giovedì 23 aprile 2009

TZFAT (Safed)

La tribù perduta degli ebrei pugliesi

Erano venti famiglie, si convertirono all'ebraismo durante il fascismo: adesso prosperano in Israele
FRANCESCA PACI, http://www.lastampa.it/, 10/6/2008
TZFAT (Galilea)«Prima di emigrare in Israele, i bambini della mia strada mi tiravano sassi e mi chiamavano “sabatista” perché facevo festa il sabato anziché la domenica» racconta Ester Tritto in puro dialetto pugliese mostrando l'album di foto in bianco e nero nel salone del suo appartamento a Biriya, una decina di chilometri da Tzfat, la celebre città dei cabalisti nel nord della Galilea. Centrini all'uncinetto sui braccioli delle poltrone, un telo di plastica trasparente a proteggere il tavolo laccato, alle pareti il calendario del Parco Nazionale del Gargano e la bandiera con stella di Davide. Era il 1943, Ester aveva nove anni e frequentava la terza elementare, l'ultimo anno di studi prima di essere cacciata dalla scuola «fascistissima» di San Nicandro Garganico perché rifiutava di segnarsi con la croce. La madre, un tempo fervente cattolica, si era convertita all'ebraismo prima della sua nascita, seguendo l'insegnamento del compaesano Donato Manduzio, e le aveva dato due nomi, Incoronata Box davanti all'impiegato dell'anagrafe e Ester davanti a Dio. Sessantacinque anni dopo Ester scherza sui gusti «immutabili» del marito Eliezer Tritto, tira fuori dal forno una teglia di pizza «sannicandrese» doc e ricorda l'esodo degli ebrei di Puglia, «la più piccola delle tribù perdute d'Israele», un viaggio mistico ricostruito nel 1995 in un saggio di Elena Cassin pubblicato da Corbaccio. Quella dei coniugi Tritto è la storia di venti famiglie illuminate dall'Antico Testamento negli anni Trenta, mentre l'Italia si prepara all'avvento del fascismo e lo Stato d'Israele è poco più d'un vago sogno sionista. Braccianti, artigiani, calzolai, gente semplice, cresciuta nel Mezzogiorno d'inizio secolo tra santini della Madonna anneriti dalle candele e credenze contadine, che un bel giorno s'appassiona alle parole del «profeta» Manduzio e s'incammina sulla via dell'ebraismo fino all'alya, il ritorno alla Terra Promessa. «All'inizio la sinagoga di Roma non ci voleva» ricorda Ester. Il popolo eletto non fa proselitismo, il processo di conversione è lungo, accurato, controverso, come dimostra la polemica odierna sui nuovi ebrei della diaspora che i rabbini ortodossi di Gerusalemme rifiutano di riconoscere. Gli anni sono quelli delle leggi razziali, tempi bui per indossare la kippa. Manduzio e i suoi non si arrendono: «Non mangiavamo maiale, facevamo festa il sabato. Mio padre, come molti uomini del paese, non era contento. Da principio alle riunioni di Manduzio c'erano tutti, poi man mano che venivano fuori i divieti, padri e mariti si allontanavano, certe volte picchiavano le mogli perché non volevano cucinare le salsicce o il coniglio». La scure dell'esclusione si abbatte sugli studenti come Ester ma, per quanto «bizzarri», gli ebrei sannicandresi fanno parte della comunità, sono compaesani: quando arrivano i tedeschi gli ufficiali del podestà non li denunciano. Saranno gli Alleati a emancipare la tribù pugliese, rimasta nel frattempo orfana del capostipite, morto all'indomani della Liberazione: «Con l'ottava armata britannica c'erano molti ebrei, ci riconobbero». Allora, solo allora, 4 agosto 1946, la comunità capitolina accoglie i neofiti con il rito della circoncisione. A ottobre viene inaugurata la sinagoga di San Nicandro. Due anni dopo i sionisti del Gargano s'imbarcano alla volta di Haifa. «Io ed Elizier ci sposammo prima di partire» continua Ester. Alle sue spalle una gigantografia della giovane coppia nel campo di smistamento di Ashkelon. Nel kibbutz Alma, una ventina di chilometri da Zfat e quindici dal confine libanese, gli anziani li ricordano, «gli italiani». Zion, un ebreo di origine tunisina con la barba bianca, siede nella veranda e annuisce: «Erano venti famiglie, ci conoscevamo eccome, sono sefarditi come noi. Parlavano tanto, cucinavano per tutti». Ester ed Elizir lo fanno ancora. A Tzfat hanno aperto un chiosco di falafel che è ormai il tempio delle polpette di ceci, il cibo nazionale per gli israeliani ma anche per i palestinesi. Vendere la pizza «sannicandrese»? Troppo complicato. E poi, tranne Elizier, chi conosce più il sapore del passato? Di certo non i 5 figli con i 19 nipoti e i 16 pronipoti che vivono sparsi tra Tel Aviv, Ashdod, Akko, come i Bonfitto, dei Santamaria, gli eredi della «più piccola tribù perduta d'Israele», figli di un Dio minore ancora, in fondo, alla ricerca dell'identità mitica che riscatti la conversione.

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