea ha preso vita, ci conduce come prima tappa in quello che definisce «l'attuale focolare della lotta israelo-palestinese».[...]Lorenzo Kamel, Europa, 18 novembre 2009


Peres incontra Ronaldo: "Il calcio non ha religione"

Il Fenomeno, quello con la effe maiuscola, è tornato. Il peso forma e la rapidità sul campo di gioco non sono quelle dei bei tempi, ma Ronaldo è rimasto un fuoriclasse nel suo secondo lavoro, sicuramente più nobile, di ambasciatore ONU per la pace. Nei giorni scorsi, infatti, ha incontrato Shimon Peres, in visita diplomatica in Brasile. I due, che si erano già conosciuti nel 2005 in occasione di una “missione” di Ronaldo in Israele, si sono salutati con affetto e non è mancato il rito calcistico dello scambio delle maglie, come documenta l'immagine qui sopra. “Mi ricordo della tua visita in Israele di quattro anni fa – ha detto Peres - e non credo di aver mai visto i nostri giovani così entusiasti come in quella occasione, con gli occhi che luccicavano loro quando ti guardavano. Il calcio non ha nazione o religione, tu sei una grande persona, sia per il grande talento che hai sia per la tua personalità. Sei un vero ambasciatore di pace”. Ronaldo, visibilmente emozionato, ha risposto: “Incontrarla è un grande onore, tornerò presto in Medio Oriente”. http://www.moked.it/


Girafes (o Girafot)
di Tzahi Grad

Cinematov 2009 “La collina della primavera” per raccontare un volto diverso d’Israele

Sono alcuni anni che il cinema israeliano vince e convince. Come è accaduto con il Leone d’Oro conquistato da Lebanon a settembre, o con Valzer con Bashir, Golden Globe come miglior film straniero del 2008. Opere potenti, che raccontano alcune delle esperienze più tragiche che la società israeliana abbia attraversato. Ci sono tuttavia molte pellicole israeliane che il pubblico straniero non ha mai avuto la possibilità di conoscere. Sono proprio questi i film che la prima edizione della rassegna “Cinematov - La Collina della Primavera: cinema israeliano da Tel Aviv” (17 - 22 novembre, cinema Gnomo), organizzata dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Milano con la collaborazione della Comunità Ebraica, si propone di mostrare, partendo dalla celebrazione del centenario di Tel Aviv, come racconta la curatrice Marta Teitelbaum.“Il cinema israeliano più conosciuto e apprezzato all’estero, è quello che narra il conflitto nei suoi aspetti più drammatici – spiega - Con questa manifestazione speriamo di raggiungere un pubblico vasto per raccontare sfaccettature della società israeliana troppo spesso trascurate. In questo senso abbiamo pensato che Tel Aviv, con il suo dinamismo, la sua modernità, rappresenti il punto di partenza ideale”.Alla serata inaugurale ha preso parte tanta gente, in cui membri della Comunità ebraica milanese si mescolavano ad appassionati cinefili. La rassegna è stata introdotta da Yael Dayan, Presidente del Consiglio comunale di Tel Aviv, figlia del Generale Moshe Dayan. “Tel Aviv-Yaffo rappresenta secondo me il modello di ciò che Israele dovrebbe essere – esordisce – una città democraticamente ebraica, che porta dentro di sé le tradizioni e la storia millenaria del Paese, ma è capace di andare oltre nella scelta del proprio futuro”. Yael Dayan si sofferma sull’importanza della comprensione e della tolleranza nei confronti dell’altro, di cui Tel Aviv dà prova ogni giorno. “Durante questa rassegna non verranno presentati film sulla guerra, soggetto con cui il cinema israeliano raccoglie sempre maggiore notorietà – conclude – Verranno invece raccontati gli aspetti più diversi della società israeliana partendo proprio dalla città di Tel Aviv, nelle cui strade la lingua ebraica è rinata e gli artisti hanno trovato ispirazione”.L’Assessore alla Cultura del Comune di Milano Massimiliano Finazzer Flory ha parlato poi dei forti legami del capoluogo lombardo con Tel Aviv, ufficializzati nel 1997 da un fruttuoso gemellaggio, che prospetta un futuro di sempre maggiori scambi culturali.“Girafot” di Tzahi Grad, film del 2001 scelto per la serata di apertura, mostra le vite incrociate tra equivoci e segreti di tre giovani donne Efrat, Abigail e Dafna. Vincitrice di numerosi riconoscimenti nazionali e internazionali, la pellicola rappresenta il perfetto emblema della Tel Aviv nella “bolla”, avulsa dalla situazione politica e sociale in cui versa il Paese, secondo la tipica visione della città che ha preso piede negli anni Novanta, come spiega Asher Salah, esperto cinematografico e docente presso la Scuola di Belle Arti Betzalel di Gerusalemme, che si occuperà di presentare tutti i film di Cinematov.Durante la settimana, saranno proiettati alcuni cortometraggi realizzati dagli studenti della Tel Aviv University, come Otobus, sul quotidiano tragitto in autobus di un gruppo di lavoratori, o Efshar Lirkod, “Puoi ballare”, incentrato sulla vita dei musicisti di strada, e una varietà di pellicole risalenti agli anni Settanta e Ottanta, che in Israele sono ormai dei classici, come la commedia Te’alat Balumich, “Il canale Blaumich”, di Efraim Kishon, oltre ad alcuni film più recenti.Rossella Tercatin, http://www.moked.it/



C'è un solo luogo al mondo dove i rapinatori, abbandonando la banca con il bottino, si fermano a baciare la pergamena biblica affissa allo stipite della porta.
Guido Vitale,giornalista, http://www.moked.it/

Mezuzà
Una mizvà importante è quella di scrivere sugli stipiti delle porte alcune parole della Torah: per questo in una casa ebraica si appendono allo stipite delle porte la mezuzà (plurale mezuzot): è una pergamena di pelle nella quale sono scritti tali brani. La pergamena è quindi arrotolata e messa in un astuccio rigido, che può essere di vari tipi, e con dei chiodi è appesa nello stipite destro rispetto a chi entra, sopra a 2/3 dell'altezza dello stipite. La mezuzà simbolicamente rappresenta la benedizione per la casa, perchè le persone possano vivere bene adempiendo alle mizvot. La prescrizione della mezuzà viene dal seguente brano "Queste cose che io t i comando oggi siano sempre presenti al tuo spirito, ripetile ai tuoi figli e parlane stando in casa, andando per via coricandoti ed alzandoti. (..) Scrivili sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte" (Deuteronomio VI, 6-9)




Golan - Gamla

AMBIENTE: ISRAELE; FIERA SU RISORSE IDRICHE, ITALIA IN CAMPO

(ANSA) - TEL AVIV, 17 NOV - Venticinquemila tra uomini d'affari, politici, decision makers, ricercatori e semplici cittadini riuniti per discutere delle questioni ambientali piu' urgenti, prima fra tutte la crisi idrica. E' quello che succede da oggi a Tel Aviv, presso il centro fieristico della citta', dove fino al 19 novembre si svolge Watec 2009: una 'tre giorni' di dibattiti e scambi a cui partecipano 120 delegazioni provenienti da tutto il mondo, tra cui una rappresentanza italiana particolarmente nutrita, cui domani si aggiungera' la presenza del ministro, Stefania Prestigiacomo. L'Istituto nazionale per il Commercio estero (Ice) ha organizzato uno stand istituzionale - seminari e incontri con decine di imprenditori italiani che si occupano di tecnologie innovative a basso impatto ambientale -, mentre l'ambasciata ha messo a punto un simposio parallelo, che si terra' domani. Ad aprire i lavori saranno l'ambasciatore Luigi Mattiolo e Angelo Miglietta, segretario generale della Fondazione bancaria Cassa di risparmio di Torino (Crt). Tra i primi risultati concreti registrati nella prima giornata dell'iniziativa, spicca Jstone srl, nuova societa' controllata da Crt, creata a partire da un protocollo d'intesa sottoscritto dalla fondazione e dallo Stato ebraico. ''E' la prima volta - ha detto l'amministratore delegato Dario Peirone - che una fondazione bancaria italiana firma un accordo direttamente con lo Stato d'Israele''. ''La presentazione ufficiale - ha aggiunto - avverra' il 3 dicembre a Torino. Ma in sostanza possiamo gia' dire che lo scopo di Jstone e' quello di fare fundraising per sostenere progetti bilaterali di ricerca e sviluppo industriale sostenibile'': in particolare in materia di risorse idriche. Da questo punto di vista lo Stato ebraico appare del resto uno dei migliori partner al mondo: costretto a confrontarsi con una endemica penuria di acqua (che nella regione e' una risorsa scarsa e contesa), Israele e' oggi - sotto il profilo economico e al di la' delle contestazioni sull'abuso delle fonti idriche a danno dei Territori palestinesi, denunciata di nuovo di recente da Amnesty International - il Paese ''piu' efficiente nella gestione ragionata delle acque'': come ha riconosciuto questa mattina nel suo intervento Paul Reiter, direttore generale dell'International water association (Iwa).



Arab soldier with rifle riding on a motorcycle. March 1948

AGRICOLTURA: ITALIA-ISRAELE, ACCORDO COOPERAZIONE SCIENTIFICA

(AGI) - Roma, 17 nov. - "Sono molto soddisfatto dell'incontro avuto oggi con il mio collega israeliano Shalom Simhon. Abbiamo firmato una dichiarazione congiunta per un accordo che punti a potenziare la collaborazione tra i due Paesi in materia di cooperazione scientifica applicata all'agricoltura. Credo che la collaborazione con un Paese cosi' avanzato dal punto di vista della tecnologia e della ricerca scientifica in ambito agricolo potra' rivelarsi fruttuosa per l'Italia". Con queste parole il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali Luca Zaia ha commentato il colloquio bilaterale avuto presso il Ministero con il Ministro dell'Agricoltura e dello Sviluppo rurale di Israele Shalom Simhon. Al termine dell'incontro, i due ministri hanno sottoscritto una dichiarazione congiunta in cui auspicano la firma di un accordo per promuovere la cooperazione tra il Ministero italiano e quello israeliano nel campo dell'agricoltura e dell'agroalimentare, che includa programmi bilaterali di ricerca e sviluppo in materia agricola e un programma operativo nel settore delle scienze agrarie. Nella dichiarazione i Ministri hanno inoltre dichiarato che, dopo la firma dell'accordo, ciascun programma bilaterale di ricerca e sviluppo sara' finanziato da entrambi i Ministeri, in base al bilancio previsto e nel rispetto delle rispettive leggi nazionali in materia di ricerca. Entrambe le parti forniranno il proprio supporto all'implementazione degli accordi negoziati nella Dichiarazione congiunta.

mercoledì 18 novembre 2009



Saeb Erekat e Abu Mazen
Come si dice “chutzpah” in arabo?

Editoriale del Jerusalem Post
Come si dice “chutzpah” (insolenza) in arabo? In effetti, il capo negoziatore palestinese Saeb Erekat ha fatto mostra di uno stupefacente grado di sfacciataggine quando ha dichiarato alla radio israeliana: “Siamo stufi delle vostre perdite di tempo, non crediamo che vogliate davvero la soluzione a due Stati”.L’idea palestinese di negoziati suona più o meno così: voi accettate la nostra posizione nella sua totalità, dopodiché si potrà parlare delle modalità di attuazione. Un approccio – chi l’avrebbe mai detto? – che non ha dato grandi risultati, per cui ora una frustrata Olp potrebbe decidere di rivolgersi al Consiglio di Sicurezza dell’Onu per chiedergli di imporre a Israele le richieste dei palestinesi.Bisognare dare atto a Erekat e al suo presidente Mahmoud Abbas (Abu Mazen) che oggi le richieste dei palestinesi suonano decisamente più ragionevoli rispetto a quelle del fondatore dell’Olp, Ahmad Shukeiry, il quale nei giorni che portarono alla guerra del ’67 – quando Cisgiordania e striscia di Gaza erano sotto controllo arabo – andava proclamando: “La decisione del popolo arabo è irrevocabile: cancellare Israele dalla carta geografica”. E sono anche migliorate rispetto a ciò che Yasser Arafat, dopo Oslo, sembra abbia detto a una riunione di diplomatici arabi in Europa: “Noi intendiamo eliminare Israele e istituire uno Stato palestinese: renderemo la vita insopportabile agli ebrei con la guerra psicologica”.Ma ora Erekat e Abu Mazen stanno perdendo tempo silurando la soluzione a due Stati con la loro intransigenza.Tutta una serie di governi israeliani si sono offerti di riconoscere uno Stato palestinese in Cisgiordania e Gaza. Ma Abu Mazen respinse l’offerta avanzata da Ehud Olmert: 93% della Cisgiordania, più altre terre staccate da Israele a compensazione della parte mancante, più tutta la striscia di Gaza e un meccanismo di libero passaggio fra striscia di Gaza e Cisgiordania. In base alla proposta di Olmert, Israele avrebbe annesso i blocchi di insediamenti di valore strategico, ma tutti gli altri insediamenti e avamposti sul versante palestinese del confine sarebbero stati sgomberati e sradicati (come già avvenuto nella striscia di Gaza). Ehud Barak aveva avanzato a Yasser Arafat una proposta appena appena meno generosa, a Camp David nel luglio 2000 e poi ancora a Taba nel gennaio 2001. Barak, come l’attuale primo ministro Benjamin Netanyahu nel suo discorso programmatico del 14 giugno 2009 all’Università Bar-Ilan, chiedeva che la “Palestina” fosse smilitarizzata affinché non diventasse di nuovo una base di lancio per attacchi di feddayin o il trampolino per un’aggressione iraniana: una preoccupazione concretissima nel caso la Palestina dovesse cadere in mani islamiste (come già avvenuto nella striscia di Gaza).Israele chiede inoltre che la Palestina assorba all’interno del suo territorio ogni profugo arabo “di ritorno”. Infine Israele vuole che gli arabi lo riconoscano in quanto Stato nazionale del popolo ebraico esattamente come la Palestina verrebbe riconosciuta in quanto Stato nazionale del popolo palestinese.Qualunque osservatore intellettualmente onesto non può che riconoscere che la posizione israeliana è tutt’altro che irragionevole, soprattutto alla luce della paurosa esperienza all’indomani del disimpegno da Gaza.Per quanto riguarda Gerusalemme, non è che la città possa essere semplicemente divisa da un decreto dell’Onu giacché le parti nord, sud, est e ovest di Gerusalemme formano un tutto organico. Ci vorrà un’enorme dose di buona volontà per trovare un compromesso accettabile.Ma torniamo alla chutzpah di Erekat. I palestinesi hanno creato una impasse artificiale sostenendo tutt’a un tratto che non avrebbero (più) negoziato senza un immediato congelamento di tutte le attività edilizie negli insediamenti di Cisgiordania (e a Gerusalemme est). Ora lo stallo che Erekat si è inflitto da sé a quanto pare lo costringe a manovrare presso il Consiglio di Sicurezza per far cestinare, di fatto, la risoluzione 242 – la struttura su cui si regge tutto il processo di pace – e lo spinge a dare il suo imprimatur a una nuova dichiarazione di indipendenza unilaterale palestinese, rivendicando il 100% di Cisgiordania e striscia di Gaza (e poco importa se la striscia di Gaza è ormai un feudo di Hamas) più tutta Gerusalemme est, compresi i luoghi santi ebraici. Per combinazione, proprio in questi giorni ricorre il 21esimo anniversario della (inutile) dichiarazione di indipendenza già proclamata dai palestinesi ad Algeri nel 1988.È chiarissimo come mai Erekat vuole cestinare la 242 del 1967. Le parole magistralmente elaborate di quella risoluzione insistono su uno scambio di terra per la pace, usando la celebre formula “un ritiro delle forze armate israeliane da territori occupati”: evitando deliberatamente di esigere un ritiro da “tutti” i territori (giacché il confine definitivo doveva e deve ancora essere stabilito col negoziato).Sicché, invece di trattare in buona fede per arrivare a un accordo concretamente attuabile, Erekat e Abu Mazen preferiscono scommettere su una soluzione imposta dall’esterno: una strada che non porterà né alla riconciliazione, né alla sicurezza reciproca, né alla pace, condannando un’altra generazione di israeliani e di palestinesi a nuovi spargimenti di sangue.Non sarebbe meglio se i palestinesi tornassero semplicemente al tavolo negoziale, e il più presto possibile?(Da: Jerusalem Post, 16.11.09) http://www.israele.net/



Israele: Tvzi Lotan, 'più turisti italiani nel 2010'

Prima volta a Roma per il nuovo Direttore dell'Ufficio Nazionale Israeliano del Turismo, Tvzi Lotan che, nel corso di una serata dedicata ad Israele, ha diffuso i dati relativi alle presenze turistiche italiane nel 2009, indicando al contempo, le strategie di promozione e le prospettive di crescita per il nuovo anno.“Il mio obiettivo per il 2010 è incrementare il numero di turisti, visitatori, pellegrini italiani in viaggio verso Israele, per questo a metà novembre partirà una campagna pubblicitaria sui principali quotidiani italiani che durerà fino alla prima settimana di marzo. - annuncia Tzvi Lotan - Israele è un Paese difficile da vendere e noi abbiamo pochi soldi per promuoverci, ma vogliamo con questa campagna diffondere un’immagine diversa del nostro Paese, non siamo solo Terra Santa, abbiamo molte destinazioni ancora poco conosciute, soprattutto al mercato italiano; in fondo anche noi facciamo parte del Mediterraneo, che da solo rappresenta il 70% del turismo mondiale e dove ogni anno arrivano oltre 700 milioni di visitatori da tutto il mondo”. È sempre il nuovo Direttore Lotan a snocciolare, come un fiume in piena, i dati relativi alle presenze turistiche a partire dal 2008, anno a suo dire, da record, con oltre 3,630 mila visitatori, meglio del 2000, anno del Giubileo e della prima volta di un Papa cattolico in Terra Santa. “Israele non ha subìto grandi conseguenze, in ambito turistico, a causa della grande crisi economica mondiale, se i più pessimisti parlavano di perdite, nelle presenze, pari al 50%, i più ottimisti intorno al 30%, posso dire che da gennaio ad ottobre 2009, il nostro paese - spiega Lotan - ha visto scendere le presenze dal mondo, del 15% mentre dall’Italia del 10%”. E proprio rispetto all’Italia, il Direttore dell’Ufficio del Turismo, ha sottolineato come nel 2008 gli italiani arrivati in Israele sono stati circa 125 mila; nel 2009, ormai agli sgoccioli, il totale dovrebbe aggirarsi intorno alle 100 mila unità, mentre per il 2010 l’obiettivo è quello di incrementare le percentuali fino a toccare quota 150 mila unità. “Se ogni anno 150-200 mila israeliani vengono in Italia, in Israele, se mettiamo a confronto i nostri due paesi, vengono molti meno italiani; mi piacerebbe nel giro dei prossimi anni almeno eguagliare le cifre. - ammette Tzvi Lotan - Al momento, oltre l’Opera Romana Pellegrinaggi, non abbiamo molti T.O. che trattano la nostra destinazione, mi auguro però possano aumentare, invito perciò gli italiani interessati a conoscere il nostro paese a visitare il sito ufficiale www.goisrael.it, dove è possibile visionare anche le nostre offerte di viaggio”. Presente alla serata anche il Vicesindaco di Roma, Mauro Cutrufo, che ha teso la mano al Direttore dell’Ufficio Nazionale del Turismo di Israele sulla possibilità di avviare una collaborazione tra la città di Roma ed Israele per il rilancio turistico di entrambe le destinazioni. “Il Comune di Roma è disponibile a trovare una forma di collaborazione turistica con Israele data la comune radice storica dei due paesi. Se in Israele i turisti quando arrivano, soggiornano almeno una settimana, a Roma il problema è inverso - spiega il Vicesindaco Cutrufo - purtroppo i turisti rimangono solo 2/ 3 notti. Possiamo però dire che il 2009, per la Capitale, non è stato un anno negativo, anzi nel mese di ottobre abbiamo registrato un incremento del 2,5% di presenze, contiamo perciò di chiudere il bilancio a fine anno in pareggio se non addirittura in positivo, con oltre 12 milioni di arrivi complessivi; meglio delle altre capitali europee, che chiuderanno il 2009 con grandi perdite. Rimane la pecca della durata dei soggiorni che contiamo di risolvere anche con lo sviluppo del Secondo Polo Turistico, che siamo convinti riuscirà a raddoppiare le presenze”. http://www.masterviaggi.it/ 16-11-2009

A British soldier sitting guard on a rooftop. 1948

Tel Aviv, La Russa valuta l'alta tecnologia israeliana per una collaborazione nel settore della Difesa

Tel Aviv, 17 nov - Il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, a Tel Aviv in questi giorni, sta valutando la possibilità di utilizzare l'alta tecnologia israeliana nel settore della Difesa per la sicurezza dei soldati italiani in Afghanistan. "Io sono molto interessato - ha detto La Russa, al termine del colloquio con il ministro della Difesa israeliano Ehud Barak - alle attrezzature per neutralizzare gli ordigni esplosivi improvvisati, agli aerei senza pilota e ad altre occasioni di attività comuni che possono essere sviluppate tra Italia e Israele". Tra i due paesi, ha spiegato La Russa, c'é già "un grande scambio e sicuramente la loro esperienza è la ragione prima della mia visita in Israele, insieme a quella di rinsaldare il processo di pace. Siamo interessati - ha concluso - a tutto quello che può essere d'aiuto alla sicurezza delle nostre forze armate in Afghanistan e ovunque nel mondo".

Israele, Israel ha-Yom lancia la sfida agli altri quotidiani

Tel Aviv, 17 nov - Guerra fra quotidiani in Israele. Abituato ad essere il primo e incontrastato giornale di Israele per volume di vendite, il quotidiano Yediot Ahronot deve adesso misurarsi con la minaccia rappresentata da Israel ha-Yom, un giornale favorevole al premier Benyamin Netanyahu (Likud) che viene distribuito gratuitamente, in prevalenza nei mezzi di trasporto pubblici. Come numero di copie Israel ha-Yom è già il secondo giornale di Israele, e precede di larga misura quotidiani che pure vantano una grande tradizione storica come Maariv e Haaretz. Oggi Israel ha-Yom ha lanciato una nuova sfida nei confronti di tutti i concorrenti annunciando che da venerdì inizierà la pubblicazione di un giornale del week-end, con supplementi che avranno complessivamente un centinaio di pagine. Il giornale aggiunge di essere riuscito a garantirsi diverse "firme prestigiose". In questa fase il numero del week-end di Israel ha-Yom sarà distribuito in 100 mila copie. In futuro la tiratura diventerà, il venerdì, di 250 mila. Yediot Ahronot e Maariv, che già lottano per difendere le attuali tirature, rischiano di perdere di conseguenza un cospicuo numero di lettori. Fonti giornalistiche affermano che nelle settimane passate gli editori di Yediot Ahronot hanno chiesto a Netanyahu di intervenire urgentemente sul proprietario di Israel ha-Yom, l'uomo di affari statunitense Sheldon Edelson, per dissuaderlo dal distribuire il suo giornale nel week-end. Ma Netanyahu, secondo le fonti, si è rifiutato di assecondare la richiesta. http://www.moked.it/



Golan - Gamla

La Panda? Adesso vola

"Nel 2010 le automobili voleranno nei cieli" non è una profezia di Nostradamus né l'incipit di un film di fantascienza, ma è invece il grande sogno, che sta per diventare realtà, di Rafi Yoeli, geniale ingegnere aerospaziale israeliano. Yoeli, che è a capo di Urban Aeronautics, società che si occupa della produzione di elicotteri e altri mezzi di trasporto, ha iniziato a lavorare al progetto delle macchine volanti da circa nove anni. Anni pieni di difficoltà, soprattutto per convincere gli sponsor a finanziare il progetto, che molti pensavano fosse irrealizzabile. Adesso il grande momento di Yoeli sembra essere arrivato. In questi giorni le automobili sono infatti sottoposte a alcuni importanti test, ultimo step prima della loro commercializzazione. La speranza è che gli ingenti investimenti che sono stati fatti per renderle sicure e affidabili siano stati sufficienti, visto che in passato c'è stato qualche problema in tal senso. Gli ingegneri hanno progettato tre differenti versioni di auto volante, tutte dal design avveniristico: la più piccola si chiama Panda (qualcuno di loro deve essere appassionato di vetture italiane), il modello di medie dimensioni Mule e la vettura più ampia X-Hawk, al cui interno si potranno sedere fino a dieci persone. Duecentocinquanta chilometri l'ora la velocità massima.Le macchine volanti sono sicuramente una prospettiva affascinante, ma una domanda sorge spontanea: hanno anche un'utilità pratica? Secondo Yoeli sarebbero utili sia per normali esigenze di trasporto che per affrontare situazioni di emergenza, come disastri naturali e attacchi terroristici. Per la prima modalità di utilizzo Yoeli pensa a un utilizzo sia in forma privata, sia come vettura taxi. "Finalmente i taxi riuscirebbero ad evitare gli ingorghi causati dal traffico, evitando di farci arrivare sempre in ritardo all'aereoporto", scherza l'ingegnere. Almeno inizialmente i primi beneficiari dell'invenzione saranno però le Forze Armate. Non a caso Urban Aeronautics ha stipulato un lauto contratto di fornitura con la Marina statunitense, interessata al modello X-Hawk. Le macchine volanti, nei piani degli americani, andrebbero a sostituire un numero consistente di elicotteri attualmente a loro disposizione. "Creare e commercializzare una serie di mezzi, multi-uso e sicuri, che possano essere utilizzati sia in città che fuori dalle zone urbane" è la mission dell'azienda che, in un'ottica temporale di medio - lungo termine, si pone come obbiettivo quello di diventare leader mondiale del trasporto interurbano. Non sono tutte rose e fiori comunque. Gli ingenti costi da sostenere per produrre le macchine volanti (un numero significativo di qualificati ingegneri in primis), per essere ammortizzati, richiederanno necessariamente un prezzo di vendita del prodotto molto elevato, non sostenibile dalla maggioranza della popolazione. Yoeli ha promesso che col tempo i prezzi verranno ridotti (per adesso si parla di poco più di un milione di dollari per Mule, il primo modello che sarà messo sul mercato), ma quello che potrebbe essere un progetto rivoluzionario per gran parte dell'umanità, rischia di essere apprezzato solo da un numero esiguo di fortunati milionari..http://www.moked.it/


Tekeeyah: shofar in concerto

Portare lo shofar dalle Sinagoghe alle sale da concerti adottandolo come strumento musicale? Niente di più normale per la compositrice Meira Warshauer che con il suo spettacolo “Tekeeyah” ha riscosso un grande successo di pubblico e di critica. Il tour iniziato il 24 ottobre all’auditorium Kenan dell’Università del North Carolina a Wilmington, sua città natale, proseguirà con diversi concerti fra cui quello di domani che si svolgerà al Porter Center for the Performing Arts di Brevard e al Koger Center for the Arts di Columbia.Meira Warshauer è cresciuta in North Carolina da ebrea riformata, nel suo percorso spirituale ha sperimentato le tecniche di meditazione legate alle dottrine orientali, trovando conforto nell’insegnamento sufistico della guarigione del corpo grazie all’uso delle vibrazioni sonore. L’incontro con le melodie di Rabbi Shlomo Carlebach l’hanno spinta a ritornare alle proprie origini, ritrovando nella tradizione ebraica la chiave di lettura utile ad interpretare i mille riflessi del reale.“Tekeeyah” è la prima opera scritta per shofar/trombone solista e composta appositamente per Haim Avitsur, noto virtuoso del trombone. Nato in Israele nel 1972, Avitsur è stato il ba’al tokeah (suonatore di shofar) del Jewish Community Center a Manhattan per sei anni, ed insegna questo strumento alla West Chester University’s School of Music in Pennsylvania e al Queens College’s Aaron Copland School of Music. Ovviamente il suono dello shofar, a causa dell’imboccatura stretta, non è paragonabile a quello del trombone, ma con il tempo Avitsur è riuscito a produrre 12 note che quasi coincidono con i toni tradizionali, il suono risulta tuttavia peculiare e facilmente distinguibile nell’insieme di tutti gli altri strumenti.Warshauer concepì questo concerto alla premiere della sua “Symphony N°1: Living, Breathing, Earth” nel 2007 a Hickory nel North Carolina, quando conobbe Avitsur chiamato a suonare come trombone solista in un altro concerto inserito nel programma della serata. Secondo la compositrice lo shofar ha la capacità di scuotere le coscienze sopite: “Credo che oggi ci sia la necessità di un risveglio, di una riscoperta della vera essenza di ogni essere umano. Lo shofar con il suo potere intrinseco di richiamare all’attenzione ogni anno migliaia di ebrei, potrebbe essere un importante strumento per un rinnovamento collettivo”.Lo shofar viene suonato con tre modalità: la Tekeeyah (un suono lungo), Shevarim (tre suoni più corti) e Teruah (almeno nove note staccate). La Tekeeyah Gedolah, conclude la serie di suoni dello shofar a Rosh Ha-shanà (in alcune comunità si usa suonare la Teruah Gedolah) e viene nuovamente suonato alla fine di Yom Kippur a conclusione dei dieci giorni di Teshuvah. Meira Warshauer ha utilizzato le tre modalità di suono nel suo concerto cercando di combinare tradizione e sperimentazione, dopo aver consultato a fondo lo Shulchan Aruch per comprendere le principali norme relative allo shofar.Una sinfonia forte e appassionata, ispirata dal desiderio di Meira di spingere le sue meditazioni sulla natura, sull’uomo, sempre più oltre i limiti conosciuti dell’esperienza umana.Michael Calimani http://www.moked.it/



Bioetica e valori ebraici

Eutanasia e accanimento terapeutico, temi di interesse generale che hanno spesso diviso l’opinione pubblica italiana. Se n'è parlato ieri sera, affrontando questi argomenti anche da un punto di vista ebraico, nei locali della Comunità di Trieste in occasione di un convegno intitolato “L'etica ai confini della vita”, organizzato dal Gruppo sionistico locale. Come relatori Umberto Lucangelo, direttore dell’Anestesia e rianimazione dell’Azienda Ospedaliera Universitaria di Trieste, Doron Recanati, anestesista e rianimatore dell'Istituto Burlo e Cesare Efrati, maskil e medico gastroenterologo dell’Ospedale israelitico di Roma (nell'immagine insieme al Rav Itzhak Margalit). Gli interventi sono stati moderati da Bruno Bembi, direttore del Centro regionale per le malattie rare.Il primo a parlare è stato Lucangelo che è andato subito al nocciolo della questione: “Bisogna capire quando un trattamento, invece di prolungare la vita, stia procrastinando il processo di morte”.Molto critico nei confronti della categoria dei medici l'intervento di Recanati. “La medicina viene esercitata secondo principi culturali e non scientifici” e “gli ospedali sono diventati mostri, non ci sono regole uguali per tutti in un reparto”, alcuni dei suoi commenti più duri. Cesare Efrati, invece, ha sottolineato la santità e il valore assoluto della vita e l’obbligo, per il malato, di farsi curare: “La vita è un dono di Dio, non siamo proprietari del nostro corpo”. Ma quando si parla di accanimento terapeutico è bene chiedersi se sia meglio “morire in modo semplice o in modo high tech”. A chiudere la serata Itzhak Margalit, rabbino capo di Trieste, che ha ricordato come ogni caso sia un caso particolare ma che “non bisogna fare differenza tra un bambino e un anziano, non possiamo permetterci di toccare la vita di nessuno”.Adam Smulevich, http://www.moked.it/

Jaffa: Palestinians demonstrate in Jaffa's central square against the plans of the British government to increase Zionist immigration into Palestine, 27 October 1933.


Amman: un summit fra capi dell'intelligence,arabi, israeliani e americani contro la minaccia iraniana

Gerusalemme 14 nov - Nella prima settimana di novembre si sarebbe svolto ad Amman un summit dei capi di intelligence israeliani, americani, egiziani e giordani. L'incontro straordinario sarebbe stato organizzato a fronte della minaccia iraniana e del suo controverso programma nucleare. A divulgare la notizia è stato un sito internet israeliano Dbka, che ha presunti agganci nel mondo dei servizi segreti israeliani. L' incontro, scrive Debka, è stato ospitato dal capo del servizio generale di intelligence giordano, generale Mohammed Raqed e vi hanno preso parte per conto di Israele i capi del Mossad, Meir Dagan, e dell' intelligence militare, generale Amos Yadlin, e per conto dell'Egitto il ministro Omar Suleiman, responsabile dei servizi di intelligence. Dagli Stati Uniti infine sono giunti alti dirigenti della Cia e della Dia (Defence Intelligence Agency). Subito dopo l'incontro, secondo Debka, il ministro Suleiman é partito per Riad per riferire al capo del servizio generale di intelligence saudita, principe Moqnin Bin Abdul Aziz. E' la prima volta, afferma Debka, che Israele ha preso parte a un incontro segreto di capi di servizi di intelligence del Medio Oriente al fine di coordinare mosse future.http://www.moked.it/





Eilat parco del ghiaccio


Ricordare gli odori

Non c'è bisogno di tirare in ballo Proust per sapere che odori e sapori hanno un ruolo fondamentale nell'evocare i ricordi lontani. Per qualcuno è l'aroma dei biscotti della nonna, per qualcun altro l'odore salmastro della spiaggia: basta che le nostre papille siano sollecitate, e subito i ricordi d'infanzia o del passato remoto ritornano a galla. Ebbene, un recente studio israeliano ha dimostrato che l'associazione tra olfatto e memoria ha una base neurologica. I ricercatori dell'Istituto Weizmann di Rehovot (che ha sfornato molti premi Nobel, incluso quello per la Chimica recentemente attribuito ad Ada Yonath) hanno studiato il funzionamento del cervello umano confrontando il modo diverso in cui reagisce quando a un nuovo oggetto è associato un suono oppure un aroma. Risultato? In presenza di un'associazione oggetto-aroma, l'amigdala e l'ippocampo risultano sollecitati, cosa che invece non accade davanti a un'associazione oggetto-suono.Insomma, la ricerca, recentemente pubblicata da Current Biology, dimostra quello che la saggezza popolare insegna già da tempo: i ricordi sono molto più legati agli aromi che agli altri sensi. Domanda: ci volevano i cervelloni dell'Istituto Weizmann per dimostrarlo? In realtà sì. Perché lo studio sui ricordi d'infanzia non è che un primo passo: se i risultati saranno confermati da nuovi studi, spiega la ricercatrice Yaara Yeshurun, si potrebbero rivelare molto utili per il trattamento di pazienti che soffrono di stress post-traumatici.Anna Momigliano http://www.moked.it/



una scena del film

A matter of size apre il Kolno'a film festival

“Le muse tacciono quando parlano le armi. In Israele le muse cantano sempre”, ha detto l'ambasciatore Ghideon Meir, riferendosi alla grande vitalità dello Stato israeliano nell'ambito dell'arte della musica e della cultura, inaugurando così il Pitigliani Kolno'a Festival per la direzione artistica di Dan Muggia e Ariela Piattelli, organizzato dal Centro Ebraico Italiano Il Pitigliani in collaborazione con l’Ambasciata di Israele e con il Patrocinio della Presidenza della Repubblica e del Comune di Roma con il sostegno dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, della Regione Lazio, della Provincia di Roma, che si svolgerà alla Casa del Cinema, nel cuore di Villa Borghese a Roma, fino a mercoledi 18 novembre. Nella sala gremita dal pubblico erano presenti, oltre all'ambasciatore di Israele, il presidente della provincia Nicola Zingaretti e Federico Mollicone, presidente della Commissione Cultura del Comune di Roma, il presidente del Istituto Pitigliani Ugo Limentani, la vicepresidente Rossella Veneziano, l'ideatore del festival e consigliere Ronen Fellus, che hanno espresso la propria soddisfazione per il successo che questo Festival ha raccolto fin dalle prime edizioni.La serata è stata inaugurata con la proiezione della commedia Matter of size per la regia di Sharon Maymon e Erez Tadmon.A Matter of size è la storia di un gruppo di persone obese alle prese con un rigidissimo regime dimagrante. Uno di loro, Herzl, inizia a lavorare come lavapiatti in un ristorante giapponese, viene in contatto con il mondo del sumo e pian piano coinvolge tutti i propri amici ad interessarsi a questo mondo. Attraverso il sumo gli amici riescono finalmente ad accettare sé stessi e a scoprire che per accettarsi non serve la lotta giapponese. A Matter of size, che ha avuto un grande successo in Israele, è stato presentato quest'anno al Tribeca Film festival.Il Kolno'a Film Festival prevede quest'anno la proiezione di 23 pellicole israeliane fra cui Lebanon e Valzer con Bashir.l.e



Vite fragili di Rina Frank

Traduzione di Alessandra Shomroni, ed Fanucci Euro 17
Il suo primo romanzo “Ogni casa ha bisogno di un balcone” è diventato un caso letterario vendendo più di centomila copie in Israele e scalando in Italia la classifica dei libri più venduti, un successo riconfermato dal suo secondo romanzo “Ti seguirò a occhi chiusi”. In questi giorni Rina Frank, scrittrice israeliana nata nel 1951 a Wadi Salib, un quartiere di Haifa, torna al pubblico italiano con “Vite fragili” magistralmente tradotto da Alessandra Shomroni.Prendendo spunto da vicende reali - per scrivere il romanzo ha lavorato in un chiosco – l’autrice racconta con stile scorrevole e diretto storie di esistenze difficili contraddistinte da tossicodipendenza, fatica, disagio ma anche speranza e in qualche caso vittoria.Sono cronache di vita quotidiana che all’apparenza non si incrociano ma alla fine diventano parte di un destino comune, pur conservando la propria specificità.In questo affresco si delinea la vita di Daniel, un giovane caduto nella spirale della droga, nato a Ra’anana in una famiglia di religiosi disgregatasi a causa delle crisi depressive della madre che lo hanno condotto all’età di nove anni in un istituto religioso. Nel collegio Daniel si trova a fronteggiare la violenza degli educatori che impongono la disciplina con l’ausilio delle botte; nel giorno del Kippur, che prevede il digiuno, Daniel disobbedisce e si macchia l’abito di succo di frutta scatenando la rabbia del direttore che lo punisce picchiandolo in testa con il libro di preghiere.Una volta adulto Daniel, che cerca di uscire dal tunnel della droga adattandosi con fatica alle regole di una comunità, si innamora di Revital, una donna forte e dalla volontà di ferro con un marito, Arie, con problemi di droga che allontana da sé e dal figlio, affinché il piccolo non riceva esempi negativi per la sua formazione. Yachi è un bambino maturo e responsabile che rappresenta un “investimento” per Revital. A lui tutto sacrifica: la sua vita privata, il suo tempo e il suo denaro. E per lui si adatta a fare sia la cameriera dal padre Rachmo, sia l’estetista invitando le clienti in casa.Su tutti emerge un personaggio di grande integrità morale, Ben-Avner cresciuto anch’egli in una famiglia disgregata ma con un padre presente e affettuoso. La rigida disciplina militare - che ha forgiato la sua esistenza - lo ha portato naturalmente a scegliere la professione di poliziotto, un mestiere a cui ha dedicato la vita e per il quale ha sacrificato la famiglia. La sua passione per il lavoro lo ha messo in cattiva luce con i colleghi e per questo ha perso il posto dovendosi poi adattare al ruolo di sorvegliante in un centro commerciale. Ora è un tipo strano che vigila sui più deboli offrendo loro protezione e conforto.Chaiim chevirim è lo straordinario spaccato di vita israeliana nel quale l’autrice come altri scrittori israeliani, Kenaz e Liebretch, sceglie di allontanarsi dalla Storia per narrare un universo variegato, fatto di rapporti personali e familiari complessi, pieno di contraddizioni ma pervaso da un’inesauribile voglia di vivere. E lo fa con una sapienza narrativa e una sensibilità che toccano il cuore regalandoci un romanzo che va letto per capire e per non giudicare perché a tutti può capitare di essere “fragili” nella vita. Giorgia Greco



Eilat

Israele: si colloqui con la Siria, no alla Turchia intermediaria

Il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha comunicato alla stampa la sua disponibilità nel riprendere i colloqui di pace con la Siria, direttamente o tramite intermediazione, ruolo che non deve essere svolto dalla Turchia.Lo scorso anno la mediazione turca tra Israele e la Siria dopo quattro colloqui indiretti si è interrotta a causa dell’operazione dell’esercito israeliano nella Striscia di Gaza denominata “piombo fuso” che si è protratta dal 27 dicembre 2008 al 18 gennaio 2009 ........ operazione condannata da Damasco e da Ankara. Il Primo Ministro israeliano dice che Israele è pronta a colloqui con i siriani, senza precondizioni e pur preferendo una trattativa diretta, se fosse tramite di un intermediario, il mediatore deve essere equo, ruolo che per Netanyahu non può essere ricoperto dal Primo Ministro turco.Un intermediario gradito ad Israele potrebbe essere la Francia. quinews, 18 Novembre 2009