mercoledì 10 febbraio 2010



Rav Arbib: "I silenzi di Pio XII fanno ancora male"

L'esito dell’evento non era affatto scontato, anzi, presentava un certo margine di rischio. Ma a conti fatti devo dire che considero il bilancio finale positivo. Ho apprezzato il grado di autenticità, il tono a tratti vibrante dell’incontro e l’impronta di ferma autorevolezza che i discorsi del presidente Riccardo Pacifici e di Rav Riccardo Di Segni hanno saputo imprimere all’evento. La misura e il coraggio delle loro parole erano notevoli, sono stati capaci di dire tutto e di dirlo bene, senza risparmiare nessun aspetto sul tappeto, né eludere nessuna questione aperta”. A parlare così è il Rabbino Capo di Milano, Rav Alfonso Arbib, reduce dallo storico evento avvenuto nella Sinagoga di Roma il 17 gennaio scorso, l’incontro di Papa Ratzinger con gli ebrei d’Italia, la seconda visita di un pontefice dopo quella memorabile di Papa Wojtila il 13 aprile 1986. Qual è secondo lei il cuore del discorso di Benedetto XVI? È stato molto importante quanto detto dal Papa sull’alleanza irreversibile tra ebrei e Dio. Da un punto di vista della teologia cattolica è stato toccato un punto fondamentale, figlio del Concilio Vaticano II, ma un figlio non così scontato: ovvero quello che liquidava una volta per tutte la teologia della sostituzione che per secoli aveva propugnato la sostituzione dell’ebraismo con il cattolicesimo in quanto Verus Israel. Aver archiviato la teologia della sostituzione, averne ribadito l’obsolescenza e aver sottolineato di contro l’alleanza irreversibile tra Dio e il popolo ebraico è un fatto non da poco, specie perché avviene dopo il controverso reintegro della preghiera del Venerdì Santo, voluta dallo stesso Benedetto XVI. Dopo la visita del 17 gennaio si potrà dire che sia davvero cambiato qualcosa in fatto di dialogo inter-religioso? No, non sostanzialmente. Cominciamo a dire che il dialogo ebraicocristiano dura da pochi decenni e viene dopo secoli di incomprensioni, tragedie, disprezzo. Tutto ciò non si cancella con un colpo di spugna. Quello che invece credo è che la visita del 17 gennaio possa produrre qualche semplice ma importante risultato. Il primo è un argine chiaro e netto alle spinte anti-giudaiche, una forte limitazione dell’antigiudaismo cattolico che era un tempo diffusissimo e che i decenni di dialogo hanno contribuito a limitare fortemente ma non è sempre del tutto dimenticato oggi. Un risultato questo da non sottovalutare, una presa di posizione estremamente importante. Secondariamente, c’è da dire che non è stata chiesta solo l’apertura degli Archivi storici vaticani circa la vicenda della beatificazione di Pio XII. Un’altra cosa significativa, avvenuta nel colloquio privato con rav Riccardo Di Segni, è stata la richiesta di accedere agli Archivi delle istituzioni cattoliche in merito ai bambini salvati dalla Shoà e convertiti al Cristianesimo e poi “dispersi”, finiti chissà dove, molti mai restituiti alla fede ebraica. Che fine fecero questi bambini? Il Papa, in sede privata, ha mostrato grande comprensione per la vicenda. Terzo punto importante: il gesto di fermarsi davanti alla lapide che ricorda la razzia del 16 ottobre 1943 e il fatto che il Papa abbia espressamente richiesto di incontrare i feriti dell’attentato avvenuto a Roma nel 1982, quello che uccise il piccolo Stefano Tachè. Così facendo Ratzinger ha espresso una decisa condanna non solo dell’antisemitismo di ieri ma anche di quello di oggi, pericolosamente contemporaneo. Infine, mi sembra di grande valore il fatto che Benedetto XVI abbia ribadito lo spirito del Concilio Vaticano II dicendo che quella fu una pietra miliare da cui non si torna più indietro. Eppure il Pontefice, nel suo discorso, non ha fatto cenno alla questione della beatificazione di Pio XII e non ha mai nominato lo stato d’Israele parlando sempre e solo di Terra santa... La Chiesa ha molte contraddizioni al suo interno e non sarà certo una visita in Sinagoga a porvi rimedio. Certo quello di Pio XII rimane un problema, il suo silenzio, la sua scarsa sensibilità verso gli ebrei restano ancor oggi un tasto molto doloroso. Ma attenzione: non è certo questa una faccenda nuova, sono decenni che si parla della beatificazione di Pio XII, la vicenda inizia addirittura con Papa Paolo VI ed è proseguita finora attraverso altri tre pontificati anche se indubbiamente il riconoscimento delle “virtù eroiche” di Papa Pacelli a pochi giorni dalla visita ha rappresentato un’aggravante della questione. Ad oggi, la scelta dell’ebraismo italiano è stata quella di protestare, di esprimere fermamente la propria contrarietà ma senza considerare che questo specifico motivo fosse una ragione sufficiente per interrompere il dialogo. Anche il mancato riferimento a Israele rappresenta indubbiamente un problema. C’era in ballo anche un’altra importante questione, quella della preghiera del Venerdì Santo... C’è da dire che la faccenda si era chiusa già qualche tempo fa con una specie di compromesso: la Cei aveva sostenuto che il riferimento alla “conversione dei giudei” fosse qualcosa che rimandava a tempi escatologici, alla fine dei giorni e al giorno del Giudizio, non all’oggi, non al qui e ora, non all’attualità. Alla vigilia, molte erano le perplessità circa questo incontro. Guardi, l’analisi e i dubbi circa questa visita erano in verità condivise da tutti, con una unità di vedute come di rado è accaduto nel nostro mondo ebraico. Era sulla prassi, sul da farsi che le posizioni divergevano. C’è chi pensava che la visita andasse sospesa, chi ha scelto di non venire... Pur con tutti i dubbi credo che la visita non andasse annullata. La decisione avrebbe prodotto risultati gravi. A posteriori ritengo che l’esito dell’incontro sia oggi da considerarsi senza dubbio positivo. Inoltre ribadire le nostre posizioni è stato importante, anche se, inutile negarlo, molte risposte da parte cattolica devono ancora arrivare. Fiona Diwan(Bollettino della Comunità ebraica di Milano, Febbraio 2010)

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