venerdì 15 gennaio 2010


Mayor of Jewish quarter "Muhktar" Weingarten being escorted to Arab Legion headquarters by Arab soldiers. Jerusalem. June 1948

Il commento Così Israele ha trasformato gli immigrati in una risorsa

Nel luglio del 1967 Moshé Dayan vincitore della Guerra dei sei giorni si trovò con un territorio sottoposto al controllo militare sei volte superiore a quello dello stato di Israele. Il Sinai egiziano e le alture del Golan, siriani spopolati dalla guerra non presentavano nell'immediato problemi economici. A Gaza e in Cisgiordania, invece, più di un milione di contadini palestinesi dipendevano dalla coltivazione di meloni e angurie, sviluppata negli anni precedenti per soddisfare, tramite la Giordania il mercato saudita e degli Emirati Arabi, meloni che ora marcivano nei campi. Dayan doveva trovare una soluzione rapida ma che non sembrasse imposta dal nemico. Gliela suggerì un israeliano di Haim Israely, in seguito chiamato dal ministero dell'Agricoltura americano per diffondere nuove culture nelle zone depresse del Mississippi.«Prima dei meloni ci dovevano essere altre culture - disse a Dayan -. Chiediamo ai vecchi dei villaggi quella che rendeva di più». Si scopri che era la coltivazione del sesamo, indispensabile alla produzione di due cibi locali, la tehina e la halawa. Per diffondere rapidamente il ritorno a una cultura andata quasi perduta, fu aumentata la dogana sull'importazione del sesamo facendone salire il prezzo; un proprietario terriero palestinese, grosso notabile della zona, si dichiaro disposto a tornare a coltivare il sesamo con un contratto di vendita garantito. Il suo esempio dilagò a macchia d'olio dando, unitamente ad altre innovazioni agricole, il via alla rivoluzione agricola della Palestina, contribuendo a far crescere il reddito nelle zone occupate in maniera esponenziale sino allo scoppio della prima e seconda «intifada».Di questa rivoluzione nessuno parlò nonostante il modello potesse essere applicato ovunque alla soluzione di problemi di integrazione di immigrati, si fondava su quattro punti: a) l'integrazione (di esseri umani o di nuove tecniche) comporta cambiamento; b) la diffusione del cambiamento avviene per imitazione; c) l'imitazione richiede legittimazione; d) i legittimatori sono coloro che si fanno «notare» e sono ritenuti credibili. Nelle società tradizionali - e sino a non poco tempo fa anche in quelle sviluppate - il personaggio credibile è sempre stato il «notabile». Membro di una classe che all'inizio del secolo passato si organizzava ancora in partiti politici «borghesi» (quello radicale in Francia e liberale in Italia), ma che in Europa è stata spazzata via dal fascismo, dal socialismo e dal pluralismo e in molti paesi emergenti dall'anticolonialismo.Il notabile tuttavia esiste sempre in ogni gruppo; basta volerlo riconoscere. È la chiave per il successo dell'integrazione dell'immigrato. In molte parti d'Italia è espressa disordinatamente dal pizzaiolo diventato proprietario di ristoranti, dal muratore diventato capomastro e poi piccolo imprenditore edile; dal manovale diventato giardiniere e cosi via. Ma l'esempio resta isolato perché, non solo per inerzia intellettuale ma perché se si sa tutto sulle cause dell'emigrazione, una teoria generale della integrazione non esiste. I due modelli, quello americano (pentola a pressione) e francese (lingua, laicismo, repubblicanesimo) sono falliti. Si preferisce affidare alla polizia il compito di mantenere l'ordine lasciando il migrante nelle mani di «notabili» emersi per violenza o per conoscenze (o misconoscenze) religiose spesso ostili alla integrazione.È significativo confrontare gli aranceti di Rosarno carichi di frutti non raccolti a causa della la fuga degli immigrati africani con gli aranceti israeliani, anch'essi affidati alle cure di manodopera di origine africana o asiatica con migliaia di operai stranieri che bussano alle porte dello Stato per essere ammessi. Ma di Israele si preferisce parlare solo per la guerra, per il fanatismo degli ortodossi, per i muri anti terrorismo denunciati dal Tribunale dell'Aia ma imitati in silenzio dall'Egitto, dall'Arabia Saudita, dal Pakistan ecc. Sulla riforma agricola in Palestina, sulle tecniche che hanno permesso a una società forte di 600mila anime nel 1948, di accogliere tre milioni di migranti si preferisce tacere. http://www.ilgiornale.it/, 14 gennaio 2010

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