martedì 13 aprile 2010


Amos Oz

Una Spoon River israeliana sepolta tra parole e fumetti

Amos Oz vive da sempre in Israele, ha lavorato in un kibbutz per trent'anni, ha partecipato da riservista alle guerre del 1967 e del 1973, ha alle sue spalle molti libri importanti, significativi, medi, sufficienti, controversi, e oggi, a settant'anni, ha scritto un capolavoro, uno di quei libri che possono da soli giustificare un'esistenza da scrittore: il libro si intitola Scene dalla vita di un villaggio, è tradotto da Elena Loewenthal ed è pubblicato da Feltrinelli. Raccontare il romanzo in forma di racconti di Oz è impossibile: si potrebbe forse dire che le vite degli uomini, donne, vecchi, adolescenti, mogli, mariti che vivono in una sorta di Spoon River israeliana misteriosa e sperduta, in cui i segreti dei vivi e i silenzi dei morti si intrecciano, sono le nostre stesse vite; si potrebbe dire che queste storie raccontano amori adolescenti, rancori di vecchi, matrimoni spenti, fantasmi erotici della vita che fluisce crudele e festosa, piena di senso proprio quando più sembra svuotata di senso; si potrebbe dire di una straordinaria atmosfera sospesa, in cui tutto appare reale e dettagliato e in cui tutto assume una lieve, ebbra, terribilmente essenziale qualità allucinatoria; ma non si direbbe ciò che conta: il modo in cui tutto ciò è raccontato, il fatto che in questo ultimo Oz la letteratura sembra scomparire e indicare al lettore, con un gesto quasi ammutolito, la pura realtà: e non è vero, è solo un'illusione prospettica. Quella che Oz racconta non è la «realtà» di Israele, del sionismo, del rapporto con gli arabi, della politica israeliana, delle passioni e dell'intimità in un mondo assediato dal rancore e dalla imitatività reciproca e distruttiva, no: è un mondo parallelo a questo mondo, un mondo creato dall'immaginazione in cui il lettore si può guardare, a seconda del proprio livello di energia, come in uno specchio deformato o come in uno specchio rivelatore. In Scene dalla vita di un villaggio il realismo sublime di Tolstoj è passato attraverso i colpi d'ascia intellettuali di Kafka, ha perso le sue già scarse certezze e si è avventurato in un territorio dove nessuna spiegazione ideologica è valida, e la sola spiegazione, come nella poesia, sta nei corpi, nelle parole, nelle passioni dette e taciute dai personaggi e dalle cose. Di fronte a un libro come Scene dalla vita di un villaggio si capisce che ogni grande libro contiene già in sé la propria critica, e che non ha bisogno di critica, ma di dedizione e apertura, di disponibilità a fissare, sia pure solo per un istante, la verità in volto, sfuggente, ambigua ed enigmatica come è: tutto il resto è superfluo. Ma quanto è influenzata la creatività che si rifà all'ebraismo dal luogo in cui si vive, soprattutto un luogo di tensioni contrastanti come è lo stato di Israele? Un giovane e già famoso autore francese di fumetti, Joann Sfar, al contrario di Oz, che ha scelto di vivere fisicamente e culturalmente l'avventura del sionismo, sostiene l'importanza culturale della diaspora, e la mette all'origine di Klezmer. Conquista dell'Est: una graphic novel pubblicata nella bella collana Lizard della Rizzoli, che aveva pubblicato l'altrettanto riuscito Il gatto del rabbino. Al centro di Klezmer c'è l'avventura picaresca allo stato puro: la storia di un ragazzino, che viene espulso dalla sinagoga e smette di credere in Dio, si intreccia ai vagabondaggi di musicanti rom e klezmer, all'incontro con selvatiche e erotiche ragazze, ai massacri di ebrei e zingari negli anni tra i pogrom degli Zar e quelli che preparano Hitler, alle feste di villaggio negli shtetl, al mondo defunto e magico delle comunità ebraiche dell'Est dell'Europa. Joann Sfar lavora le sue tavole all'acquerello, con colori insieme violenti e onirici, e sa restituire l'atmosfera dell'epoca con grande bravura, come se un illustratore avesse incorporato dentro di sé i Racconti di Odessa e L'armata a cavallo di Isaac Babel', e da essi lasciasse sprigionare l'elemento fiabesco, surrealmente poetico, popolaresco come una canzone di strada. Attraverso il fumetto Sfar riesce a far sentire il tempo della musica klezmer, il violino, la voce, la fisarmonica, il passare da una languida e zigana tristezza mortale a una sfrenatezza ubriaca da pranzo di nozze, l'elemento di improvvisazione che è anche alla base del jazz, il senso di una musica che appartiene agli ultimi, ai vagabondi, ai liberi, a tutti quelli che rifiutano le servitù e le religioni di massa, di qualsiasi genere siano. Un racconto come Klezmer dimostra che il fumetto ha ancora risorse inaspettate, e vie nuove da indicare, anche alla letteratura: perché, come dice Sfar, il fumetto non vuole il gurdante passivo del cinema o di internet, non vuole la spettacolarizzazione ma un lettore-guardante inventivo e creativo, che completi il movimento, che partecipi in pieno e ricavi dai segni geroglifici la pienezza del narrare. Insomma, la letteratura salvata dai fumetti? Chissà! Purché una salvezza ci sia, andrebbe bene anche Topolino...
Il Mattino, 12 aprile 200

1 commento:

matteo d1 ha detto...

condivido totalmente l'ottimo commento sull' ultimo libro di Oz, è un piccolo capolavoro. Come spieghi l' ultimo racconto, una nostalgia, una immagine del Messia che è arrivato e nessuno se ne accorto? Pare che non abbia nulla a che fare con i racconti precedenti. Oppure sì?