martedì 15 giugno 2010
Tel Aviv
" Che pena, la mia azione umanitaria usurpata adesso dai barbari "
Evidentemente non ho cambiato posizione. Continuo a giudicare «stupido», come dissi il giorno stesso a Tel Aviv in un acceso dibattito con un ministro di Netanyahu, il modo in cui è stato condotto l'assalto, al largo di Gaza, contro la Mavi Marmara e la sua flottiglia. E se ancora avessi avuto un minimo dubbio, l'abbordaggio della settima nave, quel sabato mattina, senza alcuna violenza, avrebbe finito col convincermi che esistevano altri modi di operare per evitare che la trappola tattica e mediatica tesa a Israele dai provocatori di Free Gaza si richiudesse così, nel sangue. Detto e ridetto questo, nemmeno si può accettare l'ondata di ipocrisia, di malafede e, in ultimo, di disinformazione che sembrava aspettare solo un pretesto per dilagare nei mass media del mondo intero, come ogni volta che lo Stato ebraico commette un errore. Disinformazione. La formula, ripetuta fino alla nausea, del blocco di Gaza imposto «da Israele», mentre la più elementare onestà vorrebbe già che si precisasse: da Israele e dall’Egitto; congiuntamente, dai due lati, dai due Paesi che distano in maniera identica dalle frontiere di Gaza; e questo con la benedizione, appena velata, di tutti i regimi arabi moderati, ben felici che altri arginino, per conto e con soddisfazione di tutti, l'influenza nella regione di un braccio armato, di una base avanzata, un giorno forse di una portaerei, dell' Iran. Disinformazione. L'idea stessa di un blocco «totale e spietato» (Laurent Joffrin, editoriale del quotidiano francese Libération del 5 giugno) che prende «in ostaggio» (espressione dell'ex Primo ministro Dominique de Villepin, su Le Monde dello stesso giorno) «l'umanità in pericolo» di Gaza: il blocco — non dobbiamo stancarci di ricordarlo— riguarda soltanto armi e materiali per fabbricarne; non impedisce il passaggio, tutti i giorni, in provenienza da Israele, di 100, 120 camion carichi di viveri, medicinali, materiale umanitario di ogni genere; l'umanità non è «in pericolo» a Gaza; dire che «si muore di fame» nelle strade di Gaza-City significa mentire. Che il blocco militare sia o non sia la buona opzione per indebolire e un giorno abbattere il governo islamo-fascista di Ismaïl Haniyeh, se ne può discutere. Ma un fatto è indiscutibile: gli israeliani che operano, giorno e notte, ai posti di controllo fra i due territori sono i primi a fare l'elementare ma essenziale distinzione fra il regime (che occorre tentare di isolare) e la popolazione (che si guardano bene dal confondere con questo regime e, ancor meno, di penalizzare, poiché gli aiuti, ripeto, non hanno mai smesso di passare). Disinformazione. Il silenzio, o quasi, nel mondo intero, sull’incredibile atteggiamento di Hamas: infatti, ora che il carico della flottiglia ha riempito la sua funzione simbolica, ora che quest'atteggiamento ha permesso di cogliere in fallo lo Stato ebraico e di rilanciare come mai prima d'ora il meccanismo della sua demonizzazione, ora che sono gli israeliani, fatta l'ispezione, a voler inoltrare gli aiuti verso i suoi presunti destinatari, Hamas blocca i suddetti aiuti al check point di Kerem Shalom e ve li lascia pian piano marcire. Al diavolo le merci passate fra le mani dei doganieri ebrei! Visto che i bambini di Gaza non sono mai stati altro, per la gang di integralisti islamici andati al potere tre anni fa con la forza, che scudi umani, carne da cannone o vignette mediatiche, i loro giocattoli o i loro desideri sono l'ultima cosa di cui laggiù ci si preoccupi. Ma chi osa dirlo? Chi si indigna per questo? Chi si da martiri» ( Guardian del 3 giugno, Al Aqsa del 30 maggio). Come ha potuto, uno scrittore della tempra dello svedese Henning Mankell lasciarsi ingannare così? Come può, quando ci dice di voler forse vietare la traduzione dei suoi libri in ebraico, dimenticare d'un tratto la sacrosanta distinzione fra un governo colpevole o stupido e la folla di coloro che non si riconoscono affatto in esso e che pure egli associa nello stesso progetto di boicottaggio insensato? Come può, la catena di sale cinematografiche «Utopia», in Francia, esattamente nello stesso modo, decidere di cancellare l'uscita di un film («A cinq heures de Paris») solo perché l'autore (Leonid Prudovsky) è cittadino israeliano? Disinformatori, infine, i battaglioni di ipocriti dispiaciuti che Israele si sottragga alle esigenze di un'inchiesta internazionale quando la verità è, di nuovo, talmente più semplice e più logica: Israele rifiuta l'inchiesta sollecitata da un Consiglio dei diritti dell'uomo delle Nazioni Unite dove regnano grandi democratici come i cubani, i pachistani e gli iraniani. Un'ultima parola. Per un uomo come me, per qualcuno che è orgoglioso di avere aiutato, con altri, a inventare il principio di questo tipo di azioni simboliche (boat-people per il Vietnam, marcia per la sopravvivenza in Cambogia nel 1979, vari e diversi boicottaggi antitotalitari; o ancora, più di recente, violazione deliberata della frontiera sudanese per spezzare il blocco al cui riparo si perpetravano i massacri di massa nel Darfur), per un militante, in altri termini, dell'ingerenza umanitaria e dello scalpore che l'accompagna, c'è in questa epopea miserabile una sorta di caricatura, o una lugubre smorfia, del destino. Ragione di più per non cedere. Ragione di più per resistere alla deviazione di senso che mette al servizio dei barbari lo spirito stesso di una politica che fu concepita per contrastarli. Miseria della dialettica antitotalitaria e dei suoi rovesciamenti mimetici. Confusione di un'epoca in cui si combattono le democrazie come se si trattasse di dittature o di Stati fascisti. In questo turbine di odio e di follia c'è Israele, ma in pericolo sono anche, stiamo attenti, alcune delle conquiste più preziose, per la sinistra in particolare, del movimento di idee da trent'anni a questa parte. A buon intenditor, poche parole. assume il rischio di spiegare che, se a Gaza c'è un sequestratore di ostaggi, un profittatore senza scrupoli e freddo davanti alla sofferenza della gente e, in particolare, dei bambini, questi non è Israele ma Hamas? Ancora disinformazione, ridicola, ma, tenuto conto del contesto strategico, catastrofica: il discorso, a Konyan, nel centro della Turchia, di un Primo ministro che fa gettare in prigione chiunque osi evocare pubblicamente il genocidio degli armeni, ma che ha la faccia tosta, di fronte a migliaia di manifestanti eccitati e che gridano slogan antisemiti, di denunciare il «terrorismo di Stato» israeliano. Disinformazione: il lamento degli utili idioti caduti, prima di Israele, nella trappola di quegli strani individui «umanitari» che sono, per esempio nella Ong turca Ihh, adepti della Jihad, fanatici dell'apocalisse anti-israeliana e anti-ebraica, alcuni dei quali, qualche giorno prima dell'assalto, dicevano di volere «morire da martiri» (Guardian del 3giugno, Al Aqsa deI 30maggio). Come ha potuto, uno scrittore della tempra delio svedese Henning Mankell lasciarsi ingànnare così? Come può , quando ci dice di voler forse vietare la traduzione dei suoi libri in ebraico, dimenticare d'un tratto la sacrosanta distinzione fra un governo colpevole o stupido e la folla di coloro che non si riconoscono affatto in esso e che pure egli associa nello stesso progetto di boicottaggio insensato? Come può , la catena di sale cinematografiche «Utopia», in Francia, esattamente nello stesso' modo, decidere di cancellare l'uscita di un film («A cinq heures, de Paris») solo perché l'autore (Leonid Prudovsky) è cittadino israeliano?, Disinformatori, infine, i battaglioni di ipocriti dispiaciuti che Israele si sottragga alle esigenze di un'inchiesta internazionale quando la verità è, di nuovo, talmente più semplice e più logica: Israele rifiuta l'inchiesta soliecitata da un' Consiglio dei diritti dell'uomo delle Nazioni Unite dove regnano grandi democratici come i cubani, i pachistani e gli iraniani. Un'ultima parola. Per un uomo - come me, per qualcuno che è orgoglioso di avere aiutato, con altri, a inventare il principio di que sto tipo di azioni simboliche (boat-people per ll Vietnam, marcia per la sopravvivenza in Cambogia nel 1979, vari e diversi boicottaggi antitotalitari; o ancora, più di recente, violazione deliberata della frontiera sudanese per spezzare il blocco al cui riparo si perpettavano i massacri di massa nel Darfur), per un militante, in altri termini, dell'ingerenza umanitaria e dello scalpore che l'accompagna, c'è in questa epopea miserabile una sorta di caricatura, o una lugubre smorfia, del destino. Ragione di più per non cedere. Ragione di più per resistere alla deviazione di senso che mette al servizio dei barbari lo spirito stesso di una politica che fu concepita per contrastarll. Miseria della dialettica antitotalitaria e dei' suoi rovesciamenti mimetici. Confusione di un'epoca in cui si combattono le democrazie come se si trattasse di dittature o di Stati fascisti. In questo turbine di odio e di follia c'è Israele, ma in pericolo sono anche, stiamo attenti, alcune delle conquiste più preziose, per la sinistra in particolare, del movimento di idee da trent'anni a questa parte. A buon intenditor, poche parole.Bernard-Henri Lévy, il Corriere della Sera, 14 maggio 2010
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