Di Yisrael Medad, http://www.israele.net/
Stando a quanto si apprende, gli arabi palestinesi, nonostante tutti gli appelli al loro interno per l’adozione di forme di lotta non violente, non intendono rinunciare alla natura violenta della loro lotta contro Israele. Riferisce ad esempio il Jerusalem Post che ad Al-Ram, il villaggio del dimostrante palestinese rimasto ucciso venerdì scorso dopo che aveva lanciato alcuni razzi da distanza ravvicinata contro i soldati israeliani, “si sono riuniti a centinaia e hanno iniziato a scagliare pietre, copertoni in fiamme e bombe molotov contro le Forze di Difesa israeliane”.Insomma, niente di nuovo. Qualche anno fa, in una sedicente “storia taciuta della non-violenza palestinese” venne sostenuta la tesi – infondata – secondo cui “solo dopo che le proteste non-violente avevano incontrato una dura repressione, presero avvio i movimenti di guerriglia palestinesi”. Tesi ben presto rilanciata in modo del tutto acritico da un articolo sul “New York Times” pubblicato la scorsa settimana senza il minimo controllo editoriale, e che ho personalmente tentato – invano – di correggere con una lettera che non è stata pubblicata. Scrivevo: «Nel suo editoriale del 22 febbraio (“La protesta pacifica può liberare la Palestina”), Mustafa Barghouthi esordisce affermando che “negli ultimi 64 anni i palestinesi hanno tentato la via della lotta armata”. Ma è errato. Già il 4-7 aprile 1920, dopo mesi di esagitate manifestazioni aizzate dal predicatore religioso Haj Amin El-Husseini (destinato a diventare di lì a poco Gran Mufti di Palestina), gli arabi si scagliarono contro i loro vicini ebrei uccidendone cinque e ferendone duecento, tutte vittime civili disarmate. In realtà, tutta la storia degli ultimi 92 anni è stata contrassegnata dal terrore arabo, da pogrom, tumulti e omicidi, mirati quasi esclusivamente contro civili ebrei, ad opera di arabi a Hebron, a Safed, a Giaffa e in molte altre località dove gli ebrei vivevano. Ne risultò una “pulizia etnica” (a danno degli ebrei) di alcune di queste città, e tutto ciò ben prima della guerra del 1948. Se una “lotta” è in corso, è la lotta per la verità e per una narrazione veritiera della storia.»Ma più della lotta per la correttezza del racconto storico, si consideri quest’altro aspetto: tumulti sono scoppiati di nuovo, venerdì scorso, sul Monte del Tempio a Gerusalemme. Pietre sono state scagliate da arabi, come già era avvenuto all’inizio della settimana e la settimana precedente (in quel caso a causa, pare, di un poster falso). Ma contro chi vengono scagliate le pietre? A nessun ebreo è consentito salire sul Monte del Tempio (dove si trovano le moschee) nel giorno sacro dei musulmani. E allora perché gettare pietre agli ebrei che si trovano nel sottostante piazzale del Muro Occidentale (del pianto)? Perché gettare pietre a cristiani (e turisti)? Perché istigare (anche in tv) all’assassinio di ebrei?C’è sempre qualcuno pronto a incolpare gli ebrei. Ma cosa hanno fatto veramente gli ebrei, sul Monte del Tempio? Per quieto vivere hanno lasciato che i musulmani distruggessero manufatti ebraici, hanno lasciato che le autorità islamiche del Wakf limitassero drasticamente la presenza ebraica, hanno persino bloccato le visite degli ebrei alla spianata sul Monte. Così proprio sul Monte del Tempio, nella Gerusalemme riunificata da Israele, gli ebrei collimano perfettamente con l’immagine tradizionale di persone senza diritti. Hanno persino suggerito che il Monte del Tempio venisse staccato dalla Gerusalemme sotto sovranità israeliana. E tutto quello che ne hanno ottenuto sono pietre, violenze e molotov.(Da: Jerusalem Post, blog “Green-Lined”, 25.2.12)
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