domenica 7 settembre 2008



Parashah Ki Tezè
Quando uscirai in guerra


Uno dei crudeli aspetti della guerra, consueto nell’antichità e davvero non cessato ai nostri giorni, è l’abuso e lo stupro delle donne nel territorio o a scapito dei vinti. Il libro di Moravia La ciociara e il relativo film, splendidamente interpretato da Sofia Loren, è un moderno classico. Le vicende della Bosnia evidenziano in misura di massa il fenomeno. In Africa avviene molto frequentemente. Si sono avuti casi nel recente conflitto caucasico.
I profeti di Israele lo indicavano come parte della tragedia nazionale nella distruzione di Gerusalemme e del primo tempio. Così nel libro di Ekha (Lamentazioni) al capitolo 5, v. 11: “Violentarono le donne di Sion, le ragazze delle città di Giuda”.
Il poeta latino Orazio augurava ad un amico che partiva come comandante di una guerra in oriente il bottino di una sposa vedova del marito ucciso in battaglia o fatto fuori dopo la vittoria: “Sponso necato, tibi serviet”.
La Torah prevede e autorizza questo premio della vittoria per i guerrieri ebrei, ma lo disciplina, moralmente e giuridicamente, salvaguardando, in modi appezzabili per quei tempi e in tali situazioni, la dignità della donna catturata, la quale doveva essere rispettata nel lutto dei familiari perduti ed essere innalzata al rango di moglie. In caso poi di ripudio-divorzio, la donna non doveva essere venduta o esposta a maltrattamenti ma doveva avere uno status di libera. Ecco il testo: “Quando uscirai in guerra contro il tuo nemico ed il Signore tuo Dio lo darà in tua mano ed avrai catturato dei prigionieri, e vedrai tra i prigionieri una donna bella d’aspetto e la desidererai e vorrai averla come donna (sottinteso tua donna, considerando che il termine, così usato, implicava uno status familiare stretto di tipo coniugale), dovrai condurla nella tua casa ed essa si raderà i capelli e si taglierà le unghie, si toglierà la veste di prigioniera (si può intendere diversamente, che aveva da libera, cioè una bella veste, quando fu fatta prigioniera) e rimarrà in casa tua piangendo suo padre e sua madre per un intero mese. Dopo di che potrai unirti con lei e sarà per te una moglie (qui la parola donna viene tradotta senza dubbi per moglie). Ma se poi non ti piacesse più la dovrai mandare libera dove ella vorrà e non la potrai vendere per denaro, non potrai maltrattarla (si intende anche sfruttarla) dopo che è stata tua moglie”.
Si devono notare tre cose. 1) Il lungo periodo di lutto, ben un mese, durante il quale la donna appariva triste, dimessa, calva perché si era rasa i capelli e non portava più le unghie lunghe e curate, secondo usanze di popoli vicini, poteva servire anche a far decantare il desiderio e la passione dell’uomo, o a farlo riflettere sulla responsabilità che si assumeva. 2) Il lutto della donna è previsto per il padre e la madre. Non si parla del marito, se fosse già sposata, e di figli, se fosse madre e li avesse perduti o dovuti lasciare. Il problema intriga molto. In attesa di poterlo approfondire in testi di commento, posso pensare a due ipotesi: o una sorta di censura dell’autore biblico di fronte al caso delicatamente critico, oppure che la legittimazione matrimoniale supponesse lo stato di verginità della prigioniera, ma in tal caso non si sarebbe parlato di ishah (donna) bensì, piuttosto, di betulah. 3) Il matrimonio era evidentemente misto e la sua possibilità dimostra, se ve ne fosse bisogno, come gli ebrei, lungi dall’essere una stirpe chiusa ( la razza) sono stati un popolo relativamente aperto a mescolanze etniche, assimilando elementi stranieri nella loro civiltà e religione. Per corollario i figli avuti dalle prigioniere sposate erano evidentemente considerati ebrei e non sto qui ad entrare, onde evitare delicate discussioni, nella questione della parità tra discendenze patrilineare e matrilineare. Probabilmente il criterio matrilineare è invalso, a tutela delle donne ebree violate, quando divenne più probabile subire la violenza straniera che non catturare donne straniere.
Sposare la prigioniera straniera era facilitato dall’esistenza della poligamia. Questo istituto poteva dar luogo a preferenze per una moglie a detrimento di un’altra, sicché la Torah si è preoccupata di assicurare i diritti della primogenitura al figlio generato con una moglie che non piacesse più. Il primogenito doveva restare tale e il padre non poteva sostituirlo con il primo dei figli avuti dalla moglie verso cui si indirizzassero il suo piacere e la sua preferenza.
Venendo ai figli, c’era purtroppo il caso di qualche ragazzo difficile, traviato, ribelle, che i genitori non riuscissero a riportare sulla giusta strada. Nell’eventualità estrema di una non emendabile ribellione e dissolutezza, i genitori lo portavano davanti agli anziani della città dichiarando che avevano fatto il possibile per educarlo ma non ci erano riusciti. Allora tutti gli uomini della città lo lapidavano. Così, in relazione a costumi del tempo, si toglieva il male dalla comunità.
Radice Samekh Resh Resh: ribellarsi, disobbedire
Radice Mem Resh He: è un sinonimo del precedente, disobbedire, ribellarsi
Non confondere questo MORE’ Ribelle con il MORE’ Maestro, viene appunto dalla radice Mem Resh He = ribellarsi
Avendo parlato di pena di morte, la Torah di seguito precisa che il cadavere del giustiziato, appeso ad un albero, doveva essere sepolto entro la fine della giornata e non doveva essere lasciato così esposto durante la notte.
Da una disposizione crudele si passa, con nostro conforto, ad un principio di amichevole solidarietà civile, consistente nel prender cura e custodia di oggetti o animali perduti da un concittadino per esser pronti a restituirglieli. In altro punto della Torah, nel capitolo 23 dell’Esodo, la bella esortazione si estende a favore del nemico personale, cui si deve restituire l’animale perduto, se capita di imbattersi in esso (parashah Mishpatim).
Nel prescrivere l’atto di premurosa solidarietà verso il concittadino, il Deuteronomio, all’inizio del capitolo 22, insegna che non ci si deve disinteressare del prossimo. Il verbo ebraico è HITEALLEM, forma hitpael dalla radice ALAM, AIN, LAMED, MEM, che significa l’idea del NASCONDIMENTO, quindi, tra varie accezioni, il sottrarsi ad una responsabilità e ad un compito. Ecco precisamente il testo: “Tu non vedrai il toro del tuo fratello o il suo agnello smarriti e ti disinteresserai di loro”. Non ti disinteresserai, come a dire non ti volterai dall’altra parte
E pensiamo, naturalmente, a casi più importanti dell’agnello smarrito, con un moderno raffronto con l’inglese CARE. I care, mi do pensiero.
Un pensiero pietoso verso gli animali è di non catturare i piccoli dei volatili davanti alla madre che protegge il nido. Bisognava prima scacciare la madre. L’esito della cattura e della fine del pulcino non cambiava e la sofferenza della madre non diminuiva, ma apprezziamo il pensiero come simbolica premessa di un compassionevole trattamento degli animali, come parte di una civile etica.
Non si doveva unire allo stesso giogo nell’aratura un toro e un asino o comunque animali di non proporzionata forza. Il testo collega questo precetto alla proibizione di indossare tessuti misti di lana e lino, ad evitare mescolanze di materiali e di specie, ma la proibizione di aggiogare insieme il toro e l’asino implica anche un principio di rispetto della penosa fatica per l’animale meno forte. Mi viene da pensare, per un pietoso contrappasso, all’altruistico gesto di un detenuto più forte verso Primo Levi nel Lager, che invece gli si unì nel trasporto di un grave peso per alleviare la fatica al compagno più debole nella dura marcia in fila per due.
Il criterio della distinzione vigeva, e vige tuttora tra i haredim, differenziando nettamente il vestiario per sessi. Per non dire dello scandalo dei travestiti, i haredim non ammettono le donne in pantaloni.
Proibita era la prostituzione sacra, cioè un eros legato a culti di popoli vicini: colpisce, di conseguenza, ai versetti 18-19 del cap. 23, la designazione della donna che si offriva per tali riti, considerati dissoluti ed aberranti, come qedeshah cioè sacra, consacrata, con prestito terminologico da culture vicine, e del maschio analogamente soggetto a questi riti, in versione omosessuale, come qadosh.
Al versetto 12 si prescrivono le frange ai quattro angoli del vestito per gli uomini: lo zizit.
Viene poi ripreso il tema della moglie che diviene invisa al marito. La peggiore accusa che il marito poteva lanciarle, davanti ai suoi genitori, era di dire che non la aveva trovata vergine. I genitori della donna, come ancora avviene in società primitive, esibivano in sua difesa il lenzuolo sporco di sangue a prova della verginità, ed in tal caso l’ingiusto marito non poteva mai più ripudiarla. Ma se l’accusa fosse stata invece vera, la donna veniva lapidata, come ancora avviene in certi paesi islamici. Seguita, in questa parashah, l’argomento di peccati e reati di indole sessuale.
Nel capitolo 23 si interdice a uomini con i genitali difettosi e ai figli di incesti e di adultèri di far parte della radunanza del Signore (Kahal Adonai). Il termine è interpretato nel senso dell’accesso al diritto di contrarre matrimonio. Per i figli di adulterio o di incesto, mamzerim, la legge orale (halakhah) consente le nozze tra loro oppure con proseliti. Il mamzer conserva del resto ogni altro diritto e può perfino diventare re in Israele.
Vi fu in Italia, per un caso di impedimento di matrimonio religioso a ragazza mamzeret, avvenuto a Livorno nel 1912, una discussione e polemica, che ebbe risonanza nella stampa nazionale. Vi si distinse, per moderna sensibilità e posizione progressiva, Felice Somigliano, e, nella ripresa a distanza della discussione, il rabbino Dante Lattes, favorevole ad una umana revisione del criterio normativo. Ne ho scritto in “Nuovi Studi Livornesi”, volume I, 1993.
Il divieto di matrimonio vigeva altresì con le popolazioni dei moabiti e degli ammoniti, ma il re David, per portare il più celebre esempio, discenderà dalla moabita Rut, egregia protagonista dell’omonimo libro, che leggiamo a Shavuot. Infatti la proibizione venne meno.
Come mai? I saggi, in seguito a grandi invasioni, specie degli assiri, giudicarono che i confini netti tra le etnie fossero venuti meno, e questo è un bel criterio, valido contro i razzismi. Vero gli idumei e gli egiziani già nella Torah si raccomanda di non aborrirli: gli idumei perché sono un popolo fratello, disceso da Esaù, fratello di Giacobbe, e gli egiziani perché, dopo tutto, i figli di Israele furono loro ospiti per secoli.
Nel capitolo 23 (vv. 10-15) si prescrivono norme di igiene personale negli accampamenti militari.
Al v. 16 del cap. 23 troviamo un precetto che limitava la schiavitù: a differenza degli animali, che, se trovati, dovevano essere ricondotti al proprietario, se si vedeva entrare in casa uno schiavo fuggitivo, venuto a ripararsi, non lo si doveva consegnare. Si possono immaginare le richieste di consegna del padrone danneggiato economicamente dalla fuga dello schiavo e il suo risentimento verso il vicino che non lo consegnava, ma questi poteva giustificarsi proprio a norma della Torah. Ci si chiede poi cosa facesse lo schiavo fuggito, quanto tempo si trattenesse nella casa che aveva scelto e quanto fosse disposto il proprietario della casa ad ospitarlo. Poteva darsi che lo schiavo, confortato da un migliore trattamento, accettasse di servirlo, magari cambiando padrone.
Altro principio di benevolenza e di solidarietà sociale è la proibizione di esigere un interesse nel prestito tra connazionali (v. 20), si poteva prendere a garanzia un pegno ma restituirlo in giornata (cap. 24, 10-13) e ci si chiede come il debitore potesse restituire la somma così presto. Non si poteva prendere in pegno la veste della vedova (cap. 24, 17). Ma l’economia, con lo sviluppo della società, ha avuto poi bisogno del credito e questo difficilmente si fa senza profitto. Una riforma di Rabbi Hillel ha provveduto a mutare in parte le regole, interponendo il tribunale tra le parti del creditore e del debitore. Il problema del prestito e del credito si presenterà nella società cristiana, dove si lascerà la funzione feneratizia agli ebrei, pur essendovi nei fatti anche prestatori cristiani, e darà origine prima ai monti di pietà, poi allo sviluppo della moderna banca.
Piace senz’altro, ai versetti 14-15 del cap. 24, la raccomandazione della puntualità nel versare il salario all’operaio, addirittura in giornata, segno che la paga era giornaliera.
Ai versetti 22-23 si raccomanda la serietà nell’adempimento dei voti. Siamo ormai vicini, con lo Yom haKippurim, alla solenne formula del Kol Nidré per sciogliersi dai voti che non si sono potuti adempire.
Nel capitolo 24 si tratta del ripudio, che sarà corretto a garanzia maggiore delle mogli nel Medio Evo da Rabbenu Ghershom, lo stesso che impose in Europa la monogamia. Rammento il bel libro di Yehoshua Viaggio alla fine del millennio su un ricco mercante che viene in Europa dal Marocco con le due mogli e viene accusato di bigamia dagli ebrei di costì, che per la decisione di rabbenu Ghershon si sono fatti monogamici.
Si commina la giusta pena per i rapimenti delle persone. Si prevede un congedo di un anno agli sposi novelli dagli obblighi militari.
Nel capitolo 25 si stabilisce l’importante norma del levirato, per cui la vedova di un uomo morto senza darle figli, doveva sposare il fratello del defunto per assicurargli una prole e scalzava con un rito in origine disonorante il cognato che si rifiutasse. Questo rito avveniva con pubblica partecipazione nel ghetto di Roma fino a fine ‘800 e inizio ‘900: si veda lo studio di David Gianfranco Di Segni nell’ottavo volume della rivista “Zakhor”.
Al v. 11 si comminava la pena del taglio della mano per la moglie che in difesa del marito in pericolo, durante un alterco, afferrasse i genitali dell’avversario. Era un modo spedito per
salvare il coniuge, ma a questo punto il nostro maestro Moshè si preoccupava maggiormente del suo onore. La parashah si conclude con il ricordo di quel che fece Amalec al popolo di Israele: si legge il brano in uno Shabat segnalato, lo Shabat Zakhor, che precede la festa di Purim.
Bruno Reuven Di Porto
(ho dovuto eliminare alcuni termini ebraici perchè non venivano correttamente riportati sul blog nr)