giovedì 19 febbraio 2009

Successo dell’Associazione Trevigiana Italia-Israele!

Grazie alla segnalazione inviata alla TIM e al prezioso supporto di Yossi Bar, inviato in Italia della Radio Kol Israel, la Voce di Israele, i Clienti TIM che atterreranno all’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv non verranno più accolti con il messaggio“Benvenuto in Palestina”!
Shalom a tutti e buon viaggio! Ricordo al riguardo il sito di Chicca Scarabello, http://viaggisraele.blogspot.com/ dove potete trovare informazioni relative ai viaggi in Israele da lei magistralmente organizzati da decine di anni!
Federico Falconi Nocentini Presidente Associazione Trevigiana Italia-Israele

L’altra guerra di Israele : l’informazione distorta


lettori più attenti della rassegna stampa di Moked l’hanno potuto vedere giorno dopo giorno, soprattutto se hanno letto la rassegna integrale e non solo le segnalazioni dei commentatori, inevitabilmente limitate agli articoli più interessanti e corretti: la stampa italiana ha uno strano atteggiamento sul mondo ebraico. Si mostra in genere interessata e aperta alle nostre tradizioni e alla nostra cultura, commossa e attenta al ricordo della Shoà, insomma ha un atteggiamento in genere positivo nei confronti dell’ebraismo come fenomeno storico, religioso e culturale. Perfino la potente campagna di stampa del Vaticano per la beatificazione di Pio XII e dunque contro le obiezioni sollevate da tanta parte del mondo ebraico, non è quasi mai degenerata nei tradizionali atteggiamenti antigiudaici.Quando però si parla di Israele, le cose cambiano. Il pregiudizio contro lo Stato di Israele, diciamo pure la propaganda anti-israeliana, dominano la grande stampa. Vi è qualche eccezione di posizioni che in linea di principio si pongono al fianco di Israele:Il Foglio, l’Opinione, qualche volta ma non sempre Il Giornale, Panorama, Il Riformista. L’orientamento politico prevalente a destra di queste testate riflette un’analoga polarizzazione dello schieramento parlamentare. Che si riflette anche nelle posizioni degli altri giornali: dalla attenta ostentazione di un atteggiamento neutrale del Corriere della sera e del Sole all’appoggio esplicito per la causa palestinese, via via più militante e aggressivo andando a sinistra, da Repubblica all’Unità, alle testate extraparlamentari come Manifesto e Liberazione, ancor più vicine ad Hamas che all’Autorità Palestinese. Ma in realtà queste posizioni anti-israeliane sono abbastanza trasversali e coinvolgono in diversa misura giornali locali (per esempio Il messaggero), organi “autorevolissimi” come L’osservatore romano e la Rai.Si è scritto molto sulle ragioni di questo atteggiamento filopalestinese e in generale filoarabo in particolare ma non solo della sinistra italiana (si pensi alle rivelazioni recenti di un ex presidente della Repubblica ed ex ministro degli interni come Francesco Cossiga sull’accordo stretto coi palestinesi da un capo del governo democristiano come Aldo Moro e poi rispettato da tutti i suoi successori; o all’appoggio di Craxi a Gheddafi e all’OLP). E molto ancora ci sarebbe da studiare su questo tema decisivo per l’ebraismo italiano.Mancava invece una documentazione adeguata dei modi e delle tecniche della stampa italiana (e purtroppo non solo italiana) per esercitare la sua azione propagandistica – che ha un notevole successo, come si vede dai sondaggi che registrano un clima di opinione massicciamente sfavorevole a Israele. E’ importante dunque segnalare due libri che lavorano con competenza e intelligenza su questo tema.Il primo è quello di un giornalista italiano, Giuseppe Giannotti, che lavora al Secolo XIX e dunque ha un’ottima competenza su tecniche e procedure redazionali dei nostri quotidiani. Il libro si intitola Israele, verità e pregiudizi (Editore De Ferrari, Genova 2008). Vi si analizza in maniera dettagliata la reazione di alcune delle più importanti testate italiane agli eventi cruciali della cosiddetta “seconda intifada”, la guerra asimmetrica scatenata dall’Olp di Arafat dopo aver fatto fallire le trattative di pace di Camp David. Sono episodi che fecero molto rumore qualche anno fa: l’uccisione del ragazzino palestinese Al Doura, il linciaggio di due riservisti israeliani a Ramallah ripreso da una troupe di Mediaset e l’indegna lettera di scuse mandata in seguito ai palestinesi dal corrispondente della Rai Riccardo Cristiano, l’”assedio” della basilica della natività a Betlemme e la “battaglia” di Jenin e poi ancora la seconda guerra del Libano di due anni fa.Il vantaggio di scrivere a freddo è che si dispone, se non della verità assoluta, almeno di documenti di terze parti e di testimonianze su come sono andati i fatti. Da molte inchieste e soprattutto da una sentenza di un tribunale francese sappiamo oggi con certezza che Al Doura molto probabilmente non è stato affatto ucciso dal fuoco di un avamposto israeliano, ma dagli stessi palestinesi (se non si è trattato di una messa in scena totale). Da un’inchiesta dell’Onu sappiamo che a Jenin non si è avuta nessuna strage, ma solo una guerriglia urbana piegata faticosamente dall’esercito israeliano a prezzo di alte perdite per non coinvolgere i civili e che i morti sono stati quasi tutti combattenti; dalla testimonianza di giornalisti che sono entrati nella basilica subito dopo la conclusione dei fatti sappiamo che a Betlemme non vi erano rifugiati militanti ricercati ma una banda terrorista armata e violenta anche con i monaci. Da molte testimonianze sappiamo che buona parte delle immagine e delle notizie sul Libano erano organizzate da un efficiente servizio propagandistico.Gianotti ha il merito di mettere in fila questi fatti, raccontandoli con cura e intelligenza. E soprattutto quello di farceli confrontare con i fatti accertati i reportage di alcuni giornali. La scorrettezza propagandistica non solo di “giornalisti” come Cristiano, che scrive ai palestinesi di “aver sempre lavorato secondo le loro regole” (chissà quali) e di non avere mai dato notizie loro sgradite, ma anche di molti articoli di quotidiani, segnatamente di quelli di Repubblica, emerge in maniera inequivocabile da questo libro, facendone uno strumento prezioso per chiunque voglia confutare la propaganda anti-israeliana, o voglia semplicemente pensare con la sua testa su un tema così controverso.Per capire come e perché una propaganda del genere sia prodotta, vale la pena di procurarsi un libro americano, The other war di Stephanie Gutmann (Encounter Books, San Francisco - un’immagine della copertina nella foto in testa). E’ la testimonianza di una giornalista che vive in prima persona, come corrispondente in Israele, lo stesso periodo. Si legge in queste pagine non solo la psicologia assai particolare dei corrispondenti; ma anche la sociologia di un lavoro che impegna molte centinaia di persone: la dipendenza da fonti (praticamente sempre palestinesi) che hanno interesse personale a creare gli scontri che saranno poi riportati dai giornalisti per cui lavorano; i rapporti molto corporativi del gruppo dei giornalisti, l’azione dei portavoce israeliani, le forme di intimidazione fisica che i giornalisti non allineati ricevono dai miliziani quando riferiscono o peggio riprendono con le telecamere quel che in Occidente non si deve sapere. Alcuni episodi culminanti sono gli stessi studiati da Giannotti sui testi giornalistici, raccontati qui nella forma inedita e interessante della cronaca della loro cronaca.L’insieme di questi due libri mostra quanto lavoro ci sia da fare, in Israele ma anche in Italia e in Occidente per contrastare la massiccia prevalenza del politically correct anti-israeliano. Un compito cui si dedicano in pochi e con poche risorse, ma che è essenziale. Perché è evidente che l’”altra guerra”, quella delle notizie e delle menti è ancora più importante della “prima guerra”, quella sul campo. Ed è dimostrato dall’esperienza che gli odiatori di Israele (per antisemitismo nascosto, per odio di sé di certe frange ebraiche, per anticapitalismo e anti-occidentalismo deviati su Israele, per amicizia o paure della rivoluzione islamista, non si fermeranno, qualunque concessione di pace faccia Israele. Dunque anche la seconda guerra, come la prima, continuerà ancora a lungo e più della prima non lascerà immuni gli ebrei della Diaspora. http://moked.it/

walter arbib e surjit babra

“Aiutiamo Israele con i fatti, non con le parole”

Non c’è un attimo da perdere. Mille bambini di Sderot e del Sud di Israele lo aspettano fra poche ore con la merenda nello zaino. Le scuole anche questa mattina ancora non potranno aprire i battenti. Da Gaza continuano a piovere missili sulla popolazione civile. Nella guerra contro il fondamentalismo islamico non ci sono solo i caduti, gli ospedali che accolgono i feriti, ma anche le sofferenze di tutti i giorni. Gli incubi. L’angoscia di doversi risvegliare sotto i missili lanciati da terroristi che prendono di mira la gente comune. Le corse disperate verso i rifugi. I quindici secondi, non uno di più, che restano a disposizione per tentare di mettersi al riparo.Mentre a Roma migliaia di cittadini si riuniscono per riaffermare Sosteniamo Israele, sosteniamo la pace, nel suo quartiere generale di Toronto lui segue gli avvenimenti a distanza, ma senza mai distogliersi dai suoi piani. Ci sono i bambini di Sderot, ci sono migliaia di lettori Mp3 da consegnare. Ci sono 300 mila euro di medicinali in viaggio verso l’Italia. E tante altre iniziative, tante richieste che provengono dalle zone di crisi del mondo. Fuori dai vetri, a Toronto, nessuno si stupisce se il termometro segna meno 20. Ma nella centrale operativa il clima è febbrile. Il piano è quasi pronto. Il suo esercito non mostra i colori di un Paese, ma quelli di SkyLink, l’azienda che gestisce con il suo socio indiano specializzata in trasporti aerei e terrestri per le grandi operazioni umanitarie.La sua armata schiera in campo una flottiglia di elicotteri, un grande aereo per il trasporto di mezzi pesanti, mezzi motorizzati e alcuni specialisti. La sua guerra la combatte con questi mezzi. Questa mattina tutti in gita, forse allo zoo, nelle aree di Israele che ancora non possono essere raggiunte dai missili di Hamas. La sera poi di nuovo a casa. Perché, nonostante i rischi, dividere le famiglie sarebbe la sconfitta peggiore. E mentre si definiscono i dettagli di questa operazione si accavallano altri piani. Il telefono continua a squillare. E’ il Primo ministro canadese Stephen Harper. E’ il Presidente di Israele Shimon Peres. E’ qualcuno da Roma che vuole indicazioni sui 300 mila euro in medicinali destinati al Medio Oriente. “Tranquilli – risponde Walter Arbib, l’imprenditore di origine tripolina che grazie alla mediazione dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e della Comunità Ebraica di Roma ha donato 300 mila euro in medicinali per alleviare le sofferenze delle popolazioni civili, soprattutto dei bambini e in particolare di coloro che sono tenuti in ostaggio dai terroristi di Hamas – il carico è già in viaggio, il Governo italiano lo prende in consegna a breve”.Appena una pausa per rispondere a qualche domanda. Troppo poco per comprendere a fondo quest’uomo cacciato dalla sua terra, cittadino del mondo, imprenditore di successo che dice di essere ossessionato dall’idea di aiutare gli indifesi. Ma anche un’occasione rara per cogliere qualche frammento nella vita di un uomo. “Invece di parlare – commenta Arbib - cerco di fare. Nel mio lavoro ho visitato i posti più tristi del mondo, in cui genitori non possono neanche sfamare i propri figli e forse questo ha cambiato il mio modo di vedere la vita e i miei principi”.Ma questa donazione dei medicinali non tutti hanno mostrato di capirla. “I medicinali era giusto che fossero offerti. Sono destinati ai bambini. I bambini non hanno colpa di quella che è la politica del loro governo o degli adulti irresponsabili che li lasciano usare come scudo umano”.Ma come fa lei ad agire sullo scenario internazionale per conto proprio, non si rende conto di quante implicazioni delicate ci sono dietro un’operazione del genere? “Prima di avviare un’operazione mi accerto che sia ben compresa dal Canada, il Paese che mi ha accolto a braccia aperte e da dove opero, condivisa da Israele e in questo caso dall’Italia”.E’ stato lei a sollecitare i leader ebraici italiani a favorire questa operazione? “I leader ebraici italiani hanno le migliori credenziali per qualsiasi cosa decidano di fare per Israele”.Come è stata concepita questa donazione? “Credo che l’offerta fosse quanto mai opportuna. Il Governo italiano e il ministro Frattini hanno appoggiato le ragioni di Israele e volevamo far sentire il nostro aiuto a bimbi usati come scudi e vittime di chi li tiene in ostaggio”.E allora perché queste incomprensioni comparse sul forum degli ebrei tripolini “Mafrum per tutti” (dal nome di un cibo caratteristico) e riprese da alcuni irresponsabili? “Mi auguravo di non dover intervenire. Non cerco notorietà. Non ho mai parlato con i giornali. Sono stato costretto dalla stupidità di chi non ha capito e ha voluto intervenire a sproposito. Parlano, fanno danni, ma quando c’è da agire non si fanno più vedere. Aiutiamo insieme Israele con i fatti e non con le parole”. Scusi Arbib, molti le hanno chiesto perché questi aiuti vanno a Gaza, pochi invece le hanno domandato perché mai dovrebbero andare in Israele. Israele è un Paese straordinariamente avanzato e il suo sistema sanitario offre costantemente aiuto a tutte le popolazioni circostanti. E’ sicuro che abbia bisogno delle sue medicine? Certo che non ne ha bisogno per le sue strutture. Per quello che ne so Israele a sua volta è un grande benefattore, in questo momento sta provvedendo senza ostentarlo enormi aiuti alla popolazione civile palestinese. E non solo. Israele è intervenuta per le vittime dello Tsunami, in Pakistan e persino in Corea del Nord. Abbiamo mosso in tempi recenti aiuti in medicinali per 3,5 milioni di dollari. E stiamo valutando altri progetti in totale sintonia con Gerusalemme”.Lei agisce sempre in tandem con il suo socio, il sikh Surjit Babra. Cosa lega persone provenienti da culture così diverse? Prima di tutto le nostre esistenze hanno molto in comune. Abbiamo cominciato da zero tutti e due e quello che abbiamo ce lo siamo costruito con le nostre mani. Il mio socio partecipa a tutte le mie scelte ed è un grande amico di Israele. Quando il Bené Berith ha deciso di concedermi un’onoreficenza ho fatto loro presente che avrei potuto accettarla solo se la avessero consegnata a noi due assieme e non a me da solo.E com’è finita? A ritirarla ci siamo andati in due.Curare con le medicine è la sua unica preoccupazione? No, quando le emergenze me lo consentono cerco di dedicarmi anche alla cultura e alla conoscenza della nostra cultura di ebrei di origine libica. Vorrei invitare tutti a visitare il museo libico di Or Yehuda in Israele e quello che si sta costruendo a Roma. E’ importante per conoscere la nostra storia e per comprendere quello che abbiamo sofferto quando ci hanno cacciato dalle nostre case quaranta anni fa. Ma è anche importante per comprendere che dobbiamo dimostrarci capaci di superare le nostre sofferenze, di guardare avanti e di costruire un mondo migliore”.Altro da aggiungere? “Adesso basta, lasciatemi lavorare”.Di parole, date le sue abitudini, ne ha dette anche troppe. Ora si torna ai fatti. Se qualcuno non ha capito, pazienza. Questa volta, in ogni caso, le mafrume le serve lui. http://moked.it/

C’era una volta una famiglia


di Lizzie Doron Traduzione di Shulim Vogelmann Giuntina Euro 12,00
La fiamma che brilla a memoria perenne di coloro che l’indicibile tragedia della Shoah ha spazzato via è l’immagine suggestiva che accoglie il lettore dell’ultimo libro di Lizzie Doron, “C’era una volta una famiglia”.Autrice di libri apprezzati dal pubblico e dalla critica, Doron ha fatto il suo esordio nel panorama letterario italiano con un’opera insolita e originale sulla Shoah, “Perché non sei venuta prima della guerra?” dove, utilizzando una cifra linguistica scarna ma efficace, racconta la vita di Helena che, sopravvissuta allo sterminio nazista, si è trasferita in Israele dopo la guerra e lì nel nuovo paese ha cresciuto la figlia Elisabeth.Partendo dunque da quel primo romanzo, quasi in un naturale proseguimento della narrazione, Doron ritorna sul tema della Shoah e ripercorre attraverso ricordi nitidi come ritratti d’autore la vita degli abitanti del quartiere in cui ha trascorso l’infanzia e l’adolescenza e dei loro figli, suoi coetanei, di coloro cioè che “una volta erano una grande famiglia”.Nell’autunno del 1990 dopo il funerale della madre, Lizzie Doron torna nella casa in cui ha vissuto e poi abbandonato in gioventù dopo un litigio con Helena, per celebrare la shivà, la settimana di lutto durante la quale, secondo la tradizione ebraica, non si esce di casa e si ricevono gli amici per le preghiere.Il racconto che si declina in quei sette giorni è un percorso a ritroso nel tempo che consente a Lizzie di “ricostruire” la vita della madre - che le ha sempre taciuto il suo passato - attraverso le parole e le testimonianze delle persone care che l’hanno conosciuta e che ora le rendono omaggio.Anche loro sono sopravvissuti della Shoah, di quel mondo “di là”, magistralmente descritto nel libro precedente, sono giunti in Israele con un bagaglio di sofferenze e traumi indicibili e in quel nuovo Paese si sono ricostruiti una famiglia, mettendo al mondo dei bambini e amandoli con la forza della disperazione e con un sentimento di protezione estremo che farà dire ad uno dei giovani compagni di Lizzie: “Che palle, le mamme della Shoah”.Accanto alla generazione che ha vissuto quel dramma e ne porta ancora le cicatrici come Sonia e Genia, “veterane della shivà”, Chava che vende fiori per sostentare la famiglia, Durka “la mamma più pazza di tutto il quartiere”, Tzila che racconta le atrocità patite nel campo di sterminio durante il pranzo con Lizzie e la nipotina Chaiele, si delineano le storie drammatiche dei compagni con i quali l’autrice ha giocato, si è divertita ed è cresciuta diventando a sua volta moglie e madre; giovani vite spezzate dalla guerra dello Yom Kippur come Dov, arruolatosi volontario in un’unità di élite e morto “durante gli scontri sullo stretto di Suez”, Uri ucciso sulle alture del Golan, Asher caduto in una grave depressione dopo la guerra, Gadi Elad, lo studente il cui sogno era “fare il veterinario nel kibbutz”.E nel ricordo di quei ragazzi perduti affiora l’assurda e tragica realtà di un paese nel quale, ancora oggi, i genitori seppelliscono i propri figli.Al termine del libro, che è anche la fine della shivà, il rapporto fra l’autrice e la madre non si compone del tutto perché molti nodi restano ancora da sciogliere ma si fa strada la consapevolezza che nei silenzi spesso dolorosi per le seconde generazioni, c’era il desiderio di proteggere e difendere i propri figli dagli orrori accaduti nel “mondo di là”.“Nel mondo ci sono persone buone, persone cattive e persone che sono state ad Auschwitz” – dirà Helena a sua figlia.
E’ per commemorare i sopravvissuti come Helena, i sei milioni di ebrei sterminati nella Shoah, i soldati uccisi dall’odio, dall’intolleranza nelle guerre che lo Stato d’Israele ha combattuto per difendere il proprio diritto ad esistere che consiglio la lettura dell’ultimo romanzo di Lizzie Doron, un’autrice capace di scavare nell’anima, come pochi altri, con grande sapienza narrativa e sensibilità stilistica.Leggere “C’era una volta una famiglia” è una mitzvah, per non dimenticare la voce di chi non ha più voce. Giorgia Greco

Gerusalemme zoo e nuovi quartieri

Il Tizio della Sera - Novità

Il nuovo Dipartimento di Stato americano ha preso una nuova decisione sulla nuova via dei nuovi rapporti con il nuovo negazionismo. La nuovissima novità è che il nuovo dipartimento parteciperà alla nuova conferenza Onu di Durban, che sarà nuovamente antisemita. E in questo, c’è qualcosa di nuovamente vecchio. http://moked.it/

TENNIS: SVEZIA-ISRAELE A PORTE CHIUSE PER MOTIVI SICUREZZA

(AGI) - Stoccolma, 18 feb. - Si giochera' a porte chiuse per motivi di sicurezza la sfida Svezia-Israele, valida per il primo turno di Coppa Davis e in programma a Malmoe dal 6 all'8 marzo. Le autorita' della citta' svedese temono manifestazioni di protesta anti-israeliane per l'offensiva di Gaza. Un terzo degli abitanti di Malmoe, terza citta' della Svezia, sono stranieri e fra essi ci sono circa 60mila musulmani praticanti.

mercoledì 18 febbraio 2009

lago Tiberiade visto dal satellite

Israele/ Siccità grave, in pericolo anche acqua minerale Largo di Tiberiade appena 75 cm sopra livello di guardiapostato

Gerusalemme, 17 feb. (Apcom) - La pioggia caduta in questi ultimi giorni non ha portato gran sollievo in Israele e nei Territori palestinesi, colpiti dalla siccità. La crisi è talmente acuta che due importanti industrie dell'acqua minerale, Mei Eden e Netivot, sono state costrette ad interrompere la produzione dopo aver registrato un marcato peggioramento della qualità dell'acqua alle loro sorgenti. Il problema è il risultato del forte diminuzione delle riserve idriche in tutto il territorio che, riferiscono i media locali, potrebbe portare ad un drastico razionamento dell'acqua nel periodo estivo. L'allarme più grave è dato dal Lago di Tiberiade, la più grande riserva di superfice di Israele, giunto al livello più basso dal 2001. Il lago è appena 75 centimetri sopra il livello di guardia e una ulteriore diminuzione costringerebbe le autorità a fermare le pompe che immettono l'acqua negli acquedotti nazionali. La poca pioggia caduta questo inverno ha fatto salire il livello del Lago di Tiberiade di appena 18 centimetri. E' prevista una ondata di freddo a partire da venerdì prossimo ma le precipitazioni attese in ogni caso non saranno sufficienti a riportare le riserve idriche ai livelli desiderati. L'allarme-siccità è ancora più forte in Cisgiordania dove i palestinesi non hanno il controllo delle loro riserve idriche, gestite dalla israeliana Mekorot, e denunciano di avere accesso a quote di acqua largamente inferiori a quelle messe a disposizione dei circa 250mila coloni israeliani. Grave la situazione a Gaza dove decine di migliaia di persone non hanno accesso regolare all'acqua a causa della siccita' ma anche dei danni provocati alla rete idrica dalla recente offensiva militare israeliana contro Hamas.

Giordano Bruno
Il giorno dello Statuto Albertino e di Giordano Bruno:un lungo cammino per l'acquisizione dei diritti civili

Oggi ricorrono due anniversari tra di loro molto diversi, ma legati da un filo sottile, nel nome dell'eterno, cruciale tema della libertà religiosa: il 17 febbraio del 1600, in Campo de' Fiori, a Roma, viene arso sul rogo Giordano Bruno, reo di eresia; 248 anni dopo, nel Regno sabaudo, il re Carlo Alberto rilascia le “lettere patenti” con le quali dispone: “I valdesi sono ammessi a godere di tutti i diritti civili e politici dei nostri sudditi, a frequentare le scuole dentro e fuori delle Università, ed a conseguire i gradi accademici. Nulla è però innovato quanto all'esercizio del loro culto ed alle scuole da essi dirette”. Finisce così il lungo periodo del ghetto alpino: i valdesi diventano cittadini uguali agli altri. L'annuncio viene portato velocemente nelle Valli valdesi, provocando generale entusiasmo. Il 27 febbraio, 600 valligiani scendono a Torino per festeggiare lo Statuto, accolti con grande gioia dalla popolazione. Oggi i valdesi festeggiano – e con loro altre confessioni protestanti – la ricorrenza. Lo stesso Statuto, firmato da Carlo Alberto il 4 marzo, getta le basi per l'abolizione delle discriminazioni giuridiche a danno degli ebrei, i cui diritti civili vengono riconosciuti con il regio decreto 29 marzo 1848, n. 688; il decreto luogotenenziale 15 aprile 1848, n.735 ammette gli israeliti al servizio militare. Finalmente, la legge 29 giugno 1848, n. 735, dispone il pieno riconoscimento anche dei diritti politici: “La differenza di culto non forma eccezione al godimento dei diritti civili e politici ed alla ammissibilità alle cariche civili e militari”.Molto si batté per l'emancipazione valdese ed ebraica il ministro marchese Roberto D'Azeglio (fratello di Massimo), tanto che i valdesi, non ancora maturi, subito dopo l'emancipazione, per eleggere un loro rappresentante al Parlamento subalpino, indicarono proprio lui come la persona che avrebbe potuto meglio rappresentarli, nel nome di un approccio comune al tema della libertà religiosa, al di là delle differenze di culto. E’ senz’altro un esempio da rilanciare, in tempi di aspri conflitti. Valerio Di Porto, Consigliere dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane http://www.moked.it/

Decreto luogotenenziale 15 aprile 1848, n.735:
Volendo togliere ogni dubbio sulla capacità civile e politica dei cittadini, che non professano la Religione cattolica,Il Senato, e la Camera dei Deputati hanno adottato, Noi in virtù dell’autorità delegataci abbiamo ordinato ed ordiniamo quanto segue: Art. unico. La differenza di culto non forma eccezione al godimento dei diritti civili e politici, ed all’ammissibilità alle cariche civili e militari.Li Ministri Segretari di Stato sono incaricati nella parte che li riguarda dell’esecuzione della presente legge che sarà pubblicata ed inserita nella raccolta degli Atti del Governo.
Dato in Torino addì dicianove giugno 1848. EUGENIO DI SAVOIA.
V. Sclopis. – V. Di Revel. – V. Di Collegno. Vincenzo Ricci.

martedì 17 febbraio 2009

Birkenau

Sensazioni di Roberto Modiano in un viaggio ad Auschwitz e Birkenau

Per la giornata della memoria 2009, il Presidente della Provincia di Napoli, Dr.Dino di Palma, per la quarta volta consecutiva, ha guidato una delegazione di studenti accompagnandoli a visitare i campi di sterminio di Auschwitz e Birkenau, lì dove ebbe inizio la Shoà, lì dove è stata scientificamente studiata, programmata e portata avanti dal 1940 al 1945 con efficienza teutonica ed industriale la distruzione del popolo ebraico....Quest'anno, della delegazione napoletana, facevano parte oltre agli studenti di 11 scuole con i loro professori, alcuni giovani del volontariato cattolico e del mondo scout, l'Imam della moschea di Piazza Mercato di Napoli,un rappresentante della Curia ed un membro della Comunità Ebraica, io.Davanti al Muro della Morte di Auschwitz, la presenza dei rappresentanti di tre diverse religioni monoteistiche, ha consentito un importante momento di preghiera comune, nel quale ho recitato il Kaddish e lo Shemà Israel, l'Imam ha fatto un breve sermone invocativo ed, infine, Padre Nino Castello ha letto un salmo dalla Torà e recitato due preghiere.Fino a qui la fredda cronaca di un viaggio, ma lo scopo ultimo di queste mie righe è quello di tentare di descrivere le emozioni, le sensazioni, le angosce ed i sentimenti che lo hanno preceduto ed accompagnato, affinchè ognuno,leggendole, possa riflette e decidere, scientemente se se la sente di ripercorrere questo cammino nel dolore della memoria, rivivendo il riflesso di questo dramma infinito o decidere che non se la sente di andarci, e anche questa è una scelta comprensibile e condivisibile.
Infatti, negli ultimi 50 anni, io avevo versato infinite lacrime ad ogni visione di documentari in tv e ad ogni lettura di articoli e libri sulla Shoà e le sensazioni che vivevo erano state sempre così vincenti che mi avevano fatto pensare che mai sarei riuscito ad andare a visitare i Lager, senza che l'emozione mi sopraffacesse.Invece non è stato così.Ogni ebreo vivente ha conosciuto la Shoà sulla propria pelle o attraverso racconti di sopravvissuti, o i racconti che lo hanno accompagnato per tutta la vita: in famiglia, a scuola, ascoltando, leggendo, vedendo documentari e film che mostravano quella che, senza nessun dubbio, è stata la più mostruosa “tragedia organizzata” dell'umanità.Verso ottobre 2008, varie riflessioni e nuove esperienze, mi hanno fatto desiderare di andare a vedere di persona quei luoghi e, seppure con la paura di non riuscire a resistere all'emozione ed al dolore infinito che solo l'idea della Shoà mi ha sempre suscitato, mi sono offerto come membro "rappresentante" della comunità ebraica di Napoli al viaggio organizzato dalla Provincia....Una breve attesa ed "all'improvviso", il 27 gennaio 2009, eccomi lì davanti al cancello di Auschwitz, in un gelato mattino di inverno, a leggere da vicino la scritta: ARBEIT MACHT FREI.Con il cuore a 150 e la voce strozzata, con le lacrime che volevano scorrere senza freno, ero lì, alla ricerca disperata di un filo di forza per ritrovare un "contegno", davanti a tanti occhi che mi fissavano, che mi osservavano, eccomi lì....a visitare quei posti orribili, davanti al cancello milioni di volte maledetto, l'ingresso dell'inferno sulla terra, il luogo miticamente mostruoso, che nel mio immaginario aveva sempre rappresentato il MALE ASSOLUTO, il grande Molok divoratore, l'esempio dell'inizio della fine più atroce per milioni di innocenti esseri umani.In quel momento, ho pensato solo che volevo essere certo di ricordare, volevo essere certo che mia figlia potesse sapere, che i miei futuri nipoti sapessero, che i miei amici potessero vedere attraverso me...ed allora ho iniziato a scattare foto freneticamente.Scattavo foto ad ogni passo, come fossi stato un semplice osservatore non coinvolto emotivamente, un reporter inviato lì a documentare quello che residuava dell'orrore che quei luoghi e quelle mura avevano visto e vissuto.All'istante mi sono calmato. Non ero più io, Roberto Modiano, l'ebreo 58enne angosciato, ma un freddo reporter della storia, un asettico testimone, un inviato della VITA che andava a visitare il luogo in cui la MORTE aveva abitato nelle sue forme più abiette.
Passato il cancello, mi sono trovato in una ex caserma dell'esercito polacco, pulita, curata, linda, con tanti edifici a due piani in mattoni rossi, sembrava un piccolo villaggio, una piccola fabbrica stile 1930, un posto asettico, semplice,che, se non fosse stato per il filo spinato elettrificato che lo circondava, mai avresti detto che quella era stata la prima Fabbrica della Morte. Che quel posto così piccolo potesse essere IL LUOGO DOVE TUTTO IL MALE E' COMINCIATO.L'impressione che ho ricavato entrando e girando per i blocchi, con la guida che ce li illustrava dettagliatamente, è stato di trovarmi di fonte ad una scelta, per me inaccettabile, fatta ad Auschwitz: la scelta fatta di rendere quel luogo "asettico", un "museo" che, seppur con tanti oggetti lasciati lì come muti tremendi testimoni, è stato trasformato in un luogo freddo, impersonale, che non comunica le sensazioni, che io mi aspettavo di provare, e che tutti coloro che vengono a visitarlo dovrebbero riuscire a sentire. Insomma, secondo me Auschwitz, così come è ora, non trasmette quella sensazione di tragedia e morte e quel senso di orrore, estremo monito contro la follia razzista umana... .Molto diverse, invece, le sensazioni avute nel visitare Birkenau, il grande Lager dove arrivavano a centinaia i treni con i vagoni piombati pieni....e che concentrava fino a 120.000 persone alla volta.Lì ho camminato nel fango, fra la neve, al freddo, e la sensazione orribile terribile e violenta, che mi ha accompagnato ad ogni passo nella melma di Birkenau, è stata quella che, assieme al fango che calpestavo e che mi si attaccava alle scarpe.....io stessi calpestando le ceneri, i corpi, le ossa, l'anima mortale ed il ricordo di coloro che lì avevano tanto sofferto e vi erano orrendamente morti.Ho camminato con grande difficoltà, attento ad ogni passo a dove poggiavo i piedi, quasi scusandomi con la terra sulla quale passavo....impressionato dalla lunghezza dei binari dove si fermavano i treni e dall'immensità degli spazi (ora quasi vuoti) che finalmente mi facevano percepire l'immensità della tragedia, e facevano capire al visitatore più scettico e più disincantato quanto grande era un lager dove sono stati sterminati oltre un milione e mezzo di persone.Un passo dopo l'altro, alla fine del binario maledetto, ho visto le grandi camere a gas ed i forni crematori (ora crollati), le baracche di legno (le poche rimaste) che contenevano fino a 600 persone ognuna, uno stagno nel quale venivano gettate le ceneri dei corpi bruciati ed in cui, ancora oggi, l'acqua è tutta nera...ed infine le latrine per 60 persone alla volta.....e la guida a questo punto ci ha spiegato che sotto le sedute c'era una reticella di ferro, affinché i prigionieri stremati dalla fame non potessero frugare fra gli escrementi alla ricerca di una qualsiasi cosa da ingurgitare, di una qualsiasi cosa da inghiottire, ....di qualsiasiiiiiiiicccccosaaaaaaa! ahhhhhhh! Aiuto…......Aiuto!
Ecco....lì ho avuto bisogno di aiuto, mi sono dovuto fermare, non ce l'ho fatta ad andare avanti e, senza ritegno, ho pianto...., poi ho smesso di singhiozzare, mi sono ripreso ed ho continuato il mio lungo cammino nella memoria della Shoà fino all'uscita del campo, con attorno a me centinaia e centinaia di ragazzi e persone che camminavano, piangevano e parlavano e che, ne sono certo, pensavano le parole: “orribile ed incredibile”, “tremendo ed irripetibile” “infinitamente mostruoso”, mentre io ripensavo intensamente a quello che per tanti anni è stato il mio grande dubbio:Dio mio, TU dov'eri? Dio degli Ebrei, TU dov'eri? Dio del POPOLO ELETTO, in quei momenti, in quei giorni, in quegli anni orrendi...TU dove guardavi? Quale orribile peccato possono avere mai compiuto i nostri avi per fargli TU subire questo immenso orrore, ripetuto infinite volte per milioni e milioni di inermi ed INNOCENTI figli Tuoi? Oggi, dopo avere visitato Auschwitz, questa risposta ancora non l’ho trovata. da Sullam n.25


Torneo di Dubai, niente visto d'ingressoper la tennista israeliana Peer

La Wta «rammaricata» per la decisione delle autorità degli Emirati Arabi Uniti
Shahar Peer (Reuters 15.02) DOHA - Avrebbe dovuto partecipare al torneo Wta di Dubai. Ma Shahar Peer, tennista israeliana, 48/ma nel ranking mondiale, dovrà rinunciare: le autorità degli Emirati Arabi Uniti le hanno rifiutato il visto di entrata. E proprio la Wta si è detta «molto delusa» per la decisione. LA WTA - «Siamo profondamente rammaricati per quanto è successo - ha commentato il portavoce del circuito femminile Larry Scott -. La Peer e la sua famiglia sono turbati per questa decisione che ha un profondo impatto sulla loro vita professionale e su quella personale». EPISODIO - Shahar Peer, ex numero 15 del mondo, non ha voluto fare commenti. All'inizio dell'anno era già rimasta coinvolta in una vicenda che l'aveva molto infastidita: durante un torneo in Nuova Zelanda, ad Auckland, era stata provocata da un gruppo di spettatori che protestavano contro l'offensiva militare israeliana a Gaza. «Io non sono il governo d'Israele, e non lo rappresento in alcun modo a livello politico», aveva detto in quella circostanza la 21enne Peer, che l'anno scorso a Doha era stata la prima giocatrice israeliana a prendere parte ad un torneo organizzato in un paese del Golfo.

Gerusalemme - zoo

Copia della lettera all’On.Bertolini ( bertolini_i@camera.it )
in merito alla faccenda del messaggio di benvenuto di Telecom Italia Mobile all’arrivo all’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv, Israele (“Benvenuto in Palestina ecc…”)

Gentile On. Bertolini, Le scrivo perchè come Associazione Trevigiana Italia-israele mi sono già mosso (1 Maggio 2008) per protestare con Telecom Italia Mobile circa la scomparsa di Israele e l'uso del termine Palestina nel messaggio di benvenuto all'arrivo in Israele.Oggi sono stato contattato dall'inviato della Radio di Israele in Italia, Yossi Bar, per dare delucidazioni in merito poichè ancora tutt'oggi il messaggio di benvenuto riporta Palestina e non Israele, nonostante la Telecom mi avesse già risposto in data 7 Maggio 2008 che avrebbe segnalato al responsabile e quindi -presumevo- provveduto.Poichè non è accaduto nulla e nessun cambiamento è intervenuto, visto il Suo intervento dopo la denuncia di Honest Report, Le chiedo di portare nuovamente avanti la Sua richiesta ufficiale per il ristabilimento della giustizia!Cancellare Israele è un'azione che in tanti -e della peggiore specie- vorrebbero fare e tanti si adoperano a suon di armi e attacchi militari a tal fine.La prego, fermi Telecom Italia! Renda l'onore al nostro Paese che all'estero viene rappresentato anche dall'immagine distorta che offre Telecom italia!
Grazie infinite! Shalom, Federico Falconi Nocentini Presidente Associazione Trevigiana Italia-Israele http://www.italiaisraele.free.bm/

Gerusalemme

Kant, Lévinas e la stretta via per conquistare una Pace autentica

La guerra? Un rimedio inevitabile, il farmaco più o meno amaro di una umanità periodicamente malata. Questa sembra essere, oggi più che mai, la concezione quasi ovvia. E la pace, d’altra parte, continua ad essere definita in negativo, come una sconfitta temporanea della guerra, una rivalsa provvisoria dell’etica sulla politica; perciò non potrebbe mai essere raggiunta in un tempo futuro, ma solo perseguita all’infinito. Anche Kant, che scrive sulla “pace perpetua”, vede il male come condizione del bene, la guerra come condizione della pace.Il “pacifismo” non fa eccezione e pensa sempre la pace come rifiuto della guerra – un rifiuto che appare ingenuo e volontaristico, perché alla volontà di potere che afferma la guerra oppone una volontà (non meno violenta) di potere che afferma la pace. È questo lo svantaggio del pacifismo: non uscire dal circolo per cui si cerca la pace preparando la guerra.Ma si può pensare altrimenti? Il pensiero ebraico più recente ha cercato di rispondere a questa domanda che, dopo Auschwitz, ha assunto un rilievo del tutto diverso. Perché la Shoah, il baratro che si apre tra le due grandi guerre del Novecento, ha mutato l’esperienza e il concetto di “guerra” che è divenuta “guerra totale”. L’annientamento del popolo ebraico ha mostrato – per Lévinas – che non c’è più un “Me al di là della guerra”. Nessuno sfugge più alla furia sterminatrice della nuova guerra totale e totalizzante.Si dischiude allora un varco? Si apre una via d’uscita dalla logica totalitaria della guerra che, nella sua tragicità, ha ritmato la storia dell’occidente? Basterà capovolgere la prospettiva, pensare cioè che la pace viene prima della guerra, per scoprire che non è l’io, ma è l’altro a portare al di là della guerra. Non è la preoccupazione per me, ma è la preoccupazione per l’altro il gesto etico dell’evasione e dell’esodo. Il che vuol dire anche che la pace non va rinviata ad una fine di là da venire. Il circolo si spezza e la guerra è interrotta da una pace altra, una pace più antica della guerra e del suo ordine: non la pace della non aggressione, ma la pace che non è indifferente alla differenza dell’altro.In questa torsione dell’io verso l’altro si compie ogni volta, nel suo incondizionato valore etico, l’obbligo della Torah: “non ucciderai”. Donatella Di Cesare, filosofa http://www.moked.it/


Mele ripiene con frutta secca

INGREDIENTI: 6 grosse mele, ¾ di tazza di uva sultanina, ½ tazza vino bianco, buccia di 1 arancia, ¼ tazza di burro,½ tazza zucchero in granuli. PREPARAZIONE: Lavare bene le mele e togliere i semi, ungere una teglia con del burro e disporvi le mele. Sciacquare bene l'uva sultanina, bollirla per qualche secondo in 1/4 di tazza di vino. Farcire le mele con l'uva sultanina,
metterci sopra le bucce secche, qualche fiocco di burro ed un po' di zucchero. Versare accuratamente il vino su ciascuna mela e far cuocere in forno a media temperatura per ½ ora. Servire caldo, con acqua fresca da bere. da Sullam n.25


Petto di pollo alle pesche

INGREDIENTI: ½ kg di petto di pollo (o tacchino), 6 cucchiai di margarina, 1 cipolla tritata, 4 pesche non troppo mature, 2 tazze d'acqua, 2 cucchiai di succo di limone, 2 cucchiai di zucchero, 1 dado di brodo di pollo, ¼ cucchiaino di paprika, sale. PREPARAZIONE: Tagliare il pollo a cubi grossi. Friggere in casseruola, con 2 cucchiai di margarina. Aggiungere sale e paprika e continuare a friggere fino a doratura. Saltare la cipolla separatamente in 2 cucchiai di margarina, fino a doratura. Disporre il pollo in una casseruola. Cospargervi sopra la cipolla e cuocere a fuoco lento. Nel frattempo tagliare a dischi le pesche lavate, rimuovere il nocciolo e saltare nella margarina rimanente. Disporre le pesche affettate sopra le cipolle nella casseruola. In una pentola portare a bollitura 2 tazze d'acqua, aggiungere il dado, zucchero e succo di limone. Versare sopra la carne e le pesche e continuare a far sobbollire per altri 20 min. Servire come piatto principale con gli spaghetti , riso o patate schiacciate. da Sullam n.25

lunedì 16 febbraio 2009

una pagina dei manoscritti ebraici in Vaticano

Manoscritti ebraici in Vaticano

"Faldoni di saggezza”: così il poeta ispano-ebreo Moses ibn Ezra definiva i manoscritti medioevali ebraici. Oggi una delle collezioni di Judaica più importanti al mondo è accessibile agli studiosi grazie a un elenco completo, custodito nella Biblioteca Vaticana. Ottocento voci, distribuite in undici fondi manoscritti. La collezione è una delle più ricche al mondo, assieme a quelle di Gerusalemme, Oxford e Parma. Il primo inventario si perde nella notte dei tempi: è il Catalogus di Giuseppe Simonio Assemani (1687-1768), “Primo Custode” della Biblioteca Vaticana. Mezzo secolo fa, Umberto Cassuto ne fece un più moderno inventario analitico (Moshe David Cassuto, 1883-1951). Ma ora, grazie all’Institute of Microfilmed Hebrew Manuscripts (IMHM) della Jewish National and University Library di Gerusalemme, esiste un catalogo preciso e completo.Il risultato del loro lavoro sta nel volume di quasi 800 pagine Hebrew Manuscripts in the Vatican Library. Il curatore è Benjamin Richler, direttore dell’IMHM presso la National Library of Israel, aiutato per le descrizioni paleografiche e codicologiche da Malachi Beit-Arié, professore di Codicologia e paleografia alla Hebew University, e Nurit Pasternak, ricercatrice nella stessa università. La prima presentazione italiana del libro, organizzata dall’Associazione Amici dell’Università di Gerusalemme, è stata al museo Diocesano di Milano, sabato 31 gennaio, a poche ore da quella avvenuta in Vaticano.La collezione copre tutti i campi della tradizione giudaica: Bibbia e commentari, Midrash (tra cui il più antico esemplare noto di Sifra, del IX secolo), Talmud e i suoi commentari, che con oltre 25 testimoni e 40 commentari è la più ricca collezione al mondo. Ma c’è anche tanta filosofia, di autori ebrei e non solo, oltre che matematica, medicina, letteratura e poesia.Il catalogo è stato redatto consultando i microfilm dei manoscritti resi disponibili dalla Biblioteca Vaticana: ciascuno degli esperti dell’IMHM ha rivisto la descrizione di tutti i manoscritti riguardanti la loro area di specializzazione.“Il mio compito è stato redigere le descrizioni dei manoscritti in inglese: ho riesaminato tutti i microfilm, confrontandoli con le schede dell’archivio cartaceo. Poi ho aggiunto la bibliografia”. Così Benjamin Richler riassume il suo lavoro al pubblico milanese. Quest’uomo alto, timido e di poche parole è stato direttore dell’Institute of Microfilmed Hebrew Manuscripts - l’istituzione che ha redatto il catalogo - ed è considerato un grande maestro per tutti coloro che si occupano di codicologia ebraica.La descrizione fisica dei manoscritti è stata completata direttamente nelle sale della Biblioteca Vaticana dal professor Malachi Beit-Arié e da Nurit Pasternak. “Abbiamo avuto la fortuna di poter operare in loco sugli originali”, commenta Beit-Arie, Professore di Codicologia e paleografia alla Hebew University, “e abbiamo constatato con mano l’eccellente stato di conservazione di tutti i manoscritti. Questo è di fondamentale importanza, perché a differenza dei manoscritti greci o latini, quelli ebraici non furono conservati nelle biblioteche reali o nelle collezioni di nobili mecenati, ma prodotti per uso e consumo privato. Quindi si sono degradati o sono andati persi, principalmente per l’usura del tempo. Chi li ha salvati dalla dispersione e dall’oblio sono state proprio le istituzioni cristiane, come la Biblioteca Apostolica”. Ma perché la biblioteca del Papa ha raccolto nelle sue sale questi documenti, così importanti per la cultura ebraica e universale? La risposta la dà Monsignor Fumagalli: “ I testi ebraici inizialmente erano necessari alla “nuova” religione Cristiana per poter tradurre la Bibbia dall’originale. In età umanistica e rinascimentale, l’interesse per i libri ebraici si estese dall’area biblica a quella letteraria e scientifica in senso più ampio. La sete di Hebraica Veritas –per lo più in funzione conversionistica- spingeva molti cristiani a raccogliere manoscritti ebraici, che finirono col confluire alla Vaticana”.Le parole di Mordechay Lewy, l’ambasciatore d’Israele presso la Santa Sede, riassume lo spirito dell’ incontro: “Questo catalogo rappresenta una pietra miliare nella collaborazione culturale tra il Vaticano e Israele. Le nostre relazioni hanno solo 15 anni, ma entrambi possiamo guardare indietro per migliaia di anni. Ci auguriamo che questo progetto abbia suscitato abbastanza curiosità intellettuale da stimolare il desiderio di approfondire la nostra collaborazione”.Tutti gli interventi dei relatori sono disponibili sul sito http://www.israele.net/ Zelia Pastore Milano 02/02/09 http://www.mosaico-cem.it/

Akko - il mercato

LETTERA AL GIORNALE DI BRESCIA

Ad aprile a Ginevra si svolgerà la seconda conferenza mondiale contro razzismo, Durban II.
Dati i risultati di Durban I del 2001 tenutosi nel Sudafrica, quella di quest'anno ha già tra coloro che hanno ufficialmente rinunciato a parteciparvi Canada e Israele.Da una parte Durban I si trasformò in un tribunale antisraeliano a senso unico, mentre vennero taciuti crimini razziali dall'altra, nel Darfur, per citarne uno. Durban II rischia di trasformarsi in una piattaforma di denigrazione e di odio verso Israele, utile a coloro che ne delegittimano la sua esisitenza con l'attribuzione di crimini inesistenti e comportamenti antisemiti, sotto l'etichetta di voler essere una battaglia contro il razzismo nel mondo.Ecco anche spiegato perchè alcuni paesi dell' UE stanno riflettendo sull'utilità di parteciparvi anche se, tuttavia, più che di utilità si dovrebbe riflettere sui danni di una conferenza che abbia queste premesse. Tiziana Nulli

VITA DI TEODORO HERZL


di Baruch Hagani ed.Talete, €. 16,50
Di libri su Theodor Herzl, padrino del sionismo, ne sono usciti tanti.
Ma questo di Baruch Hagani è doppiamente speciale speciale. Non soltanto perché l’A. è stato ucciso dai nazisti in Lituania nel 1944, quindi si tratta di un ebreo che profetizzò ma non fece in tempo a vedere lo Stato d'Israele. E' speciale perché all'epoca, siamo ai primi del Novecento, pochissimi intellettuali ebrei europei abbracciarono le idee sioniste. La rivelazione di Herzl avvenne quando, da giovane inviato di un giornale viennese [Die Neue Freie Presse, n.d.l.] fu mandato a seguire il processo Dreyfus. Da studente pensava che la soluzione alla "questione ebraica" fosse l'assimilazione. Ma la reazione delle folle francesi alla condanna di Dreyfus pose fine a quest'illusione. "Morte agli ebrei!" Scandiva la folla, figlia dell'illuminismo. "Ma perché, Herzl si domandò, vogliono ucciderci?” Egli capì che persino in Francia, la nazione più liberaI e civilizzata del mondo, 'gli ebrei assimilati erano odiati in quanto ebrei. Una verità che faceva eco a Karl Lueger, il demagogo antisemita eletto sindaco di Vienna nel 1895, un anno dopo l'arresto di Dreyfus: "Decido io chi è ebreo e chi non lo è”, proclamava. Herzl abbandonò il sogno illuminista e si rivolse al sionismo.
Questo di Hagani è un libro mai sbiadito dal tempo che non ha perso nulla dell’attualità sfavillante. Ora torna con una prefazione di Francesco Ruffini del 1919. Ruffini era già in Italia accreditato come uno dei maggiori studiosi della vita religiosa di Alessandro Manzoni e dell’opera politica di Cavour.
La grandezza di Herzl, quale emerge dalle pagine di Hagani, fu di aver dotato il popolo ebraico fin dal 1897 dell’organizzazione dei Congressi sionisti: assemblea parlamentare di un vero stato-nazione, al momento sprovvisto di territorio. Fino ad allora gli ebrei non solo non avevano un territorio, ma neanche un’autorità istituzionale che parlasse a nome della nazione e ne rivendicasse la sovranità. Questo era il profondo significato del Congresso, dell’elezione di organismi rappresentativi, del versamento dell’obolo volontario.
L’antisemitismo, spiega Hagani, secondo Herzl non poteva essere vinto se con la costituzione di uno stato ebraico in grado di garantire la sicurezza degli ebrei che ne fanno parte, con un passaporto che li protegga ovunque si trovino, uno stato che li accolga in caso di pericolo e un esercito pronto a difenderli. Hagani spiega anche che Herzl creò il movimento sionista dal nulla, senza basarsi su alcuna organizzazione o senza essere legato ad alcuna comunità. L'autore racconta come Herzl corse dal kaiser tedesco al sultano turco, da esponenti politici inglesi al Papa, fino a che nel 1917, tredici anni dopo la sua morte, si arrivò alla pubblicazione della dichiarazione Balfour, ratificata nel 1947 dalle Nazioni Unite. I sionisti, grazie a Herzl, ostracizzato da gran parte degli ebrei dell'epoca, diedero vita a una nuova realtà in una terra deserta e lontana dalla realtà ebraica del tempo. Se il movimento sionista avesse dovuto passare per il consenso delle comunità ebraiche degli inizi del ventesimo secolo, avrebbe forse ottenuto il dieci per cento dei voti. Un celebre violinista ebreo polacco di nome Bronislaw Hubermann, piccolo e religioso, nel 1936 mise il violino nella custodia e cominciò un lungo viaggio presso i musicisti più prestigiosi dell'epoca. I violinisti e i pianisti erano quasi tutti ebrei e Hubermann disse loro: "Sto per imbarcarmi per la Palestina poiché ho la sensazione che qualcosa di grande, di davvero terribile stia per travolgere gli ebrei d'Europa. Chi se la sente venga con me a creare l'Orchestra Ebraica di Palestina e salverà così, insieme alla sua musica, se stesso". Non gli credettero e morirono tutti nei campi di concentramento. Lo stesso accadde ad Pagani, che non fece in tempo a fuggire. Ma il sogno di Herzl, sbeffeggiato da molti come "il re di Sion", vive.
Fonte il Foglio Quotidiano del 14 febbraio 2009

GEOPOLITICA DEL CONFLITTO ARABO ISRAELIANO PALESTINESE

di Giovanni Codovini Spazi Fattori e Culture Ed. Bruno Mondadori €.20,00
Giovanni Codovini, laureato in Filosofia e Giurisprudenza, giornalista, noto scrittore, docente di Storia nei licei, ha dedicato una discreta parte della sua variegata pubblicistica alla trattazione del conflitto israelo/palestinese. Il volume Storia del conflitto arabo israeliano palestinese, uscito per la prima volta nel 1999 (Ed. Bruno Modadori), ha conosciuto diverse edizioni ed aggiornamenti -nel 2002; 2004; 2006; 2007-, sempre arricchite nelle tematiche, che si annunciano nel sottotitolo già con la seconda edizione (“Tra dialoghi di pace e monologhi di guerra”), e nella vasta documentazione fornita al lettore, a cominciare dalle indispensabili cronologie e dai riquadri di approfondimento, quanto mai utili ed esaustivi.La nuova opera, che ha appena visto la luce, col medesimo Editore, porta il significativo titolo di Geopolitica del conflitto arabo israeliano palestinese. Spazi fattori e culture. Essa si offre, come scrive l’A. nella presentazione, come un libro “anfibio”, cartaceo e on line. Nell’arricchimento del testo precedente vengono sviluppati in modo analitico specifici temi, accompagnando all’acquisito taglio geostorico una nuova dimensione geopolitica e geoeconomica.
Il libro è suddiviso in tre sezioni distinte. Nella prima, di taglio geostorico (seguendo l’asse temporale), la disamina tiene conto delle variabili politiche locali ed internazionali (gli spazi, i confini, le paci). La seconda -Geopolitica e fattori di potenza- pone l’accento sui fattori strategici e strutturali; in primo luogo: la demografia e l’acqua, quest’ultima fonte energetica di primaria importanza. L’oro blu, posposto, dalla superficiale pubblicistica corrente, al più evocativo oro nero. Si prospettano ed ipotizzano i futuri scenari che si possono scorgere partendo da luoghi e concetti / forza, in antagonismo tra loro, come ad esempio: barriera di sicurezza o muro di divisione? Territorio spartito in base ad accordi o spezzettamento dello stesso in assurdi, inaccettabili bandustan?La terza sezione, con taglio specificamente culturale in senso latitudinario e di costruzione della memoria collettiva, coglie i punti di vista di entrambi i protagonisti del conflitto. In una profonda quanto suggestiva trattazione delle difficili problematiche culturali attinenti l’identità, la memoria collettiva, la fede religiosa, l’A. riesce a mostraci l’immagine che ciascuno dei due popoli ha di se stesso e dell’altro. Di notevole rilevo storico/giuridico è il paragrafo 11 di questa sezione e ivi, in particolare, le pagine dedicate a “Il diritto e i diritti umani in Israele” e “Gli organi giurisdizionali di vertice in Israele”. La bibliografia, precisa Codovini, è limitata ai testi cui egli ha attinto come riferimento per l’attuale studio, attesa la vasta mole di scritti sul tema e i problemi ad esso collegati.Un’opera da approfondire e consultare, scritta con linguaggio scorrevole e rigoroso, che potremo definire in progress: viene infatti presentata come “Un libro per capire, un sito per aggiornarsi”: collegandosi al sito web dell’editore http://www.brunomondadori.com/ è possibile infatti scaricare: carte geopolitiche; documenti; cronologia e il testo dei diversi accordi stipulati tra le parti, succedutisi a far tempo dal 1993. Mara Marantonio Bernardini, 15 febbraio 2009