martedì 8 giugno 2010
Acco
Il futuro? Si gioca sui banchi di scuola Israele: come cambia la società
La locomotiva economica del Paese è frenata dal troppo assistenzialismo. Invece di essere investito in sviluppo, il denaro serve a mantenere le numerose famiglie di ortodossi dediti allo studio della Torà e gli arabi-israeliani disoccupati. E così i pochi che lavorano devono mantenere i tanti che non fanno nulla. Per quanto tempo ancora? Poco. Così Israele corre verso il baratro, almeno secondo il Rapporto Taub Da anni impegnato nella gestione della città più dinamica di Israele, il sindaco di Tel Aviv Ron Huldai (laburista) ha scatenato una tempesta politica quando ha sollecitato i settori laici di Israele a “ribellarsi’’ agli ebrei ortodossi -e al loro “peso” economico-, gli haredim che a suo parere rappresentano un fardello sempre più opprimente per la collettività. “Nella società israeliana - ha affermato Huldai - ci sono due lati: quello di quanti contribuiscono al suo sviluppo (e anche alla sua difesa militare) e quello di chi invece si limita a farsi mantenere. I cittadini israeliani e il governo devono aprire gli occhi - ha proseguito il sindaco-. Ci deve essere un risveglio, forse anche una ribellione, da parte della maggioranza silenziosa, in difesa della democrazia israeliana”. Persona pacata e schiva, Huldai si tiene in genere estraneo alla mischia politica. Ma le sue sofferte parole, pronunciate a maggio, hanno destato una reazione veemente da parte dei partiti confessionali. La sua sortita, hanno tuonato, è “impregnata di razzismo” e va dunque respinta con sdegno. All’origine dell’inquietudine del sindaco (e di molti opinionisti) vi è un ponderoso rapporto pubblicato dal Centro Taub di Studi Sociali in concomitanza con Yom Ha’azmaut, Giornata dell’Indipendenza, celebrata alla fine di aprile. Il Rapporto di 400 pagine avverte che in assenza di misure immediate, energiche, lungimiranti, il futuro dello Stato d’Israele appare molto incerto. Il pericolo da affrontare è tutto interno, non esterno. Riguarda due minoranze in crescita impetuosa: quella araba (20 per cento), e quella degli ebrei ortodossi (8-10 per cento). Per ragioni molto diverse, in entrambe le minoranze il tasso di impiego della forza lavoro è molto più basso della media dei Paesi occidentali con i quali Israele compete. Fra gli arabi israeliani adulti, quasi uno su tre non lavora. Fra gli ebrei ortodossi, ogni tre adulti due vivono di contributi statali senza lavorare. Di conseguenza la povertà diventa endemica. “Una situazione senza eguale nel mondo occidentale”, esclamano allarmati gli estensori del Rapporto Taub. La pur dinamica e moderna economia israeliana fatica a prendere quota perché il peso di questi strati sociali è sempre più consistente. La “locomotiva” delle industrie high-tech israeliane è invidiata al mondo: ma ogni anno deve trainare un numero crescente di “vagoni”, e perde colpi.Per ragioni disparate, fra gli arabi e fra gli ortodossi la qualità dell’educazione non è all’altezza degli standard occidentali. Inoltre nell’insieme delle quattro “correnti” del sistema educativo israeliano (quella “ufficiale”, quella “ufficial-religiosa”; la ortodossa e l’araba), il loro peso è destinato a crescere, per ragioni demografiche. Nel 2000 gli allievi arabi e ortodossi in Israele erano il 34 per cento della popolazione scolastica. Fra quattro anni saranno il 47 per cento. E fra 30 anni diventeranno il 78 per cento, secondo il Centro Taub.Nell’ambito arabo, denunciano questi ricercatori, le infrastrutture approntate dallo Stato sono carenti. Nel mondo ortodosso gli allievi sono indirizzati a studi talmudici e sono esentati da materie di carattere umanistico. In entrambi i casi, al termine degli studi è difficile trovare lavoro in Israele e ancora più arduo nel resto del mondo.“Se nel 2040 quegli allievi avranno lo stesso approccio dei loro genitori verso il mondo del lavoro, per lo Stato di Israele sarà molto difficile continuare a funzionare”, avverte il professor Dan Ben-David, uno dei curatori del Rapporto. Il livello medio di vita crollerebbe. Se invece già oggi gli adulti di quelle comunità saranno inseriti nel mondo del lavoro, c’è da ritenere che il loro tasso di crescita demografica calerà e che lo standard di vita salirà. La necessità urgente per il governo di investire in modo massiccio nel settore arabo viene avvertita da diversi dirigenti, in particolare dal capo dello Stato Shimon Peres. Ma alle parole finora non sono seguiti fatti. Per quanto riguarda il mondo degli haredim invece, occorre una rivoluzione copernicana: obbligare cioè i rabbini ad insegnare materie di importanza vitale come inglese, matematica, storia, geografia, educazione civica. Occorrerebbe, - secondo gli estensori del Rapporto Taub - una leadership politica capace di visualizzare con chiarezza le necessità del Paese nella prossima generazione e di imporsi ai partiti confessionali che spesso giocano un ruolo determinante negli equilibri della coalizione di governo. Il futuro dello Stato, secondo Ben-David, si gioca in questi anni, fra i banchi di scuola. Ma lo Stato continua a finanziare (al 55-75 per cento) anche quegli istituti scolastici ortodossi che per principio non insegnano - almeno agli allievi di sesso maschile - materie laiche. difendere il paeseIl livore dei laici israeliani verso gli ambienti ortodossi, spiega il quotidiano Maariv, deriva anche dal loro costante rifiuto di partecipare in forma attiva alla difesa del Paese. Un tasto a cui accennava anche il sindaco Huldai.Le cifre lasciano sbigottiti. Nel 1948, per volere del premier David Ben Gurion, furono esonerati dal servizio militare 400 geniali studenti di collegi rabbinici ritenuti di doti eccezionali nel loro campo. Il concetto, fu spiegato, era che potevano essere esentati, alla stregua dei giovani laici che eccellono nello sport o in campo artistico. Ma poi il meccanismo è andato fuori controllo. Nel 1960 le esenzioni furono 600. Nel 1977 gli imboscati salirono a 8.000. Poi, in rapida accelerazione, si passò a 24.000 (1994), a 30.000 (1999) per balzare a 60.000 nel 2010. Anche da qui l’esasperazione del sindaco Huldai e di crescenti ambienti laici secondo i quali non è più ammissibile che gli ortodossi garantiscano una “polizza di assicurazione” e scappatoia da qualsiasi conflitto a decine di migliaia di giovani perfettamente sani, li dispensino dal lavorare, li mandino a vivere in colonie in Cisgiordania (come Beitar Illit, Kiryat Sefer Emmanuel) e poi presentino il conto da pagare alla comunità laica, sempre più indebolita.Il Centro Taub, comunque, non entra assolutamente nella questione politica. Si limita ad osservare che il nemico immediato da sconfiggere è la povertà che dilaga fra arabi ed ortodossi, ed insiste affinché ai loro giovani siano assegnati oggi, anche controvoglia, gli strumenti migliori e più moderni per consentire il loro proficuo ingresso nel mondo del lavoro.Aldo Baquis, da Tel Aviv http://www.mosaico-cem.it/
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