venerdì 1 febbraio 2013
La Memoria e i rapporti con
la Chiesa
Anche
quest’anno, come sempre negli ultimi tempi, sono stato invitato a
partecipare a un paio di incontri commemorativi in occasione del
Giorno della Memoria. A entrambe le manifestazioni, tra i vari
relatori, è stato invitato anche un ecclesiastico. Due persone serie
e preparate, che hanno espresso parole di sincera esecrazione per
quanto accaduto e di sentita vicinanza al popolo ebraico. In entrambe
le occasioni, però, il dibattito si è inceppato quando è stata
sfiorata la questione del ruolo svolto dal Vaticano durante quegli
anni, perché i due ecclesiastici, a differenza di alcuni degli altri
presenti, non solo rifiutavano di riconoscere la benché minima ombra
nell’operato di Pio XII, ma ne rappresentavano l’azione in
termini di totale eroismo e abnegazione, mostrandosi decisamente
offesi che qualcuno, per puro pregiudizio e malevolenza, osasse
mettere in discussione un dato di fatto tanto evidente e
incontestabile.Tale
situazione su ripete immancabilmente, come un copione fisso, e mette
decisamente a disagio. Altre volte, ci si trova a litigare tra
relatori che hanno idee diverse – a volte anche radicalmente
contrapposte – sull’oggetto della discussione (per esempio, sulla
questione mediorientale). Il dibattito può svolgersi civilmente o
può anche degenerare, ma ognuno si sente libero, in genere, di dire
la propria. In queste situazioni, invece, è diverso, giacché tutti
i relatori, per lo più, vorrebbero esprimere una comunanza di
intenti, un sentimento di unità e di comune impegno civile. Se il
dibattito non tocca un determinato argomento, questo sentimento
appare integro, e si ha l’idea che gli uomini di oggi siano davvero
schierati, in modo unitario, a difesa dei valori di umanità e
tolleranza. Se, invece, l’argomento tabù viene toccato, sia pure
in modo marginale, l’incantesimo si spezza.Che
fare, quindi? Parlarne o non parlarne? Meglio forse non toccare il
punto spinoso, per cementare questa unità di intenti, per sentirsi,
o apparire, uniti? O piuttosto affrontarlo in modo aperto, per
cercare di fugare ombre, equivoci, retropensieri? Nel primo caso, ci
si sente ipocriti, pavidi, falsi. Facciamo finta di andare d’accordo,
ma sappiamo che non è davvero così. Nel secondo, si appare
indelicati, divisivi, dal momento che si urta la sensibilità di
persone che vorrebbero esserti amiche, e che tu sembri invece volere
respingere, o mettere in difficoltà (oltre tutto, in modo gratuito e
inutile, poiché c’è l’assoluta certezza che, da quella parte,
non verrà mai la benché minima correzione di giudizio).Che
fare? Non so rispondere. So solo porgere un’altra domanda: la
Chiesa è un’istituzione umana (sia pure, per chi ci crede,
ispirata da Dio), fatta da uomini, calata nella storia? E quindi
soggetta anch’essa, come tutto ciò che è umano e storico, a
errore, debolezza, contraddizione? O è sempre, in ogni suo atto, a
qualsiasi livello, divina, perfetta, infallibile? E’ nel tempo, o
fuori dal tempo? Se è fuori dal tempo, fuori dalla storia, allora
analizzarne i comportamenti storici in un pubblico dibattito è del
tutto fuorviante e inopportuno, come lo sarebbe dibattere su una
verità di fede, con un credente che la difende e un non credente che
cerchi di smascherarne la falsità: sgradevole, intollerante,
offensivo. Se è nel tempo, nella storia, perché dovrebbe essere al
di sopra di qualsiasi umano giudizio? Può esistere, nella storia,
qualcosa di perfetto, assoluto, sovrumano, metastorico? Francesco
Lucrezi, storico.http://www.moked.it
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