venerdì 15 febbraio 2013


Prima Ayaan, ora Fiamma
Riguardo il cambiamento nutre sentimenti contrastanti. “Da giornalista, ti leggono. Ma in qualità di onorevole tutto ciò che devi dire è che sei adirata su una questione, e i giornalisti lo scriveranno. E hai la possibilità di scrivere una legge, farne parlare, acquisire consenso e farla varare. “Per molti versi, Fiamma è come l’ex parlamentare olandese Ayaan Hirsi Ali, non solo perché entrambe hanno utilizzato la loro posizione politica per discutere l’Islam con vigore e proteggerne le vittime, ma anche perché entrambe alla fine vanno dappertutto con la scorta armata e anche perché Fiamma, come Ayaan prima di lei, è un eroina europea di primo piano che ha stabilito che la migliore scelta è lasciare l’Europa. Camminando per le strade italiane, i passanti la salutano appellandola “onorevole”. “Tra qualche giorno, mi confidava la parlamentare Italiana Fiamma Nirenstein nel corso di una lunga, vivace e franca conversazione telefonica da Roma, “non sarò più onorevole”. La Nirenstein, deputata di spicco del Parlamento Italiano ha deciso di non ricandidarsi. Non solo, ha scelto di andare in Israele. E’ ebrea, fa l’aliyah. E lascia anche la politica per ritornare al giornalismo.Fiamma si è fatta avanti per gli ebrei, per gli omosessuali e i cristiani in medio oriente, per mettere Hezbollah nella lista delle organizzazioni terroriste. Tutto ciò esula dall’essere semplicemente un giornalista. Ma il giornalismo comunque la chiama. “Un giornalista resta sempre un giornalista, e devi tornare a farlo”.Ricorda la volta in cui ha incontrato una senatrice per strada che le ha presentato la figlia, dicendole “Lei è Fiamma, ci ha fatto l’onore di difendere Israele in Parlamento”. Effettivamente ha impiegato proficuamente il suo tempo in politica. La incontrai la prima volta nel 2007 durante una conferenza a Roma organizzata da lei sulle donne nel mondo islamico. Ci siamo rivisti due anni dopo, nella stessa città, per un’altra conferenza sulle donne. Più di recente, ha messo insieme un piccolo esercito di donne arabe per far saltare la copertura, una volta e per tutte, delle presunte aspirazioni di libertà della così detta Primavera Araba. Inoltre, per tre anni, ha diretto la commissione sull’antisemitismo in Italia, la cui relazione esplosiva è qui esposta.Ha sicuramente avuto dei dubbi. “Dovevo compiere una decisione: restare o andare? Se fossi potuta restare oltre, l’avrei fatto.” Ma ad un certo punto, ha voluto compiere l’aliyah. Che è un’altra questione: quando siedi in Parlamento, non vuoi dare adito ad accuse di doppia lealtà” – di avere a cuore maggiormente gli interessi di Israele rispetto a quelli italiani. Per lei non c’è nessun conflitto di interessi. Rimane devotamente legata all’Italia, che rappresenta la sua cultura, le sue radici. Ma capisce, a differenza di alcuni italiani, che venendo meno alla difesa di Israele, l’Italia è finita: “Finita, morta. Distrutta. Così vedo anche l’Europa.”Ammette però: “non ho sentito molto il sostegno della comunità italiana in tutte queste attività. Intendo dell’élite ebraica” si affretta ad aggiungere. Perchè quando ha annunciato di voler fare l’aliyah, “un’infinità di persone mi hanno scritto chiedendomi di restare. Ma l'élite non ha proferito parola. Francamente, penso che preferiscano che l’ebrea lasci la scena proprio come allora chi deteneva le fila della politica olandese è stato sollevato dall’uscita di scena di Ayaan. L’assenza di Fiamma, molto semplicemente, semplificherà le cose. Di sicuro non è stata una passeggiata per lei, gli attacchi personali sono aumentati. “Ricevo quotidianamente minacce.” Gli ebrei europei, sottolinea, devono capire che “vivono in un continente antisemita. Sta ritornando.” Tutto ciò la spinge a trasferirsi in Israele. Non per scappare – ma per combattere. Sì, “voglio essere psicologicamente e fisicamente protetta” da Israele. Ma vuole anche ad! operarsi nell’altro senso: “Voglio anch’io proteggere Israele. Voglio essere lì a difenderlo.” Ride per l’apparente assurdità, ossia che una “sessantenne” voglia difendere una paese. Ma d’altro canto sottolinea: “Ho ancora forze. Voglio contribuire. Israele è minacciato dall’Iran e da tutti i mussulmani estremi nel Medio Oriente. Ci sono molte ragioni per essere in Israele ora rispetto a qualche anno fa’. Israele è indubbiamente più direttamente e imminentemente minacciato rispetto all’Italia.E invece, per un portentoso e istruttivo paradosso, la vita è migliore per un ebreo in Israele che in Italia. “E’ un posto dove c’è una bellissima sensazione di comunità, patriottismo, felicità, e la vita vissuta in questa sicurezza è così bella. Vado ovviamente incontro ad una miriade di problemi trasferendomi.” Ma la “ricompensa”, dice, fa in modo che ne valga la pena. Il problema è che in Italia “mi sento sola. Ed è la cosa peggiore che possa accadere alla vita di una persona. Lì invece [in Israele], non sei mai sola. C'è un qualcosa che non esiste più in Europa, ne' in nessun altro posto – c'è un popolo che si batte per sopravvivere. Cerca di resistere. E ha una democrazia, un' economia, una scienza, una cultura incredibilmente vivaci.”Allo stesso tempo “Tutto ciò è molto misterioso. Il senso della vita, la democrazia, la modernità, la guerra. E' qualcosa su cui ho sempre riflettuto. L'aspetto principale è l'identità. Nessuno sa bene, al giorno d'oggi, chi è. Cos'è l'Europa oggi? Giorno per giorno si vedono scontri tra Germania e Francia, Italia e Germania – il disperato tentativo di creare un senso di comunità. Ma non funziona. In Israele alla domanda chi sei, hai la risposta. Sei qualcuno che cerca di sopravvivere portandosi sulle spalle l'enorme responsabilità di salvare una cultura millenaria che ha fondato tutti i propri valori di modernità, dai Dieci Comandamenti fino all'invenzione della democrazia. E tutto ciò è caricato sulle spalle di uno staterello, che se non ce la facesse a sopravvivere, tutto andrebbe perso.” Questa è la morale della favola. Fino a poco tempo fa', “non c'erano alberi, non c'erano coltivazioni, non c'erano edifici in cui si inventa l'alta tecnologia, non ! c'erano start-up. E ora c'è tutto questo.” Sì, è vero, gli israeliani lottano duramente tra loro. “Ma allo stesso tempo sono così vicini l'un l'altro, così aperti al prossimo,” che l'intera società diventa “un esercizio di democrazia.” L'attuale panorama politico, sicuramente, sembra esserne l'antitesi – ma, sostiene, non in verità. I partiti contrapposti e i candidati “hanno molto in comune. Sono vivi, moderni, gente arguta che pensa. Io vorrei vederli nello stesso governo. Vorrei vedere cosa sono capaci di fare insieme questi pazzi, così diversi ma allo stesso tempo così vicini l'un l'altro.”Ricordo la mia prima visita a Roma, quando cenavo con Fiamma ed un gruppo di suoi sostenitori ebrei, uno dei quali mi spiegava che lei era la fiamma della loro comunità. Cosa ne sarà di loro? Dovrebbero, chiedo, andare anche loro per direttissima in Israele? “Capisco quanto sia importante che la comunità ebraica resti in Europa,” dice. “Per vincere questa tremenda competizione con la storia. Ne convengo. Ciò su cui dissento è che loro non capiscano che la loro principale salvezza sia rappresentata da Israele. Senza Israele, saranno distrutti dalla storia.” Gli ebrei italiani, aggiunge, “sono meravigliosi,” ma devono imparare ad “essere di nuovo forti. Non siete soltanto la comunità degli ebrei italiani. Siete la comunità più antica in Europa. Fatevi avanti e dite chi siete.”A dire la verità, ci sono cose degli ebrei italiani che la fanno proprio arrabbiare. In questo momento, per esempio, i mezzi di comunicazione ebraici stanno attaccando violentemente un giovane politico, una fantastica donna, che osa appartenere al Popolo delle Libertà di centro destra, la quale, nonostante il suo strenuo sostegno a Israele viene da loro tacciata di non “rappresentare i veri valori ebraici”. (Ahimè, è ordinaria amministrazione di questi tempi per le comunità ebraiche in Europa, che vivono nel delirio che solo svendendo Israele saranno lasciati stare.) Fiamma è lapalissiana sulla sua ira sull'argomento. Troppi ebrei europei, ammette, sono pronti a denigrare Israele nell'illusione che ciò possa salvarli. E lei riconosce quest'illusione per quello che è. Se cade Israele, la prossima sarà l'Europa. Poi l'America del Nord.“La mia idea di andare in Israele, quindi, non è così originale,” dice. “In fin dei conti devi fare ciò che ritieni. Io sono sionista. Devi essere quello che sei.” Parecchie volte il Consiglio d'Europa ha rifiutato di fornirle copia di certe relazioni delicate per nessun altra ragione, sospetta, se non che è ebrea. “Molte cose simili mi infastidiscono. Non ho più voglia di continuare così. Mi infastidiscono profondamente.” Ammette che non si è mai “sentita integrata nella comunità ebraica italiana”: l'ha trovata così carica di ignoranza anche sui paesi arabi – i loro omicidi di tutti dai cristiani alle “bambine che vanno a scuola.” Per lei, ciò che differenzia Israele è l'essere un paese sincero. Quando deve far guerra, fa la guerra – e tale la definisce.” Non vuole vivere in un tipo di paese alla Obama, dominato dall'idea del politicamente corretto e dal principio “voglio essere brava, voglio persino superare le altrui aspettative.”! Quindi andrà in Israele. E scriverà. “In primis continuerò a scrivere. E il mio sogno è riuscire ad impiegare la mia esperienza e le mie forze, fin quando le avrò, perché inizio ad invecchiare – a servizio del paese che amo.” E per traslato, a servizio di noi tutti nel Occidente Libero. Come le avevo già augurato all'inizio della nostra conversazione: “Buona fortuna” e mazel tov.
Di Bruce Bawer, 13 febbraio 2013 – apparso sulla copertina del Daily Mailer

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