giovedì 29 marzo 2012

Il generale "di destra" che parla con Hamas

Il vero sconfitto delle primarie di Kadima è Netanyahu. Il premier israeliano tifava per Tzipi Livni, leader opaco ammirato in Occidente ma incapace di conquistare il cuore degli israeliani. Vincere contro di lei l’anno prossimo sarebbe stato agevole, battere l’incognita Mofaz sarà assai più arduo. A 63 anni Shaul Mofaz rappresenta oggi la novità più interessante nella politica dello stato ebraico. L’ex generale nato in Iran nel 1948, emigrato in Israele nel 1957, ha aspettato a lungo questo momento e oggi si gode la sua netta rivincita su Livni che lo aveva battuto alle primarie di quattro anni fa.Il tempo per festeggiare è poco, Mofaz è a metà del suo cammino: la vittoria odierna sarà vana se non seguirà quella alle prossime elezioni politiche. Lo attende una sfida piena di insidie perché eredita un partito all’opposizione e in caduta di consensi, anche se con il numero più alto di seggi alla Knesset. Ma ha un anno davanti a sé per cambiare lo scenario.
Il suo primo obiettivo è quello di evitare possibili scissioni interne. «Tzipi, il tuo posto è dentro Kadima. Se resteremo uniti riusciremo a mettere Israele sulla giusta rotta dopo tre anni di governo di Netanyahu», sono state le sue prime parole. Livni per ora tace, chiusa nel suo ufficio valuta la possibilità di ritirarsi dalla vita politica. Nel governo c’è invece fermento perché più di qualcuno lavora affinché la vittoria di Mofaz possa preludere a un ricompattamento a destra della coalizione di unità nazionale.Tra i più espliciti il ministro degli interni e leader del partito ortodosso sefardita Shas, Eli Yishai: «In un momento come questo l’unità è necessaria più che mai e l’esperienza di Mofaz può tornarci utile». Netanyahu non si è sbilanciato, per ora si è limitato a una telefonata di congratulazioni. A un anno dalla chiamata alle urne, è improbabile che Mofaz porti Kadima al governo, anche di fronte a offerte di poltrone ministeriali di peso.Mofaz è lungimirante e sa aspettare il suo momento. Come nel 2009, quando presentò il suo piano di pace per il Medio Oriente, definito allora dal quotidiano liberal Haaretz «il progetto più serio e più realizzabile elaborato da un dirigente israeliano negli ultimi anni». Mofaz fu incoraggiato dal presidente Peres ad andare avanti ma lui mise come condizione l’appoggio del governo, che chiaramente non arrivò. «Se Netanyahu non ne vuole discutere vorrà dire che sarò io ad attuarlo, quando sarò premier».Mofaz sente oggi questo traguardo più vicino, il suo progetto può finalmente uscire dal cassetto. Il piano prevede il trasferimento in massimo un anno del controllo del 60 per cento della Cisgiordania ai palestinesi e successivamente la negoziazione dello status di Gerusalemme e della questione dei rifugiati, anche con il coinvolgimento di Hamas, che all’epoca si disse interessato. Secondo i media di Tel Aviv il punto debole di Mofaz resta la sua immagine. Molti israeliani lo descrivono come un generale freddo, insensibile e di destra.Un identikit che non gli permetterà certo di guadagnare consensi nell’elettorato di centro-sinistra, disorientato dalla scelta dell’ex laburista Ehud Barak di entrare a far parte di un governo di unità nazionale sbilanciato a destra. La cosa non è sfuggita al suo staff che con successo ha incentrato la campagna elettorale sulle questioni sociali. Chissà se tra un anno funzionerà ancora la promessa di «un nuovo ordine sociale» che ristabilisca «la dignità dei lavoratori». Maurizio Debanne, http://www.europaquotidiano.it/

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