giovedì 24 marzo 2011


Tel Aviv - museo dell'Haganà

Voci a confronto


Con tutti i quotidiani pieni di articoli dedicati alla guerra in Libia, il redattore di questa rassegna ha oggi scelto di non parlarne. Le alternative tra il raìs e i “ribelli” gli appaiono entrambe piene solo di ombre; le indicazioni date dalle Nazioni Unite alle forze che si accingevano ad attaccare Gheddafi sono state, ancora una volta, piene di ambiguità; i rapporti tra gli “alleati” sono resi difficili fin dal primo, evidente accordo che forze alleate dovrebbero trovare: chi è il comandante. Non sarebbe, al contrario, corretto tacere sui grandi avvenimenti che scuotono l’insieme del mondo islamico, e quindi suggerisco la lettura di Amy Rosenthal che, sul Foglio, intervista Bernard Lewis. E’ difficile parlare di “democrazia” nel mondo islamico, ma, osserva Lewis, si deve riflettere che là, da sempre, è prevista la “consultazione” con le diverse corporazioni e le numerose tribù. Lewis rivaluta l’esportazione della democrazia e la freedom agenda volute da Bush junior e si permette di dare un importante consiglio all’Occidente ed alla Casa Bianca: oggi gli USA sono visti come un amico inaffidabile e come un nemico inoffensivo, mentre dovrebbe essere l’esatto contrario. Interessante è anche Enrico Singer che, su Liberal, intervista il generale Kuperwasser, in questi giorni a Roma invitato da Fiamma Nirenstein; in Israele vi è una grande prudenza di fronte agli avvenimenti di questi primi mesi del 2011 che tuttavia sono pure oggetto della massima attenzione. Si conoscono bene i diversi vicini, ma non si conosce l’esito delle battaglie in corso; non vi sono più rivolte di palazzo o colpi di stato, e la gente nelle piazze non brucia bandiere, e tuttavia nessuno dice di voler migliorare i rapporti con lo Stato di Israele. Il compito dell’Occidente sarebbe quello di trovare una soluzione ai problemi economici delle popolazioni (come da sempre sostiene Netanyahu ndr), per togliere ai fondamentalisti la maggior parte dei loro argomenti. Osserva quindi il generale Kuperwasser che sempre più si parla di un califfato che domini il mondo islamico, e per diventarne capitale sembrano essere in concorrenza Ankara e Teheran.Due sono gli argomenti principali che si sono verificati ieri in Israele e nei territori palestinesi: la condanna dell’ex presidente Katsav e la reazione israeliana agli abbondanti tiri degli ultimi giorni sul territorio israeliano che confina con la striscia, e per entrambi gli episodi chi è regolarmente ostile ad Israele ha dato, anche questa volta, il meglio di sé. Battistini sul Corriere firma un articolo nel quale descrive quanto avvenuto nel tribunale di Tel Aviv, ma, tra i numerosi dettagli sui quali si sofferma, evita di ricordare la composizione della Corte: un collegio giudicante composto da tre persone, due delle quali donne, con un presidente arabo cristiano. Evidentemente Battistini ha preferito tacere questo importante dettaglio che, se rivelato, impedirebbe di considerare Israele uno stato di apartheid. Ma, dopo questa dimenticanza, il corrispondente parla di una “cella suite” che si starebbe preparando per l’ex presidente; tale affermazione, in totale contrasto con quanto affermato dal TG di Gerusalemme di ieri sera, diventa comprensibile se si legge l’articolo, sullo stesso tema, pubblicato da La Stampa e firmato Aldo Baquis: la “cella suite” è stata disegnata ieri da un vignettista israeliano, forse informatore occulto di Battistini. Purtroppo i lettori del Corriere riceveranno una ulteriore, falsa informazione della realtà israeliana, per fortuna compensata dalla accuratezza del quotidiano torinese che aggiunge, di suo, la preoccupazione delle autorità carcerarie che Katsav possa diventare vittima di aggressioni da parte di molti detenuti ai quali egli negò, a suo tempo, la grazia. Grande risalto su tutti i quotidiani viene dato anche alla prevista reazione da parte israeliana ai tiri, sempre più frequenti, partiti dalla striscia di Gaza. Oltre 130 sono stati i lanci di Qassam e Grad e i tiri di mortaio da gennaio, e 56 nella sola giornata di domenica, a dimostrazione di una preoccupante escalation, e tuttavia questa realtà viene nascosta o sminuita in molti articoli. Scrive E. Sal sul Messaggero: i soldati miravano contro i militanti ma le vittime sono tutte civili (e già qua viene da chiedersi dove E.Sal raccolga le sue informazioni); continua poi il “giornalista”, poco informato: perché questo attacco in mancanza di nuovi attacchi da Gaza? Ed aggiunge, per dare la peggiore rappresentazione possibile dei sionisti: intanto i coloni continuano a compiere atti di violenza contro i palestinesi (senza poterne indicare alcuno), e negli insediamenti si accelera la costruzione di nuove case. Chi arriva alla lettura dell’ultima riga di questo articolo pubblicato dal Messaggero troverà la spiegazione, il frutto dell’attenta analisi di E. Sal: l’eventuale riconciliazione tra Mahmoud Abbas e Hamas non sta bene al premier Netanyahu… Criticabile anche la breve, sullo stesso tema, pubblicata dal Sole 24 Ore, sotto il titolo: uccisi 8 palestinesi. Alla fine si legge dei colpi di mortaio che hanno contrapposto i miliziani alle forze armate israeliane, ed in tal modo si nasconde che quei colpi (ripeto: 56 nella sola giornata di domenica, ma non viene scritto nella breve) erano diretti contro civili israeliani e non contro le forze armate. Non possiamo stupirci se tanti italiani hanno di Israele una cattiva opinione quando, su quotidiani autorevoli, e non di partito, si leggono simili deformazioni della verità.
Come molti commentatori hanno previsto, in Egitto i Fratelli Musulmani stanno gestendo la situazione come meglio non potrebbero. La costituzione futura dello stato risponderà pienamente alla loro volontà; i militari hanno forse compreso che è nel loro interesse non opporsi ai futuri padroni (anche se l’esperienza insegna che questo non sempre basta per aver salva la vita); gli altri partiti, anche se animati da buona volontà, non paiono trovare spazio sufficiente; e tutto questo avviene nel totale disinteresse della maggior parte dei media che, ancora una volta, vengono meno al loro dovere primario: quello di informare i loro lettori di tutti gli episodi fondamentali che accadono nel mondo e che sono destinati ad influire sulla vita di noi tutti per lungo tempo.Su Herald Tribune una pagina che apre alla speranza di un futuro migliore; dopo lo sport e la musica, anche l’arte cerca di unire i due popoli in lotta; che sia palestinese o israeliana, da Nazareth a Tel Aviv l’arte è arte. Artisti contemporanei palestinesi presentano quadri che mostrano paesaggi anziché bombe e fucili, e le loro valutazioni sono triplicate in breve tempo. Si vuole ora costruire anche un museo a Umm el-Fahem, che sarà insieme ebraico e palestinese, sia nel capitale che nelle opere esposte. Sarebbe un piccolo, grande passo in una terra il cui leader ancora si ostina a volerla judenrein.Emanuel Segre Amar 23 marzo 2011 http://moked.it/

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