venerdì 16 aprile 2010


Singapore dreaming. Per Todd Solondz è il nuovo sogno Usa

In “Life During Wartime” (“Perdona e Dimentica”) quando Ciaràn Hinds afferma, “Il mondo là fuori può essere estremamente crudele”, Charlotte Rampling risponde: “Il vero nemico è dentro ognuno di noi”. Per lei la guerra è una metafora di qualcosa di più profondo come i conflitti interiori? Naturalmente ci sono le guerre che noi tutti conosciamo, come quella che va avanti da decenni in Medio Oriente o le guerre in Africa, alle quali il film fa indirettamente riferimento ma il film parla per delle guerre interpersonali. Undici anni dopo “Happiness”, sono cambiate tante cose nel mondo. Quali sono stati per lei gli eventi più significativi? Credo che lo spartiacque più importante tra Happiness e questo film sia stato indubbiamente l'11 settembre, mentre, se consideriamo una prospettiva più a lungo termine, la grande differenza è il molo che ha assunto Internet nelle nostre vite e la maniera in cui le sta riplasmando. Ma naturalmente il film parla della guerra. E per chiunque viva negli Usa, questa è una guerra molto particolare. Innanzitutto perché è la prima in cui non c'è più la leva obbligatoria. La maggior parte della gente non ha nessun coinvolgimento diretto. Io vivo a New York e non conosco nessuno che, a sua volta, conosca qualcuno che sia partito per la guerra. Ma c'è una cosa che non dimenticherò mai dell'11 settembre. A quell'epoca il sindaco era Rudolph Giuliani, e quando la gente smarrita si chiedeva cosa dovessimo fare, Giuliani disse: «Andate a fare shopping. Dovete continuare a spendere e a comprare» e lo disse senza alcuna ironia. Lei riesce sempre a rendere dignitosi personaggi dall'aspetto sgradevole e perfino le situazioni e i comportamenti più negativi. E questa la grande sfida. Naturalmente da un lato è molto triste quello che il figlio dice al padre, «Non ho nessuna simpatia per te», perché, considerato quello che ha fatto al figlio, nessuno potrebbe mai essere solidale con lui. Tuttavia, il ragazzo ama comunque il padre e, quindi in questo c'è dolore e c'è bellezza. E quindi la vera sfida è essere in grado di riconoscere che è vero che si tratta di un mostro ma che è anche vero che quel mostro ha un cuore che batte. La cosa buffa è che le storia dei miei film sono molto più leggere e morbide della vita vera. La vita vera è molto più dura perché nel mondo reale dominano la crudeltà, l'indifferenza. Per difenderci da tutto questo e andare avanti abbiamo una straordinaria arma di sopravvivenza, vale a dire la tendenza a non riconoscere o non accettare i nostri veri sentimenti, moventi, motivazioni. E questo ci permette di accettare tutti i nostri fallimenti, le nostre imperfezioni. Lei ha sempre raccontato storie che parlano della perdita dell'innocenza dei ragazzi. Crede che il mondo in cui viviamo oggi sia il più sicuro per crescere dei figli? Il luogo in cui cresci non ha alcuna importanza. Se hai undici anni, hai undici anni e non puoi farci niente. I bambini assorbono le cose e se ne impossessano in modi diversi. Spesso i genitori sono molto preoccupati del fatto che i ragazzini vengano esposti ad alcuni fatti, immagini o informazioni sul sesso o sulle cose brutte. Non sanno, invece, che i bambini sono dotati di sensori naturali che li proteggono. Ma se i genitori per eccesso di preoccupazione creano dei tabù allora questi creano angosce nei ragazzi, perché i bambini, per loro natura, sono innocenti. Il problema, spesso, sono i genitori. E lo stesso discorso che si fa con la morte. In America gli adulti dicono che i bambini non devono andare ai funerali e che non devono avere nessun contatto con la morte, come se la morte non fosse una cosa normale. Cosa pensa della pedofilia negli Stati Uniti? Non credo che in Europa la situazione sia molto diversa. Per me è la metafora di ciò che è più spregevole e detestabile. E una sorta di test per capire in che misura siamo in grado di riconoscere che anche i mostri sono degli esseri umani. La uso però per costringere a pensare, e comunque sempre in chiave metaforica. Ritengo anche che la pedofilia oggi non sia più diffusa di quanto non lo fosse un secolo fa. Diciamo che oggi se ne parla di più, o se ne parla in maniera diversa, e questa è una questione di cultura. Non possiamo negare che ci sia anche una certa isteria. Ultimamente ho notato una cosa assurda che qualche anno fa non esisteva. Spesso negli Usa all'ingresso dei parchi c'è un cartello che dice: «Nessun adulto può entrare se non è accompagnato da un bambino».Qual è il significato politico di "Life During Wartime"? Diciamo che questo mio ultimo film appare più apertamente politico proprio per via del titolo, ma i film sono delle esplorazioni, sono fatti di emozioni, impegno. Hanno delle qualità magiche e sono fatti da una combinazione di elementi. All'interno della stessa famiglia una delle sorelle è filo-israeliana, mentre l'altra è filo-palestinese. Per me questa è una cosa normale. Sul braccio Helen ha un tatuaggio; è buffo, perché pensavo che nessuno lo avrebbe capito che aveva a che fare con la Jihad. Mi piace giocare con i miei personaggi. In questo caso sono ebrei e parlando della guerra è chiaro che si parli anche di Israele. E che mi dice del suo rapporto con gli ebrei e con la religione? Innanzitutto voglio precisare che sono ateo. Sono un ebreo ateo e quindi è chiaro che conosco quel mondo, quell'ambiente, quella religione. Diciamo che non nascondo il mio essere ebreo, ma non lo sbandiero neanche. In questo contesto di crisi, com'è possibile riuscire ancora a creare qualcosa di originale? E tutto collegato: è al contempo una questione estetica e di budget. Questo film è ambientato in Florida, ma abbiamo dovuto ricreare la Florida a Toronto, Portorico e Minneapolis. Quando penso alla Florida penso a qualcosa di pulito, intatto, ben conservato, piatto. Ai colori, al verde, all'acqua, alla vegetazione lussureggiante, a cieli immensi, ai colori. Ma penso anche ai condomini e ai centri commerciali. L'anno passato sono stato a Singapore per lavoro e quando sono arrivato lì mi sono accorto che somigliava molto alla Florida. L'unica differenza è che a Singapore c'è la dittatura. Mi è piaciuta molto questa idea e mi sono chiesto: quanti americani sarebbero disposti a rinunciare alla libertà e alla democrazia se avessero la garanzia di poter vivere in condomini belli e dotati di aria condizionata come questi e di avere a disposizione centri commerciali pieni di ogni ben di Dio? Sono convinto che l'idea stessa della democrazia sia ormai un lusso per pochi privilegiati, mentre la massa di americani che lottano contro la crisi economica e la disoccupazione, non credo che si spaventerebbe per niente all'idea della dittatura in cambio della sicurezza. Anzi ci metterebbero la firma domani stesso! Brani tratti dall'intervista contenuta nel libro “Sgradevole è bello, Il mondo nel cinema d Todd Solondz”, edizioni Pendragon, pp. 149, euro 14.Diego Mondella, il Riformista, 14 aprile 2010

Nessun commento: