martedì 15 giugno 2010


Monti: Israele è un luogo dell’anima

Io, direttore di giornale, Israele, gli ebrei d’Italia
La rinascita del pregiudizio antisemita. La storia ebraica recente. La difesa di Erez Israel. Versatile e poliedrico, parla Andrea Monti, direttore de La Gazzetta dello Sport, il quotidiano più venduto d’Italia È stato uno degli enfant prodige del giornalismo italiano. Direttore di Panorama a soli 35 anni (1990-1996) e poi di Sette, il settimanale del Corriere della Sera (1999), fondatore della versione italiana del mensile Usa GQ, conduttore del format televisivo Sfera, direttore del settimanale Oggi, Monti ha preso -da febbraio-, la direzione del quotidiano più venduto d’Italia, La Gazzetta dello Sport. Giornalista eclettico, tenace innamorato di tutte le forme di giornalismo -dalla cronaca alla politica internazionale, dal costume allo sport-, e dell’informazione in tutti i suoi aspetti -cartacei, web, televisivi-, quella di Monti è sempre stata una professionalità a 360 gradi, elegantemente versatile e sfaccettata. Monti, secondo te i giornali e i media italiani dedicano sufficiente spazio al Medioriente?Direi di no. I nostri media, con l’eccezione di alcuni grandi giornali, preferiscono abitualmente occuparsi dell’ombelico di Berlusconi o di D’Alema piuttosto che dell’ombelico del mondo e considerano la globalità come un problema che non li riguarda. Inoltre, c’è un errore di approccio: rappresentano il più delle volte il Medioriente come un problema, col risultato che questi non viene mai raccontato nella sua complessità vitale, con cronache, storie, inchieste… Così accade che la vita e la realtà di Israele sfugga ai lettori italiani, che non ne sanno mai veramente nulla.Perché in Italia i giornalisti sono spesso faziosi quando affrontano temi mediorientali?Se sei un giornalista serio non puoi essere fazioso. Se davvero guardi in faccia la gente e ne racconti la storia, non puoi essere fazioso. Credo che, come accade in economia dove è la moneta buona che scaccia la cattiva, anche nel giornalismo la buona informazione scaccia la cattiva. Il segreto vincente è la nostra capacità di raccontare storie e di fare buona informazione.Esiste in Italia oggi un pregiudizio antisemita o antisionista?Il pregiudizio è sempre presente ma è a bassa tensione. La cosa più stupefacente è che gli italiani sono tutt’oggi convinti di essere delle anime belle. Recitando il mantra “italiani brava gente”, abbiamo sempre minimizzato le nostre nefandezze del passato con cui, a differenza dei tedeschi, noi NON abbiano mai fatto i conti. Penso al capitolo infame del colonialismo italiano, alla barbarie delle azioni compiute dal generale Graziani in Africa negli anni Trenta, le impiccagioni, il gas nervino lanciato dagli aerei sui tukul, primo esempio nella storia dell’umanità di uso di armi chimiche sui civili inermi, penso alle Leggi Razziali, all’odio razzista dell’uomo Mussolini, penso al fatto che in nessun libro di storia compare mai un accenno alla Risiera di San Sabba, lager italiano dove si uccideva come a Treblinka o Auschwitz… La verità è che gli italiani hanno praticato una colossale rimozione e non hanno mai fatto veramente i conti con la loro storia recente e questo li getta oggi, ad occhi chiusi, tra le braccia del nuovo razzismo. Credi esistano due pesi e due misure circa Israele e i palestinesi?Rispetto agli anni Ottanta le cose sono molto migliorate. Noto comunque un deficit di informazione: spesso la gente non capisce perché Israele reagisca in modo brutale, come si viva davvero lì; e ci si dimentica dei razzi su Sderot, dei kamikaze e del pericolo costante. Inoltre Israele viene raccontato poco e male dai media italiani. Al contrario, sulla stampa francese, inglese o tedesca c’è meno superficialità. E poi qui da noi nessuno conosce i suoi nemici, Hamas, Hezbollah, e la loro realtà complessa. Vecchio antisemitismo uguale nuovo antisionismo?Diciamo che esiste ancora un antisemitismo da strada, quello di chi considera un ebreo come qualcuno di NON italiano, un po’ come Balotelli che, dicono gli ignoranti, se è nero non può essere italiano. Una forma di razzismo che mi fa star male? Quando vedo i ragazzotti al Centro Commerciale prendere in giro un amico del gruppo dicendogli di “non fare l’ebreo, non fare il rabbino”. Non sei preoccupato del crescente razzismo in Italia?Certo, mi fa orrore il razzismo quotidiano, quello sui bus, nei mercati, per strada. Ma credo che l’antisemitismo sia la forma peggiore e più estrema di razzismo. È odio allo stato puro. Gratuito, fantasmatico. Oggi emergono forme striscianti ma evidenti del vecchio odio antisemita e ahimè le istituzioni spesso minimizzano, non fanno nulla. La verità è che viene tollerato. Ecco perché dobbiamo difendere ogni forma di memoria, unico deterrente al razzismo. Il Giorno della Memoria è stato una conquista. Il razzismo non dimentichiamolo, c’è e esisterà sempre, è come la benzina in un deposito: quello che è pericoloso è l’innesco, colui che l’accenderà per far scoppiare l’incendio. Sei mai stato in Israele?Ci sono andato e ho amici italkim che vivono lì. Quella terra sprigiona un magnetismo straordinario. Produce uno strano effetto, migliora il carattere di chi ci va: è un paese che rende le persone più vere, più autentiche, forse perché la minaccia di morte è sempre così vicina e onnipresente. Impari a vivere in maniera meno agiata, a contatto coi problemi veri: la mancanza d’acqua, la sicurezza, l’agricoltura, il rendere fertile la sabbia desalinizzando l’acqua per irrigare. È tutto il ciclo della vita che è più forte. Guerra e pace le guardi in faccia e l’egoismo sociale, che è la tara dell’Occidente, in Israele non te lo puoi permettere. Non c’è vita comoda e questo ti mette a contatto con la pelle nuda dell’esistenza. Israele è un luogo dell’anima, è la linea del Piave. Noi italiani non abbiamo nessun luogo che difenderemmo con la vita. Israele è anche un Paese-laboratorio straordinario, un Paese sotto stress che fa lo sforzo di conservare a tutti i costi la propria democrazia. Per chi ha cultura storica, questo dato è affascinante, tanto più che non sono molti i Paesi che sono stati capaci di avere tenuta sui principi di libertà. Guardiamo oggi: quante sono le democrazie in pericolo? Tante. Questa capacità di “tenere” fa di Israele un unicum. Ci vuole molta spina dorsale. Sì, io credo che per un certo periodo potrei anche viverci, sento che mi potrebbe cambiare.Tuo figlio è ebreo...Sì, perché lo è sua madre. Ma io stesso ho ascendenze ebraiche nella mia famiglia. Ciò che mi sbalordisce e che ammiro è la capacità di durare dell’ebraismo, di sopravvivere sul ceppo dei suoi stessi valori fondanti, malgrado il male ricevuto, lo sfruttamento. Dopo la Guerra dei Sei Giorni i giovani cominciarono ad andare in giro con la kefiah. Io ero furibondo e circolavo sull’autobus 60 con la benda nera alla Moshe Dayan sull’occhio: rischiai di essere picchiato. Quello che mio indignò allora è che la gente iniziava a considerare i palestinesi oppressi e Israele oppressore. Sentii al volo che era il vecchio antisemitismo che rispuntava.Tu sei molto attratto dalle religioni orientali e nel contempo dall’ebraismo...La religione ebraica è un percorso spirituale ricchissimo che porta a enfatizzare la responsabilità individuale e che assegna alla volontà del singolo un potere immenso, ivi compreso un incoercibile diritto dell’uomo a sbagliare e a capire dai propri errori. Ciò che conta nell’ebraismo è l’Uomo. Penso a Primo Levi: morto suicida ma sepolto in un cimitero ebraico pur essendo in grave peccato. Insomma nell’ebraismo il peso del libero arbitrio è molto ampio. Inoltre non c’è ebreo che non rifletta almeno una volta nella vita sulla propria dimensione religiosa e spirituale. Sarà forse per il Bar Mitzvà, per il fatto che sei costretto a studiare e a recitare davanti a tutti, in Tempio, ciò che hai imparato... Personalmente confesso che quando mio figlio è salito al Sefer per il Bar Mitzvà io ero commosso e emozionato come mai nella mia vita.Cosa pensi dell’attuale politica israeliana?Ho sempre considerato le sue azioni frutto della necessità, anche quando sono stati commessi errori. In fondo sono azioni di un Paese democratico che difende il proprio diritto di esistere. Ho sempre cercato di capire le ragioni di Israele anche quando erano impopolari, come nel caso della guerra a Gaza. Penso, per esempio, che l’ultima campagna in Libano fosse giustificata: Israele non cercava territori ma un cuscinetto di protezione. Penso che Israele sia una sentinella di democrazia, non la spina che produce l’infezione, come dicono gli arabi. Israele è un banco di prova della Storia dei prossimi mille anni. Un paese costruito dagli scampati della Storia ha con la Storia un conto aperto, un credito da incassare. Una cosa resta amara: che è agli ebrei e agli israeliani che tocca sempre la prova più dura. Aspirare alla pace e dover essere sempre pronti a battersi per conquistarla.Fiona Diwan http://www.mosaico-cem.it/

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