venerdì 23 marzo 2012


New York combatte la jihad fatta in casa spiando i musulmani


Agenti in borghese, microspie e informatori per sorvegliare migliaia di musulmani monitorando ogni potenziale terrorista in un’area geografica da Los Angeles a Miami: questa è la ricetta con cui la polizia di New York protegge la metropoli dal rischio di attentati compiuti da jihadisti americani, sfidando le leggi che impediscono di condurre indagini sulla base della fede.L’attentato compiuto a Tolosa dal franco-algerino Mohamed Merah ripropone in Europa la figura del jihadista occidentale che il 5 novembre 2009 scuote l’America con la strage di Fort Hood, quando 13 persone vengono uccise dal maggiore Nidal Malik Hasan, nato in Virginia da genitori palestinesi. Sono seguite dozzine di falliti attentati e conseguenti arresti, il più clamoroso dei quali riguarda Faisal Shahzad, il pachistano-americano che tenta di far esplodere un’autobomba a Times Square il 3 maggio 2010 per fare strage di bambini all’entrata del musical «Lion King».Si tratta di attentati pianificati e tentati sempre da musulmani residenti legali - o cittadini - e in gran parte hanno come obiettivo New York, per mettere a segno una strage tale da far dimenticare le oltre tremila vittime dell’11 settembre 2001. Najibullah Zazi, ex dipendente dell’aeroporto di Denver di origine afghana, è fra coloro che arrivano più vicino alla meta, grazie a due ex compagni di liceo di Queens con cui prepara attacchi suicidi multipli nella metropolitana di Manhattan.Se tali piani vengono sventati è perché dalla fine del 2001 il Dipartimento di polizia di New York, con il sostegno di alcuni veterani della Cia, ha creato una squadra segreta denominata «Demographics Unit» che sorveglia in maniera sistematica ogni comunità musulmana nell’area del Tristate New York, New Jersey e Connecticut - inviando propri agenti in operazioni simili in ogni possibile località da cui la minaccia può provenire, da Detroit a Minneapolis fino a Oakland. L’«Unità demografica» opera sulla base della constatazione che tutti i jihadisti americani finora individuati sono musulmani e dunque adopera ogni risorsa, umana o scientifica, per monitorare quanto avviene nelle comunità islamiche.Ciò significa impiegare agenti in borghese, spesso di origine araba, che vivano nei quartieri a maggioranza musulmana osservando negozi, moschee, centri culturali, palestre, Internet caffè e agenzie di viaggio per identificare possibili sospetti, così come avviene negli atenei nei confronti di studenti originari da Paesi «a rischio». Se un musulmano cambia nome per renderlo più anglosassone o, al contrario, per dargli un significato più islamico scatta un campanello d’allarme, come anche in caso di viaggi in Pakistan, Yemen, Algeria, Sudan o Somalia.La mole di informazioni raccolte, facendo riscorso alle più moderne tecniche di sorveglianza, confluisce in una banca dati di cui la polizia di New York non ammette l’esistenza ma che costituisce una risorsa capace di identificare in fretta ogni sospetto, inclusi i legami di amicizia e parentela. L’Unione americana per le libertà civili (Aclu) parla di «violazione dei diritti costituzionali dei cittadini americani» e il ministro della Giustizia, Eric Holder, si dice «turbato» dalle rivelazioni sull’esistenza dell’unità segreta ma il sindaco Michael Bloomberg ribatte che «la legge viene applicata per tutelare la sicurezza di tutti gli abitanti, musulmani inclusi». Dalla sua ha i sondaggi della Quinnipac University, secondo il quali l’82% dei residenti di New York è favorevole a tali metodi di indagine della polizia, ritenendoli «molto efficaci» per scongiurare il rischio di attentati. La battaglia legale si svolge sull’interpretazione di una sentenza del 2004 che proibisce alla polizia di iniziare indagini «considerando la religione di una persona il fattore determinante».L’Aclu ritiene che delegittimi l’esistenza stessa dell’unità segreta, mentre per la polizia è vero l’esatto opposto, in quanto la definizione di «fattore determinante» si presta a diverse letture giuridiche e finora nessun giudice l’ha mai impugnata per ostacolare la caccia ai potenziali jihadisti.Maurizio Molinari, La Stampa 22.03.2012

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