mercoledì 7 marzo 2012

Voci a confronto

Guerra sì? Guerra no? Guerra quando? I giornali di tutto il mondo si pongono oggi questa terribile domanda.Intanto la diplomazia continua per la sua strada. Lady Ashton, senza tenere in alcuna considerazione la richiesta fatta pochi giorni or sono da Netanyahu, in Canada, di trattare con l’Iran solo dopo aver ricevuto un chiaro impegno che non verrà costruita la bomba, ha *offerto” a Teheran la ripresa del dialogo sul nucleare (interrotto nel gennaio del 2011), come scrive un editoriale di Avvenire e Beda Romano sul Sole 24 Ore. Non dubita, chi scrive, che la pavida e debole Europa inizierà nuovamente queste inutili trattative, spinta anche, seppur non solo, dai propri interessi economici.Ma intanto guardiamo a quello che succede al di là dell’Atlantico. Bret Stephens sul Wall Street Journal chiede all’America se si deve credere ad un Obama che afferma: “I have Israel’s back”. Si può credergli quando afferma di tenere tutte le opzioni aperte sul tavolo mentre Hillary Clinton dubita dell’efficacia di quella militare? Osserva inoltre Stephens che i consiglieri militari di Obama fanno di tutto per frenare i piani militari israeliani per un eventuale attacco. In questa interessante analisi sulla figura politica di Obama, Stephens ha voluto andare indietro nel tempo per vedere chi, anche, ma non solo, nel mondo ebraico americano, ha contribuito alla formazione delle idee dell’attuale presidente. La triste conclusione è che ci si deve domandare chi sia Obama oggi, ci si deve domandare se in questo anno pre-elettorale non stia trattenendo la propria lingua dal dire quanto in cuor suo pensa. Ed allora, possiamo credergli quando si dichiara amico di Israele? Per Bret Stephens il suo discorso di fronte all’AIPAC è stato, insomma, solo un lungo esercizio di cinismo politico.Diametralmente opposta la tesi di Barbara Spinelli, non da oggi nota per le sue idee mai tenere verso Israele; l’America ha le sue idee chiare, ma stenta ad attuarle perché “un minuscolo stato” ha il potere di condizionarle, dopo avergli già “ceduto per tre anni sullo stato palestinese”. La Spinelli arriva a suggerire un arbitrato per risolvere il problema iraniano, che paragona a quello della Corea del Nord; come nulla è successo tra la Corea ed il Giappone dopo che il regime di Pyonyiang si è dotato della bomba, che cosa potrebbe succedere di terribile tra Israele ed Iran se Teheran si costruirà la sua bomba? Netanyahu dovrebbe starsene tranquillo, chiedendosi, come fa la Spinelli, quale amministrazione l’America abbia mai avuto migliore di quella di Obama. Ancora oltre queste affermazioni va u.g. su Rinascita, per il quale Shimon Peres è un “falco sionista”, Israele è “l’entità sionista” (è meglio non ricordare l’esistenza dello stato, come se ne ignora la capitale e tutti i suoi diritti); per u.g. Obama e Netanyahu sono divisi solo da differenze tattiche da applicare contro il nemico del loro mondo libero; sono, insomma, i vertici atlantici ad essere privi di qualsiasi freno etico. Tristi parole queste che ho citato dalle colonne di Rinascita.Obama vincerà le prossime elezioni, scrive Fiamma Nirenstein sul Giornale, “questo è quello che c’è, e con questo bisogna vincere” si dice in Israele, e Netanyahu lo sa bene. Giovanni Maria Sanna scrive sul Mattino che Obama insiste nella sua politica convinto che sia vincente; è sufficiente che gli apprendisti stregoni rimangano a dormire (ma non dice chi siano questi stregoni, se cioè siano i repubblicani o gli israeliani). Per Dario Fabbri (Riformista), poi, sono già iniziate le prove tecniche di tregua, ed Israele rischia di essere tagliato fuori. Dal canto suo il giornale economico Il Sole 24 Ore pubblica un articolo di Roberto Bongiorni nel quale si analizza la economia reale dell’Iran; è certo in crisi, ma, osserva l’articolista, dipende dal petrolio solo per il 21% del suo PIL; è una realtà ben diversa da quella degli altri grandi produttori di petrolio. Ma che l’economia sia in grave crisi è evidente, e, scrive Foggy Bottom sul Foglio, la cricca al potere sta trasferendo i propri capitali in Malesia ed in Indonesia; che sia questo un segnale positivo che dimostra l’inizio della fine del regime?Ancora sul Foglio Carlo Panella pubblica un nuovo articolo dedicato alla situazione siriana; dopo aver ricordato che iraniani e russi stanno aiutando il regime di Assad, tra l’altro, nella guerra per il controllo dell’etere, guerra questa capace di recare gravi danni all’opposizione come già li creò ad Israele nell’ultima guerra del Libano, Panella prende una dura posizione nei confronti dei cristiani, solidali con Assad, affermando che finiranno col pagarne le conseguenze, come già successe in Iraq. E’ una posizione politicamente cieca, quando non apertamente cinica, che avrà pessime conseguenze in futuro, scrive il commentatore, ma non si pone la domanda sulle possibilità future offerte ai cristiani dagli attuali “ribelli”; vorrei ricordare a Panella la frase scritta a Betlemme dai fondamentalisti islamici: prima quelli del sabato, poi quelli della domenica. Al contrario Luca Geronico su Avvenire descrive una realtà molto più complessa di quanto si trova nella maggior parte dei giornali, aprendo una finestra su alcune verità siriane spesso taciute dai commentatori.Giampiero Martinotti su Repubblica parla della guerra scatenata in Francia da Marine Le Pen contro la carne Halal (e non solo questa); adesso il premier Fillon se la prende anche lui contro le posizioni “ancestrali” di musulmani ed ebrei; è un argomento da seguire da vicino, anche perché pure in Italia si incominciano a fare affermazioni che potrebbero limitare grandemente le esigenze del mondo ebraico osservante.Emanuel Segre Amar, http://moked.it/blog/

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