giovedì 30 settembre 2010


Tutti i presidenti Usa hanno difeso Israele con il veto. Che farà Obama?

Il Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite ha approvato ieri la risoluzione che condanna Israele per il blitz ai danni dei militanti della Freedom Flotilla diretta a Gaza. Nel raid del 31 maggio scorso nove attivisti turchi rimasero uccisi. La risoluzione, presentata a nome dell'Organizzazione della Conferenza islamica, è stata approvata con 30 voti a favore, uno contrario e 15 astenuti. Vi proponiamo in due puntate un lungo articolo della rivista Commentary che rievoca la storia dei tentativi di isolare Israele alle Nazioni Unite e il modo in cui lo stato ebraico è stato difeso dagli Usa, almeno fino a questo momento.
Poco prima dell'alba del 31 maggio 2010, un commando israeliano ha abbordato una nave turca che intendeva forzare il blocco contro l'organizzazione terroristica di Hamas a Gaza. Quando salirono a bordo gli israeliani sono stati aggrediti da una fazione violenta di militanti islamici. All'abbordaggio è seguita una mischia in cui molti dei membri del commando sono stati gravemente feriti e nove dei militanti turchi sono rimasti uccisi. Lo scontro è finito prima del sorgere del sole. Era ancora giorno quando, a distanza di 5.600 miglia, la delegazione israeliana alle Nazioni Unite veniva chiamata davanti a una sessione di emergenza del Consiglio di Sicurezza per essere punita riguardo alle azioni dei suoi commandos. Convocata poche ore dopo le violenze, il Consiglio ha trascorso la notte del 31 maggio, fino alle prime ore del mattino, immerso in "una sessione di emergenza dominata da una forte emotività... [per esprimere] la rabbia della comunità internazionale rispetto all'attacco condotto da Israele", come ha scritto il Washington Post.Era una scena già nota. Nel 1983, l'ambasciatore di Ronald Reagan alle Nazioni Unite, Jeane Kirkpatrick, l'aveva descritta con queste parole: "Ciò che avviene in seno al Consiglio di Sicurezza somiglia più a una rapina piuttosto che a un dibattito politico o a uno sforzo per risolvere problemi.... Israele fa la parte del cattivo... in [un] melodramma... che rappresenta... molti aggressori e una grande quantità di violenza verbale... L'obiettivo è l'isolamento e l'umiliazione della vittima... Gli aggressori, non incontrando ostacoli, diventano più audaci, mentre altre nazioni appaiono sempre più riluttanti a dare sostegno all'imputato, per paura che essi stessi diventino un bersaglio ostile di quel blocco".La rievocazione di questo dramma familiare, il 31 maggio scorso, si è aperta con una presentazione di Oscar Fernandez-Taranco, l'assistente del segretario generale delle Nazioni Unite per gli affari politici. Il suo compito era di parlare a nome della istituzione nel suo complesso e d'inquadrare il problema oggettivo per il dibattito, a nome del suo capo, Ban Ki-moon. Fernandez-Taranco ha spiegato che lo spargimento di sangue era avvenuto perché Israele ha rifiutato di porre fine "al blocco inaccetabile e controproducente di Gaza", che stava esacerbando "i bisogni insoddisfatti della popolazione civile della Striscia". Per equità, Fernandez-Taranco ha preso atto delle rivendicazioni di Israele sul fatto che i manifestanti a bordo della nave Marmara avevano usato coltelli e mazze contro il personale della marina israeliana.Il ministro degli Esteri turco, Ahmet Davutoglu, lo ha seguito a passo di marcia. Questo è stato, ha detto, "un omicidio condotto da uno stato" con "nessuna giustificazione" contro una flottiglia il cui "unico scopo era quello di fornire soccorso ai bisognosi". La teoria della legittima difesa "non può in alcun modo giustificare le azioni intraprese dalle forze israeliane". È stato un "agguato illecito... un atto di barbarie... un’aggressione in alto mare". Un oratore dopo l'altro hanno ripetuto gli argomenti sul blocco, ingiustificato, di Gaza, mantenuto attraverso l'uso eccessivo della forza senza alcuna base giuridica. Nessuno ha fatto alcuna distinzione tra un blocco che serve a prevenire l'introduzione di armi nella striscia e uno che invece colpisce esclusivamente i beni dei civili. Ognuno dei rappresentanti ha semplicemente chiesto la fine del blocco, senza spiegare come Israele dovrebbe proteggersi dal contrabbando dei terroristi.
Infine il rappresentante israeliano, Daniel Carmon, ha ottenuto la possibilità di rispondere. È stato l’unico speaker a sottolineare che esiste uno stato di conflitto armato tra Israele e Hamas; che Gaza è dominata da terroristi che l’hanno sequestrata con un violento colpo di stato; e che le armi venivano contrabbandate nel territorio, anche via mare. Ha sottolineato che un blocco marittimo, anche in acque internazionali, è un provvedimento legittimo e riconosciuto in un conflitto armato. Qualsiasi governo responsabile dovrebbe agire di conseguenza in circostanze simili per proteggere i suoi civili. Israele ha deplorato la perdita di vite innocenti, ma non può compromettere la sua sicurezza. I soldati che hanno abbordato una delle navi sono stati violentemente aggrediti e minacciati di rapimento e linciaggio. Hanno agito per legittima difesa.
Ho lasciato la risposta della delegazione americana per ultima, perché è quella che voglio approfondire. Questa sessione di emergenza del Consiglio di Sicurezza è stato il momento della verità per l'amministrazione Obama, il tipo di decisione dolorosa che rivela carattere, intenti e priorità. Se George W. Bush fosse stato ancora alla Casa Bianca, l'azione della delegazione degli Stati Uniti si sarebbe potuta prevedere con una certa fiducia. Nel luglio 2002, l'amministrazione Bush annunciò una politica sulle risoluzioni contro Israele, nota come la "Dottrina Negroponte". La dottrina, pubblicata integralmente sul sito web della missione Usa alle Nazioni Unite nel 2003, recita:“Noi non sosterremo alcuna risoluzione che eviti la minaccia esplicita alla pace in Medio Oriente posta da Hamas e altri gruppi terroristici... Qualsiasi risoluzione del Consiglio di Sicurezza... deve contenere un’esplicita condanna di Hamas [e delle altre] organizzazioni responsabili di atti di terrorismo e... invitare a smantellare le infrastrutture che supportano queste operazioni di terrore”.L'amministrazione Obama non ha ancora rivelato se gli Stati Uniti resteranno fedeli ai principi di Negroponte. Come candidato in corsa contro Hillary Clinton, Barack Obama lasciò intendere che si sarebbe uniformato. Il 22 gennaio 2008, alla vigilia delle primarie presidenziali democratiche, scrisse a Zalmay Khalilzad, l'allora ambasciatore di Bush alle Nazioni Unite, con parole che potrebbero essere state scritte come risposta alla riunione post-flottiglia:“La esorto a garantire che il Consiglio di Sicurezza non emetta alcuna dichiarazione e non faccia passare alcuna risoluzione sulla situazione di Gaza che non condanni fermamente l'aggressione con i razzi che Hamas sta conducendo contro i civili nel sud di Israele... Tutti noi siamo preoccupati per l'impatto della chiusura dei valichi di frontiera sulle famiglie palestinesi. Tuttavia, dobbiamo capire perché Israele è costretto a comportarsi in questo modo. Gaza è governata da Hamas, un’organizzazione terroristica... votata alla distruzione di Israele, e i civili israeliani sono stati bombardati... Israele ha il diritto di rispondere cercando nel contempo di ridurre al minimo l'eventuale impatto sui civili. Il Consiglio di Sicurezza deve... mettere in chiaro che Israele ha il diritto di difendersi contro tali azioni. Se non può portare ad affrontare questi punti comuni al buon senso, esorto a garantire che non se ne parli affatto”. In altre parole, stava sollecitando un diritto di veto americano.Il 14 luglio, l'ambasciatore di Obama alle Nazioni Unite, Susan Rice, ha dichiarato: "Dobbiamo... combattere tutti i tentativi internazionali per contestare la legittimità di Israele... presso le Nazioni Unite”. Ma molti degli ammiratori di Obama non vogliono o non si aspettano che si prendano tali impegni. Il Comitato che gli ha dato il premio Nobel per la pace ha detto che l’ha fatto per i suoi "sforzi straordinari per rafforzare la diplomazia internazionale... ponendo l’accento sul ruolo che le Nazioni Unite... possono giocare... sulla base di valori e atteggiamenti che sono condivisi dalla maggioranza della popolazione mondiale".I 6 milioni di ebrei di Israele, che hanno un solo voto in sede ONU, sfidano un miliardo e mezzo di musulmani, che hanno 50 voti. È il veto americano nel Consiglio di Sicurezza dell'Onu che fornisce una potenziale linea di difesa per loro. Ma la dichiarazione di fatto del portavoce di Obama a quella sessione di emergenza sull'incidente della flottiglia di Gaza del maggio 2010 è scesa ben al di sotto del linguaggio utilizzato nella lettera del 2008 a Khalilzad. Alejandro Wolff, il rappresentante permanente degli Stati Uniti alle Nazioni Unite, non ha minacciato il veto. Non ha messo l'accento sulla minaccia di Hamas. Non ha menzionato il pericolo di infiltrazioni di armi. E ha taciuto sulla legittimità del blocco israeliano.Ha detto invece che meccanismi alternativi erano disponibili per la consegna degli aiuti umanitari a Gaza e che la consegna diretta dal mare non era appropriata. Ha detto che l'interferenza di Hamas aveva complicato gli sforzi umanitari a Gaza minando la sicurezza e la prosperità per tutti i palestinesi. Ma Wolff ha bilanciato queste parole aggiungendo che Israele deve fare di più per concedere beni umanitari, compresi i materiali da costruzione, dentro Gaza, pur riconoscendo a Israele legittime preoccupazioni di sicurezza. Alla fine della sessione di 90 minuti pubblici destinati a queste affermazioni, il Consiglio si è riunito in una sessione privata esecutiva per un’intensa contrattazione dietro le quinte per formulare la dichiarazione rilasciata dal Presidente del Consiglio.La Turchia ha chiesto che la Dichiarazione Presidenziale condannasse "nei termini più forti", "l'atto di aggressione israeliana" come una "chiara violazione del diritto internazionale"; che chiedesse al segretario generale Ban Ki-Moon di "effettuare un'indagine internazionale indipendente dalle Nazioni Unite"; che includesse "la punizione di tutte le autorità responsabili "; e che invocasse la revoca immediata del blocco su Gaza. L'adozione di una tale Dichiarazione Presidenziale richiede un consenso. I voti non vengono registrati. Qui c'era la possibilità di difendere Israele senza necessariamente percorrere la via principale del veto formale. Obama avrebbe potuto garantire, come aveva detto nel 2008, "che il Consiglio di Sicurezza non faccia passare alcuna dichiarazione e trasmetta alcuna risoluzione sulla situazione di Gaza che non... metta in chiaro che Israele ha il diritto di difendersi... [e] perché Israele è costretto a farlo". Avrebbe potuto insistere, come un tempo ha esortato a insistere Khalilzad, che se il Consiglio di Sicurezza "non può portare se stesso ad approvare questi punti comuni al buon senso... e non [deve] parlare affatto ".Ma non è questo quello che è successo. I negoziati hanno prodotto una dichiarazione presidenziale più debole di quella richiesta dalla Turchia, ma ancora molto ostile a Israele. La dichiarazione ha condannato solo "gli atti" che hanno causato morti senza citare Israele per nome - una elisione per cui l'amministrazione merita credito. Ma non conteneva nessuno degli elementi che Obama aveva definito indispensabili e che dovevano essere la conditio sine qua non per gli Stati Uniti ad accettare una dichiarazione del Consiglio di Sicurezza. Non è stato fatto alcun riferimento alla minaccia che ha dato origine al blocco; alcuna menzione di Hamas o il suo impegno a distruggere uno stato membro delle Nazioni Unite; nessun riscontro che lo scopo di Israele è quello di impedire il contrabbando di armi; nessuna affermazione del diritto di Israele alla legittima difesa ai sensi dell'articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite; non una sillaba sul terrorismo; e in generale, non una parola per riflettere il punto di vista israeliano.Poi c'era questa frase: "Il Consiglio di Sicurezza prende atto della dichiarazione del Segretario generale dell'ONU sulla necessità di avere un'indagine completa della questione... conforme agli standard internazionali". Questo è stato inteso nel senso di un'indagine condotta da una commissione internazionale nominata dal segretario generale. Tutto ciò appena qualche mese dopo il rapporto Goldstone, un rapporto dell'Onu sulla situazione a Gaza, su cui l'amministrazione Obama ha dichiarato di avere "gravi preoccupazioni" perché la relazione riportava un "focus sbilanciato su Israele" e una "equivalenza morale tra Israele... e il gruppo terroristico Hamas". I diplomatici americani hanno impedito che la dichiarazione del Consiglio autorizzasse una tale inchiesta delle Nazioni Unite a titolo definitivo. Gli Stati Uniti hanno detto che Israele, un paese con un sistema giudiziario fieramente indipendente e dalle forti istituzioni democratiche, dovrebbe essere autorizzata a condurre la propria indagine, con la partecipazione di osservatori internazionali.Il risultato della riluttanza di Obama di affermare inequivocabilmente che egli è contrario a una indagine delle Nazioni Unite è stato riassunto da un titolo del giornale Politico: "L’inchiesta del Segretario Generale su Gaza raccoglie entusiasmi, mentre gli Stati Uniti restano neutrali". Come ha detto l'ex ambasciatore Usa alle Nazioni Unite John Bolton, "il presidente Obama non si è mosso con decisione per disperdere quella idea, e la sua inerzia è stata presa alle Nazioni Unite come un implicito consenso alla iniziativa illegittima di Mr. Ban".La presa di posizione di Obama in occasione della sessione di emergenza del 31 maggio sulla vicenda di Gaza segna la seconda volta in una settimana in cui l'amministrazione mette i suoi obiettivi multilateralisti davanti alla difesa di Israele. In una conferenza delle Nazioni Unite sulla non proliferazione nucleare, che si era conclusa tre giorni prima della crisi della flottiglia, la delegazione Obama ha approvato l'adozione all'unanimità di una dichiarazione finale. Lo ha fatto, anche se l'amministrazione ha reso noto di avere "serie riserve" sulla sua sezione in Medio Oriente, che individua Israele come un trasgressore degli sforzi di non proliferazione e di fatto non parla di Iran.Dopo il voto, il Consigliere per la Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti James Jones ha detto che "Gli Stati Uniti deplorano la decisione di isolare Israele nella sezione Medio Oriente... [nonché] la mancanza della risoluzione di menzionare l'Iran". Gli Stati Uniti la fanno passare comunque, perciò la conferenza potrebbe essere considerata un successo. Dopo l'accaduto, l'amministrazione ha cercato di riparare il danno che aveva causato. "Gli Stati Uniti non permetteranno una conferenza o azioni che potrebbero mettere a repentaglio la sicurezza nazionale di Israele", ha detto Jones. "Non accetteremo un approccio che isoli Israele o che imposti delle aspettative non realistiche". Ma solo poche ore prima, gli Stati Uniti avevano fatto proprio questo. Le questioni sollevate dalla risposta degli Stati Uniti per l'agguato alla flottiglia e il problema di proliferazione sono puntuali e pregnanti. Siamo pronti per un flusso di dichiarazioni presidenziali del Consiglio di sicurezza e di risoluzioni che si pronunciano in merito alla minaccia terroristica, che delegittimano e condannano Israele, convocando prima tribunali ostili, limitando la sua libertà di azione per difendere i propri cittadini, accusando i suoi leader, e forse alla fine mettendola sotto sanzioni? (Fine della prima puntata. Continua...)Tratto da Commentary,di Steven J. Rosen 30 Settembre 2010, http://www.loccidentale.it/

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