martedì 19 marzo 2013
Bouza, la convivenza servita su un cono
Se
si legge come Adam Ziv ha aperto la gelateria Bouza, a Tarshiha, una
cittadina nel nord d’Israele, non si può fare a meno di notare che la
storia ha un po’ dell’incredibile. Ma ascoltandola dalla sua voce, la
sua erre moscia e il suo tono flemmatico così israeliani sembrano quasi
dire: nu, che c’è di strano? Non è esattamente la storia del sogno di
una vita: “Ci sono due cose che amo nella vita, la musica e il gelato,
ma ho sempre pensato a mangiare il gelato, mai che un giorno l’avrei
fatto”. Più che altro dunque è una specie di romanzo d’avventura, che
parte dal kibbutz Sasa, dove l’intrepido Adam è nato ventisei anni fa.
Passando poi per La Gomera, un’isola delle Canarie dove è approdato
durante un viaggio di un anno e mezzo in giro per il mondo, e dove Ziv
racconta di aver passato le sue giornate diviso fra l’aiutare un signore
ottantenne a costruire una zattera per una traversata dell’Atlantico e
il lavoro in una piccola gelateria gestita da una donna tedesca e da un
francese. Ed è proprio in quel momento che ha capito di volerne aprire
una anche lui. Così è saltato sul primo yacht per farsi dare un
passaggio fino all’Africa, lavorando in cambio come marinaio. E poi il
colpo di fortuna: parlando al telefono con i suoi genitori della sua
illuminazione, suo padre l’ha indirizzato da un vecchio amico,
conosciuto perché aveva avuto rapporti di lavoro con il suo kibbutz,
proprietario da generazioni di una gelateria a Empoli. Ed è lì che Adam
ha imparato a fare quello che lui stesso, anche quando parla in inglese,
chiama proprio così, con il termine italiano, gelato. E la sera suonava
insieme alla band del figlio del capo, suo coetaneo e musicista come
lui, coniugando le due grandi passioni. Ma se oggi gli si chiede se
nella sua gelateria si mangia gelato italiano, lui risponde “No, qui
vendiamo glida glilit”, gelato della Galilea. Perché una volta tornato a
casa, quando si è posto il problema di decidere dove aprire il suo
negozio, Adam si è orgogliosamente rifiutato di spostarsi dal nord
d’Israele: “Normalmente un ragazzo giovane che vuole vendere gelato e
fare il musicista si trasferirebbe a Tel Aviv, ma la vita deve essere
anche interessante, non solo facile. A Tel Aviv è normale alzarsi la
mattina, mangiare un gelato, e poi la sera andare a un concerto, dunque
perché non fare lo stesso in periferia?”. E così è finito nella vivace
Tarshiha, una cittadina araba, dove vivono cristiani e musulmani, unita a
Ma’alot, centro invece ebraico. E lì si è rivolto ad Alaa Sawitat,
ventinovenne arabo che conosce da sempre, proprietario di un ristorante
di Tarshiha, per un consiglio. Che poi, nel luglio scorso, si è
trasformato in una partnership: Alaa gestisce la parte economica
dell’attività, Adam prepara il gelato. Il negozio si chiama Bouza, che
vuol dire gelato in arabo, e il loro slogan è “pashut glida”,
semplicemente gelato. Perché la verità è che il loro unico scopo è “fare
un gelato che piaccia alla gente”, utilizzando ingredienti locali,
sfruttando quello che la terra e la tradizione offrono loro –
quest’estate il loro gusto hummus è stato un successo – insieme a
prodotti di qualità importati dall’Italia. Ma la clientela del negozio,
che fra un boccone e l’altro esclama entusiasta un po’ in arabo e un po’
in ebraico, suggerisce che questo “semplice gelato” sia davvero
speciale. Adam e Alaa non si fanno nessuna illusione di poter servire la
pace in Medioriente su un cono: “Una cosa però è certa, noi abbiamo una
vita normale qui, e dunque dobbiamo parlarci e vivere insieme, e anche
lavorare insieme”, spiega Ziv. D’altra parte, “coesistenza e pace sono
solo parole vuote se non le metti in pratica: puoi fare discorsi tutto
il giorno, oppure puoi semplicemente uscire fuori e fare qualcosa”.
Anche “semplicemente gelato”.Francesca Matalon, Pagine Ebraiche marzo 2013(19 marzo 2013)
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento