sabato 21 aprile 2012


Nino Contini (1906-1944), quel ragazzo in gamba di nostro

padre. Diari dal confino e da Napoli liberata

GIUNTINA Curato dai Figli Bruno e Leo Contini
Questo Diario attraversa gli anni dal 1939 al 1944 durante i quali il giovane Avvocato Nino Contini è strappato alla sua giovane famiglia in un lungo girovagare in tristi e isolati luoghi di confino fascista.La Liberazione lo porterà a Napoli,raggiunta con la sua famiglia con un camion della Brigata Ebraica,e gli consentirà, per la breve vita che gli rimase, di esplicare nuovamente le sue straordinarie capacità di organizzatore sia nella nascita del Partito d’ Azione che nella animazione del Circolo Sionista della Comunità di Napoli.Sionista convinto, aveva già ricoperto, prima della guerra, importanti incarichi nella sua Ferrara.Il libro è corredato di molte fotografie. Da Sullam n. 92


Il grande patriota e il vero israeliano

In un momento si è svegliato l’uomo,ha sentito di essere un popolo e ha iniziato a camminare” queste sono le parole di una canzone cantata da Slomo Artzi.Così il vero patriota napol-israeliano,Fausto Asher Sessa, che ha subito il vero insegnamento fedele e forte per il nostro paese, che viene dato in promessa ad Abramo, nostro padre,prima di avere 20 anni ha deciso di portare un pantalone, 2 magliette e semplicemente andare a fare la “ALIYA’ ” cioè ha deciso di andare e vivere in Israele.Pieno di domande - dove, come,quando, quanto e altre domande più paurose, e dall’altra parte con tanta fiducia e coraggio… e non vi racconterò il suo ultimo anno e mezzo (lo potete fare chiamandolo).Vorrei dare i miei complimenti e le mie benedizioni a questo grandissimo ragazzo che tra 2 settimane inizieràil servizio militare in Israele; sì, sarà un grande soldato israeliano, come si vede nei film, un soldato che va al militare per servire il suo paese e il paese della sua famiglia e il paese di tutti gli ebrei al mondo, il paese dove i vostri bambini andranno a vivere presto.La mia benedizione per Fausto Asher Sessa è che entri nel servizio militare (Tzahal) con salute, e che esca dal servizio sano e pieno di pace, e che il Signore del mondo paghi bene per suo servizio, AMEN.Tutti noi andremo a trovarlo presto.Ti vogliamo tanto bene, nostro Fausto,stai bene, con la testa alta perché qua siamo tutti orgogliosi di te.Tuo caro amico,Moshe Chico Sror. Da Sullam n.92

venerdì 20 aprile 2012

Che cosa è un ebreo?

Questa domanda non è così strana come può sembrare a prima vista.Osserviamo questa creatura libera che è stata isolata e oppressa, calpestata,bruciata ed annegata da tutti i leader e da tutte le nazioni, ma che è comunque viva e vegeta a dispetto di tutti.Che cosa rappresenta l’Ebreo, colui che non ha mai ceduto alle tentazioni offertegli sia dai suoi oppressori che dai suoi persecutori, con l’obiettivo che rinunciasse alla propria religione ed abbandonasse la fede dei suoi padri? Un Ebreo è un essere sacro.Un essere che possiede il fuoco eterno del cielo e con esso illumina la terra e coloro che ci vivono. E’ la primavera e la fonte da cui il resto delle nazioni hanno tratto le loro religioni e credenze.Un Ebreo è un pioniere nella cultura.Questo perchè da tempo immemorabile l’ignoranza era impossibile in Terra Santa, come lo è oggi nella civile Europa. Inoltre, nei momenti in cui la vita e la morte di un essere umano non significavano nulla, Rabbi Akiva era già contro la pena di morte che è ancora attualmente considerata accettabile nella maggior parte dei paesi civilizzati. Un Ebreo è un pioniere della libertà.Indietro nel tempo primitivo, quando ogni nazione era divisa in due classi, i padroni e gli schiavi, l’insegnamento di Mosè già vietava il possesso di una persona come schiavo per più di sei anni. Un Ebreo è un simbolo di tolleranza civile e religiosa.Mostrate il vostro amore per il forestiero, poiché anche voi foste forestieri nel paese d’Egitto.” Queste parole sono state pronunciate in tempi lontani e barbari quando era comunemente accettato tra le nazioni il fatto di asservirne altre. In termini di tolleranza,la religione ebraica è ben lungi dal fare proselitismo. Al contrario, il Talmud afferma che se un non-ebreo vuole abbracciare la fede ebraica, gli si deve essere spiegare come sia difficile essere ebrei e che anche i giusti di altre religioni erediteranno a pieno diritto il regno celeste.Un Ebreo è un simbolo di eternità.E’ una nazione che nè stragi, nè tortura hanno potuto distruggere, una nazione che né il fuoco, né la spada della civilizzazione sono stati in grado di cancellare dalla faccia della terra,una nazione che per prima annunciò la Parola di Dio, una nazione che ha conservato la profezia per tanto tempo e che l’ha trasferita al resto dell’umanità,una nazione così non può scomparire.Un Ebreo è eterno e rappresenta l’incarnazione dell’eternità. Scritto da Leov Tolstoj nel 1891 (a cura di Mario e Roberto Modiano) daSullam n.92

Quella voce da Oslo

UN’INTUIZIONE brillante, che ha fatto scuola anche se applicata, in origine, al caso sbagliato. È la celebre frase sulla ‘banalità del male’, nella quale Hannah Arendt sintetizzò l’impressione provata di fronte all’atteggiamento di Adolf Eichmann durante il processo celebrato in Israele cinquant’anni fa (l’ex nazista fu impiccato il 31 maggio 1962). Il caso era sbagliato perché Eichmann non era affatto un banale, dimesso impiegatuccio della macchina di morte hitleriana: quello era ciò che voleva fare credere alla Corte, era la sua linea difensiva, e la Arendt abboccò. Nella catena organizzativa della Shoah, Eichmann fu il numero tre dopo Himmler e Heydrich; si fece strada con determinazione in un ambiente di brutali carrieristi, si costruì una posizione recandosi personalmente a ‘motivare’ le Einsatzgruppen, le unità mobili di sterminio sul fronte orientale che, a tratti, si mostravano stomacate dal troppo sangue; e soprattutto fu un organizzatore eccezionale, capace di smistare per l’Europa — lungo un continente in guerra — decine di migliaia di treni e di trasferire milioni di persone provvedendo a tappe, alloggi, rifornimenti. Fu tutto tranne che una persona banale.

MA L’INTUIZIONE della Arendt — che cioè nella società di massa il male non ha bisogno di condottieri o di re per dispiegarsi, gli bastano l’oscura ambizione o i rancori dei piccoli, dei ‘banali’ appunto — è felice perché ha trovato infinite conferme in mezzo secolo. E la trova adesso in Anders Breivik: caso psichiatrico quant’altri mai, certo, ma anche un ‘ultimo’ perso in un mondo fumettistico di templari, onore e radici del sangue. Tutta una paccottiglia, in circolazione fra l’odierna ultradestra europea, che nutriva i suoi giorni nelle fattorie della campagna norvegese: quando sognava di trovare nel passato di una presunta, mitica collettività originaria quella grandezza che non aveva saputo raggiungere come individuo, con i suoi studi non finiti, i lavoretti saltuari, la ‘cultura’ storica che si può trovare saltellando su internet. Ora Breivik parla, parla: ha un pubblico, un palcoscenico, può raccontare ai microfoni tutto quello che prima diceva a se stesso, camuffato dentro ridicole uniformi, davanti a uno specchio. Togliergli la parola? È imputato in un processo, non si può. Magari si doveva evitare di processarlo come se non fosse un pazzo, questo sì. Ma tant’è. Ascoltare Breivik può essere utile a guardare, sia pure in forma estrema, drammaticamente caricaturale, gli abissi dell’uomo-massa che è in ciascuno di noi. E capire come la banalità produca mostri.http://qn.quotidiano.net/


Dallo sport alla bonifica dei campi minatiI militari pugliesi in Libano per la pace

Nella base di Shama impegnati 1100 uomini e donne Dal 2006 «liberati» cinque chilometri quadrati di terreno

SHAMA - Sta ormai volgendo al termine la missione in Libano per i militari pugliesi della Brigata Pinerolo di Bari che, dal novembre dello scorso anno, sono «ospiti» della base di Shama nel sud del «Paese dei cedri». Una missione importante e delicata: a loro è affidata la gestione della zona ovest del Libano alle dirette dipendenze del generale di brigata Carlo Lamanna.Attualmente in Libano sono impegnati 1100 militaridi cui oltre l'80 per cento pugliesi. Uomini e donne della Puglia che, negli ultimi sei mesi, hanno garantito la «sicurezza» sulla Blue Line, la linea che in futuro potrebbe divenire il confine tra Libano e Israele. Dai pochissimi giorni ospiti anche noi nella base di Shama abbiamo avuto netta la sensazione che, qui la presenza dei militari italiani e di Unifil è quanto mai necessaria e importante. La loro presenza, infatti, evita che i due paesi possano tornare in guerra. Qui non si parla ancora di pace, ma di tregua. Una tregua assicurata proprio dai militari con il casco blu e, in particolare, in questo momento dai militari pugliesi della brigata Pinerolo. Uomini e donne della Puglia che non solo assicurano il mantenimento della tregua tra i due paesi, ma operano - quanto viene richiesto - anche in supporto alla popolazione del Libano.Numerose, infatti, le iniziative svolte in questi ultimi sei mesi in molte zone del paese. L’ultima, solo alcuni giorni fa quando la brigata Pinerolo ha organizzato nella splendida cornice di Tiro - una delle città del Libano che ricorda la potenza di Roma antica - una corsa che ha visto la partecipazione di 330 runners, di cui 175 militari di Unifil e delle forze armate libanesi e 155 atleti di associazioni sportive locali. «Run together, run for peace» il titolo della manifestazione. Con la pettorina numero uno il generale di brigata Carlo Lamanna che, presentando la manifestazione ha sottolineato che «correre insieme alla popolazione libanese per la pace è il raggiungimento di un importante traguardo. Oggi, infatti, ogni peacekeeper sa che il nostro primo dovere è costruire un futuro di libertà e pace. La nostra presenza oggi è la testimonianza dell’unità del nostro intento». E allora ecco perché non sorprende ascoltare le attività svolte, per esempio, dai militari del genio, presenti in Libano con una folta delegazione dell’11° Genio Guastatori di base a Foggia. Uomini e donne del genio stanno operando lungo la Blue Line realizzando dei corridoi dove poi vengono posizionati i Blue Pillar i punti di riferimento di quella che un giorno potrebbe diventare la nuova linea di confine tra Libano e Israele.Un lavoro difficile perché la Blue Line si trova nella zona dei campi minati posizionati da Israele durante le sue azioni di ripiegamento. Con il passare del tempo e a causa delle condizioni metereologiche quei campi minati, pur se indicati in mappe, hanno cambiato la loro posizione sul terreno divenendo cosi un pericolo per la popolazione locale ma anche per i militari impiegati lungo la linea blu. Dal 2006 ad oggi i militari hanno bonificato cinque chilometri quadrati di quest’area trovando e bonificando oltre 3500 mine. «Ma il lavoro - come ha sottolineato il tenente colonnello Antonio Micunco dell’11° Genio Guastatori - qui non è ancora finito». E quelli dell’11° Genio Guastatori sono i militari che fino a qualche mese fa erano impegnati a Montaguto, per liberare la strada e la ferrovia dalla frana: oggi, invece, sono operativi fuori dalla loro terra, dalla loro Capitanata, dalla loro Puglia. Sono qui in Libano, ma sono sempre loro. Stessi volti, stesse divise, stesso impegno, stessa passione.Luca Pernice18 aprile 2012, http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/

Israele: rimosso ufficiale-picchiatore

(ANSA) - TEL AVIV, 18 APR - Rimozione con disonore dal suo incarico attuale ed esclusione da ogni posizione di comando per i prossimi due anni. Sono queste le misure annunciate dal capo di stato maggiore delle forze armate israeliane, generale Benny Gantz, nei confronti del tenente colonnello Shalom Eisner: ripreso di nascosto alcuni giorni fa in un video-choc nell'atto di colpire violentemente in faccia con il calcio del suo fucile M-16 un pacifista danese, bloccato con altri attivisti nella Valle del Giordano.

La vera storia di Israele

«Furono gli arabi a vendere terre incolte e improduttive agli ebrei». Così nacque il primo embrione dello stato di Israele. Haj al-Amin al-Husseini è ricordato per tre cose: avere dato il via alla costituzione del corpo delle Ss islamiche, avere chiesto a Mussolini di aiutarlo in un'operazione di intelligence che prevedeva l'avvelenamento dell'acquedotto di Tel Aviv, ed essere stato lo zio di Arafat oltre che il gran muftì di Gerusalemme. Nessuna di queste categorie dello spirito contempla alcun amore verso gli ebrei. Quindi le sue parole davanti alla Commissione Peel, incaricata nel 1937 di indagare le cause dei disordini tra ebrei e arabi in quella che allora era conosciuta come Palestina, risultano attendibili. Il muftì rese una testimonianza straordinaria: la maggior parte della terra in possesso degli ebrei, accusati di furto, fu in realtà comprata ai latifondisti arabi. E gli arabi furono, secondo le definizioni degli avvocati, «ben disposti venditori». Nella relazione finale della Commissione, reperibile su Internet in inglese, si fa questa importante osservazione: «...la popolazione araba mostra un notevole aumento dal 1920, ed ha beneficiato della prosperità della Palestina. Molti proprietari terrieri arabi hanno beneficiato della vendita di terreni, ottenendo un investimento redditizio dal prezzo d'acquisto. La condizione dei fellah (i contadini arabi, ndr) è nel complesso migliorata rispetto al 1920. Questo progresso arabo è stato in parte dovuto all'importazione di capitale ebraico in Palestina e da altri fattori associati con la crescita della Nazione ebraica. In particolare, gli arabi hanno beneficiato dei servizi sociali che non avrebbero potuto essere erogati su larga scala senza le entrate ottenute dagli ebrei [...] Gran parte del territorio (coltivato dagli ebrei, ndr), ora piantato a aranceti, era costituito da dune di sabbia o da paludi, incolto al momento dell'acquisto [...] Al tempo delle prime vendite, non esistevano prove evidenti che i possessori avrebbero avuto le risorse per poter sviluppare quelle terre. La mancanza di terra lamentata dagli arabi [...] era dovuta non tanto alla quantità di terreno acquistato dagli ebrei ma piuttosto all'aumento della popolazione araba». È interessante invece adesso rileggere le domande e le risposte di quella sorta di intervista che la Commissione Peel fece allo zio di Arafat in occasione della recrudescenza degli scontri tra popolazione araba e di religione ebraica nella seconda metà degli anni '30. L'intervista ad al-Husseini, il 12 gennaio 1937, fu conservata nelle note della Commissione e se ne fa riferimento, anche se non pubblicato, nella relazione completa. È stata riesumata anche da un buon numero di studiosi, tra cui Kenneth Stein, La questione della terra in Palestina 1917-1939 (Univ. of North Carolina Press, 2009) e Howard M. Sachar, Storia di Israele dalla nascita del sionismo al nostro tempo (Alfred A. Knopf, 1976), e una dettagliata analisi di citazioni dall'intervista si trova nella Aaron Kleiman The Palestine Royal Commission, 1937 (pubblicazioni Garland, 1987). Sir Laurie Hammond, un membro della Commissione Peel, intervistò il muftì a proposito del suo insistente ricorso alla Commissione sul fatto che «i sionisti stavano rubando la terra araba, trasformando i contadini in senza tetto». Eccone un estratto significativo: Sir L. Hammond: «Volete darmi ancora i dati in merito alla terra? Vorrei sapere quanta terra fu tenuta dagli ebrei prima dell'occupazione».Muftì: «Al momento dell'occupazione degli ebrei tennero circa 100mila dunam (un dunam equivale a mille metri quadrati, ndr)».H: «In che anno?»M: «Alla data dell'occupazione britannica».H: «E ora sono sono titolari di quanto?»M: «Circa 1.500.000 dunam: 1.200.000 dunam già registrati a nome di titolari ebrei, e 300.000 dunam che sono oggetto di accordi scritti, e che non sono stati ancora registrati al catasto. Ciò non include, ovviamente, la terra che fu assegnata, circa 100.000 dunam».H: «Cosa? 100mila dunam furono assegnati? E non sono inclusi nei 1.200.000 dunam? Il punto è questo. Lei dice che nel 1920 al momento dell'occupazione, gli ebrei detenevano solo 100.000 dunam, è così? Ho chiesto i dati del catasto su quanta terra era proprietà degli ebrei al momento dell'occupazione. Sarebbe sorpreso di sapere che figurano non 100mila, ma 650mila dunam?»M: «Può darsi che la differenza sia dovuta al fatto che molte terre sono state acquistate con contratti che non sono stati registrati».
H: «C'è una bella differenza tra 100mila e 650mila».M: «In un caso hanno venduto 400mila dunam in un lotto solo».H: «Chi? Un arabo?»M: «Sarsuk. Un arabo di Beirut».H: «Sua Eminenza ci ha dato l'immagine di arabi sfrattati dalle loro terre e di villaggi spazzati via. Quello che voglio sapere è: il governo della Palestina, l'Amministrazione, acquistò la terra e la consegnò poi agli ebrei?»M: «Nella maggior parte dei casi i terreni erano stati acquisiti».H: «Voglio dire, l'acquisizione forzata della terra sarebbe stata acquistata per scopi pubblici?»M: «No».H: «Non ottenuti mediante acquisizione forzata?»M: «No».H: «Ma queste terre, pari a circa 700mila dunam sono state effettivamente vendute?»M: «Sì, furono vendute, ma il paese fu posto in condizioni tali da facilitare tali acquisti».H: «Io non capisco bene cosa intende dire. Sono stati venduti. Chi li ha venduti?»M: «Proprietari terrieri».H: «Arabi?»M: «Nella maggior parte dei casi arabi».H: «C'è stata costrizione a vendere, di qualsiasi tipo? Se sì, da chi?»M: «Come in altri paesi, ci sono persone che per forza di cose, ragioni economiche, vendono la loro terra».H: «Tutto qui?»M: «Gran parte di queste terre appartengono a proprietari terrieri che hanno venduto il terreno malgrado i loro inquilini, che sono stati sfrattati con la forza. La maggioranza di questi proprietari non erano residenti ed hanno venduto la loro terra a scapito dei loro inquilini. Non palestinesi, ma libanesi».H: «Sua Eminenza è in grado di fornire alla Commissione una lista delle persone, degli arabi che hanno venduto le terre, a parte i proprietari assenti?»M: «Sì è possibile».Alla ricostruzione storica manca ancora un ultimo tassello: quella lista di proprietari e latifondisti arabi che vendettero la terra ai progenitori dello stato di Israele. Prima o poi salterà fuori. Le menzogne di oltre sessant'anni di panarabismo filosovietico e di ideologismo islamista stanno forse per arrivare al capolinea.di Dimitri Buffa http://www.opinione.it/


Netanyahu nella lista di Time

Nella lista dei personaggi influenti che pubblica annualmente la prestigiosa rivista inglese Time figura anche Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Di fianco all'articolo, una colonna di elogi rivolti al premier israeliano, da Eric Cantor, membro repubblicano del Congresso. Il primo ministro è stato definito una delle icone più rappresentative dello Stato israeliano, per le sue capacità di "trasformismo" politico e la sua determinazione. Netanyahu era già stato inserito nella lista nel 2011, ma l'articolo in suo onore era decisamente meno lusinghiero.http://www.moked.it


Disposizioni

Il Tizio apprende da un suo amico che può criticare certe scelte del governo Netanyahu solamente se va a vivere in Israele. Il Tizio fa presente al suo amico che la considera un'esagerazione. Apprende che è esagerato considerarla un'esagerazione, e che comunque può dire che è un esagerazione solo se va a vivere in Israele. Il Tizio si informa se esista la possibilità di rimanere in Italia dove lo legano la domenica sportiva, le puntarelle e il pesto alla genovese che in Israele non sanno fare perché usano del basilico che arriva dalla Georgia. Gli viene risposto che può dire certe cose violente sul basilico solo se fa l'Alyà. Il Tizio chiede all'amico se sia possibile rimanere in Italia e nel frattempo dire che in Israele sanno fare bene solo i dolci. Gli viene risposto che può rimanere in Italia solamente se nel frattempo va a vivere in Israele. Il Tizio vuol chiedere al suo amico che tipo di amico sia, ma si sveglia perché era un incubo. Giorni dopo racconta a un suo amico questo incubo e il suo amico gli risponde che non capisce perché lui lo chiami incubo.Il Tizio della Sera http://www.moked.it


Quando si leggono le molte esegesi e polemiche seguite alla recente pubblicazione sulla stampa tedesca di un testo "poetico" di Günther Grass si ha la conferma della veloce erosione in atto nella natura del dibattito civile sulla storia e l'identità dell'Europa. Negli ultimi interventi è evidente un progressivo indebolimento, fino a metterne a rischio la stessa esistenza, dei meccanismi di autodifesa che l'Europa aveva elaborato dopo l'esperienza nazifascista e la distruzione dei fondamenti morali, prima ancora che politici e socioeconomici, del continente che questa aveva comportato. Nelle società europee, forse obtorto collo, ma con una certa coerenza, si era stabilita una convenzione secondo la quale le istituzioni e le persone civili s'impegnavano a rispettare la memoria della Shoah. La maggioranza dei governi condannava il passato, sia pure attraverso un grande ventaglio di atteggiamenti, dal negare totalmente la propria responsabilità nella degenerazione della polis, fino ad assumerne pienamente le conseguenze (come nel caso della Germania). L'entrata in gioco dello stato d'Israele come nuovo attore della storia, a rappresentare l'aspirazione degli ebrei a una propria sovranità politica, suscitava reazioni di disimpegno e rappresaglia. Ogni azione o dichiarazione di Israele giudicata criticabile poteva essere sfruttata per spiegare certe pagine di storia, minimizzare o cancellare certe responsabilità, giustificare certi reati compiuti in passato ai danni del mondo ebraico. Oggi Grass è la causa occasionale di questa diffusa riflessione revisionista, che però è in atto da tempo (da Nolte a Romano). C'è chi ha condannato Grass, chi ha sostenuto che è soprattutto un egocentrico bisognoso di una platea, chi lo ha difeso aggiungendo argomenti alle sue tesi. Con un'antica locuzione discorsiva lombarda, riciclata nel dibattito politico dal Presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni, diciamo pure che Grass è un anziano pirla. Ma restano i fondamenti più profondi del ribaltamento fra colpevoli e vittime, la sfacciata falsificazione dei dati, la censura e l'alterazione selettiva delle idee altrui, il vilipendio subdolo, l'invettiva senza freni inibitori, che ci rammentano altre fasi della storia d'Europa. Il rischio reale è che a questo segua l'apologia di reato, poi l'aizzamento al reato, infine, il reato. Allora, società relativamente aperte al dibattito e alla pluralità delle idee covavano al proprio interno i germi della mostruosità. Dopo l'Italia liberale è venuto il fascismo, e dopo la democrazia di Weimar è venuto il nazismo. Anche allora, Günther Grass c'era.Sergio della Pergola università Gerusalemme, http://www.moked.it/


LA STORIA / Shimon, Amnon e quei violini dell’Orchestra di Auschwitz

Ormai pelle e ossa per i mesi di fame e di lavori forzati, inorridito da quel che vedeva giorno dopo giorno, Shimon s’era rifugiato nella musica. E in quel violino, rovinato dall’umidità e dal freddo, che suonava quasi ogni giorno laddove l’umanità s’era smarrita per lasciare spazio all’orrore. Faceva parte, Shimon, dell’Orchestra sinfonica del campo di concentramento di Auschwitz. Tirata su nel bel mezzo dello sterminio non si è mai capito bene se per addolcire la morte agli ebrei o per renderla ancora più apocalittica. La banda, rigorosamente in divisa – ma in quella tipica dei deportati con la stella di Davide – suonava agli ordini del kapò del campo.Una decina d’anni dopo, quando il mondo ancora doveva rendersi conto di quel che non aveva visto – di quel che non aveva voluto vedere – Shimon ha da tempo messo piede nella Terra promessa d’Israele. Bussa alla porta di questo negozio di violini e di riparazione degli strumenti musicali. Dall’altra parte del bancone c’è Amnon Weinstein, un giovanissimo garzone. Shimon fa vedere ad Amnon il suo violino. Più che un relitto è un cimelio, una testimonianza di quel ch’è stato e non deve più essere.«Il violino era messo veramente male», ricorda ora Amnon Weinstein. E racconta di quello strumento che non è stati mai più suonato dai tempi del campo di concentramento. «Quando l’ho aperto, dentro c’era della cenere, cenere umana», continua Weinstein. Uno che ha perso decine di parenti nei lager nazisti, tra nonni, zii e cugini. Non era facile, nemmeno per lui, gestire quell’aggeggio. Soprattutto dopo aver incontrato uno che, grazie a quell’aggeggio, s’è salvato. «Non riuscivo a maneggiarlo come avrei dovuto e voluto, non riuscivo proprio ad avere un approccio», ricorda alla Npr Weinstein.Sono passati altri anni, una quarantina circa, prima che l’uomo potesse ritoccare quegli strumenti che avevano della morte. Quando, nel 1996, inizia a ricercarli i violi dell’Olocausto. Ci mette poco tempo. E si trova un archivio di legno accartocciato e corde sfibrate. Uno dei violini arrivava direttamente dall’orchestra maschile di Auschwitz. Oggi, diciotto strumenti fanno parte della mostra «I violini della speranza».«Ogni volta che li suono, mi sembra di ripercorrere gli stessi passi nel freddo dei legittimi proprietari», dice David Russell, docente dell’Università del Nord Carolina, uno degli amici più stretti di Weinstein e collaboratore della mostra.«Alcuni violini restaurati – racconta Weinstein – sono intarsiati con una Stella di Davide in madre-perla». Oggetti musicali, ma anche di culto, se è vero che molti di questi strumenti venivano appesi alle pareti delle case degli ebrei. Weinstein spiega che ha iniziato a raccogliere i violini per riportare a galla quel passato, ma anche per rompere il silenzio che aveva portato la sua famiglia a non parlare mai dell’Olocausto. «Quando ho chiesto a mia mamma la fine che avesse fatto il nonno», rivela l’uomo, «lei non ha risposto, ha preso un libro di storia e ha indicato una foto con un sacco di cadaveri».Weinstein, qualche anno fa, ha sposato Assi Bielski. La figlia di uno dei combattenti della resistenza ebraica poi raccontata nel film «Defiance», quello con l’ex 007 Daniel Craig. «Però nella loro casa si parlava della Shoah e della guerra», continua il curatore di violini. E c’è quasi il rimorso per non aver fatto qualcosa di simile a questa mostra tempo fa. Qualcosa che potesse restare nella pelle delle persone, molto più di quei numeri tatuati sul braccio di chi, al tempo, aspettava la Terra promessa. E invece s’è ritrovato al’Inferno.http://falafelcafe.wordpress.com/


Moishe e pesach...

Moishe Abramovitz, un ebreo ormai anziano che abita a Miami chiama il figlio a New York e gli dice: “Senti Itzhak, mi dispiace di rovinarti la giornata, ma devo dirti che tua madre ed io stiamo per divorziare.Quarantacinque anni di sofferenze e litigi bastano e avanzano! Non ce la facciamo più a sopportarci a vicenda!” “Papà, ma che diavolo stai dicendo?” gli urla il figlio.“Basta! ho deciso per il Ghet! Non possiamo più sopportare la vista l’uno dell’altra”dice il vecchio. “Siamo stufi di stare assieme e io poi sono stufo di parlare di questa cosa, per cui chiama tu tua sorella Rivka a Chicago e diglielo” e poi riattacca.Nel panico più assoluto il figlio chiama la sorella, che gli esplode al telefono: “Cosa diavolo dici? stanno per divorziare!?” grida “E noi come faremo a lasciargli i bambini quando andiamo in vacanza e come faremo a sopportarne le infinite lamentele
dopo? Senti Itzhak, non preoccuparti, me ne occupo io!” Rivka chiama il padre e subito inizia a gridargli “Voi non state divorziando! Hai capito? Non pensarci nemmeno! e soprattutto non fare niente fino a che non arriviamo io ed Itzhak. Adesso richiamo mio fratello e domani saremo lì entrambi con tutta la famiglia. E’ chiaro?! e fino ad allora, non fare niente, mi hai sentito?! “ e Moishe chiude il telefono e rivolgendosi a sua moglie sara le dice: “Tutto bene tesoro!Arrivano in tempo per Pesah e questa volta si pagano da soli il biglietto dell’aereo!”

ABRAMOVICH II
La signora Zipi Abramovitz invita le amiche per un the alle 5 e prepara dei deliziosi dolcetti con le mandorle. Tutte le amiche sono molto soddisfatte e Shoshana Zighelman le dice:“cara, deliziosi i tuoi docletti alle mandorle!Devi proprio dirmi come li prepari. pensa che, alla faccia della dieta, ne ho mangiati quattro!” “Ma certo, cara Shoshy” risponde Zipi “e poi a dire il vero ne hai mangiati otto, ma chi sta a contare...!” da Sullam n.92


Pasta e ceci al profumo d’ oriente

Ingredienti (per 4 persone):400g di ceci secchi 1 lt di brodo vegetale 1 spicchio d’aglio 1 rametto di rosmarino 1 cucchiaio di curry sale. Lavare i ceci sotto l’acqua corrente e lasciarli in ammollo una notte.In una casseruola, preferibilmente di terracotta, far soffriggere l’aglio con il rosmarino per circa 10 minuti.Unire i ceci e il brodo vegetale, portare ad ebollizione e lasciar cuocere per circa un’ora e mezza.Servendosi di un mestolo estraete circa un terzo dei ceci e poi frullate i restanti con un frullatore ad immersione.Aggiungete i ceci interi, il curry e salare.Versare la pasta e cuocerla facendo attenzione che rimanga al dente.Per una minestra più densa aggiungere al brodo vegetale una patata che poi frullerete insieme ai ceci. Sullam n. 92

giovedì 19 aprile 2012


Il razzismo degli attivisti ben poco “filo-arabi” (e molto anti-israeliani)

Da un articolo di Salman Masalha. http://www.israele.net/
Anche se pare strano, a ben vedere gli attivisti della cosiddetta “flytilla” sbarcata lo scorso finesettimana all’aeroporto israeliano Ben Guiron all’insegna dello slogan “Benvenuti in Palestina”, non sono affatto filo-palestinesi o filo-arabi. Essi anzi esprimono un sordo disprezzo, una sorta di vero e proprio razzismo verso la cultura araba e musulmana. È quanto afferma il poeta, scrittore e saggista arabo israeliano della comunità drusa Salman Masalha, in un articolo pubblicato su Ha’aretz.«Può darsi che alcuni di quegli attivisti – scrive Masalha – siano brave ed ingenue persone desiderose di aggiustare il mondo. È anche possibile che alcuni di loro siano venuti con l’intenzione di screditare l’immagine di Israele, già di per sé screditata. Ed è anche vero che, pur essendo il mondo impegnato in affari ben più urgenti, non è sbagliato ricordare la triste condizione dei palestinesi e non dimenticare la lunga occupazione, che è comunque una questione importante. Ma è chiaro che il mondo civile e politicamente corretto a cui appartengono questi attivisti è intriso di razzismo: non contro gli ebrei, contro la cultura araba e musulmana. Giacché questa loro protesta dimostra che il presupposto che li anima è alieno da qualunque reale immedesimazione con le sofferenze degli arabi».«In effetti – continua Masalha – c’è qualcosa di più di un briciolo di verità nella sprezzante lettera che il governo israeliano ha approntato per gli attivisti che, nonostante tutto, sono riusciti a sbarcare in Israele. Nella lettera, il governo dice che gli attivisti avrebbero ben potuto concentrare i loro sforzi in azioni di protesta contro i regimi di Siria, Iran e Hamas, e invece hanno scelto di manifestare contro Israele. In effetti, se quegli attivisti fossero animati da sacro ardore per i diritti umani in generale, e per quelli arabi in particolare, avrebbero certamente sentito l’urgenza di esprimere il loro impegno “morale” in ben altri luoghi del Medio Oriente, una regione dove non c’è penuria di tali obiettivi, specie di questi tempi. Da poco più di un anno il presidente siriano Bashar Assad sta massacrando i cittadini arabi siriani che chiedono libertà. Il resto del mondo, che per qualche motivo si considera colto e illuminato, se n’è stato a guardare queste atrocità a braccia conserte, senza fare praticamente nulla per fermare uccisioni e devastazioni nelle città siriane. È lo stesso mondo civile a cui appartengono gli attivisti della “flytilla”, i quali evidentemente agiscono in perfetta sintonia coi codici morali di quel loro ambiente. Chi divide il mondo, e gli esseri umani che lo popolano, in due categorie – quelli a cui si applicano le norme morali “universali”, e gli altri a cui non si applicano – non può definirsi una persona “morale”. Le norme morali universali devono valere per tutti. È di per sé assai discutibile la moralità di chi esclude un qualunque gruppo di esseri umani come se non fossero tenuti ad agire secondo i codici morali “universali”. È forse una sorta di razzismo multiculturale, quello che impedisce a questi ed altri attivisti di mostrare sensibilità e solidarietà verso i cittadini arabi siriani che vengono trucidati? Forse, agli occhi di questi attivisti e altri come loro, la Siria e altri paesi simili nel mondo arabo appartengono a un differente universo culturale dove i loro codici morali “universali” non trovano applicazione?».
«Attivisti per i diritti umani di questo genere – conclude Masalha – che non trovano il tempo di organizzare manifestazioni di solidarietà per i cittadini arabi che vengono quotidianamente massacrati nei paesi arabi, rivelano con questa inerzia il loro razzismo anti-arabo: evidentemente per loro il mondo arabo e musulmano appartiene a un altro universo culturale che risponde a codici morali differenti, e che non fa parte dei “nostri” nobili codici morali occidentali».(Da: Ha’aretz, 17.4.12)

Basilica di Betlemme

Israele, unica isola che protegge i cristiani in Medio Oriente

Di Michael Oren, http://israele.net/
La Basilica di Betlemme è sopravvissuta più di mille anni attraverso guerre e conquiste, ma il suo futuro in quel momento appariva in pericolo. Sulle sue antiche mura erano state vergate con la vernice a spruzzo le lettere arabe della parola HAMAS. Correva l’anno 1994 e la città stava per passare dal controllo israeliano a quello palestinese. In qualità di consigliere del governo israeliano, mi incontravo con i sacerdoti della Basilica su questioni inter-religiose. Erano sconfortati, ma anche troppo spaventati per sporgere denuncia. Gli stessi teppisti di Hamas che aveva profanato il loro santuario avrebbero potuto prendersi anche le loro vite.Il trauma di quei sacerdoti è diventata oggi esperienza quotidiana fra i cristiani mediorientali. La loro percentuale, sulla popolazione complessiva mediorientale, è precipitata dal 20% di un secolo fa a meno del 5% oggi, e continua e decrescere. In Egitto, l’anno scorso, duecentomila cristiani copti sono fuggiti dalle loro case dopo i pestaggi e i massacri ad opera di folle di estremisti islamici. Dal 2003, 70 chiese irachene sono state bruciate e quasi mille cristiani uccisi solo a Bagdad, provocando la fuga di più di metà di quella comunità da un milione di persone. La conversione al cristianesimo è perseguita come reato capitale in Iran, il paese dove il mese scorso è stato condannato a morte il pastore evangelico Yousef Nadarkhani per apostasia (rinuncia all’islam). In Arabia Saudita le preghiere cristiane sono fuori legge anche in privato.Come un tempo vennero espulsi dai paesi arabi 800mila ebrei, così oggi vengono costretti a fuggire i cristiani da terre dove hanno abitato per secoli. L’unico posto in Medio Oriente dove i cristiani non sono in pericolo, ma anzi fioriscono, è Israele. Dalla nascita d’Israele, nel 1948, le comunità cristiane del paese (ortodossi greci e russi, cattolici, armeni e protestanti) sono cresciute di più del 1.000%. I cristiani giocano un ruolo importante in tutti gli aspetti della vita israeliana, sono presenti in Parlamento, nel Ministero degli esteri, nella Corte Suprema. Sono esentati dal servizio militare di leva, ma migliaia di loro si arruolano come volontari prestando giuramento su un testo del Nuovo Testamento stampato in ebraico. I cristiani arabo-israeliani sono in media più benestanti e più scolarizzati della media degli ebrei israeliani, e prendono anche voti migliori nei test di immatricolazione.Questo non significa che i cristiani d'Israele non si imbattano a volte in manifestazioni di intolleranza. Ma a differenza del resto del Medio Oriente dove l’odio verso i cristiani è ignorato o addirittura incoraggiato, Israele è e rimane legato al solenne impegno contenuto nella sua Dichiarazione d’Indipendenza di riconoscere "completa eguaglianza a tutti i propri cittadini indipendentemente dalla loro religione”. Israele garantisce libero accesso a tutti i Luoghi Santi cristiani, che rimangono sotto esclusiva tutela del clero cristiano. Quando i musulmani tentarono di erigere una moschea a ridosso della Basilica dell’Annunciazione a Nazareth, il governo israeliano intervenne per preservare la sacralità del santuario cristiano.In Israele si trovano molti i Luoghi Santi cristiani (come il luogo di nascita di San Giovanni Battista, Cafarnao, il Monte delle Beatitudini), ma lo stato d’Israele si estende su una parte soltanto di quella che la tradizione ebraica e cristiana considera Terra Santa. Il resto si trova nella striscia di Gaza e in Cisgiordania. Ma in queste aree sotto controllo palestinese i cristiani patiscono le stesse condizioni dei loro correligionari nel resto del Medio Oriente. Da quando Hamas, nel 2007, ha preso il controllo della striscia di Gaza, metà della comunità cristiana che vi risiedeva è fuggita. Proibite sono le decorazioni natalizie cristiane e la pubblica esposizione del crocefisso. In una trasmissione televisiva del dicembre 2010, esponenti di Hamas incitarono i musulmani a trucidare i loro vicini cristiani. Rami Ayad, proprietario dell’unica libreria cristiana di Gaza, venne assassinato e il suo negozio ridotto in cenere. Si tratta della stessa Hamas con cui l’Autorità Palestinese che governa in Cisgiordania ha recentemente firmato un patto d’unità. Non c’è da stupirsi, quindi, se si registra un esodo di cristiani anche dalla Cisgiordania, dove un tempo erano il 15% della popolazione mentre ora non arrivano al 2%.C’è chi attribuisce questa fuga alla politica di Israele che negherebbe ai cristiani opportunità economiche, ne arresterebbe la crescita demografica e ne impedirebbe l’accesso ai Luoghi Santi di Gerusalemme. In realtà, la maggior parte dei cristiani di Cisgiordania vive in città come Nablus, Gerico e Ramallah che sono da sedici anni sotto il controllo dell’Autorità Palestinese: tutte città che hanno conosciuto una vistosa crescita economica e un forte aumento di popolazione… fra i musulmani. Israele, nonostante la vitale necessità di proteggere i suoi confini dai terroristi, in occasione delle festività consente l’accesso alle chiese di Gerusalemme anche ai cristiani provenienti sia dalla Cisgiordania, sia dalla striscia di Gaza. A Gerusalemme stessa il numero di residenti arabi, compresi i cristiani, è triplicato da quando la città è stata riunificata da Israele, nel 1967.Dunque deve esservi un’altra ragione per spiegare l’esodo dei cristiani dalla Cisgiordania. La risposta si trova a Betlemme. Sotto il patrocinio d’Israele (1967-1996), la popolazione cristiana della città era cresciuta del 57%. Dopo il 1996, invece, sotto l’Autorità Palestinese il loro numero è precipitato. Palestinesi armati si impossessarono di case cristiane da dove per anni i loro cecchini hanno fatto fuoco sule case dei prospicienti quartieri ebraici di Gerusalemme sud, fino a costringere Israele a costruire la barriera protettiva (che ora gli viene imputata). Palestinesi armati occuparono anche la Basilica della Natività, saccheggiandola e usandola come latrina. Oggi i cristiani, che a Betlemme erano la maggioranza, non costituiscono più di un quinto della popolazione di questa loro città santa.L’estinzione delle comunità cristiane in Medio Oriente costituisce un’ingiustizia di dimensioni storiche. Eppure Israele rappresenta un esempio di come questa tendenza possa essere non solo prevenuta, ma ribaltata. Se godessero del rispetto e dell’apprezzamento che ricevono nello stato ebraico, anche nei paesi musulmani i cristiani potrebbero non solo sopravvivere, ma crescere e prosperare. (Da: Wall Street Journal, 9.3.12)

Triathlon. Campionati Europei Israele – Proseguono le qualificazioni olimpiche

(InsideTheSport) 17 aprile – Il Campionato Europeo di triathlon olimpico si disputerà dal 19 al 22 aprile, ad Eilat in Israele. La gara Elite è valida per la qualificazione olimpica. Saranno assegnate, infatti, due pass olimpici alle nazioni vincenti nelle due competizioni maschile e femminile. Inoltre sono previste anche le gare juniores individuali e staffette, gare Paratriathlon – la cui partecipazione è particolarmente numerosa e qualificata – gare age group.Il 19 aprile nella città israeliana si svolgerà anche il Congresso straordinario elettivo in cui l’Italia si candida al Direttivo con il presidente federale Renato Bertrandi già tesoriere della federazione europea (ETU)....................http://www.insidethesport.com/

Daniel Hershkovitz
RICERCA: PROFUMO INCONTRA MINISTRO ISRAELIANO SCIENZA E TECNOLOGIA

(AGENPARL) - Roma, 17 apr - "Rafforzare la cooperazione tra Italia e Israele nei settori della ricerca e dell’innovazione e la collaborazione tra le Università e gli Enti di Ricerca dei due Paesi. Questi i temi al centro dell’incontro di oggi tra il ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Francesco Profumo e il Ministro della Scienze e della Tecnologia di Israele Daniel Hershkovitz". Lo comunica una nota del Ministero dell'Istruzione. "L’incontro tra i due ministri ha confermato le ottime relazioni tra i due Paesi nel settore, ribadite anche in occasione della recente visita in Israele del Presidente del Consiglio Monti (7-9 aprile). Profumo e Hershkovitz hanno convenuto di esplorare nuove possibilità di collaborazione nel settore dello spazio e delle energie rinnovabili e espresso interesse a facilitare la nascita di star-up dai progetti di ricerca comuni. Il ministro Hershkowitz ha invitato il Ministro Profumo a visitare Israele per approfondire il dialogo avviato. Da parte italiana, all'incontro hanno partecipato il Presidente del CNR, Luigi Nicolais e il Commissario dell'ENEA, Giovanni Lelli. Ieri, il Ministro israeliano aveva avuto un incontro specifico sul tema dello spazio con il Presidente dell'ASI Enrico Saggese. L’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) e quella israeliana (ISA) hanno in corso, dal 2010, il programma Shalom per la realizzazione di due Satelliti con tecnologia congiunta nell’osservazione della Terra iperspettrale. Il progetto è attualmente in fase di implementazione. Prosegue, dunque, la collaborazione scientifica e tecnologica tra Italia e Israele, un rapporto nato l’11 novembre 1971 con l’Accordo di Collaborazione Culturale, Scientifica e Tecnologica siglato a Roma dai due Paesi. In seguito, la cooperazione si è estesa anche alla Ricerca e allo Sviluppo Industriale con l’Accordo di Cooperazione, firmato a Bologna nel 2000 e ratificato nel 2002. L'accordo, che viene coordinato dal Ministero degli Affari Esteri, ha una dotazione di 3 milioni di euro all’anno circa per ciascun Paese ed ha consentito il finanziamento di circa 80 programmi di ricerca scientifica, tecnologica e industriale, favorendo la nascita di una rete di conoscenze condivise e collaborazioni decisive per alimentare l’interscambio bilaterale. Le attività di collaborazione si sviluppano inoltre anche attraverso laboratori congiunti che offrono la possibilità a numerosi giovani ricercatori italiani di operare presso le più prestigiose istituzioni scientifiche israeliane, alimentando così la comunità di scienziati italiani all’estero e consentire loro di svolgere periodi di studio in un Paese leader mondiale dell’high-tech. Finora sono stati aperti quattro Laboratori che operano nel campo delle energie rinnovabili (ENEA e BGU, Ben Gurion University of the Negev), della fisica degli atomi freddi (LENS di Firenze e Weizmann), delle reti e i sistemi complessi (CNR di Firenze e TAU, Tel Aviv University) e della neuroimmunologia (San Raffaele e Weizmann)".

L'Olocausto non fa parte del complotto giudaico per dominare il mondo

L’equiparazione tra antisemitismo da un lato e opposizione alla politica dello Stato di Israele dall’altro è senza dubbio errata. Non occorre essere antisemiti per criticare gli israeliani, anche se a volte si ha l’impressione che ciò accada. In un mio precedente intervento sul caso Grass mi sono limitato a esprimere dei sospetti, dovuti al fatto che il grande scrittore tedesco si arruolò quand’era molto giovane nelle SS combattendo in una delle loro celebri divisioni corazzate. Ma si tratta, per l’appunto, solo di sospetti. Le certezze avrebbero bisogno di ben altri elementi probatori.D’altra parte è noto che l’invocazione degli Ayatollah iraniani a cancellare Israele dalla carta geografica ha sorprendentemente trovato adesioni anche in Occidente. A mio avviso sbaglia chi crede che lo Stato ebraico stia soltanto difendendo la propria identità. La posta in gioco è ben più alta. Si tratta infatti di difendere la memoria dell’Olocausto e di impedire che qualcosa di simile possa di nuovo verificarsi. Evento non impossibile con l’aria che tira.E’ scontato che si possa criticare Israele e alcuni suoi atteggiamenti nei confronti dei palestinesi. Ma quando si parla di “cancellazione” di uno Stato e di un’intera cultura si va ben oltre, prefigurando scenari che la storia purtroppo ci ha già offerto.Su quali elementi si basano i sospetti – che non riguardano certo solo Grass - di cui prima dicevo? Sul fatto che nel secolo scorso il tradizionale antisemitismo, presente in molti Paesi europei e in particolare in quelli orientali, assunse una forma nuova e del tutto inedita. Prima c’erano i pogrom, fenomeni tragici ma pur sempre limitati. A un certo punto prese forma una miscela esplosiva di antisemitismo e di neopaganesimo. Fantasie razziali basate sulla presenza di una presunta razza “ariana” superiore condussero in un primo tempo a individuare soprattutto negli ebrei la razza inferiore contrapposta alla prima. Questa razza andava eliminata senza pietà.In un secondo momento iniziò il processo di “decristianizzazione”, che portò a un’educazione neopagana delle masse tedesche e in particolare delle giovani generazioni. Gli storici non sono ancora riusciti a spiegare il successo pressoché completo di tale programma, che in breve tempo sfociò nella riesumazione delle antiche feste nordiche pagane e nell’adorazione di un Capo che incarnava in quella visione del mondo tutto ciò che il Cristianesimo aveva abolito (o forse solo fatto dimenticare).E’ pure noto che le SS erano l’elemento di punta di un simile programma, poiché i giovani arruolati volontoriamente nelle loro file diventavano non solo dei grandi combattenti, ma anche gli araldi del nuovo/vecchio verbo pagano. E l’indottrinamento era così completo da conservare l’identificazione con la causa anche dopo la scomparsa del Reich. Questo non si verificò invece nel caso di alcune organizzazioni giovanili naziste nelle quali l’arruolamento era in pratica imposto.I cristiani – cattolici e protestanti – che si opponevano pagarono un prezzo altissimo. Un esempio celebre - anche se non il solo - è quello del teologo Dietrich Bonhoeffer, impiccato l’8 Aprile 1945, pochi giorni prima della resa nazista. Per questo proprio i cristiani dovrebbero essere molto attenti a una possibile ripresa di tendenze neopagane.Si dirà che il discorso non c’entra con Israele, ma penso sia il contrario. L’antisemitismo non è mai scomparso e si ritrova allo stato latente in molte frasi che sentiamo pronunciare ogni giorno. E gli attacchi allo Stato ebraico funzionano spesso come veicolo per riproporre tesi che si ritenevano defunte. Ogni critica è lecita, purché non si dimentichi che l’Olocausto è un fatto storico e non, come affermano i negazionisti, un altro tassello dell’eterno complotto giudaico per impadronirsi del mondo.i Michele Marsonet 18 Aprile 2012. http://www.loccidentale.it/

Lo stato d’Israele non si fonda sulla shoah

E’ terminato al Maga il seminario dedicato al tema della memoria della Shoah, organizzato dalla rete di scuole di Busto Arsizio e della Valle Olona. Lo storico Georges Bensoussan, responsabile editoriale del Memorial di Parigi, ha affrontato il rapporto tra la nascita dello stato di Israele e la distruzione degli ebrei d’Europa
E’ terminato al Maga di Gallarate il seminario internazionale dedicato al tema della memoria della Shoah, organizzato dalla rete di scuole di Busto Arsizio e della Valle Olona. Lo storico Georges Bensoussan, responsabile editoriale del Memorial di Parigi, ha affrontato il rapporto tra la nascita dello stato di Israele e la distruzione degli ebrei d’Europa. Il senso di colpa per la shoah, secondo lo storico, non c’entra nulla con la fondazione dello stato israeliano. «Sul piano morale - spiega Bensoussan - i sionisti provano un senso di sconfitta, perché nel 1939 fuori da Israele vivevano ben 17 milioni di ebrei, di cui 11 in Europa, 4 negli Usa e il resto nei paesi musulmani. Ebbene, ci sono molti testi di sionisti dell'epoca che avvertivano con chiarezza che il rapporto che gli ebrei avevano con l’Europa, sarebbe finito in un bagno di sangue».Prima della seconda guerra mondiale, un ebreo su cinque viveva in Polonia. La presenza ebraica nel Vecchio Continente è così importante da rappresentare per il sionismo una vera e propria riserva demografica, ma dopo lo sterminio operato dai nazisti lo stesso Ben Gurion (era nato in Polonia, ndr), padre dello stato nascente, teme che l’Onu non legittimi la richiesta di riconoscimento perché non c’è più nessuno che possa trasferirsi in Israele. «Il riconoscimento - continua lo storico - avverrà nel 1948, bisogna però ricordare che la Società delle Nazioni già nel ’22 riconosce quella comunità, cioè vent’anni prima di Treblinka. Inoltre gli ebrei dello Yemen e quelli del Magreb arrivano ben prima della shoah, tanto che a Tel Aviv nel 1939 vivono già 200 mila persone».L’ebraico non era mai morto, anche se, dopo la diaspora, non era più la lingua madre. Eppure sarà la lingua dei padri a fare da colonna vertebrale allo stato nascente. «Una lingua viva, un popolo vivo che esistevano prima dello sterminio» sottolinea Bensoussan.L’accoglienza riservata nella terra dei padri ai sopravvissuti alla shoah, per lo più giovani e giovanissimi, è tiepida. Una storia già accaduta in altri paesi: nessuno ha voglia di ascoltare quei racconti di orrore e morte, lo Stato prima dei problemi psichici deve risolvere quelli pratici. «Tra gli ebrei che vivevano già in Israele il senso di colpa esiste - precisa Bensoussan - perché gli anni che vanno dal '43 al '45 in Palestina sono anni di pace, felicità e serenità, l’esatto contrario per i loro fratelli europei che morivano a Treblinka e negli altri campi di sterminio. Senso di colpa che poi trasformeranno in aggressività».I sopravvissuti a loro volta si vergognano, non si sentono degli eroi, semmai dei fortunati. Le generazioni invecchiano e quelli che un tempo erano giovani arrivati in Israele per ricominciare senza una famiglia, senza un passato, azzerato dalle camere a gas e dai forni crematori, incominciano a parlare. «I padri per non farsi capire dai figli - racconta Bensoussan - parlavano in yiddish e per indicare l’Europa dicevano “laggiù”, ovvero un posto terribile».Nel 1953 nasce lo Yad Vascem, memoriale ufficiale di Israele dedicato alle vittime dello sterminio, e nel 1961 si celebra il processo Eichmann, gerarca nazista tra i maggiori responsabili dello sterminio ebraico. La Norimberga della shoah viene trasmessa in diretta radio in ogni angolo del paese: l’orrore quotidiano e il naufragio dell’umanità non erano mai stati raccontati da nessuno e così diventano la leva determinante per far emergere i ricordi dei sopravvissuti.La memoria dello sterminio viene sempre di più condivisa, tanto che negli ultimi 20 anni sono oltre 300 mila i liceali israeliani andati in visita ad Auschwitz e nella giornata della shoah e dell'eroismo (Yom ha-shoah) tutto il paese si ferma.«C’è un eccesso di memoria che è pericoloso perché non tutti i nemici sono nazisti - conclude lo storico francese - . E mentre gli israeliani ogni giorno si svegliano con l’ossessione dell’Iran, dimenticano che le radici del loro Stato affondano nel sionismo che è come il Risorgimento per l’Italia».18/04/2012 Michele Mancino.http://www3.varesenews.it

Un giornale israeliano simula lo scenario di un attacco dello Stato ebraico all'Iran

Il giornale conservatore israeliano, Makor Rishon, ha pubblicato una simulazione di guerra tra Iran ed Israele esaminando lo scenario sia politico che bellico.Secondo la premessa, il 14 e 15 ottobre del 2012, fonti affidabili del Mossad comunicano che l'Iran ha iniziato a trasferire una considerevole parte di attrezzature nucleari all'interno del centro militare sotterraneo di Qom nel tentativo di assemblare un'arma atomica in poco tempo.Durante i due giorni il governo israeliano non rilascia alcun commento pubblico e l'agenda del primo ministro, Benjamin Netanyahu non viene modificata per evitare che trapeli un qualche tipo di segnale che Israele stia per attaccare l'Iran. Nelle prime ore del 16 ottobre, prima che faccia alba, l'esercito israeliano lancia l'Operazione Yahalom ("Diamante") che prevede il bombardamento di diversi impianti nucleari iraniani. I siti di Natanz e Arak sono tra i principali obbiettivi, così come altri centri e impianti di ricerca sparsi sul territorio iraniano.Nel blitz 10 caccia militari israeliani vengono abbattuti e alcuni piloti perdono la vita.Negli Stati Uniti, il Presidente, Barack Obama informato dell'attacco va su tutte le furie temendo ripercussioni immediate sulle scelte degli elettori a solo poche settimane di distanza dall'appuntamento per le presidenziali. Il maggior timore di Obama è quello dell'aumento dei prezzi petroliferi.La Casa Bianca chiede ufficialmente ad Israele di cessare le ostilità ma non sanziona lo Stato ebraico né minaccia di farlo. Dal'altra parte però chiarisce che Washington non offrirà assistenza militare a Tel Aviv: "Israele è responsabile del suo destino. È andato contro la nostra volontà e per questo non le offriremo protezione contro la rappresaglia dell'Iran e dei suoi alleati".Come immediata rappresaglia l'Iran invia 1.500 carri armati al confine con l'Iraq e ordina ad Hezbollah, in Libano, di lanciare missili contro lo Stato ebraico. Teheran decide quindi di lanciare una serie di missili a lungo raggio e attacchi terroristici diretti contro le industrie tecnologiche israeliane, riuscendo a colpire la sede di Intel a Herzliya.Un altro grosso attentato si verifica nel centro di ricerca delle forze armate israeliane a Talpiyot dove diversi cadetti dell'IDF - Israele Defence Force - perdono la vita.Infine una bomba sporca viene fatta esplodere a Tel Aviv facendo vittime tra i civili e rilasciando un basso livello di radiazioni.Nella simulazione, i media israeliani dimostrano una solidarietà e unità sorprendete il giorno dell'attacco, risparmiando inizialmente il governo dalle critiche. Il candidato repubblicano alle elezioni presidenziali statunitensi, Mitt Romney esorta Obama a dare "immediatamente" il suo appoggio ad Israele.L'Iran decide allora di provare ad incrinare definitivamente i rapporti tra Israele ed il presidente Obama nella speranza che questo venga rieletto e faccia scontare il prezzo dell'attacco allo Stato ebraico.Teheran allora decide di non interferire con i transiti delle petroliere nel Golfo Persico nel tentativo di non provocare un aumento dei prezzi del barile. Alla fine di ottobre, tuttavia, l'Iran colpisce nuovamente Israele facendo esplodere un'autobomba a Tel Aviv e abbattendo un aereo della compagnia israeliana El Al con un missile sparato da una nave nel Mar Mediterraneo.Nel frattempo rapporti dell'intelligence indicano che il programma nucleare iraniano è stato portato indietro di 7 anni dagli attacchi israeliani. Con le elezioni americane a pochi giorni di distanza, Obama decide di dire "basta" e comincia a minacciare l'Iran di un attacco diretto degli Stati Uniti se non cesserà le ostilità contro Israele.Sebbene possa sembrare uno scenario piuttosto fantasioso, alla simulazione hanno partecipato importanti ex politici, analisti e giornalisti israeliani. http://it.ibtimes.com/

Polpette di sarde

INGREDIENTI (per 4 persone) 500 g di sarde già pulite 200 g pangrattato 50 g caciocavallo ragusano grattugiato 50 g di uva passa reidratata 50 g di pinoli 100 g di concentrato di pomodoro
2 uova 1 cipolla Foglioline di mentuccia 350 gr di pisellini scongelati Farina 00 q.b.Sale Pepe Olio extra vergine d’oliva. PROCEDIMENTO Taglio la cipolla finemente e la faccio imbiondire in un tegame con qualche cucchiaio d’olio. Unisco il concentrato di pomodoro sciolto in 1\4 di l di acqua tiepida, insaporisco con sale, pepe e aggiungo i pisellini. Cuocio a fuoco basso per dieci minuti.
Taglio a pezzettini il pesce e lo metto in una ciotola con il caciocavallo, l’uvetta, i pinoli, l’uovo, il pangrattato, la farina e le foglie di menta tritate. Aggiungo sale e pepe.Formo delle polpette, le schiaccio leggermente, le lascio rosolare in una padella con l’olio.Impiatto le polpette con i pisellini.http://www.realtimetv.it/

Farfalle allo Yogurt

Ingredienti per 4 persone:250 gr di farfalle 1 cipolla olio burro qb 1 manciata di noci 1 manciata di uva sultanina prezzemolo qb yogurt bianco qb noce moscata qb sale parmigiano qb Procedimento :Mettere a lessare la pastaTritare la cipolla e rosolarla con burro e un goccio d'olio.Aggiungere noci spezzettate e uvetta alla cipolla e far rosolare.A fuoco spento aggiungere anche prezzemolo tritato, yogurt, noce moscata e sale.Scolare la pasta, buttarla in padella col sugo, mescolare e mantecare con parmigiano.http://imenudibenedetta.blogspot.com/


Fayyad snobba incontro Israele, sciopero fame frena Anp

(di Aldo Baquis) (ANSA) - GERUSALEMME, 18 APR - Il premier palestinese Salam Fayad ha snobbato un incontro con Israele al più alto livello, probabilmente per non essere ripreso dalle telecamere accanto al primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu mentre si celebrava nei Territori la giornata del prigionieri. Dopo oltre un anno senza contatti diretti, le delegazioni di Israele e Anp sono tornate a incontrarsi ieri a Gerusalemme ma le cose non sono andate come previsto inizialmente. E al termine di un breve colloquio hanno ribadito il rispettivo impegno "a ricercare il modo per portare avanti il processo di pace". Quello - che per pressante desiderio degli Stati Uniti - doveva avere la forma di un vertice fra Benyamin Netanyahu e Salam Fayyad è stato declassato infatti ad un incontro tecnico, perché il premier palestinese ha preferito restare a Ramallah. Secondo la stampa, non desiderava essere ripreso assieme a Nentanyahu mentre nei Territori si celebrava oggi la Giornata del Prigioniero, che ha visto migliaia di palestinesi reclusi in Israele rifiutare il cibo e iniziare uno sciopero della fame. Fayyad ha affidato dunque al negoziatore Saeb Erekat e al capo dell'Intelligence generale Majed Faraj l'incarico di consegnare nelle mani di Netanyahu una lettera di Abu Mazen in cui il presidente dell'Anp fa il punto sulle relazioni bilaterali e delinea le condizioni per la ripresa di colloqui. Il premier israeliano - precisa un comunicato congiunto - ha assicurato che entro due settimane inoltrerà a sua volta una risposta scritta. Che nell'era di internet i dirigenti di Gerusalemme e Ramallah (città distanti 20 chilometri) trovino opportuno scambiarsi plichi sigillati come due millenni fa è oggetto di commenti amari da ambo le parti. La tecnica dell' incontro di ieri (rimasto in forse per molte ore, e caratterizzato poi dal polemico forfait di Fayyad) conferma la mancanza di residua fiducia reciproca. Secondo la stampa palestinese Abu Mazen è stato costretto (dietro pressioni Usa) a rivedere più volte la lettera destinata a Netanyahu. In essa, si afferma da parte palestinese, accusa Israele di operare in contrasto con la visione dei 'Due stati per i due popoli'. In un messaggio pubblico Abu Mazen ha anche accusato Israele di aver svuotato di contenuto l'Autorità nazionale palestinese, mediante una serie di imposizioni e di 'fatti compiuti' sul terreno. Per la ripresa di negoziati, secondo il Rais, occorre che Netanyahu si impegni ad un accordo definitivo di pace basato sulle linee armistiziali in vigore nel 1967 e al congelamento dei progetti di colonizzazione in Cisgiordania e a Gerusalemme est. Da parte sua un ministro israeliano, Dan Meridor (Likud),ha oggi sollecitato Abu Mazen a tornare al tavolo dei negoziati e ad abbandonare le iniziative condotte di recente in forum internazionali fra cui l'Onu. I palestinesi devono prendere decisioni difficili ha aggiunto. "Per una soluzione ci vorrebbero statisti del calibro di Anwar Sadat o del re Hussein di Giordania". Ma nel contesto della 'primavera araba' - mentre in diverse capitali della regione si lanciano slogan contrari a qualsiasi normalizzazione con lo Stato ebraico - e mentre Hamas continua a predicare da Gaza una linea di confronto ad oltranza é difficile prevedere che Abu Mazen possa mostrare cedimenti.Israele intanto - mentre tiene in qualche modo in vita i contatti con Ramallah - sembra molto più interessato a seguire gli sviluppi dei colloqui fra il gruppo dei Paesi 5+1 e i negoziatori iraniani. I contatti preliminari di Istanbul hanno deluso Netanyahu e oggi il ministro della difesa Ehud Barak ha dunque ribadito che l'opzione militare resta sul tavolo.

kibbutz Yizre’el
«La Giordania strapperà Gerusalemme agli assassini di profeti»

L’esercito giordano distruggerà Israele e strapperà Gerusalemme dalle mani degli “assassini di profeti”. Questo il messaggio che un chierico giordano ha diffuso attraverso un sermone pronunciato venerdì 23 marzo e trasmesso dalla televisione di stato giordana. È quanto risulta da un filmato recentemente messo in circolazione sul web.“L’esercito [giordano] è invincibile – afferma l’imam Ghaleb Rabab’a nel video, tradotto e diffuso la scorsa settimana dal Middle East Media Research Institute – Le sue unità sono gremite di persone che pregano, di imam e di gente che conosca a memoria il Corano. Questo esercito non sarà mai sconfitto, ad Allah piacendo. Gerusalemme sarà riconquistata, ad Allah piacendo, da queste mani caste e pure che levano in alto il Corano e lo recitano giorno e notte. Questo è un esercito che si inchina solo di fronte ad Allah. Oggi dobbiamo essere orgogliosi del nostro paese e del suo esercito, che discende dal Profeta Maometto”.Non è chiaro se il sermone, che comunque è stato diffuso dalla tv di stato giordana, sia stato pronunciato in una moschea a conduzione statale o privata. L’Articolo 11 del Trattato di pace israelo-giordano (1994) prevede che entrambi i paesi “si astengano dalla propaganda ostile o discriminatoria l’uno contro l’altro e adottino tutte le possibili misure legali e amministrative per evitare la diffusione di tale propaganda da parte di qualunque organizzazione o individuo sul territorio di entrambe le parti”.“L’arroganza degli ebrei sarà sconfitta, ad Allah piacendo – continua il sermone di Rabab’a – Questo esercito, o miei fratelli nella fede, farà a pezzi il potente Israele, ad Allah piacendo, esattamente come la potenza dei crociati e dei bizantini fu fatta a pezzi a Hittin, Yarmuk, Al-Qadisiyya, ‘Ain Jalut”.Hittin, presso Tiberiade, è il luogo della battaglia del XII secolo con cui l’esercito musulmano del Saladino diede inizio all’urto finale per la cacciata dei crociati dalla Terra Santa. ‘Ain Jalut, presso l’odierno kibbutz Yizre’el, è il luogo dove un secolo più tardi le forze musulmane sferrarono il primo colpo significativo contro gli eserciti invasori dei mongoli. Entrambe queste località si trovano nell’odierno stato di Israele (entro le linee pre-’67).“[La potenza di Israele] sarà distrutta dalla volontà di Allah – prosegue il sermone di Rabab’a – Allah non lascerà che l’originaria direzione della preghiera della nazione islamica [cioè Gerusalemme, sostituita nel 630 dalla Mecca, ndr.] resti ancora a lungo nelle mani degli assassini di profeti”.Lo scorso gennaio l’organizzazione per il monitoraggio dei mass-media palestinesi Palestinian Media Watch aveva diffuso un video in cui il Gran Mufti di Gerusalemme Mohammed Hussein recitava un noto hadith (detto attribuito al profeta dell’islam Maometto) in cui si invocava l’uccisione degli ebrei. “Il Giorno del Giudizio – scandiva nel filmato Muhammad Hussein, il Gran Mufti nominato dall’Autorità Palestinese – non verrà fino a quando non combatterete gli ebrei, che si nasconderanno dietro pietre e alberi, e le pietre e gli alberi diranno: oh musulmano, oh servo di Allah, c'è un ebreo dietro di me, vieni e uccidilo”.Il dignitario palestinese si è successivamente rifiutato di ritrattare queste sue parole sostenendo di non aver invocato l’uccisione di ebrei, ma d’aver semplicemente citato il profeta dell’islam, le cui parole non si possono modificare. “Non chiediamo di uccidere gli ebrei – ha dichiarato il Gran Mufti alla radio israeliana Reshet Bet – Noi non abbiamo mai detto: uccidete gli ebrei. È l’hadith che lo dice, ed è un nobile hadith”.(Da: Jerusalem Post, israele.net, 16.4.12) http://www.israele.net/

La crociata di Myrna per il cane della Bibbia

Il turista che si trovasse a percorrere, in auto o in moto, la grande arteria che collega Gerusalemme a Tel Aviv, quasi sicuramente non farà caso ad alcuni modesti canili alloggiati in fabbricati inglesi, aggrappati l'uno all'altro, ai bordi dell'autostrada. All'interno di queste costruzioni si sta compiendo un programma che definire «biblico» è del tutto appropriato. Una donna. Myrna Shiboleth, un'addestratrice che nel 1970 è arrivata in Israele dagli Stati Uniti per fondare un allevamento sulle colline della Giudea e tentare di salvare dalla scomparsa definitiva un cane che è nativo di quelle terre e che viene ricordato nel Libro dei Libri, il Canaan Dog. Se il turista è ragionevolmente distratto dalle semplici pietre, che evocano eventi in grado di provocare sensazioni di vertigine, è necessario sottolineare che molti cittadini d'Israele non hanno mai sentito parlare del Canaan Dog, che si distingue per quelle orecchie puntute, quella coda arcuata e quell'espressione fiera e indipendente.Piccolo ma coraggioso, il Canaan dog ha percorso per millenni gli aridi territori dell'antica Canaan, un'area che corrisponde all'attuale Israele, Libano e parte della Giordania. Si tratta di una delle razze più antiche del mondo, immortalata in dipinti e incisioni risalenti a oltre quattro secoli prima di Cristo. A causa di una banale disputa terriera il futuro del piccolo Canaan diventa oscuro. La Shiboleth, originaria di Chicago, ma ormai affatto israeliana, allevatore di cani campione del mondo, giudice internazionale e scrittrice animalista, che ha dedicato la sua vita alla sopravvivenza della razza presso il canile di Shaar Hagi, sta combattendo un ordine di sfratto da parte del governo d'Israele. «Non abbiamo certo i soldi per comprare una nuova proprietà - dice Myrna - e, anche li avessimo dovremmo spenderli tutti per quattro mura, decretando la fine del programma di riproduzione». Sebbene le tribù beduine abbiano a lungo utilizzato questo cane per proteggere le loro greggi dai predatori, è solo quando i militari ebrei, negli anni '30, chiedono a Rudolphina Menzel di selezionare un cane cercamine, che il Canaan diviene una razza riconosciuta. Infatti i cani importati dalla Germania (Dobermann e Pastori Tedeschi) si trovano a mal partito nei territori aridi e sabbiosi della regione senza riuscire a centrare l'obbiettivo. Così Rudolphina si mette a studiare le razze native per iniziare un programma di selezione.Myrna raccoglie l'eredità della Rudolphine negli anni '70, prendendo in affitto alcuni ruderi inglesi e alloggiandovi i propri canili. Credeva in quegli anni che la proprietà fosse dell'Autorità Idrica Israeliana, mentre, negli anni a seguire, si rese evidente che il reale proprietario era l'Autorità di Terra. Insomma, un conflitto burocratico all'italiana che è venuto alla luce l'anno scorso, dopo che tutti i documenti erano stati secretati. In sostanza Myrna è stata sfrattata con la motivazione che i canili sono all'interno di un parco nazionale. Gli amanti del Canaan dog, hanno firmato a centinaia una petizione a favore di Myrna, ma la Corte israeliana si riunirà per decidere a Ottobre. Nel frattempo i pochissimi allevatori di Canaan chiedono di riferirsi a Myrna per avere il pool genetico del cane nativo e assicurarne la sopravvivenza per il futuro.Due volte all'anno Myrna si trasferisce nel deserto del Negev, presso tribù beduine, per cercare nuovi cani, ma diventa sempre più difficile, per l'inurbamento degli indigeni. Purtroppo il Canaan non è tra le specie protette, come l'Orice e, nell'arco di 10 anni, potrebbe scomparire dal deserto. Questa del resto sarebbe una grave perdita per tutti noi e soprattutto per chi, come Myrna, ha dedicato la vita a questo museo vivente. E che non ha nessuna intenzione di perdere questa battaglia.di -

Cipro-Israele: ministro Esteri Liberman oggi a Nicosia

(ANSAmed) - NICOSIA, 16 APR - Il ministro degli Esteri di Israele Avigdor Liberman arriva stamani a Cipro per una missione di tre giorni a due mesi esatti dalla visita del premier Benjamin Netanyahu, la prima di un capo di governo israeliano.Liberman risiedera' a Limassol, sulla costa meridionale dell'isola, ed oggi vedra' la collega cipriota Erato Kozaku Markoullis che sara' accompagnata da una delegazione di diplomatici ciprioti. Il capo della diplomazia israeliana sara' poi ricevuto dal presidente Demetris Christofias e incontrera' il ministro del Commercio Neoklis Sylikiotis. Durante la visita Liberman incontrera' anche i leader dei due maggiori partiti ciprioti Nicos Anastasiades (Disy, di centro-destra, opposizione) e Andros Kyprianou, del partito comunista Akel al governo.

Rassegna stampa

Ancora una giornata quasi priva di notizie dal Medio Oriente, ma non per questo è stata una giornata tranquilla, quella di ieri.Nelle carceri israeliane, nelle quali sono rinchiusi 4700 detenuti palestinesi (Figaro e Financial Times), è iniziato uno sciopero della fame di 1200 tra questi, sulla scia di quanto fatto dal palestinese Adnan che proprio ieri avrebbe dovuto essere rilasciato dopo 66 giorni di sciopero. I detenuti reclamano, tra l’altro, per condizioni inumane di detenzione (non oso fare paragoni non solo con quelle di alcune nostre vergognose case di detenzione, ma soprattutto con quelle di tutti i paesi limitrofi di Israele, a partire dai territori e da Gaza), e per i controlli corporali effettuati su di loro e sui familiari in visita. Non sembra accorgersi Michele Giorgio che queste sono pratiche assolutamente comuni; al contrario, ed è un fatto ripetuto nella sua gravità dal corrispondente del manifesto, Giorgio scrive che l’ex detenuta Shalabi, anch’essa liberata tempo addietro dopo aver effettuato uno sciopero della fame, sarebbe stata “deportata” nella striscia tre anni fa. La Shalabi oggi si è unita alle manifestazioni di solidarietà coi detenuti insieme ai pochissimi europei ed americani che sono riusciti ad entrare in Palestina nell’ambito del piano denominato Flytilla.Ancora sul manifesto Gabriele Rizza parla del giovane regista israeliano, evidentemente filo palestinese, che sostiene, in una sua tournée italiana, che il “Muro” non sarebbe affatto servito a fermare gli attentati, che non avverrebbero più grazie al cambiamento culturale della società palestinese che avrebbe optato per azioni non violente. Beato lui che ci crede, che non vede l’esaltazione continua dei peggiori terroristi, e soprattutto beato lui che è cittadino di uno stato che gli permette sia di portare all’estero le sue idee, sia di proiettare in TV i suoi capolavori.Un altro personaggio ostile allo stato di Israele (e forse non solo) è Sergio Romano che oggi sul Corriere risponde contemporaneamente a due diversi lettori: la buona notizia è che si dichiara personalmente convinto che Israele non farà uso per primo della bomba atomica contro i propri nemici. Ma la buona notizia finisce qui, e giova ricordare che secondo Romano, come scriveva ieri in un’altra risposta ai lettori, gli USA, di fronte a due “stati canaglia”, Iraq e Corea del nord, avrebbero attaccato solo il primo e non il secondo temendo i danni irreparabili che la Corea, dotata di bomba nucleare, potrebbe arrecare alla superpotenza. Questa, come spiegava Romano, sarebbe l’unica ragione per la quale l’Iran vuole dotarsi dell’arma nucleare: poter raggiungere la certezza di non essere attaccata (e non certamente poterla usare contro chi dice apertamente di voler cancellare). Al secondo lettore che suggeriva che Grass, per via del suo passato, farebbe meglio ad occuparsi di temi diversi da quelli trattati nel recente poema, senza peraltro contestargli le sue doti letterarie, Romano replica citando lo storico Roberto Vivarelli che, pur avendo partecipato a 13 anni ad azioni delle brigate nere, ha poi saputo diventare uno dei migliori storici liberali; direi che anche su questo punto Romano sia sfuggito alle osservazioni del lettore.Desiderio Giancristiano su Liberal si rifà a Hannah Arendt ed alla banalità del male per affrontare il tema del processo contro Breivik che si è aperto in Norvegia; purtroppo scrive che il razzismo sarebbe un “prodotto specificatamente moderno”, e personalmente, del tutto contrario a simile affermazione, lo inviterei a ripassare la storia dai tempi antichi fino ad oggi. Nel contempo lo inviterei ad esaminare con attenzione quanto sta succedendo proprio in quella Norvegia che chiama “Società razionale”, ma che è sotto l’attenzione di tanti osservatori preoccupati non solo per l’episodio criminoso di Breivik. Per fortuna al termine del suo articolo scrive giustamente che in Norvegia, a differenza che sotto il nazismo, non si può parlare di stato che vive nel crimine o di massacri organizzati dallo stato, cose che permetterebbero a Breivik di essere, come Eichmann, un ingranaggio di una macchina.Una breve su questo tema pubblicata su Rinascita reclama che altri quotidiani riportano il saluto di Breivik a pugno chiuso come se fosse il saluto dei nazisti e dei fascisti, indicati come il Male assoluto. Quello era il saluto di Lenin e di Stalin, ricorda Rinascita, dimenticando tuttavia i Mali assoluti perpetrati anche nell’Unione SovieticaGiacomo Galeazzi su La Stampa parla del convegno su Costantino il Grande nel corso del quale Rav Riccardo Di Segni ha ricordato che fu proprio la conversione di Costantino a fare da spartiacque epocale; Galeazzi gli contrappone subito le diverse posizioni sul tema sostenute oltre Tevere.Interessante la recensione sul Foglio del libro di Shindler Israele e la sinistra europea”: dal ’67 l’antisemitismo ha trovato casa a sinistra, Israele è diventata la centrale del peccato, l’ebreo si è trasformato nel malvagio sionista e si è passati dall’attacco all’ebreo individuale del XX secolo alla guerra all’ebreo collettivo (viene ricordata, tra l’altro, la risoluzione del ’72 all’ONU voluta dall’URSS sul sionismo razzista).In Siria (Francesco Grignetti su La Stampa) la tregua non regge e, mentre partono uomini e mezzi per riportare la calma in quel paese cruciale per le sorti del Medio Oriente, un pò tutti (Iran, Russia, Turchia) lavorano per non renderla davvero praticabile.Chissà se sarà una buona notizia il fatto che l’EU abbia nominato nuovo rappresentante speciale nel processo di pace il tedesco Rheinike, già ambasciatore tedesco in Siria? Ora vedremo quale atteggiamento assumerà. Certo che il fatto che il primo ministro Fayyad, che doveva incontrare Netanyahu per consegnargli una lettera, non si sia fatto vedere, non sembra una buona notizia.Chiudo con una realtà che avrei voluto leggere nei giorni scorsi ma che ho cercato invano nella nostra stampa, quella degli studi oramai molto avanzati di alcuni ricercatori israeliani che hanno scoperto che una sezione di una molecola contenuta in tumori maligni può distruggere le cellule cancerogene; si sta già sperimentando in Israele su alcuni malati il vaccino MUC1, ed i risultati sembrano molto incoraggianti.Evidentemente i corrispondenti in Medio Oriente sono sempre troppo occupati a cercare ogni sorta di notizie atte a demonizzare Israele, o a inventarle quando non ne trovano, per riuscire a vedere quanto esce continuamente da quel laboratorio di idee e di esperimenti che è il piccolissimo Stato di Israele.Oggi sono 100 anni esatti dai giorni del pogrom di Fez: non c’era lo Stato di Israele ne’ i territori occupati, eppure ebrei morivano per via dell’odio contro di loro, anche allora, nelle terre intorno al Mediterraneo; ci dovrebbero pensare coloro che ritengono di sapere come chiudere questo conflitto tra i palestinesi e lo Stato di Israele.Emanuel Segre Amar, http://moked.it/blog/