sabato 14 febbraio 2009


HILLARY CLINTON IN ISRAELE AI PRIMI DI MARZO

Gerusalemme, 13 feb. (Adnkronos) - Il segretario di Stato americano Hillary Clinton potrebbe effettuare la sua prima visita in Israele il 3 marzo. Lo scrive il quotidiano israeliano Haaretz, secondo il quale la data e' stata informalmente discussa con l'ambasciata d'Israele a Washington. L'ex senatrice di New York sara' al Cairo il 2 marzo per partecipare ad una conferenza internazionale sulla ricostruzione di Gaza voluta dal presidente egiziano Hosni Mubarak e vorrebbe approfittare dell'occasione per recarsi anche in Israele e in Cisgiordania. La nuova amministrazione Obama appare intenzionata a seguire da vicino le vicende mediorientali. Il 24 febbraio e' atteso in Israele il Consigliere per la sicurezza nazionale, generale James Jones e nell'ultima settimana di febbraio tornera' per la seconda volta nell'area l'inviato americano per il Medio Oriente George Mitchell. Fra i consiglieri della Clinton, scrive Haaretz, non vi e' comunque certezza sull'utilita' del viaggio del 3 marzo dato che allora il nuovo governo israeliano potrebbe ancora non essere stato formato. I sostenitori del viaggio ritengono che sarebbe comunque un'occasione per chiarire le aspettative di Washington sul processo di pace e forse per influenzare la composizione del futuro governo.


Karma Kosher I giovani israeliani tra guerra, pace, politica e rock’n’roll”

di Anna Momigliano Marsilio, 2009, 172 p., € 13,00.
Cos’è il Karma Kosher? Come sintetizza Stefano Jesurum nella sua prefazione “è il bizzarro fenomeno che decenni dopo i figli dei fiori conquista frotte di giovani e giovanissimi, ex soldati, maschi e femmine, religiosi e no. Librerie dell’occulto, incensi e candele, new age, massaggi, arti marziali, bar esoterici, yoga e filosofia buddista. Per chi non l’avesse capito si chiama scappare a gambe levate dalla realtà” (p. 8).E’ un fenomeno profondo, in alcuni momenti sotterraneo, quasi carsico, in altri più consistente, ma che non rappresenta un dato momentaneo.Sottolinea Stefano Jesurum nella sua prefazione che Il pregio del libro di Anna Momigliano è quello di puntare l’attenzione e su una generazione israeliana che nessuno vede o che nessuno individua come un termometro, sensibile e significativo, dello stato d’animo di un Paese. E’ quella generazione che si affaccia alla vita pubblica negli anni di Oslo intorno al 1993, che crede nella possibilità della pace e che improvvisamente la mattina del 4 novembre si risveglia e si ritrova proiettata in un presente che assomiglia troppo a un passato verso cui non avrebbe mai voluto tornare e che, soprattutto, considera una disgrazia.Cominciamo dalla fine. Chi è questa generazione? E’ presto detto è la generazione che nel 2006 rientra in Libano e si trova a ritornare sui passi dei propri padri - quella generazione che con difficoltà è uscita dell’incubo del Libano 1982 (quell’incubo che Ari Folman ha messo a tema nei disegni e nel montaggio di Valzer con Bashir) – e, contemporaneamente, a confrontarsi con la generazione dei fratelli maggiori o dei cugini che dal Libano aveva pensato di uscire definitivamente nell’estate 1999.Questa generazione ha il senso del tempo sprecato, della inutilità del proprio agire. Intendiamoci. Non è una generazione che va via. Ancora alcune cose danno il senso dell’appartenenza, di sentirsi parte di una comunità e per quanto possa apparire paradossale agli occhi di coloro che da lontano guardano la società israeliana il momento della scelta per l’esercito risulta ancora un a parte strutturale. Ma questo poi non consente di valutare e di vivere il proprio futuro. E così una parte rilevante, minoritaria, terminati i tre anni, va via, scappa per un tempo medio-lungo, verso Goa, si perde verso Oriente, nel tentativo in parte di ritrovarsi e in parte di smarrirsi o di dimenticare.Un fenomeno che si ripercuote nel tempo lungo. Perché se il fenomeno del rifiuto e della renitenza non agisce alla chiamata alle armi, si diffonde, pur rimanendo un dato di minoranza, tra i riservisti. Molte cose motivano sia la fuga verso Goa che il crescente fenomeno dei “refuznikim”.Il Libano è solo una parte del ragionamento. Accanto cresce il timore di non essere più in qualche storia, ma anche il fatto di non riconoscersi più né nella dimensione eroizzata del proprio presente, né nella dimensione etica di cui è carica la forza letteraria dei tre “tenori” della letteratura (Oz, Yehoshua, Grossman). E’ così che la tendenza è quella di riconoscersi nella letteratura minimalista di Gabi Nitzan o di Etgar Keret.Il segnale più evidente sta nel lento rinchiudersi dentro la bolla di Tel Aviv. E’ l’ottobre 2000. Nel giro di 40 km si consuma la crisi politica complessiva di Israele: da una parte il linciaggio dei due soldati israeliani a Ramallah (una scena che ricorda da vicino la violenza che Giovanni Verga descrive nella novella La libertà e che Wolfgang Sofsky ha descritto nel suo saggio L’arma della profanazione, ora ricompreso nella sua raccolta Il paradiso delle crudeltà, Einaudi, 2001, pp. 105-108), dall’altra una città, Tel Aviv, che si rinchiude sempre più nella sua bolla.“La sensazione generale che si respira in quel periodo – scrive Anna Momigliano – è ben descritta da una copertina di ‘Achbar Ha-Ir’: un ragazzo dal look trasandato e dall’aria abbastanza rilassata, l’icona del telavivi sotto i trenta, se ne sta comodamente sdraiato sul divano del suo salotto a leggere un libro, lo stereo nelle orecchie e una tazza di tè sul tavolo, mentre un gatto gioca tranquillo sul tappeto e mentre dalla televisione una giornalista spiega come utilizzare una maschera antigas” (pp. 100-101).Poi di nuovo la scena del Libano 2006 riporta tutti in una dimensione di realtà conflittuale e anche cupa. Ci sono strani segnali in quella guerra: spettatori che dalle due parti si parlano attraverso la rete e dove ognuno descrive all’altro ciò che sta accadendo, i cannoneggiamenti che subisce (in Libano Sud) e i missili che riceve in testa (in Galilea, intorno a Tz’fat, per esempio). Ma l’improvvisa rottura di questo muro non apre margini oltre un dialogo che è solo nello scambio di parole, ma non nell’ascolto. La sensazione è quella di una solitudine sempre più profonda che non lascia intravedere un futuro possibile o almeno perseguibile. E in questa condizione quella che talora può apparire una dismissione dalla realtà si traduce anche nella condizione di vivere l’angoscia di una realtà che risulta non governabile. Una condizione che da lontano può apparire ribelle e di dismissione, ma che poi nel gorgo della quotidianità produce ansie, paure, richiesta di una politica forte. Tutti gli ingredienti di una politica che non cede.E’ una conclusione amara quella che indica Anna Momigliano, ma vale la pena di discuterla e di prenderla sul serio. E che da martedì sera scorso non è una fotografia astratta della condizione umana di un Paese. Anche per questo vale la pena leggere questo viaggio, apparentemente leggero, in realtà molto interno, alle storie umane e emozionali di una generazione ancora in cerca di sé stessa. David Bidussa http://www.moked.it/unione_informa/

venerdì 13 febbraio 2009

Quando il Golem scende sul campo da baseball anche il mito americano mostra il suo lato oscuro

Americana, di James Sturm, Coconino Press, 190 pagine, 2002, 14 euro
Americana di James Sturm è una trilogia di racconti dedicati alla storia degli Usa. La prima storia, Il colpo mitico del Golem del 2001, è il racconto delle vicissitudine di una squadra di baseball, Le Stelle di David, che gira per i piccoli centri a caccia di ingaggi. Sulla maglietta campeggia la stella a sei punte e i giocatori viaggiano su un vecchio autobus. Quando arrivano nei paesi dove giocheranno, i bambini si chiedono “sono arrivati gli ebrei?” mentre Hetty Douglas, una signora modello zitella con la croce al collo e una figlia con un vestito lungo da suora a quadrettoni da tovaglia, inspiegabilmente si presenta alla partita: non sono qui per il baseball, ma per vedere gli ebrei...James Sturm descrive con poche battute la diffidenza dell’americano medio, che vive fuori dai grandi centri urbani, e che crede che l’America sia il baseball. D’altra parte anche Noah Strauss il manager del team prende le distanze dal padre, sarto per conto terzi nella Grande Mela, “mio padre sarebbe profondamente deluso se sapesse che giochiamo di sabato. Lui resterà sempre un immigrato. La sua mente vive nel paese da cui se ne è andato. La mia vive in America e il baseball è l’America”.Poi arriva l’idea di schierare uno dei giocatori, Hershl Bloom, con un costume che lo rappresenti come un Golem, un’idea commerciale di un pubblicitario che immagina il baseball più come un circo che come uno sport. Ed ecco che la nostra squadra arriva a Putnam, il giornale locale esorta alla vittoria contro gli sporchi giudei, uno di loro viene picchiato prima della partita, la città è in subbuglio per l’arrivo del mitico Golem che scaglia palle veloci come saette fiammeggianti. Ma quando lo scontro diventa duro e la folla picchia un giocatore e le urla sovrastano ogni senso sportivo, andatevene ebrei, ecco che Hershl è veramente il mitico Golem e la folla che vorrebbe suonargliele si ferma. Al riparo nel dugout gli altri giocatori si nascondo, una voce recita lo Sh’ma, Amerai il Signore tuo... "Per migliaia di anni gli Ebrei sono spirati con lo Sh’ma sulle labbra", commenta Noah. Una pioggia torrenziale fa fuggire la folla e i giocatori possono ripartire per un’altra partita.James Sturm disegna in bianco e nero, con un linea pesante e netta, con poche linee che colgono l’essenza dei personaggi e dei luoghi. Un tratto continuo di color sabbia riempie quei bianchi e neri e definisce il senso della concretezza. Quando il disegno è così essenziale e semplice, il testo emerge nella sua forza e in questo caso nella sua amarezza di raccontare quella diffidenza a volte sottile a volte pesante e violenta di una società che comunque non è riuscita a scrollarsi di dosso i pregiudizi e gli odi del vecchio continente. E il giornale locale non manca di pubblicare un articolo pieno del solito odio condito con le solite accuse: succhieranno il denaro di questa città. Sturm è abile nel navigare dentro la mediocrità e farla emergere nella sua chiarezza, in tutta la sua meschinità. di Andrea Grilli http://www.moked.it/unione_informa/

Santo Sepolcro

"Papa sarà benvenuto in Israele"

Rabbini Usa: "Attesa per la visita"
I leader politici israeliani del Likud, di Kadima e del partito laburista hanno espresso il loro via libera al viaggio del Papa in Israele programmato per maggio. Lo ha riferito il vicepresidente della Conferenza delle organizzazioni ebraiche americane, Malcom Hoenlein. "Abbiamo incontrato i tre leader la scorsa settimana e hanno espresso tutti grande speranza per la visita del Papa", ha detto il rabbino. http://www.tgcom.mediaset.it/ 12/2/2009

fanghi del Mar Morto

Israele apre le frontiere di Gaza per i fiori di San Valentino

Consentito l'invio di 25 mila garofani in Olanda. Ma il grosso della produzione sarà usato come mangime per le greggi
Le prime esportazioni in partenza dalla striscia di Gaza da oltre un anno sono circa 25.000 fiori che saranno spediti in Europa in occasione della festa di San Valentino. Il portavoce militare israeliano Peter Lerner ha annunciato che il governo ha deciso di allentare il blocco su Gaza per 25 mila garofani su richiesta del governo olandese e degli stessi agricoltori della zona. Lerner ha però precisato che questa decisione deve essere considerata un atto isolato e non implica alcun cambiamento nella politica di Israele a Gaza. Si tratta, del resto, di una piccola frazione della produzione complessiva e molti coltivatori hanno dichiarato ai giornalisti che non resta loro altra scelta che usare i fiori come alimento per le greggi. http://www.haaretz.com/hasen/spages/1063651.html

giovedì 12 febbraio 2009

Tel Aviv
Comunicato stampa dell'11 febbraio 2009

Caserta: punito un violento attacco in occasione del congresso della Federazione delle Associazioni Italia-Israele del 2003 GIORNALISTA CONDANNATO PER DIFFAMAZIONE A MEZZO STAMPA Caserta – Il giudice monocratico del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, dottoressa Alessandra Vona, ha condannato per diffamazione a mezzo stampa a 200 Euro di multa, alle spese e al risarcimento del danno da quantificarsi con separato giudizio il giornalista pubblicista Giovanni Tridente, autore di un violento attacco nei confronti del giornalista Enzo Palmesano, presidente dell'Associazione Italia-Israele della Provincia di Caserta. Assistito dall'avvocato Salvatore Piccolo (di Luigi), Enzo Palmesano aveva presentato querela dopo che era stato oggetto di un articolo diffamatorio pubblicato dalla testata giornalistica online http://www.blogger.com/www.comunedipignataro.it, in occasione del congresso nazionale della Federazione delle Associazioni Italia-Israele, tenutosi nel 2003 a Vitulazio, in provincia di Caserta.
Quando ero presidente della Federazione delle associazioni Italia - Israele, è accaduto anche questo Chicca Scarabello

Gerusalemme

Martedi 10 febbraio è stata inaugurata una via dedicata a Giorgio Perlasca a San Vito dei
Normanni (Br). Nelle vicinanze lo scorso anno era stata dedicata una via ad altro Giusto, Giovanni Palatucci.

Ehud Barak אֵהוּד בָּרָק

ELEZIONI ISRAELIANE : COMMENTI UN GIORNO DOPO I RISULTATI DEI "LIVORNESIM", I LIVORNESI CHE VIVONO IN ISRAELE

La vittoria del Kadima, che ha avuto il maggior numero di mandati, sembra una vittoria di Pirro. A meno che Netaniahu non accetti di essere il suo numero due in un governo di coalizione allargato, la Livni non ha alcuna probabilita' di formare un governo, mentre Netaniahu potrebbe facilmente mettere insieme un governo di destra abbastanza stabile, grazie al gruppo di Lieberman "Israel Beitenu", che in un'ascesa meteorica ha aggiunto mandati a quelli che aveva gia', e ad altri partiti di destra, insieme 64 o 65 mandati sui 120 della Keneset. Ma Netaniahu, con in mano questa possibilita', non rinuncera' facilmente alla possibilita' di assumersi la responsabilita' della guida del prossimo governo. L'esito di queste elezioni marca anche la caduta e l'uscita dalla scena del partito laburista, come se avesse esaurito il suo compito storico di fondatore e guida d'Israele nei suoi anni piu' difficili. Gia' negli anni '70 il Maarach aveva cominciato a cedere il passo al Likud di Begin, alternandosi poi al Likud con alti e bassi. Fra il '92 e il '95 il Maarach (e con esso Israele) aveva vissuto un esaltante revival di grande sviluppo economico e politico con il governo Rabin, ma questo fini' tristemente con una serie di attentati terroristici e con il trauma dell'assassinio di Rabin stesso. Il copione piu' probabile che si sta delineando adesso e' un altro governo di destra, ancora piu' di destra del precedente governo Netaniahu ('96-'99), con la partecipazione di Lieberman, e la cosa preoccupa molti, non tanto per il fatto che quest'ultimo sia sotto indagine per corruzione, ma soprattutto a causa del suo atteggiamento contrario all'indipendenza del potere giudiziario e intollerante verso le minoranze. La situazione e' comunque ancora fluida e il prossimo futuro puo' riservarci delle sorprese.Daniel Haviv (Cabib)
Dipende ora da che cosa gli offriranno questi due (Livni e Netaniahu) e i loro oblighi verso la sua (Liberman) linea politica. Possibile anche un governo di unità nazionale Kadima-Likud , con rotazione dei capi di governo. Logicamente questo e' il quadro della situazione in questo momento.Domani ne sapremo di piu.E'allora come si dice in America:" Dio salvi Israele", o pure :"Dio salvi l'America" che e' la stessa cosa...Paul Fang 11.2.09
Elezioni in Israele : "ora che il conteggio è avvenuto...". Commento da Gerusalemme di Sergio Molco
Ora che il conteggio e` avvenuto ed i risultati sono ormai chiari ci e` possibile accompagnarli con un commento che dice in pratica una cosa : nonostante il vantaggio di un mandato Kadima non potra` costituire il prossimo governo ,poiche` l'ago della bilancia politica e` oscillato completamente a destra dando a questo raggruppamento la maggioranza di 64 seggi e nel quale Liberman ,con i suoi 15, ha il potere di incoronare il nuovo primo ministro israeliano .L'elettorato israeliano percio` dimostra in queste elezioni uno stato di "schizzofrenia" simpatizzando da una parte per una personalita` politica "pulita",nelle vesti della Livni che non volle scendere a compromessi riproponendosi al voto popolare, e dall'altra evidenziando la sua preferenza per una linea dura nei confronti di Hamas .Netaniahu non potra` sottrarsi dal prendere decisioni in questo senso se vorra` mantenere la conduzione del governo .Resta da vedere come la cosa verra` messa in pratica e quali reazioni suscitera` alla Casa Bianca e nelle capitali europee.Anche la risonanza di questa virata a destra nelle capitali arabe che hanno rapporti diplomatici con Israele sara` senz'altro notevole :ma ancora di piu` si assistera` ad uno sbocco d'intransigenza da parte di quei paesi come la Siria e l'Irak ,per non parlare dell'Iran, che proseguiranno la loro guerra ad oltranza contro lo stato ebraico . Barak percio` viene punito dall'elettorato israeliano che nonostante la versione ufficiale individua in lui chi, nell'ultima guerra contro Hamas, non ha fatto in modo di eliminare dalla mappa questo movimento ,che percio` puo` dichiarare la sua "vittoria" con il proseguimento di bombardamenti verso la popolazione civile israeliana ,mettendo in scacco il potente esercito israeliano . Tutte queste asserzioni decaderanno nel caso che i due partiti di maggioranza addivengano ad un accordo tra di loro che, con l'aggiunta di un altro partito come Avoda',Shas od entrambi ,estromettera` dal gioco politico il rafforzatosi partito di Liberman e gli altri partiri dell'estrema destra : in questa ipotesi questi di nuovo si troveranno scornati nel loro disegno di decidere delle sorti del paese secondo l'ideologia di un" grande " Israele e non attraverso una spartizione tra due stati distinti . Sergio Molco 10.2.09
http://www.livornoebraica.org/

mercoledì 11 febbraio 2009

Dalia - Karmel

Israele e la centrale ibrida solare-biofuel

Partono i lavori di Aora Energy per la costruzione della prima centrale solare a concentrazione ibrida: a dare continuità alla produzione elettrica una turbina a gas funzionante
La società israeliana Aora Energy ha recentemente annunciato l’avvio dei lavori per la sua prima centrale elettrica ibrida solare/gas nella regione di Arava, Israele meridionale. L’impianto in costruzione si avvale di una scelta modulare, che permette di ampliare il sistema secondo le scelte del proprietario: ogni modulo base (100kWe e 170kWth) è composto di tecnologie avanzate per il monitoraggio degli eliostati che concentrano la radiazione solare in un Power Conversion Unit (UCA) che a sua volta genera elettricità e energia termica utilizzabile tramite un micro-turbina a gas. Il sistema prevede una continuità di alimentazione ibrida 24 h/ giorno grazie alla sua capacità di operare anche quando il sole non è sufficiente con la maggior parte dei carburanti alternativi fonte, sia liquidi che gas, o combustibili fossili, in maniera tale da non interrompere la produzione elettrica. Il termine dei lavori è stato programmato per la fine di marzo e secondo la società sarà solo il primo passo di una serie di future installazioni in tutto il mondo. 9 febbraio 09, http://www.rinnovabili.it/

Gabriela Shalev In prima linea al Palazzo di vetro


E’ nonna di otto nipoti, e se fa tardi la sera al lavoro Uzi Levy, suo partner da venti anni, la aspetta alzato facendole trovare un pasto caldo pronto.Anche la sera dell’ultimo dell’anno Uzi era lì ad aspettarla e hanno guardato insieme i fuochi d’artificio dalla finestra del loro appartamento non lontano da Times Square.Sembrerebbe di descrivere la vita di una normalissima donna dei nostri tempi e non immagineresti mai che questi tratti corrispondano a Gabriela Shalev, primo ambasciatore donna israeliano inviato a rappresentare lo Stato d’Israele alle Nazioni Unite. Nata sessantasette anni fa a Tel Aviv durante il Mandato britannico, da famiglia di origine tedesca, Gabriela Shalev, si arruola nell’esercito israeliano nel 1959 uscendone nel 1961 con il grado di tenente. Studia e lavora per aiutare la famiglia, è commessa alla Corte Suprema di Giustizia di Israele, poi la assumono all’ufficio legale dell’Agenzia ebraica.Fra il 1969 ed il 1973 consegue la laurea e il dottorato in Giurisprudenza alla Università ebraica di Gerusalemme, ma nello stesso anno la sua vita viene colpita da un fatto tragico: suo marito muore durante la Guerra del Kippur e la lascia da sola a crescere due figli.Gabriela, non si perde d’animo. Esperta di contratti e di diritto comparato, scrive alcuni libri e centinaia di articoli, fino al 2002 insegna diritto alla Università ebraica di Gerusalemme e molte sono le sue collaborazioni con prestigiose università europee e del Nord America.Nel 1989 conquista il Susman Law Prize, nel 1991 lo Zeltner Law Prize e nel 2003 il premio della Israeli Bar Association, l’associazione che in Israele assicura lo standard e l’integrità della professione legale.Solo sei mesi fa il ministro degli Esteri israeliano Tzipi Livni le offre l’incarico di ambasciatore alle Nazioni Unite, al posto di Dan Gillerman con il quale si era interrotto un rapporto di fiducia.“Sono stata veramente sorpresa dell’offerta ricevuta dalla Livni, ricorda la Shalev in un’intervista rilasciata al quotidiano Haaretz, mi hanno dato solo 24 ore per decidere. Ne ho parlato con Uzi e con i ragazzi, ma soprattutto ho ascoltato la mia voce interiore. Dicevo a me stessa che non potevo perdere l’occasione di servire il Paese, sentivo che la vita mi aveva dato molte opportunità e le avevo sempre colte tutte cercando di fare del mio meglio. Questo in fondo era quello che avevo sempre raccomandato ai miei bambini: fai del tuo meglio”.Forse per non deludere le aspettative dei suoi cari, o per onorare il ricordo dei suoi nonni materni barbaramente trucidati ad Auschwitz, o per lo spirito di avventura ed il coraggio ereditato dai nonni paterni che molti anni prima avevano lasciato la loro tranquilla e confortevole vita a Berlino per trasferirsi in Palestina, fatto sta che Gabriela accetta la sfida e decide di trasferirsi, ma non è ancora atterrata a New York che le piovono addosso le prime critiche: alcuni ritengono che non abbia l’esperienza necessaria in ambito diplomatico e che le sia stato affidato l’incarico solo grazie ai suoi buoni rapporti con la Livni, altri la accusano di avere orientamenti politici di sinistra e di essere membro di B’Tselem una organizzazione israeliana non governativa che si riferisce a sé stessa come “Il Centro di informazione israeliano per i diritti umani nei territori occupati”.Questa seconda accusa le piove addosso come un insulto dal momento che proprio per la sua posizione in ambito giuridico, non ha mai aderito ad un partito né espresso le sue opinioni politiche “sono l’emissario dello Stato d’Israele, non di un partito” risponde a chi le fa questa domanda per metterla in difficoltà.Ma non c’è tempo da perdere in chiacchiere, Gabriela si mette subito al lavoro, fa tesoro dell’esperienza del suo predecessore, ma è consapevole del fatto che ciascuno attribuisce un valore aggiunto a questo ruolo, un ruolo delicato per le posizioni spesso ostili a Israele espresse dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.Nelle settimane che seguono alla sua nomina, Gabriela, non ha un attimo per riposare, per leggere un buon libro, per ascoltare la musica, per guardarsi intorno “mi sono sentita come quando ero bambina ed a quattro anni i miei genitori mi gettarono nell’acqua per insegnarmi a nuotare” ricorda in un’intervista, ma solo due mesi dopo il Palazzo di vetro le è familiare come la sua casa.A fianco al lavoro alacremente svolto con passione e determinazione, Gabriela cerca di instaurare buoni rapporti con tutti i suoi colleghi ambasciatori ma si rende conto che anche se tutti formalmente gentili parlano due linguaggi differenti, uno nei discorsi pubblici spesso ostili ad Israele ed uno amichevole nei colloqui privati. Rimane profondamente colpita il giorno in cui il pubblico presente in sala applaude il discorso contro lo Stato d’Israele pronunciato dal presidente iraniano Ajmadinejad e il presidente dell’Assemblea Miguel d’Escoto Brockmann corre ad abbracciarlo.Dall’inizio dell’operazione Piombo fuso il 27 dicembre scorso Gabriela Shalev ha rilasciato decine di interviste sostenendo che Hamas e l’Iran non sono soltanto nemici israeliani, ma di tutto il mondo occidentale e ha ringraziato la Casa Bianca e la Comunità ebraica americana per il sostegno allo Stato di Israele e se all’inizio alcuni avevano dei dubbi sulla sua esperienza in ambito diplomatico ha dimostrato in poco tempo di saper parlare di diritti e di giustizia e, quel che è più importante, di saperli far valere.Sono ore difficili per Gabriela Shalev, importanti, decisive. Dalle sue capacità, dal suo saper mantenere il sangue freddo e far valere le ragioni del popolo ebraico, dipende una parte del futuro dello Stato di Israele.“Faccio solo il mio lavoro, non mi lamento. E’ un grande onore rappresentare Israele in questo momento” afferma in questi giorni, confessando di sentire la mancanza della sua famiglia e dei suoi studenti. Ma in questo momento così teso, così difficile, continua a ripetere di non essere mai sola. Attorno a lei ci sono tutti coloro che credono nella democrazia e nel progresso in Medio Oriente. Dietro la sua scrivania, al Palazzo di vetro, i ritratti dei suoi cari, suo marito, che per difendere l’indipendenza di Israele non ha fatto ritorno a casa, e i suoi nonni che le hanno trasmesso la forza, la tenacia il senso di giustizia e la sicurezza che la rendono la donna speciale che ora tutti conoscono.
Lucilla Efrati, http://moked.it/

Gerusalemme

La Halakhà (legge religiosa ebraica) contempla il caso di un “impedimento” alla morte naturale.

Così dice lo Shulchàn Arukh : “Se c'è qualcosa che impedisce la dipartita dell'anima, per esempio se c'è un suono ritmico vicino alla casa (dove si trova il paziente), come il rumore causato da un taglialegna, o c'è del sale sulla sua lingua, e queste cose impediscono la dipartita dell'anima, allora è permesso eliminarle: in questo caso, infatti, non si tratta affatto di un atto concreto ma della rimozione di un impedimento”. È quindi lecito (e anzi, forse anche doveroso) rimuovere eventuali ostacoli che mantengano artificialmente in vita un paziente. Seppur l’eutanasia anche nell’ebraismo è vietata (ma nel caso specifico di Eluana non si tratta di eutanasia!) ciò però non implica che si debba ricorrere a un accanimento terapeutico in caso di malati terminali: anche questo è proibito, se l’unico scopo è prolungare artificialmente la vita. Il problema principale è identificare la precisa linea di demarcazione fra un’azione che, direttamente o indirettamente, causi la morte e un’altra che, sospendendo l’accanimento terapeutico, si limiti solo a permettere il decorso naturale. Il distacco della macchina che assicura la respirazione artificiale o persino l’alimentazione forzata senza la quale il malato terminale non sarebbe in grado di sopravvivere, sono casi che rientrano in ciò che è permesso. Amos Luzzatto, parlando di Welby, ha anche sostenuto: “Sono contento che finalmente si sia conclusa la sofferenza di un uomo che non poteva trovare un rimedio da solo e che nessuno voleva aiutare. Era un incubo: vedere che soffriva e che chiedeva di morire senza poter far niente è stata una cosa drammatica, angosciante… io sono d'accordo col testamento biologico. Anche rispetto all'eutanasia, che è una sorta di suicidio assistito, io sarei favorevole ma con grandi riserve. D’altra parte nella tradizione ebraica ci sono vari esempi di suicidi osannati e ricordati nel testo biblico. Si potrebbe citare Masada, i cui morti vengono ancora onorati, o re Saul, il primo re di Israele, che si suicidò con la sua spada e la cui elegia composta dal suo successore David è un autentico salmo di gloria che è entrato nel testo biblico canonizzato ebraico. L’ebraismo non è una Chiesa dogmatica centralizzata dove c'è un Papa che indica il comportamento da adottare a tutti i fedeli che ne vogliono far parte. Nel mondo ebraico si dibatte di questi temi in modo non superficiale, ma con notevole disinvoltura. E’ difficile che il più colto, il più istruito e informato dei rabbini si senta di dare dei giudizi drastici e validi per tutti i differenti casi. Mi dispiace constatare invece che nel nostro paese sia mancata, nell’insieme, una presa di posizione globale e generalizzata che difendesse il dovere di capire ciascun soggetto che soffre e di non sostituirci alla sua volontà.”

martedì 10 febbraio 2009

San Salvatore ai Monti

Casa dei Catecumeni

Qualche giorno fa sono stata invitata, come storica e come ebrea, a spiegare cosa sia il negazionismo in una parrocchia romana, davanti ai fedeli. Mi era strano parlare in una chiesa, ma questa era anche una chiesa speciale: la chiesa di San Salvatore ai Monti, la chiesetta annessa alla Casa dei Catecumeni, il luogo deputato alla conversione degli infedeli tra il Cinque e l'Ottocento. Mentre parlavo vedevo le grate da cui gli ebrei rinchiusi alla Casa dei Catecumeni dovevano seguire la messa. In quel luogo, l'enorme cambiamento avvenuto nella Chiesa dal Concilio in poi diveniva tangibile, e non solo gli indegni pastori come Williamson ma in genere i tradizionalisti, con il loro ribadire l'"insegnamento del disprezzo", apparivano anacronistici. E ascoltando il parroco, don Federico, spiegare perché, in nome di quale riparazione, aveva voluto che la mia lezione si tenesse proprio lì, pensavo a tutto il lavoro che è stato fatto nel mondo cattolico dopo il Concilio per cambiare la mentalità, il pensiero dei cattolici nei confronti non solo degli ebrei, ma di tutti quelli che cattolici non sono e non vogliono diventare. Un lavoro lunghissimo, difficile, capillare, che di fronte alle domande e alla luce di interesse che brillava negli occhi del mio pubblico mi appariva visibile, e prezioso. Anna Foa,storica

lunedì 9 febbraio 2009

JONA OBERSKI ANNI D’INFANZIA

(Trad. Amina Pandolfi, Ia ed. Mondadori, Febbraio 1982 pp. 124; II ed. Giuntina, 1989)
Ma tu sei malato già da cinque giorni e hai avuto un febbrone terribile……Sentivo di avere la febbre. Ma alla storia dei cinque giorni non ci credevo. C’era un buco nero nel tempo”.
Un amico ricco di sensibilità e cultura, Luca Alessandrini, direttore dell’Istituto Regionale per la Storia della Resistenza “Ferruccio Parri” di Bologna -che vanta pure una fornitissima biblioteca-, mi ha consigliato la lettura di questo libretto, risalente a molti anni fa, ma attualissimo. “Si tratta di un approccio al tema della Shoah originale per gli anni in cui fu scritto; da un olandese, il quale narra la sua esperienza”. Così mi ha detto, in tono un po’ criptico; senza peraltro spiegarmi in che cosa consistesse l’originalità. Ovviamente ho subito seguito il consiglio.
L’Autore, nato ad Amsterdam nel 1938, membro di un importante istituto di fisica nucleare, nel 1977 scrisse quest’opera che, uscita in Patria due anni dopo e successivamente in diversi Paesi nel mondo, suscitò un notevole interesse di pubblico e critica. Negli anni ’80 il regista italiano Roberto Faenza ne trasse un film “Jona che visse nella balena”. Teatro della vicenda sono gli anni 1942/1945, durante l’occupazione tedesca dell’Olanda. Obierski racconta in prima persona le vicende di un piccolo ebreo che, all’età di quattro anni, viene deportato in un campo di concentramento insieme ai genitori. In un primo momento madre e figlio vengono rimessi in libertà, ma non per questo la situazione della famiglia si rasserena, anzi il piccolo si trova a vivere situazioni in apparenza banali, che tuttavia si colorano di grave minaccia. Poco dopo, infatti, l’intera famiglia viene deportata in un lager. Là Jona viene a contatto con la terribile realtà della fame, delle privazioni e, soprattutto, della morte. Dapprima del padre, evento cui vuole assistere per una sorta di emulazione -e ricerca di accettazione- nei confronti degli altri bambini, deportati come lui, indi dell’adorata madre, che non resiste alle dure privazioni e alla perdita del coniuge. La storia è emozionante proprio perché è vissuta attraverso gli occhi e il cuore di un bambino dai quattro ai sette anni, non completamente consapevole di quanto gli sta accadendo e al quale viene fatto credere dai familiari, per non spaventarlo (e magari in una sorta di autoillusione), di essere in viaggio per la Palestina. I singoli episodi sono riportati, per così dire, allo stato nascente, senza valutazione o spiegazione, espressi in un linguaggio elementare, talora immaginifico, filtrati, anche quelli più tragici, da quell’apparente indifferenza infantile che noi adulti a volte riteniamo, sbagliando, priva di conseguenze nel futuro. “Un bambino guarda intorno a sé con gli occhi sgranati” affermava lo scrittore israeliano Etgar Keret durante un incontro a Roma, tre giorni fa, nel ricordare la storia, davvero tragica, della sua famiglia d’origine; la tragedia può raggrumarsi in un lato oscuro della personalità, suscettibile di emergere, egli proseguiva, da un momento all’altro (che infatti riaffiora, qua e là, all’improvviso, nelle opere di Etgar, solo in apparenza dissacranti come, ad esempio, il film “Meduse”).Sarà grazie ai genitori adottivi incontrati dopo la liberazione, coloro ai quali il libro è dedicato, con parole poste significativamente al termine dello stesso, che il piccolo Jona ritroverà quell’equilibrio per affrontare e superare pian piano i suoi incubi (“il buco nero nel tempo”) e donarci, dopo averla rielaborata a circa un trentennio di distanza, questa toccante testimonianza. Mara Marantonio Bernardini, 8 febbraio 2009

Di madre in figlia

di Helen Epstein Ed. Forum Euro 22,00
Attraverso istantanee perfette e di implacabile nitore, fotografando gli attimi in cui ogni vita si delinea e si schiude alla propria sorte o, al contrario, prende una direzione inaspettata, Helen Epstein ripercorre a ritroso la storia di quattro generazioni di donne in una sorta di epica familiare che partendo dalla fine dell’Ottocento ritrae anche la storia degli ebrei nell’Europa centro-orientale.Helen Epstein è la più giovane di una famiglia proveniente dal centro Europa in cui i genitori, i nonni, gli zii sono stati vittime dei pogrom antisemiti e dell’immane tragedia della Shoah.Nata a Praga nel 1947 e cresciuta a New York l’autrice, che ha studiato giornalismo negli Stati Uniti e in Israele, è conosciuta al pubblico italiano per il saggio “Figli dell’Olocausto” edito da Giuntina, un’opera che analizza le esperienze di coloro che hanno vissuto indirettamente una tragedia, vittime del senso di non appartenenza e ribadisce che non è vero, come spesso si crede, che tutto è finito con la Liberazione. Anzi il coraggio necessario per continuare a vivere dopo comporta, fra le altre, la difficoltà di dover affrontare domande come “Perché io fra tanti mi sono salvato?”Domanda a cui non c’era risposta.
Nel saggio “Di madre in figlia” Epstein riprende e approfondisce questi temi mettendo in luce il complicato rapporto con la madre Franci, deportata ad Auschwitz il 18 maggio 1944, e tracciando con una prosa emozionante i profili di donne coraggiose, capaci di lottare ed emanciparsi nonostante le condizioni avverse in cui erano costrette a vivere.Dal Medioevo ai giorni nostri, da Brtnice, Iglau, Kòlin passando attraverso Vienna e Praga fino ad arrivare a New York, l’autrice avvalendosi di studi e ricerche accurate oltre che delle memorie inedite (“Andata e ritorno”) scritte dalla madre Frances Epstein negli anni Settanta, conduce il lettore attraverso la storia degli ebrei nell’Europa centro-orientale.Con il rigore dello storico Epstein narra il tremendo pogrom del 1389 a Praga, le espulsioni del 1426 dalla città di Iglau, i tentativi degli ebrei di ritrovare condizioni di relativa sicurezza per fondare nuove Comunità, l’accesso all’istruzione universitaria concesso dall’imperatore Giuseppe II oltre che l’abolizione di “tutte le imposizioni che per secoli erano servite a differenziare gli ebrei dal resto della popolazione”.
In questo percorso di ricerca delle proprie radici Helen incontra dei compagni di viaggio preziosi, Jiri Rychetsky, profondo conoscitore della storia degli ebrei vissuti tra Boemia e Moravia e Jiri Friedler, esperto di cimiteri ebraici. Insieme a loro visita le cittadine di Jihlava, Iglau, Brtnice, Kòlin, raccoglie testimonianze e ritrova fotografie dei propri antenati ebrei offrendoci nel contempo un quadro indimenticabile della vita ebraica nel XIX secolo: un’epoca in cui gli ebrei “vivevano in campagna, avevano famiglie enormi con quindici figli” e spesso era difficile”determinare la propria data di nascita all’interno di una famiglia del genere”.
Ciò che colpisce in questa coinvolgente biografia familiare è la capacità di Helen Epstein di ritrarre le proprie antenate con sguardo attento e sensibile sia agli eventi storici che le vedono protagoniste, sia ai risvolti più intimi dell’anima, fedeli al loro ruolo di donna, madre, moglie e lavoratrice.Therese Furcht, Pepi e Franci rispettivamente bisnonna, nonna e madre della scrittrice sono figure determinanti nel vissuto della Epstein, ciascuna con le proprie peculiarità e tutte unite da fili indissolubili: l’identità ebraica, benché nascosta e taciuta, e l’arte della sartoria, il luogo nel quale le donne possono confrontarsi, darsi reciproco sostegno ma anche crescere culturalmente ed emanciparsi socialmente.E grazie all’arte del cucire la nonna Pepi, combattiva fino alla sua deportazione da Theresienstadt “verso Est”, troverà un conforto e un rifugio dalle delusioni della vita matrimoniale e la madre Franci riuscirà ad affrontare e superare gli orrori del campo di concentramento.Le vicissitudini di queste donne, accomunate da una forza di volontà non comune, si dipanano attraverso gli anni in un percorso di crescita emozionante che coinvolgerà il lettore fino all’ultima pagina, restituendoci l’affresco di un’epoca drammatica e il ritratto di donne straordinarie che hanno saputo prima sottrarsi alle persecuzioni naziste e poi emanciparsi e rendersi autonome con l’arte del cucito.“Di madre in figlia” è un saggio storico di inestimabile valore, un’indagine accurata attraverso luoghi, fatti e sentimenti di un passato che non può essere dimenticato.Non è sempre facile trovare un libro che lasci un segno, che scavi dentro, che abbia in sé quegli elementi che ne fanno forse non un best-seller, ma piuttosto e comunque un capolavoro: discreto e stupefacente insieme.Ci sono qualità che fanno di un romanzo un potenziale classico della letteratura.Ci sono libri, come quello di Helen Epstein, che non sono “di moda” e che proprio per questo destinati a durare nel tempo e a mettere radici nel cuore e nella mente dei lettori. Giorgia Greco

domenica 8 febbraio 2009

Gerusalemme

ESAMI UNIVERSITARI

Sto correggendo gli esami scritti di Geografia Culturale e di Geografia dei Paesi Mediterranei (laurea triennale e specialistica, Facoltà di Lingue, Università di Torino). Per alcuni miei studenti, molti purtroppo, Maometto è nato da famiglia "islamica" in Palestina nel IV sec. a.C. (di fatto è nato nella penisola arabica, da famiglia pagana, nel VI sec. d.C.), l'egira è avvenuta nel 622 a.C. (invece che dopo Cristo), la qibla (direzione di preghiera islamica) è una festa di pellegrinaggio, La Mecca si trova a Gerusalemme (i commenti sono inutili), i chassidim (ebrei ultraortodossi) sono antichi egizi o anche antichi palestinesi e lo Stato d'Israele è nato dopo un'invasione armata degli israeliani (?) contro lo Stato di Palestina (?). La Ka'ba pare essere sconosciuta anche ad alcuni miei allievi marocchini che preferiscono non rispondere alla domanda che chiede loro di indicare dove si trovi. Alcuni italiani optano per Hebron, altri per Gerusalemme... e dire che si tratta di una domanda a scelta multipla e la prima opzione indica proprio La Mecca! C'è chi confonde la strage di Deir Yassin, perpetrata dall'Irgun, con quella di Sabra e Chatila compiuta dalle falangi cristiano-maronite, ma anche chi la confonde con lo sceicco palestinese Yassin. Chi è convinto che Maometto abbia guidato il primo pellegrinaggio a La Mecca (in realtà fu guidato da Abu Bakr, colui che divenne poi il primo califfo) e chi narra con dovizia di particolari che i sunniti sono un ramo dell'ebraismo oppure i seguaci di Alì (confondendoli con gli sciiti). Moltissimi studenti sostengono che gli ebrei possono essere cittadini giordani ed eleggere propri rappresentanti al parlamento giordano, mentre gli arabi non possono essere cittadini israeliani ed eleggere propri rappresentanti al parlamento israeliano (in realtà è vero il contrario). Ma c'è anche chi confonde i tentativi di pace israelo palestinesi di Oslo 1993 con il processo di Norimberga o con il caso Dreyfus, chi è convinto che i Drusi siano i musulmani d'Europa, chi dice che non c'è mai stato lo smantellamento delle colonie ebraiche da Gaza (avvenuto nell'estate 2005) e chi asserisce che le donne islamiche debbano fare il pellegrinaggio a La Mecca a volto coperto (anche in questo caso è vero il contrario). Per non parlare della carta muta dove il Pakistan confina con Israele, la Striscia di Gaza si trova nella penisola del Sinai, come anche il Negev, il Mar Morto sta al posto del Mar Rosso, il canale di Suez lungo il confine israelo-giordano, Gerusalemme nella Striscia di Gaza, l'Iraq al posto della Giordania e il Libano al posto del Mar Mediterraneo. Eppure si tratta di studenti che hanno seguito le lezioni, che hanno ascoltato le conferenze dell'Imam Pallavicini e del Rabbino Somekh, che hanno studiato (o, meglio, avrebbero dovuto studiare) su testi di geografia, che ho cercato di coinvolgere mostrando loro documentari in aula, inviando carte e collegamenti geografici tramite internet ai loro indirizzi di posta elettronica, ma è stato tutto inutile. E' evidente che non ho fatto abbastanza, che 60 ore di corso non sono state sufficienti, che non sono stata capace di trasmettere conoscenza e neppure curiosità. Ed è anche evidente che la propaganda di certi gruppi e l'assenza totale di stimoli alla ricerca sono stati più forti. Spero soltanto che questi ragazzi evitino di esprimere opinioni in favore o contro la "politica" della Stato d'Israele, in favore o contro il pensiero islamico, in favore o contro qualsiasi cosa... vista la desolazione delle loro menti. Daniela Santus