sabato 2 aprile 2011





Israeli Defense Force or Israeli Army in Giappone




I dubbi di Israele, intervista a Shlomo Avineriback
Aspenia online - Mideast Flashpoints - 28/3/2011
“Israele è l’unica democrazia nella regione, e vorrebbe restarlo”. È una battuta che circola a Washington, per spiegare la preoccupazione con cui Tel Aviv ha vissuto le proteste arabe, la caduta di Hosni Mubarak in particolare. Ne discutiamo con Shlomo Avineri, direttore generale del ministero degli Esteri israeliano ai tempi di Rabin, oggi professore alla Hebrew University di Gerusalemme."Non è così difficile capire perché vediamo la cosa in termini diversi da come la vede almeno una parte dell’Europa. Per voi europei, la caduta di Mubarak può in teoria aprire una fase democratica. Per noi israeliani significa la caduta del regime arabo con cui eravamo in pace dal 1979. E il comportamento di Obama non ha aiutato. Posto che fino al gennaio scorso la regione era dominata da regimi autocratici, il segnale è stato che quelli filo-occidentali non possono più fidarsi degli Stati Uniti”.Ma questo vale anche per l’alleato-chiave degli Stati Uniti nella regione, l’Arabia Saudita?Vale anche per Riad. Il fatto che truppe saudite siano entrate in Bahrein senza concertarsi con Washington è un segnale abbastanza chiaro. L’Arabia Saudita ritiene di dovere difendere da sola i propri interessi.Il contagio non sta fermandosi, d’altra parte. La crisi in Siria segna un salto di qualità e potrebbe influire sulla situazione in Libano, ai vostri confini. Anche se la situazione della Siria è molto diversa, naturalmente, da quella dell’Egitto. Difficile che l’esercito, a differenza di quanto accaduto in Egitto, si schieri con la protesta: i vertici dell’elite militare, e certamente le forze speciali, fanno anch’essi parte della minoranza alawita.L’instabilità in Siria avrà certamente un impatto sul Libano e probabilmente sull’Iraq, visto l’esistenza della minoranza curda. Gli Stati Uniti hanno ammonito il regime ma non credo servirà a molto. La realtà è che l’America è totalmente impreparata a gestire queste crisi. Obama sta improvvisando, lo ha fatto anche nel caso della Libia del resto.Come evolverà la situazione in Libia? Secondo Oded Eran, ex-ambasciatore israeliano all’UE, Sarkozy rischia di rompersi il collo, come nel 1956 a Suez.Non è chiaro, visto che la Libia è ancora fondata su equilibri tribali, non su istituzioni statali. Mi sembra possibile una spartizione di fatto del paese, fra Tripolitania e Cirenaica. Se ne parla poco: ma esiste una tendenza alla revisione dei vecchi confini degli Stati post-coloniali. La divisione in due del Sudan è stato solo un primo esempio.Il problema, anche per la sicurezza di Israele, è che elezioni democratiche in questi paesi possono portare al potere forze islamiche. È successo con le elezioni palestinesi del 2006. Ed è il famoso “paradosso algerino”, che potrebbe ripresentarsi in Egitto. È molto più semplice abbattere un regime autocratico, specie quando, come in Egitto, non decide di sparare sul suo popolo, che costruire un processo democratico. I risultati del referendum sulla revisione della Costituzione sono preoccupanti: avremo elezioni a breve termine e questo significa che saranno favoriti i Fratelli musulmani, l’unica forza organizzata, assieme all’esercito. Questa situazione - elezioni democratiche ma in assenza di partiti democratici – ricorda un po’ quella della Russia dopo il 1991. È invece diversa da quella della Polonia o dell’Ungheria dopo il 1989, perché in quei casi esisteva una tradizione democratica.Israele si sente indebolita dalla perdita del suo alleato storico, l’Egitto. E resta il problema iraniano: che effetto sta avendo il domino arabo sul regime iraniano?Il regime in Iran è più stabile di quello che pensiamo perché è un regime realmente rivoluzionario, fondato su una ideologia, non su un’autocrazia personale o semplicemente su una dittatura militare. Non voglio escludere cambiamenti in Iran; ma se avverranno, saranno prodotti dall’alto non dal basso. L’Onda verde è stata brutalmente soppressa. E vedremo cosa farà l’Iran di fronte alla crisi interna della Siria.Che impatto sta avendo la protesta araba nei territori palestinesi?Per ora la West Bank regge, anche perché il premier Salam Fayyad sta costruendo le basi di uno sviluppo economico e di un certo pluralismo sociale. La violenza palestinese non è riuscita a produrre uno Stato; Fayyad prova a costruire almeno alcune delle basi di una società civile. Sono fra quelli che ritengono importante la creazione di legami economici fra Israele e la West Bank. Qualcosa si sta facendo, anche se non se ne parla. Non credo, anche per questa ragione, che ci sarà un’altra guerra.Come vede il ruolo della Turchia? Israele ha perso anche i vecchi legami con Ankara. E oggi la Turchia aspira a diventare un punto di riferimento per l’evoluzione dei regimi della regione.Non credo che la Turchia possa diventare un modello per i sistemi politici arabi. In Turchia, il movimento islamico si combina allo Stato-nazione. Nei paesi arabi, prevale la debolezza dello Stato nazionale. In Turchia, inoltre, l’AKP di Erdoğan gestisce un sistema forgiato da molti decenni di secolarismo aggressivo.La realtà è che i paesi della regione sono molto diversi fra loro. L’Egitto per esempio ha una tradizione di non violenza, che non hanno né la Siria né la Libia. E questo contribuisce a spiegare perché le cose stanno andando in modo così diverso nei tre paesi.Quanto alla politica estera, la Turchia ha enunciato la sua dottrina di “zero problemi” con i vicini. Adesso è però coinvolta, attraverso la NATO, nel conflitto in Libia. E sentirà comunque le ripercussioni della crisi in Siria. Per Israele è diventata un attore poco affidabile.
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La depressione rende la donna insensibile ai sentimenti altrui

Si chiude a guscio, e non riesce a percepire e sentire i sentimenti degli altri o del proprio partner: ecco cosa pare succeda alla donna che soffre di depressioneGli psicologi l’hanno chiamata “empathic accuracy”, la capacità di percepire, considerare, provare le giuste emozioni dell’altro. Ed è questa capacità, che spesso è alla base dei rapporti sereni con gli altri o il proprio partner che, pare, sia alterata in chi soffre di depressione. La capacità di provare emozioni empatiche, tipica dell’universo femminile, viene a mancare laddove lei è la più colpita dal mal di vivere.La dottoressa Reuma Gadassi e Nilly Mor dell'Università Ebraica di Gerusalemme, insieme a Eshkol Rafaeli della Bar-Ilan University di Israele, hanno voluto capire come la depressione potesse influire non solo nel rapporto che la persona colpita ha con se stessa, ma come ne vengano colpiti in negativo i rapporti con gli altri.Lo studio, i cui risultati sono sati pubblicati su Psychological Science, si è incentrato sul cogliere come queste dinamiche influiscano in particolare sui ruoli di genere (maschile e femminile) nelle relazioni.Quello che è emerso è stata una sorpresa per i ricercatori, i quali hanno battezzato questa dinamica: “effetto partner”. «La depressione nelle donne influisce sulla loro empathic accuracy, ma a colpito anche quella del proprio partner - in entrambi i casi, negativamente…», spiega Gadassi.I partecipanti alla ricerca erano 50 coppie eterosessuali. Di queste alcune erano sposate e altre conviventi. La media di convivenza era di circa cinque anni. Ogni persona doveva compilare un questionario atto a valutare il livello di depressione cui potevano essere soggetti.Poi si è passati ai test attivi. Le coppie sono state oggetto di valutazione delle percezioni interpersonali sia in laboratorio che nella vita quotidiana. A questo si è aggiunta una sessione videoregistrata di 12 minuti, in cui la persona chiedeva aiuto all’altra.In una seconda fase dello studio, i partecipanti sono stati invitati a scrivere un diario giornaliero in cui riportare, per 21 giorni, l’elenco dei propri stati d’animo – positivi e negativi – e le sensazioni riguardo il rapporto con il proprio partner, dando un punteggio da 0 a 5.Tirando le somme di tutti i test, i ricercatori hanno concluso che era proprio la donna, quando depressa, a essere meno sensibile nei confronti dei sentimenti del partner e, di conseguenza, con meno “empathic accuracy”.Be’, chi ha davvero provato la depressione sa che è molto difficile riuscire a percepire i veri sentimenti degli altri, specialmente quando non si riesce a fare i conti con i propri. È una malattia che avvolge in un manto scuro da cui è difficile vedere la luce; figuriamoci i sentimenti. C’è da domandarsi se gli scienziati che trattano l'argomento sanno cosa vuole dire essere davvero affetti da depressione, perché magari l'hanno provato sulla propria pelle...1.4. 2011 http://www3.lastampa.it/


La città a emissione zero nasce in Palestina

Tra Gerusalemme e Nablus, 9 chilometri a nord di Ramalah, in un territorio abituato a fare notizia per i conflitti, sta nascendo la prima città sostenibile palestinese. I lavori per la costruzione di Rawabi sono iniziati nel gennaio del 2010 e si prevede verranno completati nel giro di 5 anni con un investimento che ammonta a circa 800 milioni di dollari.Una volta completata, su una superficie di 6,3 milioni di metri quadrati, la città ospiterà 40mila residenti in varie tipologie abitative pensate per diversi segmenti della società palestinese e accessibili anche a giovani coppie. «L'obiettivo principale del progetto è di dare una risposta alla grande carenza di abitazioni a prezzi convenienti che abbiamo da anni in Palestina – dice Amir Dajani, vice direttore generale di Bayti, società immobiliare che sta sviluppando il progetto – L'intenzione è di farlo attraverso una città sostenibile e creata attraverso una pianificazione urbana. Oggi la comunità palestinese vuole vivere in città moderne ed ecologiche». Il masterplan, il primo nella storia dell'urbanistica palestinese, prevede aree commerciali, scuole, uffici, due moschee, una chiesa, un ospedale e spazi verdi che occuperanno quasi il 60% della superficie totale. E mentre il design è ispirato alla tradizione mediorientale, gli ideatori affermano di voler gettare le fondamenta per la Palestina di domani. Per farlo hanno scelto la via della sostenibilità che passa attraverso la salvaguardia dell'ambiente, la conservazione del territorio e un uso attento delle risorse. I sistemi adottati a Rawabi vorrebbero diventare un modello per lo sviluppo futuro di tutte le città palestinesi. «Saranno utilizzate soluzioni sostenibili in termini di infrastrutture e servizi – prosegue Dajani – per ridurre le emissioni di CO2, ma anche l'inquinamento visivo. Sceglieremo materiali moderni e isolanti e adotteremo soluzioni per il recupero delle acque piovane e il riuso delle acque grigie. I materiali di scarto dei lavori di costruzione saranno riutilizzati per realizzare strade e arredi urbani. E poi avremo servizi automatizzati per la misurazione dei consumi energetici e sistemi Gsm ». I rifiuti saranno gestiti attraverso la raccolta differenziata porta a porta con una variante innovativa: impiegare nel processo quelle stesse persone che oggi girano per le strade delle città palestinesi raccattando contenitori di metallo per rivenderli. E la sostenibilità a Rawabi si declina anche in senso sociale. La nuova città prevede diversi spazi da riservare ad asili infantili, in modo che le giovani famiglie possano lavorare e allo stesso tempo crescere bambini. Inoltre il masterplan riserva molta attenzione ai luoghi di socializzazione e, ispirandosi all'architettura tradizionale, articola gli spazi esterni in una serie di cortili dove i residenti potranno incontrarsi. Infine l'idea è di fare di Rawabi, oltre che la casa di tutti i palestinesi – come recita lo spot promozionale della città – un polo tecnologico e di ricerca avanzata sull'information technology per dare lavoro ai tanti palestinesi laureati ma disoccupati. Complessivamente la città dovrebbe creare 3.000 posti di lavoro stabili. «Il lavoro è il grosso problema della Palestina – ha dichiarato l'imprenditore palestinese Bashar Al Masri, presidente di Bayti – E Rawabi vuole offrire soluzioni».Ma come tutto quello che accade da queste parti la nuova città è già oggetto di discordia. Prima l'obbligo, imposto dai finanziatori (capofila la Qatari Diar società pubblica di investimenti immobiliari del Qatar) alle imprese edili israeliane che avessero voluto lavorare nel cantiere, di non acquistare alcun materiale proveniente dalle colonie. Ora i disaccordi sugli alberi da piantare per la riforestazione: gli ulivi provenienti da Israele non piacciono agli investitori palestinesi.Intanto il ministro dell'ambiente israeliano Gilad Erdan ha chiesto di visionare la valutazione di impatto ambientale approvata dall'Autorità Palestinese e ha sollevato dubbi sulla reale sostenibilità del progetto. Se non verranno risolti alcuni problemi di gestione ambientale, il ministro minaccia di disporre il blocco della strada di accesso al cantiere. Questa infatti, a differenza di Rawabi che è in zona A, ovvero sotto controllo sia militare che civile dell'Autorià Palestinese, ricade nella zona a controllo israeliano.29 marzo 2011,http://www.ilsole24ore.com/

mar rosso


Il decreto fiscale Sheshinski diventa legge


Giovedì 31 Marzo 2011 http://www.focusmo.it/
Ieri pomeriggio la Knesset, il parlamento di Gerusalemme, ha trasformato in legge le raccomandazioni del comitato Sheshinski in materia di politica fiscale da applicare ai giacimenti di petrolio e gas scoperti in Israele. La legge di fresca approvazione aumenta la percentuale che lo Stato d’Israele tratterrà d’ora in poi dai profitti ricavati dalle compagnie che procederanno allo sfruttamento delle risorse energetiche nazionali. Dal 30 per cento attuale si passerà al 52-62 per cento. Il disegno di legge ha ottenuto il voto favorevole di 78 deputati contro due: una decisione bi-partisan, suggellata anche dalla stretta di mano che Shelly Yakimovich, uno dei leader del partito laburista, ha scambiato con il Primo ministro, Benjamin Netanyahu (Likud). «Non accade tutti i giorni di vedere d’accordo destra e sinistra, religiosi e laici, opposizione e coalizione di governo», ha commentato il ministro delle Finanze, Yuval Steinitz. «Questa legge significa che noi tutti beneficeremo delle nostre risorse naturali». Il provvedimento prevede anche che i diritti sulle scoperte di idrocarburi rimangano al 12.5 per cento, mentre la tassazione dei profitti inizierà solo dopo che le compagnie petrolifere saranno rientrate dagli investimenti iniziali. Il governo ha annunciato che proventi che Israele guadagnerà in questo modo saranno investiti per finanziare progetti sociali ed economici


Egitto: polizia militare, aprite!

Il Cairo, martedì 30 marzo - Mentre continuano ad accumularsi le prove e i documenti d’accusa a carico dell’esercito egiziano, ecco che due giorni fa il ventiseienne Maikel Nabil – un blogger noto per la sua laicità e per la dichiarata amicizia con il popolo di Israele – viene prelevato dalla sua casa e rischia, ora, la corte marziale.Sul suo blog, Maikel Nabil si definisce liberale, laico, capitalista, femminista, a favore dell’Occidente e d’Israele, ateo, materialista, realista, antimilitarista e pacifista. Il suo massimo crimine sembra essere costituito dalla pubblicazione di un post dal titolo accusatorio: L’esercito e il popolo non sono mai stati “un solo cuore”. Data per data, con foto, cifre e documenti d’appoggio, Maikel ha minuziosamente ricapitolato ciascuna delle violazioni dell’esercito, ciascuna delle sue aggressioni a danno della società civile.L’esercito accusa Maikel di aver insultato l’istituzione militare, di aver diffuso falsità su di esso e di minacciare la sicurezza pubblica. L’avvocato di Maikel spera che la sua condanna potrà limitarsi a 3 anni di reclusione, ma il fratello teme che gli sarà inflitta una pena superiore ai 18 anni.Perché Maikel e non un altro? È forse lui l’unico ad aver attaccato l’esercito e contribuito a portare la verità allo scoperto? No, tutt’altro. Decine di blogger inondano la Rete di prove e le passano a giornalisti egiziani e stranieri, che subito le divulgano. Da parte loro, i militari e i media cercano di soffocare e di vanificare questa attività d’informazione, facendo ricorso ai metodi più vili e più manipolativi.Tra i metodi preferiti dall’esercito di Tantawi c’è la propagazione di dicerie in Rete, nei social network; c’è, soprattutto, la conduzione di campagne televisive di disinformazione, tutte volte, fin dal 25 gennaio, a screditare la rivoluzione egiziana. Ecco l’estratto da un programma tipo. Una giovane donna, il volto reso irriconoscibile da un effetto pixel, viene intervistata sul primo canale nazionale.La conduttrice: «Signorina, vogliamo congratularci con lei per il suo coraggio, ci racconti che cosa è successo» La ragazza: «Mi sono unita al movimento di protesta pensando, così, di essere una patriota, poi ho capito che i manifestanti di piazza Tahrir erano degli agenti. Io stessa ho ricevuto 50mila dollari per unirmi alla rivoluzione!»La conduttrice: «Noo… 50mila dollari?» e, rivolgendosi al co-conduttore: «Si rende conto, Ahmed? 50mila dollari… Continui pure a raccontare, signorina.» La ragazza: «In seguito mi è stato pagato un viaggio negli Stati Uniti, dove ho seguito un corso d’addestramento in un’istituzione per spie, chiamata Freedom House. […] Tutti quelli di piazza Tahrir sono spie addestrate dagli Americani e dal Mossad, ascoltateli, hanno strani accenti e passaporti stranieri.»Dal 25 gennaio, non è passato giorno senza che la TV di Stato trasmettesse, in ciascuno dei suoi talk show, notizie e voci di tale natura. Il ritornello preferito? Le accuse di tradimento ai dimostranti e – tanto per cadere in luoghi comuni facili ed efficaci – il suggerimento che siano manipolati da “potenze straniere”, in particolare dagli Stati Uniti, dal Mossad, dall’Iran e dal Qatar. Più le sparano grosse e meglio funziona, e gli effetti su quella parte della popolazione che vede soltanto la televisione nazionale sono, semplicemente, devastanti: xenofobia esacerbata, acceso fanatismo e sentimenti anti-israeliani spinti all’estremo.Ed ecco perché hanno scelto di arrestare Maikel, la vittima perfetta: porta un nome cristiano e si definisce laico, ateo e – troppo bello per essere vero – filoisraeliano. L’esercito già si affretta a inondare la stampa sotto il suo controllo e le reti televisive nazionali.di Aalam Wassef Egiziano, 40 anni. Artista, editore, giornalista e blogger sotto una dozzina di pseudonimi o sotto il suo vero nome quando il contesto lo consente.
http://notizie.radicali.it/


Libano. L’esercito israeliano svela le postazioni belliche di Hezbollah

L’esercito israeliano ha trasmesso a diversi media statunitensi e filo-ebraici la mappa di centinaia di sotterranei e di depositi di armi nel sud del Libano, appartenenti al gruppo politico di stampo islamico Hezbollah.L’intento di Tsahal, le Forze di difesa israeliane, è quello di mostrare che Hezbollah agisce per trasformare ogni villaggio del sud del Libano in una zona di guerra pronta a scatenarsi contro lo Stato ebraico. In questa parte del Libano, dove il paese confina con Israele, una risoluzione delle Nazioni Unite vieta ad Hezbollah la detenzione e il traffico di armi ma i controlli sono inesistenti e il materiale bellico circola senza restrizioni.L’esercito israeliano spiega che in questa zona del Libano Hezbollah dispone di 550 bunker, 300 posti di controllo e 100 depositi di armi e materiale di guerra, perlopiù provenienti da Iran e Siria. Il gruppo islamico ha dal canto suo accusato il governo israeliano di mettere in campo una campagna di diffamazione e di intimidazione. 31 marzo 2011 http://www.ticinolive.ch/


Gerusalemme - suoni e luci

Servizi segreti Londra diffidavano del Mossad


31 mar. (TMNews) - I servizi segreti britannici non sempre erano disposti a condividere le informazioni con la controparte israeliana, convinti che il Mossad "giocasse secondo regole diverse": lo ha affermato l'ex responsabile dell'Mi6, Sir Richard Dearlove, le cui dichiarazioni sono state riportate dal quotidiano israeliano Ha'aretz. "Non ho dubbi sul fatto che Israele segua delle regole diverse da quelle osservate nel Regno Unito", ha spiegato Dearlove, intervenuto ad una conferenza per la celebrazione dei sessant'anni di rapporti diplomatici bilaterali: "Non voglio dilungarmi oltre sull'argomento, preferisco lasciarlo all'imamginazione". Tuttavia, sebbene le relazioni con lo Stato ebraico "non siano facili" ciò non significa che "non siano importanti o non siano seguite con attenzione professionalmente e politicamente", specie per quel che riguarda dossier come l'iraniano: "Naturalmente ciò si riflette anche sul ruolo di Hamas ed Hezbollah, che in termini di comportamento verso Israele sono in gran parte surrogati iraniani", ha concluso Dearlove.



Israele: donna cerca di introdurre di nascosto 44 iPhone nello stato

Un’anziana signora di Israele, tornando dal suo viaggio a Londra, è stata beccata nel tentativo di portare illegalmente a Gerusalemme la bellezza di 44 iPhone. I device sono stati trovati all’aeroporto internazionale Ben-Gurion, appiccicati al corpo della donna.
http://www.tuxwinmac.com/


Quando l'esotismo è beauty

Massaggi bizzarri in giro per il mondo. Dai serpenti ai piccoli pesci che mordicchiano i calli dei piedi. Quando gli animali e la natura aiutano il nostro benessere accontentando il desiderio di esotismoL’amore per gli animali e l’ossessione per il contatto che ne scaturisce assume oggi una nuova declinazione. Gli animali fanno bene alla bellezza del corpo e all’estetica con speciali trattamenti che sfruttano le loro capacità specifiche. E’ tempo di massaggi e trattamenti estetici bizzarri ed efficaci; benvenuti animali e benvenuto esotismo beauty, quando l’immersione nella natura è fonte di vero e proprio benessere.Cominciamo con il maestoso pitone, nel parco a tema World of Adventure, nel Surrey, i visitatori possono farsi strisciare sulla schiena un pitone reale poiché pare che i movimenti di questi serpenti aiutino a sciogliere muscoli e articolazioni. In Israele, la Ada Barak's Farm ha a disposizione ben sette rettili da far scorrere sul corpo a seconda del tipo di massaggio: i più piccoli per pressioni morbide, quelli grandi e pesanti per un trattamento più intenso......http://donna.libero.it/

Gerusalemme


EBREI-S.SEDE: A GERUSALEMME RIUNIONE GRAN RABBINATO-VATICANO


(ASCA) - 30 mar - Si e' aperta ieri a Gerusalemme la decima riunione della Commissione bilaterale della delegazione del Gran Rabbinato di Israele e del Comitato vaticano per i Rapporti Religiosi con l'Ebraismo della Santa Sede. Secondo quanto riferisce il Servizio di Informazione Religiosa della Cei, all'incontro sono presenti da parte cattolica: il card. Jorge Maria Mejia, le card.
Peter Turkson, il Patriarca Fouad Twal, mons. Giacinto-Boulos Marcuzzo, mons. Bruno Forte, padre Francesco Fumagalli e padre Norbert Hofmann (secretaire). Da parte ebraica partecipano all'incontro i Rabbini Capi Shear Yashuv Cohen, David Brodman, Ratzon Arussi, David Rosen e M. Oded Wiener. E' presente all'incontro anche M. Lars Hansel in veste di direttore del Centro della Fondazione Konrad Adenauer, che ospita l'incontro. Il tema dell'incontro che si concludera' il 31 marzo con una dichiarazione comune, ha per tema: ''La sfida della fede e della leadership religiosa in una societa' secolare''.


Kafka di Andy Warhol

Kafka, l'ultimo mistero è nascosto in un frigorifero

Sulle tracce dei leggendari taccuini scomparsi nella Germania nazista: la chiave per trovarli si trova in un appartamento di Tel Aviv abitato da un’anziana signora con un centinaio di gatti
L’ultimo processo di Kafka va in scena in questi giorni, nelle aule del tribunale di Tel Aviv, dove sono stati appena riesumati i «resti» letterari dell’inventore dell’angoscia contemporanea. Come in una trama dello scrittore di Praga, in questa storia s’incontrano schiere di avvocati, una casa quasi stregata - abitata da un’anziana signora e da un centinaio di gatti -, lettere nascoste all’interno di un frigorifero, manoscritti sepolti nei caveau di alcune banche svizzere, squadre contrapposte di bibliofili, una cacciatrice di documenti che porta lo stesso cognome dell’ultima compagna dell’autore del Processo. In palio, quel che resta dell’eredità di Franz Kafka; e, forse, la chiave finale per capirne l’opera e la vita, che, per i critici e i biografi, conserva molte zone oscure.
«Siamo da anni sulle tracce di 20 taccuini e 35 lettere, che vennero sequestrati nel 1933 dalla Gestapo nell’appartamento di Dora Diamant. Si tratta delle ultime note scritte da Kafka, prima di morire nel 1924 nel sanatorio di Kierling. Potrebbe essere il suo testamento letterario. Sono le uniche carte che non sono passate al vaglio dell’amico Max Brod» racconta Kathi Diamant, direttrice del Kafka Project, organizzazione con base a San Diego, in California, nata con lo scopo di rintracciare scritti inediti e materiali biografici relativi al grande scrittore. Kathi ha lo stesso cognome della danzatrice Dora, con cui Franz Kafka sognava di emigrare a Gerusalemme e aprire un ristorante, ma non c’è nessuna parentela accertata. Di recente, sono stati ritrovati due diari di Dora, uno a Parigi, il secondo a Berlino. Mentre Kathi ha scoperto alcuni oggetti appartenuti a Kafka, tra cui una spazzola, in un kibbutz in Israele. Niente in confronto al tesoro letterario dei taccuini. Anche in senso economico. Basti pensare che il manoscritto del Processo è stato venduto alla biblioteca tedesca di Marbach per 2 milioni di dollari, nel 1988; e che la casa d’aste berlinese Stargardt il 20 aprile prossimo offrirà le lettere di Franz alla sorella Ottla con una base di 800 mila euro.Per gli appassionati di Kafka, i taccuini sono una sorta di Santo Graal. Dora Diamant decise di conservarli, mentre distrusse il resto dei fogli riempiti dallo scrittore a Berlino nell’anno che passarono insieme. A differenza di Max Brod, amico ed esecutore testamentario, che non obbedì alla richiesta dello scrittore di bruciare tutte le sue carte, senza leggerle. «Le condizioni di salute, anche mentale, di Kafka non erano buone in quell’anno, ma se Dora ha deciso di salvare i taccuini ci deve essere qualcosa d’importante» dice convinta Kathi Diamant. «Dopo la guerra, Max Brod andò in Germania per recuperare le carte. Ma si trovavano oltre la Cortina di ferro, e gli archivi non permettevano indagini. Oggi si sono aperti degli spiragli. Ci sono buone probabilità che i taccuini siano in Polonia, ma la pista per individuarli è in una serie di lettere che Dora ha scritto a Max Brod e che solo pochissime persone hanno potuto vedere fino ad ora».È qui che la storia ha una contorsione degna del miglior Kafka. Le lettere in questione fanno parte dell’eredità di Max Brod, contesa dalle sorelle Eva Hoffe e Ruth Wiesler da una parte e dallo Stato d’Israele dall’altra. L’archivio di Brod è il secondo tesoretto kafkiano, che aprirebbe la via al primo, quello dei taccuini. Come è noto, l’amico decise di salvare i romanzi e i racconti di Kafka, e riuscì a portarli in Palestina nel 1939, poco prima che si chiudessero i confini della Cecoslovacchia, occupata dai nazisti; quindi ne sorvegliò la pubblicazione, con la sollecitudine del «guardiano della legge» della celebre parabola contenuta nel Processo. Ma alcune carte scelse di non pubblicarle. Alla sua morte, passarono alla segretaria Esther Hoffe, e quindi alle figlie. È a questo punto, nel 2007, che s’inizia l’estenuante processo.La Libreria Nazionale di Gerusalemme decide di contestare la donazione dell’archivio alla Hoffe, sulla base della volontà espressa da Brod, che avrebbe voluto il suo archivio in un’istituzione israeliana. Intanto le sorelle avevano disseminato le carte in dieci cassette di sicurezza tra Zurigo e Israele. Altre sono rimaste in un appartamento, in via Spinoza, in una zona residenziale di Tel Aviv, che Eva divide con un numero variabile e considerevole di gatti, e dal quale parla solo con i suoi avvocati. Le poche notizie che trapelano sembrano segreti bisbigliati attraverso serrature chiuse. Ambigue come le misteriose comunicazioni dei signori del Castello all’agrimensore K. «Ho saputo che ci sono fogli nascosti sotto il letto, e che le lettere di Dora a Brod sono stipate nel frigorifero» sostiene Kathi Diamant. La sensazione è che i protagonisti di questa storia si siano adeguati il più possibile per somigliare ai personaggi di un racconto di Kafka. «I manoscritti esercitano uno strano magnetismo» suggerisce la studiosa.La corte israeliana, la scorsa estate, ha ordinato l’apertura dei caveau e l’inventario dei documenti, inclusi quelli nell’appartamento, tra le grida di dolore di Eva Hoffe. Pochi giorni fa, il team di esperti del tribunale ha pubblicato un primo resoconto del materiale esaminato. Tra gli autografi kafkiani ci sono le bozze del racconto Preparativi di nozze in campagna, frammenti che sembrano inediti, forse le idee per una storia, lettere, un quaderno di esercizi in lingua ebraica. E poi il diario di Brod, mai pubblicato. «Tra gli esperti del tribunale non ci sono veri studiosi di Kafka, in grado di capire cosa sia inedito o se un frammento rimandi a una scoperta» denuncia Kathi Diamant. Non è neppure chiaro se nel rapporto siano compresi anche i documenti dell’appartamento di via Spinoza, tra cui le famose lettere di Dora.I detective legali cercano prove che avvalorino la tesi della donazione alla due sorelle, o al contrario, della volontà di Brod di lasciare le sue carte allo Stato d’Israele. I segugi letterari esaminano indizi per decifrare i labirinti kafkiani. «Dei tre capolavori di Kafka, Il castello e America sono incompiuti. E c’è chi sostiene che anche Il processo manchi della conclusione voluta dal suo autore» ribadisce Kathi Diamant. La soluzione si sposta da una carta all’altra, da una banca svizzera a un archivio in Slesia. «La strada per la sentenza è ancora lunga» ha detto uno degli avvocati. «Forse i taccuini sono la risposta finale, oppure contengono solo un altro enigma» dice la Diamant. È singolare, una beffa o una maledizione, che la verità su Kafka voglia sfuggire al suo ultimo processo. FABIO SINDICI,31/03/2011,http://www3.lastampa.it/


La triste sorte dei musulmani moderati

Di Elliot Jager http://www.israele.net/
Almeno a prima vista, le recenti rivolte in Medio Oriente sembravano rimandare un segnale rassicurante agli osservatori occidentali: non solo esistono musulmani autenticamente moderati, e non solo questi sono stati capaci di dotarsi di una voce politica; ma si può anche sperare che, dando loro il tempo di organizzarsi, possano riuscire a prevalere contro le voci della repressione e dell’estremismo islamista. Con il dispiegarsi degli eventi, tuttavia, l’iniziale ottimismo è andato sfumando. C’è ancora motivo di speranza, ma è chiaro che la battaglia sarà lunga e difficile. E poi bisogna tener conto degli insegnamenti della storia e dell’esperienza contemporanea.Uno di questi insegnamenti, assai amaro, riguarda la sorte toccata a fin troppi pensatori liberi nel mondo arabo e islamico. Anche lasciando da parte le stragi di massa perpetrate da attentatori suicidi musulmani contro i loro fratelli musulmani – ormai orribilmente di routine in Iraq, Pakistan e Afghanistan – un impatto non meno devastante sulla realtà politica lo hanno avuto gli omicidi mirati intesi a spegnere le voci moderate.La lista di tali assassinii è lunga, e i bersagli comprendono un gran numero di personalità in posizioni influenti. La vittima più recente che viene in mente è Salman Taseer, il cosmopolita governatore della provincia del Punjab, in Pakistan, la cui uccisione lo scorso gennaio è stata la più clamorosa dopo quella dell’ex premier Benazir Bhutto nel 2007 (dopo Taseer, ai primi di marzo lo stesso destino è toccato a un altro politico pakistano moderato, il cristiano Shahbaz Batti).Fra i capi di stato musulmani ammazzati, si ricorda re Abdullah di Giordania, ucciso nel 1951 davanti alla moschea al-Aqsa di Gerusalemme, per il sospetto che fosse disposto a fare la pace con Israele; e il presidente egiziano Anwar Sadat, assassinato nel 1981 per averla fatta effettivamente. Il presidente algerino Muhammad Boudiaf venne assassinato nel 1992 da una guardia del corpo islamista, mentre il primo ministro libanese, il sunnita Rafik Hariri, venne ucciso in un attentato esplosivo nel 2005, molto verosimilmente dai terroristi sciiti Hezbollah (il presidente libanese Bashir Gemayel, cristiano, era stato assassinato nel 1982 per aver incontrato l’allora premier israeliano Menachem Begin). Anche Tehran vanta una lunga storia sanguinosa di leader moderati eliminati, come l’ex premier Shapour Bakhtiar nel 1991.Particolarmente esposti, come si vede dall’elenco, sono coloro che propugnano la coesistenza con Israele, e i più esposti di tutti sono i palestinesi tendenti in questo senso. Storicamente, la dirigenza della società palestinese era divisa fra i fanatici, guidati dall’allora muftì di Gerusalemme Haj Amin al-Husseini, e i relativamente moderati, fra i cui ranghi si annoveravano eminenti famiglie di notabili come i Nashashibi. I moderati erano giunti alla conclusione, più o meno a malincuore, che i sionisti non potevano essere sconfitti e che anzi la coesistenza con loro fosse nell’interesse dei palestinesi. Ma già negli anni ’20 e ’30 era in pieno corso lo sforzo di radicalizzare i leader di villaggio e istigare alla violenza contro i “collaborazionisti”. La vicenda, raccontata dallo storico Hillel Cohen in “Army of Shadows”, culminò in una sequela di violenze omicide che, al momento in cui venne proclamato lo stato d’Israele nel 1948, avevano ormai decapitato la dirigenza moderata mietendo la vita di centinaia di palestinesi.Lo schema si protrasse anche dopo il 1948. Venticinque anni fa Zafer al-Masri, 44enne sindaco di Nablus (Cisgiordania), veniva assassinato sulla porta del municipio per il sospetto che egli, noto per i suoi stretti legami con la Giordania, stesse progettando di negoziare con Israele sotto gli auspici di Amman.La stessa cultura politica intransigente che considera ogni contatto con Israele un atto di tradimento passibile di pena di morte sommaria è quella da cui sono stati generati non solo Fatah e Hamas, ma anche i funzionari supposti moderati che gestiscono oggi la Cisgiordania. Uno di questi è Saeb Erekat, una delle figure più accomodanti nella gerarchia dell’Olp. Parlando in privato, Erekat ha garantito ai diplomatici occidentali che i palestinesi sono pronti al compromesso sulla questione dei profughi. In pubblico, invece, Erekat ha continuato ad insistere sul “diritto al ritorno” di “sette milioni” di profughi e loro discendenti. Quale che sia la motivazione di questa sua doppiezza, il risultato netto è che le masse restano del tutto impreparate al compromesso, vale a dire impreparate alla pace.La carneficina coerente e sistematica dei veri moderati, anziché indurre i commentatori occidentali ad esitare li ha spinti ad abbassare sempre più la definizione di “moderato”. Solo in base a un parametro capovolto si può definire moderato un irremovibile come Mahmoud Abbas (Abu Mazen), che ormai da due anni boicotta i negoziati con Israele.I veri moderati, che osano prendere posizione contro la loro esistenza da giungla nelle terre arabe, spesso finiscono con scoprire che la loro vita è condannata ad essere non solo isolata, misera, brutta e brutale, ma anche tragicamente breve.(Da: Jerusalem Post, 27.3.11)


Netanyahu: - “Voi siete il Vero Israele”

Una delegazione composta da 50 membri della Protezione Civile Israeliana e del Corpo Medico di Tsahal, è partita per il Giappone, per allestire un ambulatorio nella zona del disastro.Con loro, sull’aero, si trovano 60 tonnellate di attrezzature.Dalle parole di una dottoressa, madre di due figli: “I Bambini sono consapevoli del pericolo, ma ho spiegato loro che partivo per aiutare la popolazione”La delegazione, composta da 50 persone, tutti medici specializzati dell’Esercito e della Protezione Civile, è partita per il Giappone, la scorsa notte, per fornire assistenza in seguito al disastroso tsunami.Tutto il materiale è stato caricato su un Cargo 747, in aggiunta ad un aereo dell’esercito, partito con la missione di allestire un ambulatorio, nella zona del disastro.“Voi continuate a far sventolare la Bandiera di Israele con Orgoglio”, il messaggio del primo ministro Benjamin Netanyahu, alla delegazione, “Voi siete gli ambasciatori del Vero Israele, e sono sicuro che salverete molte vite”Il Cargo 747 è stato caricato con 60 tonnellate di attrezzatura medica, che servirà per l’allestimento dell’ambulatorio, e comprende tra l’altro, apparecchiature mediche, combustibile, gas, ossigeno, medicinali, cibo, acqua e letti per i malati.Finora il Giappone, ha già ricevuto l’aiuto da squadre di soccorso, provenienti da un numero esiguo di paesi, ma non personale medico. La delegazione della Protezione Civile Israeliana si insedierà nella città di Kurihara, nel distretto di Miyagi, a Nord di Tokyo, dove lo tzunami ha colpito più duramente.Tra i membri della delegazione, c’è il Colonnello Dottoressa, Ayelet Shachar, comandante degli ambulatori del Comando Distretto Sud. “Sono entusiasta, piena di ambizione e di orgoglio che siamo fra gli stati che portano aiuto”, ha detto. “Si tratta di un paese forte, ma noi israeliani, abbiamo la capacità e la professionalità per trattare le calamità, portando aiuto in modo veloce e efficiente.Il Colonnello medico dr. Shachar, è madre di due figli, vive da circa due anni, in una cooperativa di insediamenti, dove si è trasferita, con la famiglia, in seguito al servizio militare . “I bambini leggono i quotidiani on-line, vedono al telegiornale la situazione in Giappone, e sono consapevoli di tutti i problemi che ci potrebbero essere, legati alle radiazioni”. Continua: “Sono abbastanza preoccupati. Ho spiegato loro che L’Esercito ci protegge bene, il posto dove saremo è sufficientemente sicuro, che sto andando ad aiutare la popolazione, e tornerò a casa, il prima possibile”Da Israel Ha-Yom” del 27/03/2011

Acri


Israele: iniziati lavori per una ferrovia di 23 Km tra Acre e Carmiel. Costo 800 milioni di dollari


(FERPRESS) – 30 MAR – Israele ha iniziato i lavori per una nuova linea ferroviaria che scorrerà parallela all’Autostrada 85, e che collegherà Acre e Carmiel, nel nord del paese. Il costo sarà di 790.9 milioni di dollari.Il percorso della nuova linea ferroviaria, lunga 23 km, comprende due nuove stazioni a Moshav Ahihud, nella Galilea occidentale, e all’ingresso di Carmiel, oltre alla costruzione di numerosi ponti e gallerie.Saranno infatti elevati ponti sui fiumi Na’aman e Hilazon, deviando il corso di quest’ultimo di 900 metri, e spostando l’autostrada 4 di poco più di un km per adeguarsi al previsto percorso della ferrovia. Il nuovo tratto consentirà ai treni di correre a 160 km/ora.L’entrata in servizio dei treni tra le due città israeliane è prevista entro cinque anni, secondo quanto afferma Railwy Technology.


Gerusalemme

Aggiornamenti sito Mara:


ANTONIA ARSLAN ISHTAR 2 Cronache dal mio risveglio continua


SCRIVERE IN UNA LINGUA RINNOVATA Incontro con Nurit ZARCHI e Antonio FAETI

continua


Israele fa rimuovere pagina Intifada da Facebook

Nata come protesta pacifica, la pagina ha finito con ospitare incitamenti alla violenza e all'odio.
Lo scorso 23 marzo Yuli Edelstein, ministro per le questioni della diaspora, ha scritto a Mark Zuckerberg. La lettera, pubblicata sul sito The Jerusalem Gift Shop, chiedeva la rimozione della pagina di Facebook titolata Third Palestinian Intifada. "In questa pagina" - spiegava il ministro - "ci sono diversi post e spezzoni di film che incitano all'uccisione di israeliani ed ebrei e la "liberazione" di Gerusalemme e della Palestina tramite atti di violenza". All'inizio Facebook ha risposto tramite la propria portavoce Debbie Frost, spiegando che "in genere non togliamo contenuti, gruppi o pagine che si esprimono contro nazioni, religioni, entità politiche o idee". Al momento della richiesta da parte di Edelstein, la pagina in questione contava oltre 230.000 fan. Alle proteste del ministro israeliano si è poi aggiunta anche l'americana Anti-Defamation League, e alla fine Facebook ha deciso di procedere. Dopo aver eliminato la Third Palestinian Intifada, il social network ha spiegato i propri motivi: nata come protesta pacifica, seppure "utilizzando un termine in passato associato alla violenza", la pagina è diventata uno spazio in cui non si contavano più gli incitamenti alla violenza. Anche gli amministratori, che inizialmente rimuovevano i commenti estremi, alla fine hanno iniziato a partecipare agli inviti ad azioni violente: ciò ha portato Facebook dapprima a inviare degli avvertimenti e infine a sospendere la pagina. Da allora, com'era prevedibile, altre pagine ispirate a quella sono apparse sul social network, ma nessuna ha mai raggiunto la popolarità di quella originaria. [ZEUS News - www.zeusnews.com - 30-03-2011]



Albania dolce terra d'esilio per gli ebrei?

Laura Brazzo, Michele Sarfatti ( a cura di) Gli ebrei in Albania sotto il fascismo. Una storia da ricostruire Giuntina, Firenze 2010, € 14.00
Un libro sugli ebrei in Albania durante il fascismo rivela importanti novità sulla nostra storia
Albania paese-rifugio per gli ebrei? Tirana città aperta per gli ebrei fuggiaschi nell’Europa in fiamme del Secondo conflitto mondiale? Non proprio. Che sia venuto il tempo di sfatare un mito o perlomeno un luogo comune della vulgata storica corrente lo dimostra un libro fresco di stampa e pregevole per la ricchezza di documentazione storica e approfondimento d’analisi. Stiamo parlando di “Gli ebrei in Albania sotto il fascismo. Una storia da ricostruire”, una raccolta di saggi appena pubblicata da Giuntina (14 euro), e curata da due storici della Fondazione CDEC di Milano, Laura Brazzo e Michele Sarfatti.Innanzitutto cominciamo a dire che la questione degli ebrei in Albania prima e durante la Seconda guerra mondiale è un tema che, per varie ragioni – a partire dalla difficoltà di reperire le fonti – ha cominciato ad interessare gli storici solo in anni recenti. Le prime prime ricerche insieme alle testimonianze dei sopravvissuti hanno portato alla luce elementi di un certo interesse, fra cui quello ormai noto della protezione offerta dalla popolazione locale (per lo più musulmana) agli ebrei rifugiati in Albania durante l’occupazione tedesca. Nessun ebreo è stato deportato dall’Albania, nessun ebreo che si trovasse in Albania fra il 1943 e il 1945, è stato vittima della Shoah, si dice spesso.La novità del libro curato da Brazzo e Sarfatti riguarda però non tanto gli anni fra il 1943 e il 1945, ma piuttosto quelli dell’occupazione italiana, fra l’aprile del 1939 e l’8 settembre del 1943.Il primo dato interessante che emerge dal libro riguarda il numero degli ebrei in Albania al momento dell’occupazione italiana: poco più di 300. Un numero quanto mai ridotto, se si pensa che l’ex console americano Bernstein aveva dichiarato già nel 1935 che l’Albania era una terra dove non esisteva antisemitismo e se si pensa che la Società delle Nazioni, nello stesso periodo aveva ipotizzato di fare dell’Albania un ricovero per i profughi ebrei della Germania.Nell’aprile del 1939 l’Italia fascista conquistò il Regno d’Albania che divenne territorio annesso all’Impero italiano tramite l’unione delle due corone.Temevano “di giorno in giorno di vedere precipitare la propria situazione” scrive un ebreo albanese, Rafael Jakoel, ricordando quei mesi.Le cose però se peggiorarono, non precipitarono del tutto. Il perchè lo spiega Michele Sarfatti il cui saggio contiene appunto una delle più importanti novità storiografiche sull’Albania del periodo fascista, di questi ultimi anni.Nel 1939, poco dopo l’occupazione, gli italiani avevano pensato di estendere le leggi razziali all’Albania. Roma intendeva far adottare all’Albania misure “per quanto possibile identiche a quelle esistenti in Italia” segnala Sarfatti. Tra Roma e Tirana fu preparata una bozza di decreto sugli ebrei stranieri, che prevedeva, fra l’altro, l’espulsione nel giro di un mese dalla data di emanazione, la revoca delle cittadinanze concesse in qualunque tempo e il divieto di stabilire fissa dimora in Albania. Questa bozza fu rielaborata, ripensata, ma alla fine sospesa su ordine di Roma. Essa cioè non entrò mai a far parte della legislazione albanese.Nello stesso periodo in cui a Roma si lavorava a questa bozza di decreto, a Tirana il Ministero degli Interni ordinava alla prefetture il censimento di tutti gli ebrei presenti sul territorio, sia stranieri che con cittadinanza albanese. Ciò in vista di una “disposizione di prossima pubblicazione”. Insomma, le autorità albanesi sembravano pronte ad accogliere senza troppe (nessuna!) proteste una legislazione di tipo antiebraico.Alla fine del 1940 però nessuna disposizione era stata presa. Come riferisce Sarfatti, la luogotenenza in Albania nel 1940 informò il consigliere permanente di polizia albanese che il Ministero dell’interno italiano non riteneva opportuno per quel momento estendere all’Albania le disposizioni di legge sulla razza esistenti in Italia. Forse si trattò di un rinvio ulteriore più che di un annullamento. Rimane il fatto, come osserva ancora Sarfatti, che furono gli italiani e non gli albanesi a decidere di non imporre all’Albania una legislazione antiebraica.Questa decisione, presa direttamente da Roma, conclude Sarfatti, è un fatto notevole rimasto finora del tutto ignoto. Il senso di questa “scoperta” alla fine è chiaro: è vero che la popolazione albanese non esitò a proteggere gli ebrei dalla furia dei tedeschi, ma è vero anche che le autorità albanesi erano disposte e pronte ad adeguarsi all’antisemitismo di Stato senza troppi scrupoli.Fu dunque innanzitutto la decisione italiana del 1939 e poi del 1940 a far sì che la situazione degli ebrei in Albania (e l’Albania stessa) si configurasse come un unicum rispetto al resto dei Balcani, sia nei territori occupati dall’Italia, sia in quelli occupati dalla Germania. Ora però rimangono da capire i motivi di una decisione tanto determinante quanto unica ed “anomala”. Per questo aspettiamo al più presto un nuovo libro.Maria Eleonora Tanchis 01/04/2011 http://www.mosaico-cem.it/


Devar Torà / Il valore dei figli poggia sul merito delle madri

Di: Ufficio Rabbinico di Milano 01/04/2011 Milano 28 Adar II 5771
Devar Torà
“Quando una donna genera e partorisce un maschio…” (Vayikrà 12, 2). Su questo verso che apre la parashà di Tazrìa, il Rabbino Chaim Yosèf Azulai, noto come Chidà, fa notare che la validità futura dei figli poggia in gran parte sul merito della loro madre: le madri che santificano i propri pensieri e le proprie azioni, ottengono il merito di crescere dei figli santi e puri. Infatti le iniziali delle prime parole del 2° verso della parashà formano il termine zekhùt, cioè merito.


Solidarietà da Roma per la gente di Itamar

Un’iniziativa di solidarietà e d’apertura al dialogo: è questo il senso della missione di due giorni d’una rappresentanza della Comunità ebraica di Roma guidata dal presidente, Riccardo Pacifici, nell’insediamento ebraico di Itamar in Cisgiordania, teatro nelle settimane scorse di un sanguinoso eccidio costato la vita a cinque componenti di una giovane famiglia (padre, madre e tre bambini). La missione è cominciata con un primo incontro con gli abitanti e un momento di preghiera comune in sinagoga e prevede che l’intera delegazione trascorra la notte nell’insediamento. Domani, in una cerimonia pubblica, Pacifici consegnerà «un piccolo aiuto economico frutto di offerte spontanee» destinato agli orfani scampati alla strage (un bambino di due anni che dormiva con i genitori nascosto dalle coperte, un fratello di 10 che non è stato notato su un divano letto in soggiorno e una sorella di 12 che non era in casa) e formalizzerà l’avvio di un progetto di adozione a distanza di uno di loro. Ad accompagnare gli ospiti vi sono anche alcuni israeliani d’origine italiana, fra i quali Yonathan Pacifici, che da bambino rimase ferito nell’attentato alla sinagoga di Roma. «Siamo qui per testimoniare la solidarietà umana della nostra Comunità, come di tutti gli ebrei del mondo, agli orfani sopravvissuti miracolosamente alla furia dei terroristi che hanno sgozzato i loro genitori e fratelli», ha spiegato Pacifici, notando come la visita avvenga su uno sfondo di inquietudini regionali e di timori di ripresa del terrorismo in Israele alimentati dal recente attentato alla stazione dei bus di Gerusalemme. «Nello stesso tempo – ha aggiunto – vogliamo portare anche un messaggio politico: e cioè che siamo stanchi di sentir parlare di coloni, con un termine che nell’immaginario europeo ha connotati negativi, per indicare persone che (negli insediamenti ebraici) fanno certamente una scelta ideologica dettata dal desiderio di vivere in luoghi raccontati dalla Bibbia, ma che non sfruttano terre ricche di risorse e che qui, certamente, non vogliono far male a nessuno». Persone che a Itamar provengono in gran parte da America o Francia e fra cui non ci sono italiani, ma con le quali la Comunità romana «vuole aprire un dialogo»: «Senza condannarne la scelta», ha puntualizzato Pacifici, pur evidenziando la volontà di «accettare qualsiasi decisione i leader democratici israeliani vorranno prendere» sulle colonie, nell’ambito di quell’ipotetico accordo di pace che «gli ebrei italiani desiderano e invocano nelle loro preghiere». http://moked.it/


Lo scrittore e il prigioniero

Il Tizio della Sera si domanda se quando uno scrittore manda in forma privata il suo romanzo con la storia della nazione a cui appartiene a un nemico prigioniero, stia spedendo in segreto il romanzo a un nemico e tradisca la propria nazione; oppure, spedendo sottovoce il romanzo, abbia cercato di scegliere la forma privata del dialogo, e volesse mostrare al prigioniero che contiene il nemico come siano le persone che tenta di uccidere, lo Stato che non riconosce. E così facendo, lo scrittore non si limiti a sapere dal giornale che il nemico è prigioniero, ma ora che il nemico è prigioniero, lo scrittore faccia il suo mestiere di uomo; scelga di non rinunciare, proprio col nemico, alle proprie prerogative umane; illustri la storia, lo spirito, la civiltà, la morale, la cultura della propria nazione. Faccia vedere al nemico che le persone della propria nazione non sono come le persone del nemico che mandano i propri compagni a scannare una famiglia nel buio di un villaggio, ma nel buio di un carcere faccia arrivare loro un libro da leggere. Se il romanzo fosse arrivato a destinazione e fosse stato letto, la persona dello scrittore avrebbe mostrato al nemico che vive nel corpo del prigioniero che i nemici sono persone e c'è un'universalità del mondo.
Che male c'è, nel bene? Il Tizio della Sera http://www.moked.it/


San Severino Marche rende omaggio a Mosè Di Segni Il dottore del coraggio a rischio della vita curava i partigiani

“E' un paese cui sono legato da un ricordo affettivo, visto che la mia famiglia si rifugiò in quei luoghi durante i provvedimenti razzisti e mio padre era il medico della banda partigiana”, il Rav Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma (nella foto), non nasconde, non nasconde una certa commozione nel commentare la notizia che il Comune di San Severino Marche (Macerata) conferirà la cittadinanza onoraria a lui e ai fratelli Frida e Elio, cardiologo che vive in Israele. Ad annunciarlo il sindaco di San Severino, Cesare Martini. La famiglia Di Segni si rifugiò a Serripola di San Severino dopo essere fuggita dalla Capitale perché inserita nella lista degli "ostaggi dell'oro". Mosè Di Segni, fu nascosto con i suoi dalla famiglia del farmacista Giulio Strampelli, e in quel luogo si unì alla banda partigiana del comandante Mario Depangher, organizzando un servizio di assistenza sanitaria. Molti cittadini devono la vita alle cure ricevute dal medico, anche durante la battaglia di Valdiola del 23 marzo 1944. Dopo la guerra Mosé Di Segni fu decorato in vita con la medaglia d'argento al valor militare. Riccardo, Frida e Elio Di Segni hanno mantenuto un forte legame con San Severino Marche. In occasione della cerimonia il rav Di Segni donerà al Comune copia di un manoscritto del padre sugli eventi partigiani avvenuti nella zona. Pagine inedite, che l'amministrazione comunale pubblicherà per il sessantaseiesimo anniversario della Liberazione. http://www.moked.it/


Leggere per crescere con Nurit Zarchi

È la signora israeliana dei libri per bambini. Scrittrice e poetessa di fama mondiale con un centinaio di pubblicazioni all’attivo, Nurit Zarchi era ieri pomeriggio ospite d’onore al Museo ebraico di Bologna a margine del duplice incontro mattutino con giornalisti e addetti ai lavori che l’ha vista grande protagonista della seconda giornata del Bologna Children’s Book Fair. Introdotta dai saluti del direttore del Museo ebraico Franco Bonilauri e dall’analisi critica di Antonio Faeti, docente di Grammatiche della Fantasia all'Accademia di Belle Arti di Bologna che ne ha sottolineato la vincente e immaginifica narrativa (“Nurit Zarchi è un’autrice di tale spessore che per studiarla non basterebbe un semestre universitario”), la scrittrice si è soffermata sul suo percorso di approccio al mondo della parola attraverso un affascinante excursus nei ricordi di bambina alle prese con quella straordinaria e complessa lingua che è l’ebraico. Lingua che Zarchi modula continuamente in senso metaforico attingendo a piene mani da un innato senso umoristico e dal proprio vissuto. Un viaggio nei vocaboli e nelle loro sfumature infatti, quello intrapreso ieri dall’autrice, per capire come esperienze personali e sfide della quotidianità di Israele siano presenti a piene mani nei suoi lavori, tradotti ormai in moltissime lingue ma ancora in cerca di editore nel nostro paese. Grazie alla collaborazione dell’addetta culturale dell’ambasciata israeliana in Italia Ofra Fahri sono stati recitati e tradotti alcuni passaggi dei suoi scritti in cui risulta evidente l’uso originalissimo fatto della lingua ebraica in un mix unico di humour, creatività e senso dell’immaginario che non a caso è oggetto di studio in alcune facoltà israeliane ed europee. Per chi volesse approfondire personalità e influenze tematiche di Nurit Zarchi è possibile leggere l’intervista rilasciata a Daniela Gross nella pagina di apertura del dossier coordinato da Rossella Tercatin che Pagine Ebraiche di aprile dedica alla letteratura per l’infanzia.http://www.moked.it/

Nurit Zarchi racconta: “Il mio paese sono i libri”


Fa ridere, sognare. E spesso guida i più piccoli nel ritrovare il bandolo di un’esistenza complicata. Con tocchi leggeri e delicati che riprendono la sua esperienza di figlia d’immigrati, rimandano al problema della discriminazione o alludono al dolore della guerra. Nurit Zarchi, la signora israeliana dei libri per bambini, per la prima volta ospite in Italia alla Fiera del libro per bambini di Bologna, ha ormai all’attivo un centinaio di volumi: romanzi, racconti, poesie, saggi e oltre ottanta opere per l’infanzia. È una celebrità, pluripremiata e apprezzata. Ma non ha ancora cessato d’interrogarsi sugli ingredienti artistici capaci di catturare l’attenzione di chi muove i primi passi sulla via della lettura. “In ogni narrazione – spiega – mi sforzo d’introdurre elementi legati alla mia esperienza personale. Non decido mai a priori di parlare di temi legati alla società o alla politica: sono elementi che emergono di solito attraverso il filtro della mia soggettività”. Le urgenze e le ferite del mondo israeliano fanno dunque la loro apparizione nelle sue pagine in modo sommesso. Sono un bimbo che ha perso il padre in guerra o il ragazzino che non viene accettato dai compagni perché diverso. Tocchi discreti che parlano della vita, l’argomento che a suo dire appassiona di più il pubblico infantile. Basti pensare, dice, al successo planetario di Harry Potter. “Nei libri di Joanne K. Rowling si ritrovano i materiali della mitologia nordica: sono temi radicati in tutte le culture, archetipi che toccano nel profondo ciascuno di noi”. Forse non a caso, commenta, i ragazzini in Israele leggono molto sulla Shoah: per un desiderio di approfondire la loro storia, ma anche per un impulso insopprimibile a confrontare con i temi della responsabilità, della scelta e del dolore, con gli ingredienti che compongono le mille sfumature del nostro vivere.
Anche per questo la signora Zarchi non sembra troppo preoccupata dalla progressiva riduzione del pubblico dei piccoli lettori. “È un peccato, certo, perché se sei un lettore da piccolo continuerai a esserlo da grande. Ma la lettura non è l’unica attività dei bambini e non è certo la più comoda. Credo che oggi la narrazione di storie si stia via via spostando su altri canali: penso ad esempio alle potenzialità offerte dal web e dalle arti visuali. D’altronde sono solo alcune centinaia di anni che ci dedichiamo alla lettura di libri, prima la narrazione passava attraverso mezzi diversi”.
Chissà se la soluzione passerà attraverso i libri digitali con le loro opportunità d’animazione multimediale. “Per ora - chiosa Nurit Zarchi - sto imparando a usare il mio Kindle e devo dire che questa forma di lettura non mi sembra molto diversa da quella tradizionale”. Un risultato notevole, se si considera cosa sono i libri per questa avventurosa signora della letteratura. "Sono il mio paese. Mi danno forza e intimità. La nostra società non è intima, e poi ho sempre paura di essere buttata fuori dalla mia esistenza borghese. Come ogni persona che vive della sua scrittura, non mi sento mai sicura. Un'ombra d’inquietudine aleggia su di noi. Saremo qui domani? Israele è una società difficile, con un futuro incerto davanti, una società da incubo, se volete. Herzl aveva un sogno e ha creato una leggenda. Volevamo una leggenda e l'abbiamo avuta, ed è difficile vivere in una leggenda”.Daniela Gross, Pagine Ebraiche, aprile 2011
L'autrice Nurit Zarchi è nata a Gerusalemme nel 1941 da genitori europei. Cresciuta nel kibbutz Geva, al nord di Israele, dopo l’esercito ha preso il diploma d’insegnante per poi studiare letteratura e filosofia all'Università ebraica di Gerusalemme. Qui ha inaugurato i primi corsi di scrittura creativa. In seguito ha insegnato in quasi tutte le università israeliane. I suoi libri sono stati pubblicati in America, Europa ed Estremo Oriente e sono tradotti in 15 lingue. Ha partecipato alla Fiera del libro per bambini di Bologna martedì 29 marzo con due incontri dedicati rispettivamente alla scrittura per i bambini di un’altra generazione e alla letteratura per bambini in un mondo caotico. E poi al Museo ebraico per un incontro cui ha partecipato il professor Antonio Faeti. http://www.moked.it/


Chi attacca i "coloni" lo fa tatticamente, ma in realtà attacca tutta la nazione israeliana e attraverso questa tutto il popolo ebraico, rifiutando una delle basi della sua esistenza, il rapporto con Eretz Yisrael. Ha ragione Ugo Volli. Ma ha torto Ugo Volli quando dice che siamo tutti "coloni". Anche se la scelta di vivere in Eretz Yisrael, idealmente, non può avere limiti spaziali, da quando esiste lo stato d'Israele è esso, e nessun altro, il solo agente autorizzato a mediare le necessità e le aspirazioni politiche degli ebrei in Eretz Yisrael. Purtroppo, una parte dei "coloni" ha agito e agisce in sprezzante vilipendio nei confronti dello stato d'Israele e delle sue autorità legalmente costituite. Infrangere la legge dello stato mediante attività non autorizzate, insultare e anche usare violenza fisica nei confronti dei rappresentanti dello stato (come è realmente avvenuto in diverse occasioni), sono comportamenti non degni di persone civili - ebrei e non, israeliani e non, "coloni" e non. Pertanto, non siamo tutti "coloni".Sergio
Della Pergola,Università Ebraica di Gerusalemmehttp://www.moked.it/

venerdì 1 aprile 2011


Israele, vandali in azione contro i resti di una chiesa bizantina

Terrasanta.net 29 marzo 2011 In Israele il sito della chiesa bizantina che qualche mese fa, dopo essere stata riportata alla luce dagli archeologi, venne identificata come il possibile luogo della sepoltura del profeta Zaccaria ha subito gravissimi danni in seguito a inspiegabili atti vandalici. La notizia è stata diffusa nei giorni scorsi dalle autorità archeologiche israeliane, le stesse che ai primi di febbraio avevano diffuso la notizia del ritrovamento a Horbat Midras, nella zona agricola di Shefelah, regione collinosa ad occidente di Betlemme, dei resti di un insediamento cristiano decorato con bellissimi mosaici. Secondo quando dichiarato da Alon Klein, del nucleo prevenzione crimine dell’Autorità per le antichità d’Israele, non si conoscono le ragioni dello scempio. «Il mosaico è stato preso a martellate. In diversi punti i danni sono talmente gravi che sembra siano caduti colpi di mortaio. Un gesto di brutale vandalismo». Il sito archeologico era stato reso visitabile nelle scorse settimane e aveva giù richiamato migliaia di visitatori, attirati dalla bellezza dei mosaici, ricchi di motivi geometrici e floreali. Le indagini sono in corso, ma fino ad ora non ci sono elementi significativi. Intanto, per prevenire ulteriori gesti da parte di qualche scriteriato, i mosaici sono stati ricoperti, in attesa che si possa procedere ad un lungo, costoso e laborioso restauro. Del sito aveva scritto padre Eugenio Alliata nella sua rubrica di archeologia sul numero di marzo-aprile della rivista Terrasanta. A dire la verità, i mosaici di Horbat Midras erano già destinati ad essere nuovamente interrati, in vista di poter procedere (ma chissà quando, vista la penuria di fondi) a un completo restauro e messa in sicurezza del sito. Non ce ne è stato il tempo. I vandali sono arrivati prima a sfregiare irrimediabilmente (forse) una delle perle del patrimonio dell’arte cristiana in Terra Santa.



Uno Slovacco comanda sulle alture del Golan

Jan Cesek, colonnello delle Forze Armate Slovacche è il nuovo comandante del Gruppo di Supervisione delle Nazioni Unite UNTSO sulle alture del Golan, in Palestina(??). La notizia è stata annunciata dal portavoce del dicastero della Difesa, Ivan Rudolf, il quale ha diffuso una nota del ministro Lubomir Galko, secondo il quale “un totale di 37 osservatori militari di 24 diversi paesi saranno subordinati al nostro ufficiale. Lo vediamo come un apprezzamento per il lavoro professionale svolto dai nostri soldati”. I militari slovacchi partecipano da anni alla missione delle Nazioni Unite UNTSO, che supervisiona la tregua esistente tra la Siria ed Israele nel punto di contatto tra le due nazioni, le alture del Golan appunto.http://www.lavoce.sk/

Savyon Liebrecht Teatro: 'La banalita' dell'amore', storia di una relazione proibita al Piccolo Eliseo di Roma

Roma, 29 mar. - (Adnkronos) - Al Piccolo Eliseo dal 4 aprile Artisti Riuniti in collaborazione con Edizioni e/o presenta La banalita' dell'amore di Savyon Liebrecht con Massimo De Rossi, Daniela Giordano, Paola Minaccioni, Lorenzo Balducci a cura di Piero Maccarinelli .Una storia d'amore su cui non cesseremo mai d'interrogarci. La baita di Raphael Mendelsohn, compagno di studi di Hannah, innamorato di lei ma non ricambiato, e' il teatro della relazione proibita fra la diciottenne Hannah Arendt, studentessa di filosofia all'universita' di Friburgo, e il professor Heidegger, sposato e di parecchi anni piu' anziano di lei. Siamo nel 1924 e i tremendi anni che seguiranno porteranno il professore nelle braccia del partito nazista con tutti gli onori accademici, mentre lei dovra' lasciare la Germania perche' ebrea.Anni dopo, nel 1975, nel suo appartamento di New York, la professoressa Arendt, reduce da un infarto, riceve la visita di Michael Ben Shaked, giovane israeliano che si spaccia per uno studente di filosofia dell'universita' di Gerusalemme ma che in realta' e' il figlio di Raphael Mendelsohn, venuto a cercarla dopo la morte del padre per scoprire una parte a lui ignota della sua vita. Mediante i dialoghi tra i due e i flashback del passato (gli incontri tra la giovane Hannah e il professor Heidegger nella baita di Raphael), la pie'ce ripercorre le tappe della storia d'amore impossibile, irrazionale e drammatica tra i due protagonisti. La banalita' dell'amore ha avuto gran successo a teatro in Israele e in Germania. Savyon Liebrecht e' nata in Germania nel 1948 e si e' trasferita in Israele da bambina. Ha studiato filosofia e letteratura all'universita' di Tel Aviv, citta' dove tuttora risiede. Per le edizioni E/O ha pubblicato Mele dal deserto, Prove d'amore, Donne da un catalogo, Un buon posto per la notte e Le donne di mio padre. E' anche autrice di testi per il teatro e la televisione. Viene considerata la piu' grande rivelazione della letteratura israeliana contemporanea.29 marzo http://www.adnkronos.com/

Yigal Erlich, fondatore di Yozma

Banca dell'innovazione Propulsore economico

29/03/2011 di Saverio Mercadante http://www.sanmarinofixing.com/ Una struttura con l’agilità e le movenze del privato venture capital per intercettare e finanziare le idee più brillanti nel settore dell’hi tech e creare nel pubblico una Banca dell’innovazione, di fatto un fondo nazionale di venture capital. Che utilizzi al meglio quei quindici miliardi di euro di finanziamenti dispersi in mille rivoli, a pioggia battente. Soprattutto i finanziamenti europei: spesso i progetti presentati non sono in linea con gli standard richiesti. Da qualche mese anche in Italia si è aperto un dibattito intorno a quest’opzione, teorizzata per la prima volta da Edmund Phelps, premio Nobel per l’Economia nel 2006. Esiste un disegno di legge di iniziativa parlamentare di esponenti della maggioranza e dell’opposizione. I finanziamenti di progetti all’altezza dei parametri imposti potrebbero far nascere nuove imprese e incrementare l’occupazione. Le start-up possono creare valore anche più delle aziende già consolidate. Negli Stati Uniti la maggior parte dei nuovi posti di lavoro è stata creata da start-up. Un’esperienza importante di fondo nazionale di venture capital è stato lo Yozma israeliano. Il progetto fu lanciato nel 1993 dal governo israeliano per far nascere un’industria locale di venture capital che al tempo non esisteva. Esistevano già gli incentivi all’innovazione e i fondi pubblici erogati a questo scopo. Il venture capital consiste invece nel trasferire le competenze di investitori sul mercato per consentire lo sviluppo di grandi aziende in settori innovativi e competitivi. L’obiettivo era avere in Israele “sviluppatori” di grandi aziende che sorgevano sulla spinte di nuove idee. Obiettivi primari di Yozma: costruire uno strumento che consentisse di colmare il gap di competenze convincendo i migliori venture capital internazionali ad operare in Israele. Yozma era dotato di fondi da 100 milioni di dollari e di una struttura superleggera: una squadra di quattro persone, una governance snella che permettesse ai manager di gestire in ampia autonomia gli investimenti effettuati. La dimensione minima dei fondi partecipanti che presentavano un progetto era di 20 milioni di dollari. Yozma investiva sino a 8 milioni coprendo sino a un massimo del 40% , il resto doveva provenire da investitori privati Gli investitori privati avevano a disposizione una call option sulle quote del fondo detenute da Yozma, valida per cinque anni ad un prezzo pari ai soldi messi più un tasso di interesse e una percentuale del carried interest (Incentivo riconosciuto ai gestori di un Fondo, sulla base della performance complessiva fatta registrare dall’attività di investimento. Nella prassi si aggira intorno al 20% del capital gain realizzato e si applica solamente qualora venga superato un livello minimo di rendimento) generato dal fondo. Questa scelta fu strategica: non era sufficiente l’apporto come coinvestimento per attrarre i migliori venture capitalist in Israele. Non venne data nessuna protezione sul ‘downside’ offrendo invece un incentivo sull’upside attraverso questo meccanismo. Se alla fine dei 5 anni l’opzione non veniva esercitata, essa decadeva e quindi Yozma manteneva la proprio quota sul 40% del valore del fondo investito. Lo scopo per il governo non era di guadagnare dal fondo, ma di sviluppare il settore. Se si fosse anche riuscito a recuperare una parte dei fondi sarebbe stato sufficiente. Fondamentale era attrarre le migliori competenze per operare in Israele. L’altra caratteristica del fondo: nel team di gestione doveva esserci almeno come partner un venture capitalist straniero con esperienza. Gli investimenti dovevano riguardare principalmente società israeliane, anche se incorporate all’estero. Il successo di Yozma fu basato soprattutto sulla flessibilità necessaria per attrarre i partner privati e quelli esteri. E sulla scelta di non voler controllare la gestione dei fondi che avevamo finanziato, ma puntare tutto sull’attrarre e selezionare i migliori team di gestione per poter operare in Israele. Yozma finanziò dieci fondi da venti milioni di dollari ciascuno. Dopo cinque anni, nessuno dei fondi aveva generato una exit, ma il valore delle aziende in portafoglio convinse gli investitori privati di otto fondi sui dieci iniziali ad esercitare la call option ricomprandosi le quote del governo. Questo ci consentì di rientrare di 80 milioni sui 100 investiti. Inoltre grazie alla quota di carried interest nel complesso dopo 10 anni il governo rientrò per 140 milioni, generando addirittura 40 milioni di plusvalenza. Degli otto fondi che hanno esercitato la call la peggiore performance fu di 2X il capitale investito, la migliore di 14X, un risultato notevole reso possibile grazie all’effetto leva dell’opzione. Dopo cinque anni il mercato era diventato molto competitivo per cui non fu necessario proseguire con il programma, l’attenzione si spostò quindi su altri interventi: defiscalizzazione delle plusvalenze per mantenere l’attrattività di Israele come target di investimento, in particolare furono defiscalizzati i proventi del carried interest per i manager; privatizzazione degli incubatori; incentivi fiscali agli angel investors, un’iniziativa tuttora attiva in Israele. Yozma è oggi un fondo privato che porta avanti alcuni progetti simili a quello originario su richiesta di alcuni governi. Come in Russia: è stato creato un fondo per il venture capital tre anni fa. Un miliardo di dollari per una missione del tutto simile a Yozma.


Apple Store a Gerusalemme con la prima Apple Digital Library in lavorazione In futuro potremmo parlare anche di un Apple Store a Gerusalemme, almeno secondo quanto rivelato dal Jerusalem Post. Secondo la testata, Apple sta trattando con la Bet Yair per aprire un gigantesco Apple Store ed un education center nella stessa struttura nel corso dei prossimi tre anni. La struttura misurerà 5.000 piedi quadrati (che corrispondono a 464 metri quadri circa) e verrà costruita all’entrata di Gerusalemme. Lo Store sarà dotato della prima Apple Digital Library al mondo, ovviamente aperta al pubblico. Secondo l’articolo del Jerusalem Post: I dirigenti di Apple in Israele hanno fatto un tour del sito prescelto e hanno dichiarato di voler portare il più grande Apple Store del Paese a Gerusalemme per regioni simboliche. Il Post non ha rivelato cosa conterrà esattamente l’Apple Digital Library, ma qualcuno già avanza i primi dubbi: sarà difficile vedere Apple, che generalmente guadagna dalla distribuzione dei media digitali, aprire al pubblico un archivio digitale per la consultazione di libri, film e file in modo aperto e gratuito. L’Apple Store dovrebbe comunque inaugurare una sorta di “corridoio” digitale nella città, arricchito da un cinema multisala a 15 schermi e la fermata del treno ad alta velocità Gerusalemme-Tel Aviv. Israele non ha store o negozi ufficiali Apple al momento, ma solo la catena iDigital che funge da rivenditore autorizzato. 29 marzo http://www.melablog.it/