martedì 6 marzo 2012


Hatikwa e fedeltà alla nazione

“Un traditore della patria che dovrebbe dimettersi”, per alcuni. “Una persona onesta che ha evitato comportamenti ipocriti”, per altri. Stanno facendo molto discutere, in Israele e nel mondo, le immagini della cerimonia che ha fatto da sfondo al commiato del presidente della Corte suprema israeliana Dorit Beinisch, che dopo cinque anni e mezzo di servizio, giunta in età da pensione, ha da poche ore lasciato il prestigioso incarico al collega Asher Don Grunis. La Beinisch ha appena terminato un intenso e commovente discorso in cui, tra le lacrime, si è soffermata sulle tragiche vicende dei nonni uccisi nei campi di sterminio nazisti. Il momento è solenne; la tensione emotiva, come comprensibile, fortissima. Al termine dell'intervento partono le note dell'Hatikwa, l'inno dello Stato di Israele. I quindici giudici della Corte sono impettiti cantano con partecipazione. Tutti, tranne uno: Salim Joubran, l'unico membro arabo del collegio. L'unico a restare in composto silenzio.Ed è subito putiferio. A scatenarlo in particolare gli uomini del partito governativo Yisrael Beitenu secondo cui l'uomo, con il suo comportamento, avrebbe offeso la coscienza e le istituzioni di Israele. “Chi trova discutibili le parole del nostro inno può tranquillamente andarsene in un altro paese con un inno che più lo aggrada” dice il deputato David Rotem, tra i più accesi. All'interno dello schieramento ci sono posizioni anche meno aspre, ma il succo resta questo: Joubran ha sbagliato ed è il caso che faccia un passo indietro rassegnando le dimissioni. Torna così con insistenza nel dibattito pubblico il tema della “fedeltà alla nazione”, tema più volte sollevato da Yisrael Beitenu ma questa volta declinato lungo tonalità diverse. Quelle dell'Hatikwa, appunto, il canto di speranza del popolo ebraico ideato nel 1878 da Naphtali Herz Imber. “Finché dentro il cuore l'anima ebraica anela e verso l'oriente lontano un occhio guarda a Sion – recitano le due strofe dell'Hatikwa – non è ancora persa la nostra speranza due volte millenaria, di essere un popolo libero nella nostra terra, la terra di Sion e Gerusalemme”. Molti, in Israele si sono domandati cosa abbia bloccato Joubran. Se il suo atteggiamento, da non ebreo, meriti comprensione e un ragionamento più approfondito. A intervenire tra gli altri l'autorevole quotidiano Haaretz con un editoriale che ha alimentato ulteriormente il dibattito e le polemiche. “È tempo – si legge nel pezzo – che in Israele si lavori a una modifica delle parole dell'inno nazionale affinché tutti gli israeliani possano sentirsi coinvolti quando questo viene eseguito. Le parole attuali dell'Hatikwa furono scritte come espressione esclusiva dei sentimenti del popolo ebraico. Nessun cittadino arabo che ha rispetto di se stesso e della propria storia, può quindi cantarle senza commettere un peccato di ipocrisia e falsità”. Quasi pleonastico aggiungere come questo intervento sia stato accolto con sarcasmo dagli ambienti più nazionalistici dell'arena politica.Esiste però anche una terza via: quella di chi non vede ragione per cui si debba procedere a una revisione dell'inno e rispetta allo stesso tempo la decisione di Joubran. È la posizione ad esempio di Elyakim Rubinstein, giudice della Corte suprema di area conservatrice, che a proposito del 'casus belli' dice: “Non possiamo pretendere che i cittadini arabi cantino l'Hatikwa visto che non parla ai loro cuori e non rispecchia le loro radici. Se qualcuno poi vuole farlo è il benvenuto, ma questo non deve essere in alcun modo un obbligo”.Adam Smulevich http://www.moked.it

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