lunedì 14 giugno 2010
Università di Sde Boker
Abu Mazen da Obama: un viaggio inutile
«Le speranze per una soluzione della crisi in Medio Oriente basata sui due Stati stanno svanendo». E’ il presidente dell’Autorità nazionale palestinese Abu Mazen ad alzare il velo su quanto sta maturando sul terreno in Medio Oriente, a dispetto degli sforzi diplomatici. L’occasione è una tavola rotonda alla Brookings Institution di Washington, il centro studi più vicino alla politica estera dell’amministrazione, all’indomani dell’incontro con Barack Obama nello Studio Ovale. Se nelle dichiarazioni fatte alla Casa Bianca Abu Mazen era rimastro nel quadro negoziale basato sugli accordi di Oslo del 1993, l’ambiente informale gli consente di parlare con maggiore libertà e dunque porta il ragionamento in ben altre direzione: «Il concetto della nascita di uno Stato palestinese a fianco di Israele in pace e sicurezza temo si stia iniziando ad erodere» e «il mondo incomincia a dubitare della possibilità di raggiungere questa soluzione». Nei mesi passati era stato il governo israeliano a far trapelare dubbi sulla fattibilità del progetto dei due Stati attorno al quale Bill Clinton siglò nel giardino delle rose della Casa Bianca l’intesa fra Yizhak Rabin e Yasser Arafat il 13 settembre 1993 ma ora è Abu Mazen che dice: «Da un po’ di tempo ascoltiamo slogan nella Cisgiordania che invocano la soluzione di “Un solo Stato” anche se né noi, né gli israeliani non la vogliamo». Alla base di queste «opinioni sempre più diffuse - ha spiegato - ci sono le difficoltà di raggiungere intese con Israele sulle due questioni iniziali, confini e sicurezza» senza contare che sullo sfondo restano le «significative divergenze» sullo status di Gerusalemme, il ritorno dei rifugiati palestinesi del 1948 e la suddivisione delle risorse naturali, a cominciare dell’acqua. «Ne abbiamo parlato a lungo anche con Ehud Olmert quando era premier senza riuscire ad accordarci e poi il governo di Kadima è caduto» ha sottolineato, facendo trapelare un evidente scetticismo. L’intervento di Abu Mazen ha colto di sorpresa molti dei presenti - incluso Martin Indyk, ex ambasciatore Usa in Israele ascoltato consigliere del presidente Obama - che si aspettavano un discorso incentrato sull’agenda dei «negoziati indiretti» con Israele e sulla possibilità che Washington presenti in autunno un proprio piano di pace. «Le speranze di arrivare ad una conclusione del conflitto sulla base della soluzione dei due Stati stanno svanendo» ha invece continuato a insistere il successore di Arafat, definendo la situazione «estremamente difficile» perché «è impossibile non ascoltare la voce di chi ritiene che questa strada non sia più percorribile». Senza contare che un altro fronte di instabilità è la situazione a Gaza dove «i leader di Hamas sotto l’influenza dell’Iran esercitano una sorta di veto su ogni possibile riconciliazione politica auspicata dai capi di Hamas che vivono invece dentro la Striscia». Mostrandosi preoccupato per le tensioni fra palestinesi, Abu Mazen si è soffermato anche su un altro aspetto del problema: «E’ vero che dentro Fatah ci sono persone contrarie all’operato del primo ministro Salam Fayad, del quale Hamas non vuole neanche sentir pronunciare il nome ma a me tutto ciò non interessa e continuo ad avere completa fiducia». La franchezza dell’esposizione dei problemi solleva ora l’interrogativo su quali potranno essere le prossime mosse della Casa Bianca.Maurizio Molinari, La Stampa 12 giugno 2010
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