sabato 18 aprile 2009

Kibbutz Ketura
ISRAELE: KIBBUTZ MUOIONO, E' IN GIOCO FUTURO PAESE

di Aldo Baquis, 2009-04-15, http://www.ansa.it/
TEL AVIV - Gli stabilimenti industriali sono abbandonati, ingrigiti, coperti di erbacce. La sala da pranzo collettiva - che nei tempi andati ospitava oltre duemila anime - é adesso adibita in parte a ristorante. Tre dei quattro asili-nido che erano il vanto dell'insediamento sono chiusi. Il cinema, è abbandonato anch'esso. Negli appezzamenti dei datteri e delle banane, sudano oggi manovali thailandesi. I padri pionieri sono da tempo sepolti in un piccolo cimitero. I loro coetanei meno fortunati seguono lo sfacelo dalle finestre di una vicina casa di riposo. Nella alta valle del Giordano, il kibbutz di Afikim - quello che ancora negli anni Settanta era il fiore all'occhiello del Movimento - sta morendo. I servizi e gli stipendi degli ultimi membri sono già stati privatizzati. La fase terminale sarà raggiunta quando lo saranno anche i loro beni: ossia quando saranno definitivamente sepolti gli ideali collettivistici ed illuministici dei pionieri che fondarono quel Kibbutz nel 1932. "Sulle loro spalle gravavano due rivoluzioni: il sionismo e il comunismo" rileva con ammirazione Assaf Inbari, nato ad Afikim nel 1968, che ha pubblicato questa settimana un libro ponderoso in cui ricostruisce la nascita, la crescita, e l'inesorabile declino di quella comunità agricola collettiva. Il libro ('A casà) ha subito destato attenzione nella stampa, anche perché va in controtendenza. Mentre i coetanei di Inbari recriminano contro i loro genitori (ad esempio con il film 'Sweet Mud' di Dror Shaul, in cui viene messa alla berlina la meschinità di 'idealisti' in sostanza ipocriti e piccolo borghesi), lo scrittore sollecita gli israeliani di oggi ad inchinarsi di fronte ai pionieri che "sognarono ad occhi aperti l'organizzazione sociale più interessante del XX secolo, una delle più interessanti della Storia umana". Volevano cambiare la natura umana, l'inclinazione al possesso, perfino il modo di essere genitori. Per questo decisero di crescere i figli collettivamente, secondo la loro fascia di età, al di fuori dei nuclei familiari 'borghesi'. "Vedo nella storia del kibbutz elementi di tragedia. Non c'é grottesco, semmai c'é eroismo. I suoi membri conoscevano bene la natura umana, ma la sfidarono egualmente. La loro vita si svolse in tensione continua fra la realtà e l'ideale". Nel libro di Inbari sono descritte tre generazioni: quella 'rivoluzionaria' dei pionieri; quella - spesso denigrata - dei 'continuatori'; e la sua generazione, quella di chi abbandona definitivamente il kibbutz per realizzarsi e fare carriera in proprio. L'anello debole, rileva, fu la seconda. Ebbe la sfortuna di doversi accollare due incombenze: da un lato gestire il progetto impostato dai genitori e dall'altro (si era ormai nella seconda metà del Novecento) di dover combattere per l'indipendenza di Israele. "E loro andarono alla morte in massa", precisa Inbari. Dal libro traspare la sensazione che questi utopisti socialisteggianti fossero religiosi a modo loro, pronti a morire per i loro ideali. Sono ancora significativi per l'Israele di oggi? Inbari - che di recente ha lasciato Tel Aviv per tornare a vivere in un kibbutz della valle Giordano - pensa che la risposta sia sicuramente positiva: "Se l'individualismo prevale, non abbiamo più speranza. Se non c'é niente più importante del singolo, nessuna impresa collettiva giustifica alcun sacrificio". L'Israele che smantella i suoi kibbutzim, insomma, crede di seppellire il passato ma in effetti si gioca il futuro.

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