sabato 23 aprile 2011



“Salviamo i tre nomi di Gerusalemme”
Yerushalaim in ebraico, in lettere arabe e in inglese cancellando dalle insegne stradali e dalle carte geografiche le diciture Al Qudz in arabo e Jerusalem in inglese. Così anche per tutti i nomi delle località in Israele fatta eccezione per le città e i villaggi di popolazione araba. È una recente proposta del ministro dei Trasporti Israel Katz del Likud, partito del primo ministro Benyamin Netanyahu. Come considera quest’ipotesi, domando a Moshe Brawer, dal 2002 presidente della Commissione per i nomi (Veadat Hashemot, di cui è membro da oltre trent’anni), geografo fondatore all’università di Tel Aviv della facoltà di geografia. “Ai primi di febbraio abbiamo avuto una riunione della Commissione composta da undici scienziati e da cinque rappresentanti delle autorità compreso del ministero dei Trasporti - risponde Brawer - e la stragrande maggioranza dei membri, tutti inclusi tutti gli scienziati, era contraria alla proposta. E per legge dal 1950 senza l’approvazione della Commissione non si può dare un nome ad una località in Israele”. È pensabile, tuttavia, che l’argomento verrà ancora sollevato dal ministro dei Trasporti perché la Commissione non si è espressa ufficialmente anche se il suo orientamento è ben noto e alcuni membri hanno perfino minacciato di dimettersi se la proposta dovesse essere in qualche modo approvata. Qual è stato il ruolo storico della Commissione per i nomi? “Dopo la nascita dello Stato di Israele sono stati dati 1500 nomi a città villaggi e kibbutzim e circa 5mila 500 nomi alle vallate ai monti ai fiumi. La carta geografica di Israele si è così arricchita di numerosi nomi prevalentemente in ebraico”, racconta il geografo. “Esistevano, certo, nomi arabi per esempio per i fiumi - spiega Brawer - ma gli arabi spesso usavano nomi diversi per i vari tratti dei fiumi ed è mancata la precisione oggi richiesta”. Dunque per molti luoghi di interesse geografico non esistevano nomi specifici anche perché la popolazione era più scarsa. “Per quanto riguardano i criteri che utilizziamo - prosegue Brawer - il primo è certamente la fonte biblica e storica. Il libro di Yehoshua, ad esempio, è molto ricco di nomi di località, altri si trovano non solo nella Bibbia ma anche nella Mishnah e nelle fonti storiche dei primi secoli come ad esempio in Giuseppe Flavio”. Per la precisa ubicazione degli antichi insediamenti o di luoghi geografici, la Commissione si rivolge ai suoi storici e ai geografi ed è spesso aiutata dal fatto che gli arabi, dopo la conquista del Paese nel settimo secolo, hanno quasi sempre conservato l’antico nome delle località. Quando manca il riferimento biblico storico o archeologico si pensa alla descrizione geografica e alle caratteristiche della natura. L’opinione dei geografi, dei botanici e dei zoologi della Commissione ha qui un importanza particolare. Molto diffuso è anche dare il nome di un personaggio che ha contribuito allo sviluppo del Paese dal punto di vista politico, militare e culturale. “Da qualche anno è stato deciso di non dare nomi altro che in lingua ebraica così non si trovano recentemente luoghi con nomi stranieri anche se i vecchi restano. Il nome delle località arabe non sono modificati”, dice Brawer. “Ogni nome deve avere il nullaosta del rappresentante in seno alla commissione dell’accademia della lingua ebraica in modo da evitare errori. Alla Commissione, non compete dare nomi a strade e piazze nelle municipalità che sono di competenza delle autorità locali”. La Commissione è unica nel suo genere. Infatti ai tempi del colonialismo europeo i nomi dei nuovi insediamenti sono stati dati dagli immigranti talvolta ricordando le loro città di origine, ma non è mai esistita una “commissione” ufficiale. E non esisteva neppure per gli insediamenti ebraici agli albori dello Yishuv. Dopo la conquista britannica però, per necessità militari e civili, fu creato un centro cartografico che doveva affrontare il problema dei nomi delle località e della loro trascrizione nelle tre lingue ufficiali, cioè inglese, arabo ed ebraico. A tale scopo fu creata la prima “commissione dei nomi” composta di esperti inglesi, arabi ed ebrei, tre per ciascun gruppo che in realtà si riunivano solo separatamente. Per la parte ebraiche sono stati nominati David Yelin, glottologo, Avraham Ya’acov Brawer (padre dell’attuale presidente della commissione) e Zvi Ben Zvi che rappresentava le autorità sioniste. Nel 1950, su proposta di David Ben Gurion, la commissione diventa parte dell’ufficio allargato della presidenza del Consiglio, alla quale viene dato il compito esclusivo di dare nomi alle località israeliane. “La Commissione - spiega Brawer - è aperta a contestazioni sia da parte di scienziati che dagli stessi abitanti direttamente interessati e ci sono ripensamenti. Le riunioni, che per lo più assumono carattere di un simposio scientifico, sono aperte ai richiedenti. I rapporti con la popolazione direttamente interessata sono sempre stretti”. In effetti ricordo di aver partecipato, ancora studentessa, a una di quelle riunioni. La Commissione si recò in Galilea per incontrare i membri di un nuovo kibbutz: un momento indimenticabile quello di dare un nome, quasi fossero tutti genitori di un neonato timorosi di sbagliare desiderosi di scegliere un nome corretto e per loro anche bello, un nome che dovrebbe seguirli per la vita, possibilmente per quella dei figli e nipoti, un nome che resta e resterà sulle carte geografiche e sui libri. Hulda Brawer Liberanome, Pagine Ebraiche, aprile 2011

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