Camminando la scorsa settimana per Firenze, sono entrato in Santa Felicita, uno dei tanti tesori sconosciuti della città. E' un interessante guazzabuglio di diverse epoche, con un affresco fondamentale di Pontormo, resti di età romana, paleocristiana, gotica e poi un curioso dipinto dal titolo “Santa Felicita e il martirio dei Maccabei” datato 1863. L'opera è di per sé abbastanza interessante, frutto dell'influenza di Jean-Auguste Ingres (1780-1867), con la luce intensa che emana dal centro della tela, e del tardo rinascimento italiano, con forme monumentali e precise quasi michelangiolesche; del resto l'autore è Antonio Ciseri, vissuto a metà fra Firenze e la Svizzera e molto noto ai suoi tempi. Ma quel che più interessa è il soggetto del quadro. La chiesa cattolica, già nei suoi primi secoli in Europa, aveva fatto propria la storia dei Maccabei, che aveva nominato santi (con ricorrenza l'1 Agosto) come simboli della lotta contro l'idolatria. Ma, già nel IV secolo e.v., si diffuse anche il culto di Felicita, nobildonna romana uccisa dall'imperatore Antonino Pio (II secolo e.v.) insieme ai suoi sette figli, per essersi dichiarata cristiana. Molto presto le due storie incredibilmente si mischiano. I figli di Felicita, prima assorbono i caratteri dei Maccabei, come simbolo della lotta anti-pagana, poi addirittura li sostituiscono (come se i Maccabei fossero stati uccisi da Antonino Pio – e così sembra nel quadro), e finiscono in secondo piano rispetto a Felicita, che è cristiana. Siamo difronte a un racconto tipico di vetero-cattolicesimo, che rilegge l'ebraismo, si appropria di quel che gli pare meglio, e lo mette comunque ai margini. Ma il dipinto di Firenze è de 1863, dopo l'apertura dei ghetti, ed è stato realizzato dopo una gestazione di quasi 10 anni; il Ciseri, poi, era un signore che frequentava i salotti della nobità e buona borghesia del tempo, non uno zotico qualsiasi. Possibile che non si sia reso conto del falso storico? Che i suoi amici di salotto non l'avessero avvertito? Mi pare, invece, che quel dipinto dimostri il persistente antisemitismo di parte della buona borghesia italiana dell'Ottocento, poco soddisfatta dell'apertura dei ghetti. Ciseri stesso, era retrogrado anche come artista perché si oppose alle nuove correnti artistiche, come l'impressionismo, tanto da smettere di dipingere. L'arte è una chiave fondamentale per capire lo sviluppo dei movimenti e delle idee, anche quelle che ci piacciono meno.Daniele Liberanome, critico d'arte, http://www.moked.it/
martedì 6 marzo 2012
Lo sguardo della borghesia antisemita
Camminando la scorsa settimana per Firenze, sono entrato in Santa Felicita, uno dei tanti tesori sconosciuti della città. E' un interessante guazzabuglio di diverse epoche, con un affresco fondamentale di Pontormo, resti di età romana, paleocristiana, gotica e poi un curioso dipinto dal titolo “Santa Felicita e il martirio dei Maccabei” datato 1863. L'opera è di per sé abbastanza interessante, frutto dell'influenza di Jean-Auguste Ingres (1780-1867), con la luce intensa che emana dal centro della tela, e del tardo rinascimento italiano, con forme monumentali e precise quasi michelangiolesche; del resto l'autore è Antonio Ciseri, vissuto a metà fra Firenze e la Svizzera e molto noto ai suoi tempi. Ma quel che più interessa è il soggetto del quadro. La chiesa cattolica, già nei suoi primi secoli in Europa, aveva fatto propria la storia dei Maccabei, che aveva nominato santi (con ricorrenza l'1 Agosto) come simboli della lotta contro l'idolatria. Ma, già nel IV secolo e.v., si diffuse anche il culto di Felicita, nobildonna romana uccisa dall'imperatore Antonino Pio (II secolo e.v.) insieme ai suoi sette figli, per essersi dichiarata cristiana. Molto presto le due storie incredibilmente si mischiano. I figli di Felicita, prima assorbono i caratteri dei Maccabei, come simbolo della lotta anti-pagana, poi addirittura li sostituiscono (come se i Maccabei fossero stati uccisi da Antonino Pio – e così sembra nel quadro), e finiscono in secondo piano rispetto a Felicita, che è cristiana. Siamo difronte a un racconto tipico di vetero-cattolicesimo, che rilegge l'ebraismo, si appropria di quel che gli pare meglio, e lo mette comunque ai margini. Ma il dipinto di Firenze è de 1863, dopo l'apertura dei ghetti, ed è stato realizzato dopo una gestazione di quasi 10 anni; il Ciseri, poi, era un signore che frequentava i salotti della nobità e buona borghesia del tempo, non uno zotico qualsiasi. Possibile che non si sia reso conto del falso storico? Che i suoi amici di salotto non l'avessero avvertito? Mi pare, invece, che quel dipinto dimostri il persistente antisemitismo di parte della buona borghesia italiana dell'Ottocento, poco soddisfatta dell'apertura dei ghetti. Ciseri stesso, era retrogrado anche come artista perché si oppose alle nuove correnti artistiche, come l'impressionismo, tanto da smettere di dipingere. L'arte è una chiave fondamentale per capire lo sviluppo dei movimenti e delle idee, anche quelle che ci piacciono meno.Daniele Liberanome, critico d'arte, http://www.moked.it/
Camminando la scorsa settimana per Firenze, sono entrato in Santa Felicita, uno dei tanti tesori sconosciuti della città. E' un interessante guazzabuglio di diverse epoche, con un affresco fondamentale di Pontormo, resti di età romana, paleocristiana, gotica e poi un curioso dipinto dal titolo “Santa Felicita e il martirio dei Maccabei” datato 1863. L'opera è di per sé abbastanza interessante, frutto dell'influenza di Jean-Auguste Ingres (1780-1867), con la luce intensa che emana dal centro della tela, e del tardo rinascimento italiano, con forme monumentali e precise quasi michelangiolesche; del resto l'autore è Antonio Ciseri, vissuto a metà fra Firenze e la Svizzera e molto noto ai suoi tempi. Ma quel che più interessa è il soggetto del quadro. La chiesa cattolica, già nei suoi primi secoli in Europa, aveva fatto propria la storia dei Maccabei, che aveva nominato santi (con ricorrenza l'1 Agosto) come simboli della lotta contro l'idolatria. Ma, già nel IV secolo e.v., si diffuse anche il culto di Felicita, nobildonna romana uccisa dall'imperatore Antonino Pio (II secolo e.v.) insieme ai suoi sette figli, per essersi dichiarata cristiana. Molto presto le due storie incredibilmente si mischiano. I figli di Felicita, prima assorbono i caratteri dei Maccabei, come simbolo della lotta anti-pagana, poi addirittura li sostituiscono (come se i Maccabei fossero stati uccisi da Antonino Pio – e così sembra nel quadro), e finiscono in secondo piano rispetto a Felicita, che è cristiana. Siamo difronte a un racconto tipico di vetero-cattolicesimo, che rilegge l'ebraismo, si appropria di quel che gli pare meglio, e lo mette comunque ai margini. Ma il dipinto di Firenze è de 1863, dopo l'apertura dei ghetti, ed è stato realizzato dopo una gestazione di quasi 10 anni; il Ciseri, poi, era un signore che frequentava i salotti della nobità e buona borghesia del tempo, non uno zotico qualsiasi. Possibile che non si sia reso conto del falso storico? Che i suoi amici di salotto non l'avessero avvertito? Mi pare, invece, che quel dipinto dimostri il persistente antisemitismo di parte della buona borghesia italiana dell'Ottocento, poco soddisfatta dell'apertura dei ghetti. Ciseri stesso, era retrogrado anche come artista perché si oppose alle nuove correnti artistiche, come l'impressionismo, tanto da smettere di dipingere. L'arte è una chiave fondamentale per capire lo sviluppo dei movimenti e delle idee, anche quelle che ci piacciono meno.Daniele Liberanome, critico d'arte, http://www.moked.it/
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