lunedì 14 giugno 2010


Gerusalemme

Le armate pacifiste

Passata la stagione della guerra in Iraq, Israele e il blocco di Gaza sono diventati la causa principale dei sedicenti pacifisti in tutto il mondo. Era dalla presa di Baghdad che non si assisteva a una simile passione militante. Il blocco navale imposto da Israele al regime islamista di Hamas ha smosso attivisti di mezzo mondo. Si preparano altre navi. E con loro una strana armata di scrittori più o meno noti come il giallista svedese Henning Mankell, vescovi di ogni sorta, molti premi Nobel per la Pace, ex vicesegretari delle Nazioni Unite, parlamentari inglesi che furono sul libro paga di Saddam Hussein, modelle, studenti fuori corso, ex leader della guerriglia irlandese, sessantottini attempati alla ricerca di nuove cause, intellettuali israeliani passati dall’altra parte, medici che lavorano nelle organizzazioni umanitarie internazionali. Si dicono tutti “ispirati da chi soffre”. Come la ragazza americana che ha dato il nome all’ultima imbarcazione irlandese diretta a Gaza, Rachel Corrie, una giovane attivista politica piena di ideali venuta in Israele a lavorare per i palestinesi e che rimase uccisa da un bulldozer israeliano in manovra nella Striscia di Gaza. La “musa della flottiglia pacifista” si chiama Greta Berlin, è una donna d’affari americana di Los Angeles, settantenne pasionaria della causa filopalestinese. Ma è spesso famosa nelle cronache per i commenti della figlia Ava, nota per aver apostrofato contro i “fottuti ebrei”. Il padrino di quest’armata di cuori teneri è un altro americano, l’ex presidente Jimmy Carter, premio Nobel per la Pace e autore del libro di culto della nuova critica pacifista, “Palestine Peace, not Apartheid”, dove Carter ha lanciato nell’opinione pubblica l’analogia fra il modello razzista sudafricano e quello israeliano. Il Washington Post lo ha accusato di “flirtare con qualsiasi dittatore, quantunque odioso”. Come il tiranno Mengistu, come il maresciallo Tito (“uomo che crede nei diritti umani”, disse Carter), come il satrapo nordcoreano Kim Il Sung (“vigoroso e intelligente”). Attivista politica figlia di pacifisti inglesi, modella, attrice, columnist, presentatrice televisiva, ma soprattutto cognata dell’ex premier inglese Tony Blair. Lauren Booth è fra le principali anime del Free Gaza Movement. Già contestatrice contro la guerra in Iraq, poi diva del programma “I’m A Celebrity… Get Me Out of Here”, Lauren è il volto glamour del pacifismo internazionale. Ha veleggiato nel Mediterraneo per tentare di realizzare quello che suo cognato, da inviato del Quartetto per il medio oriente, non è riuscito a fare. Entrare nella Striscia di Gaza e portare solidarietà ad Hamas. Con la signora Booth verso Gaza c’era il vescovo che scandalizzò tanto Oriana Fallaci quando a Roma si fece fotografare accanto a pacifisti travestiti da kamikaze. Si tratta di Hilarion Capucci, 88 anni, barba bianca e volto levantino segnato dalle tante lotte pro Arafat. E’ lo stesso vescovo che nel 1974, poco dopo essere stato nominato massimo rappresentante della chiesa melchita (legata al rito latino) a Gerusalemme, venne catturato dalle truppe israeliane sul ponte di Allenby mentre stava trasportando sulla sua Mercedes armi e bombe per gli attivisti dell’Olp da usare contro i civili israeliani. Da vescovo, Capucci approfittava dell’immunità religioso-diplomatica per aiutare la lotta armata. Fu condannato a dodici anni di carcere. Tre anni dopo intervenne il Papa che ne ottenne la liberazione e l’estradizione a Roma, ma con la promessa che non avrebbe mai più dovuto occuparsi di medio oriente e men che meno di questione palestinese. Fu inutile. Capucci è sempre in fila assieme ai “pacifisti”. C’era anche lui sulla nave per Gaza. Non è il solo vescovo pro Hamas. Il sacerdote protestante Desmond Tutu è la dimostrazione che un premio Nobel per la Pace può arrivare ad avere molto in comune con una banda di assassini antisemiti. L’arcivescovo di Cape Town, che lottò contro l’apartheid in Sud Africa e che si ricorda per il ruolo che ebbe nella riconciliazione nazionale, oggi è una delle voci principali delle flottiglie su Gaza e delle campagne per il boicottaggio dello stato ebraico. Paragonando Israele “a Hitler e all’apartheid”, Tutu gira oggi il mondo per invitare governi e società civili a disinvestire dallo stato ebraico. Sono cristiani come padre Peter Dougherty, t-shirt, barba lunga e volto suadente, e suor Mary Ellen Gundeck, attivisti per la pace americani, che hanno protetto a Gaza la casa di Mohammed Baroud, il terrorista dei Comitati di resistenza popolare. “Siamo amici venuti a proteggere altri amici”, ha detto l’algido pastore. Nel frattempo i predicatori affiliati ad Hamas ingiungevano ai fedeli di “occupare” gli edifici sotto il tiro d’Israele: “Gli scudi umani sono la nostra migliore difesa”. Strani cristiani, equi e solidali, sordi e ciechi ai rapporti diffusi sull’islamizzazione delle terre palestinesi e l’esodo della comunità cristiana. Impossibile nominarli tutti questi “cristiani per la pace” che a Gaza si battono assieme al quarto primo ministro della Malesia, Mahathir Mohamad, ben più noto per aver detto che “gli ebrei governano il mondo per procura, fanno sì che gli altri combattano e muoiano per loro”. Fra le truppe pacifiste ci sono anche intellettuali ebrei di sinistra. Come l’86enne Edith Epstein, orfana di genitori scomparsi nell’Olocausto che da un trentennio si batte per la difesa dei diritti umani nel mondo. Come Jeff Halper, che oggi si dice “totalmente palestinese”, urbanista e antropologo presso l’Università Ben Gurion nel Negev. Come Amira Hass, una storica firma di Haaretz, il quotidiano dell’ipersinistra israeliana, che dal 1993 vive pienamente e da sola con i palestinesi, prima a Gaza, al sud, e poi a Ramallah, nel West Bank. C’era andata per lavorare con un’organizzazione israeliana che rappresenta i lavoratori dei territori occupati contro i datori di lavoro israeliani. Hass è diventata nell’opinione pubblica israeliana la maggiore avvocatessa della causa palestinese, ama Gaza forse perché le sembra un po’ come il villaggio dell’est europeo dei suoi genitori, ex religiosi sopravvissuti all’Olocausto. Si battono per la liberazione e la santificazione di Mordechai Vanunu, che si ricorda nel 1986, a Roma, mentre mostrava il palmo della mano, su cui aveva scritto in inglese: “Sono stato rapito”. Diceva al mondo che gli agenti del Mossad lo stavano portando via dalla stanza di albergo dove era finito in compagnia di una bionda che lo aveva concupito e poi tradito, perché a sua volta lui aveva tradito il suo paese e rivelato al mondo il segreto delle testate nucleari nascoste nel deserto del Negev. Quella mano fece il giro del mondo e si trasformò nel simbolo delle lotte “No nukes”, la versione anni Ottanta del pacifismo universale. Vanunu è stato persino candidato al Nobel per la Pace nel 2000. Tanti i firmatari di appelli, pacifisti di penna che si limitano a sottoscrivere manifesti pro Hamas o contro Israele, ma che non sono mai saliti su una nave per Gaza. Tra loro, il regista britannico di tante lotte neomarxiste come Ken Loach, lo scrittore inglese Tariq Ali, il famoso partigiano francese Raymond Aubrac, la mamma pacifista Cindy Sheehan, e ancora musicisti come l’irlandese Raymond Deane o l’argentino Miguel Angel Estrella, registi come Costa Gavras e Mike Leigh, e ancora il Nobel argentino Adolfo Pérez Esquivel, noto per le denunce contro la dittatura militare argentina. E sempre tra i premi Nobel, l’americana Jody Williams e l’irlandese Betty Williams. Fitta è la compagine irlandese e un ruolo decisivo nei convogli pacifisti lo ha svolto lo Sinn Fein, il maggior movimento indipendentista irlandese, braccio politico dell’Ira, formazione cattolica guidato da Gerry Adams, che ha definito Gaza una “prigione a cielo aperto” e che ha spesso incontrato i capi di Hamas. Vecchia storia quella dei “feniani” antisraeliani. Il fondatore dello Sinn Fein, Arthur Griffith, lo si ricorda spesso per le intemerate antisemite, così come Sean Russell, a capo dell’Ira durante la Seconda guerra mondiale, è stato sepolto con una svastica al petto. Lo Sinn Fein è noto per aver appena chiesto al governo irlandese di espellere l’ambasciatore israeliano Zion Evrony. Sulla nave della discordia diretta a Gaza c’era anche un parlamentare irlande irlandese, Aengus Ó Snodaigh, che si ricorda per aver paragonato Israele alla Germania nazista di Goebbels. C’era anche un altro irlandese, Denis Halliday, che è stato vicesegretario generale dell’Onu nel periodo 1994-98. Fra i premi Nobel pro Hamas, chi non si perde mai una barca diretta a Gaza è un’altra icona pacifista, Corrigan Maguire, viene da una famiglia cattolica di Belfast e decise di dedicarsi alla pace nel suo paese dopo che i tre figli della sorella furono investiti e uccisi da un’auto senza controllo alla guida della quale era un membro della resistenza dell’Esercito repubblicano irlandese colpito poco prima a morte da un soldato inglese. In seguito a quel fatto, la sorella morì suicida, lei fondò con Betty Williams il movimento “Donne per la pace” attraverso il quale si impegnò per mettere fine alle violenze nell’Irlanda del nord. Maguire è nota per aver paragonato l’arsenale atomico d’Israele a una “camera a gas”. Fra gli irlandesi un posto speciale spetta al poeta Tom Paulin, ora a Oxford ma che ha dovuto lasciare la cattedra alla Columbia University per le dichiarazioni rilasciate al settimanale egiziano Al-Ahram, nelle quali affermava a proposito degli “ebrei di Brooklyn”: “Penso che dovrebbero essere accoppati. Sono dei nazisti e dei razzisti. Non provo altro che odio per loro”. Chi si è rifatto una verginità col nuovo pacifismo è il politico britannico che fu sul libro paga di Saddam Hussein, George Galloway, che persino il governo del Cairo ha definito “persona non grata” cacciandolo alla frontiera con Gaza. Va da sé che Hamas lo consideri un “eroe”. E’ lo stesso Galloway che al rais iracheno disse “noi siamo con lei fino alla vittoria, fino a Gerusalemme” e che aveva definito “resistenti” i terroristi iracheni di al Qaida. Fra gli scrittori capofila del pacifismo antisraeliano troviamo l’autore del famoso libro “Il mondo di Sofia”, lo scrittore eroe nazionale norvegese Jostein Gaarder, tradotto in oltre quaranta lingue. Gaarder ha scritto che “nello stato ebraico c’è chi non disdegnerebbe una soluzione finale del problema palestinese”. E ancora: “Da parecchio non riconosciamo lo stato di Israele. Non crediamo all’idea del popolo eletto”. Contro di lui si è scagliata un’altra pacifista Mona Levin, ebrea norvegese laica e contraria alla politica israeliana: “Quello di Gaarder è lo scritto più osceno che abbia incontrato dal Mein Kampf”. Il giornale progressista Haaretz scrisse indignato: “Per Gaarder Israele ha perso il diritto di esistere. Ne profetizza la fine”. Irlandesi e inglesi sono le “Donne per la pace”, la celebre organizzazione pacifista che ha riempito le strade europee fin dagli anni più bui della guerra in Iraq e che adesso ha trovato nell’azienda di cosmetici israeliani Ahava il nuovo nemico ideologico. Da oltre un anno decine di queste donne in bikini, appartenenti all’associazione pacifista Code Pink, hanno manifestato dentro e davanti ai negozi di cosmetici che vendono prodotti Ahava, etichettati “Israele” e realizzati in un piccolo insediamento ebraico. Queste donne si cospargono di fango, con cui scrivono “Ahava is a dirty business” (Ahava è uno sporco affare). La vittima più famosa dell’inquisizione pacifista contro Ahava è stata propria una pacifista dal cuore tenero, l’attrice di “Sex and the City” Kristin Davis. L’organizzazione umanitaria Oxfam, per la quale da anni la Davis è “ambasciatrice globale” e che boicotta e combatte le politiche d’Israele, ha deciso di smettere di usarla come sponsor dopo che l’attrice aveva deciso di fare pubblicità alla stessa azienda israeliana dei cosmetici. Paradossi e tranelli del moralismo pacifista.Il Foglio 12.6.2010,- Giulio Meotti

Nessun commento: