sabato 12 maggio 2012


Un buon accordo di unità nazionale Alcuni commenti dalla stampa israeliana

Con buona pace dei tanti opinionisti à la page, soprattutto israeliani, che stavano già scaldando i motori per scagliarsi contro le elezioni anticipate “volute da Netanyahu per evidenti interessi di bottega” (rinviare questioni spinose come la Legge Tal e lo sgombero di Ulpena, anticipare la rielezione di Obama, perdere tempo sul processo di pace e così via) e che ora si sono prontamente scatenati contro le elezioni anticipate NON volute da Netanyahu, preferiamo dare spazio ai commenti di chi – fatta salva l’ovvia considerazione che l’accordo Netanyahu-Mofaz risponde anche ai rispettivi interessi di parte – cerca di analizzare in termini politici il nuovo scenario israeliano.Scrive MOSHE RONEN, su YnetNwes: «La sorpresa che ci hanno preparato martedì scorso il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e quello che fino al giorno prima era il capo dell’opposizione, il leader di Kadima Shaul Mofaz, è una bella sorpresa. Lo è non solo perché le elezioni, che erano prive di chiari argomenti di contesa, ci avrebbero spinti in un vortice inutile e costoso. Lo è anche per diversi altri motivi.Innanzitutto perché una coalizione che può contare su quasi cento parlamentari (su 120) è l’unico modo per varare almeno due leggi fondamentali che la maggior parte degli israeliani aspetta da moltissimi anni: una legge che distribuisca in modo più equanime e assennato l’onere del servizio militare obbligatorio, e una legge che modifichi il nostro sistema elettorale. Queste due riforme non potrebbero mai essere approvate con una coalizione in cui continuino a esercitare potere di veto partiti minori religiosi e ultra-ortodossi.In secondo luogo, perché questo è l’unico modo, con il primo ministro Netanyahu posizionato al centro della coalizione di governo, per promuovere una qualche sorta di processo di pace. Fino a martedì scorso Netanyahu, che nel 2009 pronunciò il famoso discorso di Bar-Ilan a favore della soluzione “due popoli-due Stati”, era di fatto l’esponente del governo più disponibile a dialogo e negoziato. Lo era anche all’interno del suo partito, il Likud, e rispetto ai principali partner della coalizione: Yisrael Beiteinu e Partito Nazionale Religioso. Nessun processo diplomatico era concretamente possibile con il primo ministro consapevole che ogni eventuale concessione avrebbe potuto far cadere il suo governo.In terzo luogo, questo è l’unico modo che ha Netanyahu per riportare il Likud sulla sua storica posizione di partito moderato nazional-liberale. Dopo aver visto l’ultimo congresso del suo partito praticamente monopolizzato dagli attivisti dell’ala di estrema destra su posizioni che sarebbero più consone a formazioni come il Partito Nazionale Religioso o Unione Nazionale, Netanyahu si è reso conto che l’unico modo per ripristinare la linea storica del Likud era attraverso una tendenziale riunificazione (nell’arco di un anno-un anno e mezzo) con quello che rimane di Kadima. In effetti, un comitato centrale che fosse la fusione di quello del Likud e quello di Kadima ridurrebbe molto la forza delle frange estremiste alla Moshe Feiglin.Quarto, solo una larga coalizione può permettere al governo di pianificare e approvare una legge di bilancio appropriata, equa e ragionevole, che affronti i temi che stanno a cuore alla classe media senza subire le pressioni dei piccoli partiti di nicchia e di settori non interessati al benessere della società nel suo complesso.Pertanto, se è pur vero che Netanyahu e Mofaz, con le loro manovre notturne, non hanno reso un gran servizio ai concetti di credibilità e di fiducia dell’opinione pubblica nella politica, tuttavia se i due riusciranno a realizzare anche solo la metà di quanto promesso, ne sarà valsa la pena.»(Da: YnetNwes, 10.5.12)Scrive YULIA SHAMALOV-BERKOVICH, su IsraelHaYom: «Non credevo che si sarebbe arrivati alle elezioni anticipate. Ma se si fossero tenute, il sistema istituzionale-elettorale sarebbe rimasto lo stesso vecchio sistema istituzionale-elettorale, con le sue ingiustizie e i suoi squilibri, e sarebbe rimasto intatto il difetto di reale governance. Avremmo fatto le elezioni e alimentato il mostro vorace della campagna elettorale a vantaggio praticamente soltanto di commentatori politici, esperti dei mass-media e burocrati governativi. Qualche ministro sarebbe cambiato, la burocrazia sarebbe rimasta la stessa. Le casse dello stato si sarebbero impoverite, nuovi partiti sarebbero spuntati come funghi e la cittadinanza si sarebbe ritrovata col conto da pagare. Un conto doppio perché, innanzitutto, le elezioni in questo momento erano del tutto inutili; e poi perché, con l’attuale sistema, gli stessi malanni che avevano portato alle elezioni sarebbero stati soltanto rafforzati.Sono rimasta scioccata nel vedere i commentatori politici e dei mass-media esprimere tanto disgusto e irritazione per l’accordo di governo raggiunto, evidentemente dimentichi del fatto che solo una settimana prima era molto trendy tuonare contro le elezioni anticipate "volute solo dai politici e non dall'opinione pubblica". A quanto pare, i veri voltagabbana in questo scenario sono certi giornalisti e analisti che la domenica dicono una cosa e venerdì dicono il contrario.A mio parere, invece, il presidente di Kadima e il primo ministro d’Israele hanno preso una decisione saggia e coraggiosa per lo stato d’Israele: istituire un governo di ampia unità nazionale e riformare il sistema elettorale. Di fronte a questa novità politica, sembra che per molti l’unico problema sia che “la stampa non è stata avvertita per tempo”. Costoro devono avere improvvisamente capito che in questo paese esistono delle persone che, a differenza dei commentatori da teleschermo e da tastiera, sono state elette per governare, per prendere decisioni, per elaborare e correggere l’agenda politica del paese.»
(Da: IsraelHaYom, 9.5.12) http://www.israele.net/

Cristiani in Africa e Medio Oriente a un anno dalla "primavera araba". Intervista con padre Pizzaballa

“I cristiani nel mondo arabo, un anno dopo la primavera araba”, questo il titolo del Seminario di Studio svoltosi a Bruxelles e promosso, tra gli altri, dalla Comece. Un importante momento di confronto, focalizzato sui riflessi che i sommovimenti politici in atto in alcuni Paesi arabi stanno avendo sulle comunità cristiane locali. Durante l’incontro, è intervenuto anche padre Pierbattista Pizzaballa, Custode di Terra Santa, il quale ha sottolineato che “non bisogna generalizzare, mostrando paura o gioia, né tantomeno attendersi un cambiamento istantaneo”. Salvatore Sabatino lo ha intervistato: R. – Il mondo arabo per 40 anni ha vissuto in una sorta di "status quo" che è finito e adesso non si può pretendere, dopo 40 anni di immobilismo, che ci siano passaggi veloci, rapidi, a una nuova situazione. Richiederà molto tempo e anche situazioni difficili di incomprensione e di tensione, questo è inevitabile. Detto questo, ci sono problemi, ci sono anche molte possibilità di cooperazione e bisogna semplicemente, con molto realismo, guardare alla realtà senza panico e rimboccarsi le maniche.D. – La chiave di volta di tutto questo è ovviamente il dialogo che, lei dice, non è solo sui temi di fede ma anche sui temi di vita, che riguardano la quotidianità...R. – Il dialogo va impiantato soprattutto sui problemi di vita, perché sulla questione di fede, tra noi e l’islam, ad esempio, non credo che ci sia molto da dire. Forse, tra qualche tempo si potrà fare ma adesso no. Adesso bisogna puntare sul dialogo, soprattutto tra le comunità religiose, che deve poi influire sull’aspetto civile, sugli aspetti comuni, non solo per quanto riguarda la pace in maniera generica, ma anche sulla questione diritto e lavoro, uguaglianza uomo-donna, la piena cittadinanza, la questione della giustizia… Sono tutti temi che coinvolgono oggi la vita delle comunità che stavano riscrivendo le costituzioni, è bene che il dialogo sia su queste cose concrete e non su principi teorici che non toccano la vita di nessuno.D. – Padre Pizzaballa, lei ha anche sottolineato che non ci sono ovviamente solo persecuzioni, ma esempi virtuosi di dialogo con i religiosi musulmani…R. - E questo è il nostro punto di partenza, non abbiamo alternative, dobbiamo essere in dialogo e costruire un dialogo, soprattutto con i leader, in modo da influire sulla formazione anche del pensiero, un poco alla volta.D. – Rispetto a questa situazione estremamente fluida che sta vivendo il Medio Oriente dopo la "primavera araba", qual è il rischio concreto per i cristiani che vivono in quelle realtà?R. – Il rischio è anche qui di polarizzarsi, di rinchiudersi a riccio, dicendo: prima stavamo peggio, prima eravamo più protetti, e quindi condannando tutti cambiamenti. Oppure, dire che va tutto bene e che non ci sono problemi. E’ importante che la comunità cristiana partecipi alla vita pubblica con un sereno spirito critico. Sereno ma anche critico: non fingere cioè che non ci siano problemi, ma nemmeno lasciarsi spaventare dai problemi ed anzi entrarci dentro.D. – La terribile situazione che sta vivendo la Siria in questo periodo, così come i sommovimenti che stanno avvenendo in Egitto, la situazione in Libia che abbiamo visto negli scorsi mesi, hanno di fatto oscurato mediaticamente la difficile situazione che si vive anche sul fronte israelo-palestinese, che poi è la realtà che lei vive da oltre 20 anni. Qui qual è la situazione dei cristiani?R. - Paradossalmente, la Terra Santa, che è considerata il cuore del conflitto del Medio Oriente, oggi è più calma. Non serena ma calma, perché il mondo attorno a noi sta prendendo fuoco e invece in Terra Santa – Israele e Palestina – la situazione è ferma e quindi si sta un po’ "incancrenendo". I cristiani vivono inseriti in un’attesa perenne di un accordo che onestamente non si vede molto all’orizzonte.D. – Il nuovo governo israeliano potrà di fatto aiutare a sbloccare questa situazione?R. – Dubito. Credo che il nuovo governo abbia altre priorità, non questa. Abbiamo visto che in questi anni questo governo è stato molto tiepido nel rapporto con i palestinesi e non credo che sia nella loro agenda – spero di sbagliare! – un accordo con i palestinesi. Credo che si dovrà attendere ancora un tempo molto lungo prima che la situazione si sblocchi veramente.D. - Vuole lanciare un appello, padre Pizzaballa?R. – Innanzitutto di non spaventarsi, di venire in Terra Santa, perché è importante venire e vedere che tutto sommato la situazione non è così drammatica, soprattutto per la sicurezza dei pellegrini. Poi, guardare sempre con attenzione a quello che avviene nel Medio Oriente perché ci riguarda: l’Europa e il Medio Oriente sono sempre stati storicamente, oltre che economicamente, anche culturalmente legati. Quindi, il mio appello che è che l’attenzione verso il Medio Oriente non segua gli interessi mediatici, ma sia continua nel tempo.http://www.oecumene.radiovaticana.org/

A un anno e mezzo dalle rivolte arabe è tempo di fare un primo bilancio

Era il 17 dicembre 2010. Di fronte all’ufficio del Governatore di Sidi Bouzid, in Tunisia, il ventiseienne Mohamed Bouazizi si dava fuoco in segno di protesta contro le condizioni economiche del suo Paese e i ripetuti maltrattamenti subiti dalla polizia. Fu la scintilla che accese le rivolte arabe, il tentativo di alcune popolazioni del Maghreb e del nord Africa di emanciparsi dalle proprie dittature, da decenni al potere. Una rivolta intergenerazionale, animata principalmente da giovani che chiedevano maggior libertà di espressione e condizioni di vita migliori. A distanza di più d’un anno e mezzo, è tempo di un primo bilancio.Per Fiamma Nirenstein, deputata Pdl e vice-presidente della Commissione esteri della Camera, il bilancio purtroppo è negativo. “Passata l’esaltazione iniziale e il fascino di una spinta popolare e giovanile contro l’insopportabile oppressione di crudeli dittatori”, dice Fiamma Nirenstein a L’Occidentale, “abbiamo visto che quel che si profila all’orizzonte è una specie di internazionale sunnita integralista islamica, guidata dai Fratelli Musulmani”. Una lettura fondata. In Tunisia si è avuto il processo di transizione più immediato. Dalla cacciata del dittatore Ben Alì il 14 Gennaio 2011, si è passati alle elezioni di Ottobre, nelle quali si è assisto all’ascesa al potere del partito musulmano moderato Ennahdha. Non è stato un cambiamento positivo: le tensioni restano alte, tra la forte disoccupazione e le difficoltà economiche, acuite ancora di più a seguito dello scarso afflusso di turisti post-rivolta.E ancora l’Egitto. Dopo la cacciata di Mubarak, per trent’anni incontrastato ‘faraone’ del paese, i Fratelli musulmani e i partiti salafiti hanno inanellato una vittoria politica dopo l’altra, con le elezioni presidenziali che dovrebbero svolgersi tra il 24 e il 25 Maggio che s’annunciano come l’ennesima conferma del fronte islamista.Tra i candidati con maggiori probabilità di vittoria delle elezioni figurano Amr Mussa, ex-leader della Lega Araba noto per aver criticato aspramente le politiche statunitensi e israeliane, Abdel Aboul-Fotouh, ex-dirigente dei Fratelli Musulmani, e Mohammad Morsy (Libertà e Giustizia), il quale ha più volte espresso l’opinione per cui la futura legislazione dell’Egitto dovrebbe fondarsi sulla religione islamica.Come dimenticare la Libia. La nazione guidata dall’ex-dittatore Muammar Gheddafi è stata senza dubbio la più provata dalle conseguenze delle rivolte arabe. Dopo l’intervento Nato a sostegno dei ribelli di Bengasi, si è arrivati alla situazione attuale, con il Consiglio nazionale di transizione (Cnt) che sta traghettando il paese verso le elezioni del 19 giugno prossimo, senza avere ancora il controllo totale della regione. Diverse aree della Libia sono ancora sotto l’egida di fazioni armate di varia provenienza.Infine la più drammatica delle rivolte: la guerra civile in Siria, che il sanguinario Bashar al-Assad continua a reprimere nel sangue, con quasi dieci mila morti secondo le stime dell’Onu. A nulla ha portato l’accettazione (presunta) da parte del regime di Damasco della proposta di cessate il fuoco, mossa dall’inviato delle Nazioni Unite e della Lega Araba Kofi Annan.La guerra tra l’esercito regolare e la Free Syrian Army continua, e il dittatore Assad resta al suo posto, appoggiato politicamente e militarmente dall’Iran, potenza pre-nucleare, guidata da un presidente estremista come Mahmud Ahmadinejād.Un quadro politico non roseo, quello nordafricano e mediorientale, di fronte al quale l’Europa spesso tentenna, piegata com’è sui propri drammi interni.Per riflettere sul ruolo delle nazioni europee di fronte al nuovo Medioriente disegnato dalle rivolte arabe, così come dei pericoli legati al nucleare iraniano e del ruolo europeo di fronte all’islamismo politico che più si è avvantaggiato degli sconvolgimenti dell’ultimo anno e mezzo, se ne discuterà, il prossimo 15 Maggio, nella conferenza organizzata a Roma dal Congresso Ebraico Mondiale (il World Jewish Congress, WJC), l’International council of Jewish Parlamentarians e da Summit, il think tank animato proprio da Fiamma Nirenstein.Per la deputata Pdl, “la conferenza cercherà di fare il punto sul ruolo dell’Europa di fronte ai problemi legati al Medio Oriente: dalla gestione delle primavere arabe all’Iran, in un momento in cui vive una crisi profonda, di eredità ed economica”.In particolare Fiamma Nirenstein vede nell’Iran un grande punto interrogativo. Il fallimento dei colloqui di Unione Europea e Stati Uniti con un regime “che ha come suo punto prioritario quello della produzione di energia atomica a scopi bellici, in particolare orientata alla distruzione di Israele” dovrebbe destare grande preoccupazione in un’Europa troppo spesso ancorata alle proprie questioni interne. “Cosa sta facendo l’Europa di fronte a tutto questo?” – si chiede la Nirenstein, la quale continua – “C’è speranza che questi colloqui portino a un risultato oppure l’unica opzione sono le sanzioni o la distruzione delle strutture nucleari iraniane?”.Molto interesse a questo incontro è stato espresso anche dal Governo italiano. Per l’occasione, il premier Mario Monti riceverà a Palazzo Chigi il presidente del WJC, Ronald Lauder, la stessa deputata Fiamma Nirenstein in veste di presidente dell’ICJP e il segretario generale del WJC Dan Diker. Nel corso della giornata, verranno anche ricevuti dal ministro degli Affari Esteri Giulio Terzi di Sant’Agata. Una buona occasione per il Governo di un paese come l’Italia, troppo spesso preso a guardarsi l’ombelico, ancor di più in mezzo a un periodo di recessione, per ricevere pareri autorevoli e analisi approfondite su quel che accade fuori dai nostri confini.http://www.loccidentale.it/


Partner affidabili e buoni amici. Il Papa saluta la delegazione del Latin American Jewish Congress

“Partner affidabili” e “ buoni amici”, capaci di “affrontare insieme” le crisi e “superare i conflitti in modo positivo”. Sono delineati così da Benedetto XVI i rapporti tra cattolici ed Ebrei, in un discorso di saluto ai 30 membri della delegazione del Latin American Jewish Congress, che rappresenta le comunità ebraiche dell’America Latina. E che gli ebrei siano diventati “partner affidabili” e “buoni amici” lo si deve – dice il Papa – al “progresso ottenuto negli ultimi cinquanta anni di relazioni”. E’ il primo incontro di Benedetto XVI con i rappresentati di organizzazioni e comunità ebraiche latinoamericane. Un incontro “significativo”, rimarca il Papa, che sottolinea come in tutta l'America Latina ci sono “comunità ebraiche dinamiche, soprattutto in Argentina e Brasile, che vivono accanto a una grande maggioranza di cattolici. Dagli anni del Concilio Vaticano II le relazioni tra ebrei e cattolici si sono rafforzate, e ci sono diverse iniziative che permettono l’approfondimento dell’amicizia reciproca”.C’è un incontro che cade in un anniversario significativo: i 50 anni dell’apertura del Concilio Vaticano II, che – ricorda Benedetto XVI – saranno festeggiati ad ottobre. Da quel Concilio venne la dichiarazione Nostra Aetate sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane, la cui quarta parte è dedicata proprio al vincolo che lega cristianesimo ed ebraismo. Questa dichiarazione – dice il Papa – “continua ad essere la base e la guida dei nostri sforzi per promuovere maggiore comprensione, rispetto e cooperazione tra le nostre due comunità”. Perché – prosegue il Papa - la Nostra Aetate “non solo ha preso una posizione chiara contro tutte le forme di antisemitismo”, ma ha anche gettato le basi “per una nuova valutazione teologica del rapporto tra Chiesa ed ebraismo”, esprimendo fiducia nel contributo “del patrimonio spirituale condiviso da ebrei e cristiani” ad una comprensione e una crescente stima reciproca.Ecco allora – è il caso della relazione tra cattolici ed ebrei - che cresce “la fiducia, il rispetto, la buona volontà”. Ed ecco che si stringono i rapporti, che gruppi inizialmente diffidenti l’uno nei confronti dell’altro diventano passo dopo passo “partner affidabili” e “buoni amici” in grado di “affrontare insieme” le crisi e “superare i conflitti in modo positivo”. C’è ancora molto da fare, dice il Papa, ma già si deve essere grati di “percorrere insieme la via del dialogo, della riconciliazione e della cooperazione”.Perché il dialogo tra le religioni – sottolinea il Papa – è fondamentale oggi “in un mondo sempre più minacciato dalla perdita dei valori spirituali e morali, che sono quelli che possono garantire il rispetto della dignità umana e una pace duratura, il dialogo sincero e rispettoso tra religioni e culture”. E per questo, il Papa spera che l’incontro tra lui e il Latin American Jewish Congress sia “fonte di incoraggiamento e di rinnovata fiducia per affrontare la sfida di costruire legami sempre più forti di amicizia e collaborazione”.Legami ai quali Benedetto XVI ha sempre creduto. E da sempre, Joseph Ratzinger ha guardato alle radici ebraiche del cristianesimo. Nel 1994, Ratzinger partecipò ad un incontro interreligioso organizzato a Gerusalemme dal governo israeliano. E lì espose in maniera sistematica la sua teologia dei rapporti tra la Chiesa e Israele, basata sulla riscoperta della continuità tra la speranza di Abramo e la speranza cristiana, tra la Torah e il Vangelo. Questo è l’indirizzo del suo pontificato: il Papa, spesso, nei suoi viaggi internazionali, ha incontrato una comunità di religione ebraica; è stato in Israele nel 2009, e in visita alla Sinagoga di Roma nel 2010, e in entrambi i casi ha mostrato la continuità tra cattolicesimo ed ebraismo. Sarà anche di questo che parlerà il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani e della Commissione della Santa Sede per i Rapporti con l’Ebraismo, in una lectio magistralis dedicata a “50 anni di dialogo ebraico cristiano”, che si terrà all’Angelicum il prossimo 16 maggio e sarà seguita da una conferenza stampa congiunta con il rabbino Jack Bemporad. http://www.korazym.org/

In Giordania si esercitano a fare la guerra

di Emma Mancini, http://www.globalist.it/
Una Giordania in crisi e in odore di elezioni anticipate farà da palcoscenico all'esercitazione militare di 12mila soldati provenienti da 17 diversi Paesi, coordinati dagli Stati Uniti. Prove generali per l'attacco all'Iran? Un dubbio legittimo, soprattutto dopo il rimpasto nel governo israeliano, con l'ex partito di opposizione Kadima entrato ufficialmente nell'esecutivo guidato dal Likud di Benjamin Netanyahu.Esercitazioni militari in Giordania: Siria e Iran il target?L'esercito degli Stati Uniti ha annunciato mercoledì l'avvio, il prossimo 15 maggio, di esercitazioni militari congiunte in territorio giordano. Numeri che fanno suonare l'allarme: 12mila soldati provenienti da 17 Paesi, impegnati in training aerei, via terra e via mare, alcuni dei quali al confine tra Giordania e Israele, ad Aqaba. È l'operazione Eager Lion, "esercitazione annuale multinazionale volta a rafforzare le relazioni militari attraverso un approccio congiunto, al fine di rafforzare le complesse sfide sulla sicurezza nazionale, attuali e future".Così il maggiore Robert Bockholt, responsabile delle pubbliche relazioni del Commando Centrale dell'esercito Usa, ha definito il training: esercitazioni volte ad affrontare lo spettro del terrorismo, in particolare eventuali attacchi chimici e nucleari. Aggiungendo che l'operazione nulla ha a che vedere con un eventuale intervento militare nella confinante Siria: "Solo una coincidenza". Una coincidenza che troverebbe spiegazione nei finanziamenti miliardari che Washington fa piovere ogni anno su Amman, per l'implementazione del sistema militare giordano: negli ultimi cinque anni, gli aiuti economici a stelle e strisce hanno raggiunto 2,4 miliardi di dollari, facendo della Giordania il maggior beneficiario dei fondi statunitensi.Eppure alcuni osservatori hanno sollevato dei dubbi: un'esercitazione di vasta scala come quella in programma in Giordania giustificherebbe un successivo intervento. I target possibili: la Siria di Bashar o l'Iran, da mesi oggetto di particolari attenzioni da parte del premier israeliano Netanyahu e del suo ministro della Difesa, Ehud Barak. Mercoledì, la Knesset ha approvato con 71 voti a favore e 23 contro l'accordo a sorpresa tra Likud e Kadima, siglato nei giorni scorsi dal premier Netanyahu e da Shaul Mofaz. Una coalizione ampia, 94 parlamentari su 120. Una maggioranza schiacciante che in molti hanno tradotto come "governo di guerra".La crisi giordana: il re annuncia elezioni anticipate.Dall'altra parte sta la Giordania, teatro delle prossime esercitazioni militari Eager Lion. La scelta della Giordania è stata dettata con molta probabilità dalla volontà americana e israeliana di evitare che anche Amman crolli sotto i colpi delle proteste popolari.Proteste di piazza in Giordania: il popolo chiede riforme.Re Abdallah di Giordania tenta di uscire dal pantano della crisi interna annunciando elezioni anticipate, prima della fine dell'anno (nel 2014 la naturale scadenza della legislatura) , mentre le opposizioni premono per riforme immediate. Lunedì scorso il re ha approvato la creazione di una Commissione Indipendente per le Elezioni, guidata all'ex inviato dell'Onu in Libia, Abdul Ilah al-Khatib.Solo una settimana fa è stato formato un nuovo governo, che sostituisce il precedente esecutivo accusato di eccessiva lentezza nel riformare il sistema dei partiti, il sistema elettorale e la corte costituzionale. Tutte leggi che dovrebbero essere approvate entro l'attuale sessione parlamentare, che il re ha prolungato fino al 25 giugno per permettere che le riforme arrivino a conclusione. Nello scetticismo delle opposizioni, in particolare dell'ala islamista, tra le più influenti nel Paese.Insomma, la stabilità giordana traballa. Da mesi, re Abdallah tenta di far fronte al malcontento popolare, tradottosi in proteste di piazza sicuramente meno accese di quelle egiziane o tunisine, ma che la monarchia non ha potuto far finta di non vedere, soprattutto per il ruolo forte svolto dal movimento islamico.Così ad ottobre 2011, il re ha sostituito il premier Maarauf Bakhit con Awn Khassawne, incaricandolo di avviare subito riforme economiche e politiche che quietassero il popolo. Khassawne ha resistito solo sei mesi, sommerso dalle critiche di opposizioni e media. E il 27 aprile re Abdallah è intervenuto di nuovo, sostituendo Khassawne con l'ex ministro Fayez Tarawneh, considerato "troppo conservatore" dalle opposizioni. Una pratica molto usata quella del licenziamento del premier da parte della monarchia giordana, volta soprattutto a tenere buona l'opinione pubblica con continue promesse di cambiamento, individuando nel primo ministro il capro espiatorio della crisi.Una politica che non piace alle opposizioni che ne approfittano per guadagnarsi il consenso di una popolazione stanca: "Le precedenti elezioni hanno prodotto un governo che non rappresenta la gente - ha detto Zaki Bani Rsheid, uno dei leader dei Fratelli Musulmani in Giordania - Ora l'atmosfera politica è peggiore. Che senso ha tenere nuove elezioni con una legge elettorale che esclude i poteri nazionali?".

venerdì 11 maggio 2012

Il momento della verità

Di Carlo Strenger, http://www.israele.net/
Per ovvie ragioni, la bomba politica di martedì in Israele ha lasciato attoniti cittadini e commentatori. In particolare viene sottolineato come ora il primo ministro Benjamin Netanyahu sia una sorta di re incontrastato della politica israeliana, giacché in sostanza ogni singolo partito della coalizione sa che il governo non ha bisogno di lui per restare in sella. Naturalmente sia Netanyahu che il leader di Kadima, Shaul Mofaz, hanno spiegato d’aver preso questa decisione per il bene supremo del Paese, e naturalmente molti israeliani non gli credono più di tanto, giacché gli interessi in gioco sono fin troppo evidenti. Ma una volta detto tutto questo, e fatto il bilancio di vincitori e perdenti, occorre dare un’occhiata spassionata alla nuova situazione: cosa ci si può aspettare concretamente? La stampa sia israeliana che internazionale focalizza l’attenzione sulla questione dell’Iran: chi sottolineando che l’ampia coalizione offre a Netanyahu maggiori margini di manovra, chi – specie all’estero – augurandosi che Mofaz porti nel governo una posizione di maggiore cautela sull’opzione militare. A mio parere, invece, il fattore più interessante è quello di cui si è parlato meno: l’impegno della nuova coalizione a rilanciare il processo negoziale coi palestinesi. […]È da un po’ di tempo che Mofaz, il nuovo alleato di Netanyahu, va sostenendo un piano di pace in due fasi. In sintesi, propone di istituire immediatamente uno stato palestinese sul 60% della Cisgiordania affrancando in questo modo più del 99% della popolazione palestinese dall’amministrazione israeliana. Ciò creerebbe condizioni favorevoli per veri negoziati sulla composizione definitiva del contenzioso. Il piano di Mofaz richiederebbe lo sgombero immediato di un certo numero di avamposti d’insediamento sorti in quel 60% di territorio che passerebbe sotto sovranità palestinese. Attuare questo piano, inoltre, significherebbe porre fine al sogno dell’integrità della Terra d’Israele (comunemente indicato come “grande Israele”), e significherebbe fare dello stato palestinese una realtà di fatto, lasciando aperta soltanto la questione del tracciato definitivo dei confini.Quindi, entro i prossimi diciotto mesi (scadenza naturale della legislatura), arriverà per Netanyahu il momento della verità. Se Mofaz metterà il suo piano sul tavolo del nuovo governo, Netanyahu dovrà decidere: prendere decisioni cruciali nell’intento di porre fine al secolare conflitto coi palestinesi, o passare alla storia come l’uomo che ha mancato l’occasione per farlo? […]Se Netanyahu deciderà di procedere con qualcosa di simile al piano Mofaz, allora arriverà il momento della verità per Mahmoud Abbas (Abu Mazen), giacché per lui sarebbe tutt’altro che facile imboccare questa strada. I palestinesi temono che, in un processo per fasi, i confini provvisori del loro stato finiscano per diventare definitivi. Per questo Abu Mazen potrebbe rifiutarsi di cooperare sulla base del piano Mofaz, esigendo invece che si arrivi direttamente all’accordo definitivo. Il che, a mio avviso, sarebbe un errore storico. Abu Mazen deve rendersi conto che gli israeliani hanno bisogno di almeno un decennio di vera pace coi palestinesi prima di accettare l’idea che lo stato palestinese si assesti sulle linee pre-’67 mettendo tutti i grandi centri abitati d’Israele e i suoi centri nevralgici alla portata di qualunque razzo Qassam o Katyusha lanciato dall’altra parte. Il piano di Mofaz potrebbe offrire le condizioni fisiche e politiche per questo decennio di pace: renderebbe la vita dei palestinesi incommensurabilmente migliore, pur salvaguardando la sicurezza d’Israele.La creazione di uno stato palestinese con confini provvisori minerebbe decisamente le posizioni degli intransigenti di entrambe le parti. Da un lato, metterebbe in chiaro all’estrema destra ideologica israeliana che il suo sogno è finito. Dall’altro, un reale aumento sul terreno di libertà e dignità per i palestinesi rafforzerebbe Abu Mazen, mostrando ai palestinesi che esiste un orizzonte politico e che essi hanno solo da perdere nell'appoggiare la linea del rifiuto intransigente alla Hamas. Il che a sua volta costringerebbe Hamas, nell’arco di pochi anni, a cambiare programma politico e accettare l’esistenza di Israele.Pertanto Abu Mazen dovrebbe impegnarsi col piano di Mofaz, se e quando gli verrà proposto. Certo, verrà accusato dai suoi avversari di svendere gli interessi del popolo palestinesi, e verrà definito traditore collaborazionista. Dovrà usare tutta la sua abilità politica e la sua leadership per convincere i suoi che questo è l’unico modo realistico per istituire uno stato palestinese sul terreno e che nel lungo periodo i palestinesi avranno solo da guadagnarci.(Da: Ha’aretz, 9.5.12)


CRISI: BONIVER (PDL): ITALIA DOVREBBE FARE COME ISRAELE

(AGENPARL) - Roma, 09 mag- “Se continua questa crisi e se continuano ad essere insufficienti le ricette dell’Europa e dei governi tecnici per contrastarla sarà inevitabile un ricorso alle urne con una grande alleanza per la costituzione di un Governo di unità nazionale. L’Italia dovrebbe fare come Israele dove il primo ministro, Benjamin Netanyahu ha siglato un patto con l’opposizione già ratificato dalla Knesset, dove adesso il governo israeliano potrà contare su novantaquattro seggi su centoventi. Crisi straordinarie, soluzioni straordinarie”. Lo ha detto l’on. Margherita Boniver, deputato del PDL e Presidente del Comitato Schengen.

Bar Refaeli attrice

Bar Refaeli si fa strada sul grande schermo! La top apparirà nel suo primo film, il franco-israeliano Kidon.Il film narra del reale omicidio di un agente di Hamas, Mahmoud al-Mabhouh, a Dubai, di cui viene accusata l’agenzia di spie Mossad. Hollywood aggiunge il suo tocco personale facendo assassinare Mahmoud da una gang israelita nel tentativo di incastrare l’agenzia di spie.La Refaeli interpreterà il ruolo di Einav Schwartz, sexy tentatrice che conduce Mahmoud nel bar dell’hotel dove verrà assassinato.Il film uscirà in Francia e a Israele nel 2013.http://www.vogue.it/

Tunisia: centinaia uomini vegliano su pellegrinaggio ebrei

(ANSAmed) - TUNISI, 9 MAG - Centinaia di uomini stanno da ieri vegliando sulla sicurezza degli ebrei (tunisini e provenienti dall'estero) che si recheranno a Djerba per il tradizionale pellegrinaggio alla sinagoga de La Ghriba, la piu' antica del continente.Le misure sono state adottate dopo le ripetute minacce rivolte sia agli ebrei tunisini (sono circa duemila, concentrati soprattutto a Djerba, per la vicinanza con la sinagoga) che agli israeliani (stando all'allarme lanciato da una delle agenzia dell'intelligence di quel Paese) da elementi del fondamentalismo islamico, soprattutto salafiti. Il pellegrinaggio a La Ghriba e' ripreso quest'anno, dopo che nel 2011, per motivi di sicurezza, era stato sospeso. Nei due giorni del pellegrinaggio (oggi e domani) e in quelli che restano di questa settimana si prevede che si riuniranno in preghiera alla sinagoga circa 2.500 ebrei, la maggior parte tunisini, ma con una forte presenza di ebrei da Israele e dall'Europa.Uomini delle forze di sicurezza e dell'Esercito, da ieri sera, stanno presidiano le due piu' importanti strade d'accesso all'isola di Djerba - indicata come uno dei possibili bersagli di azioni violente - cosi' come della zona di Erriadh, da cui e' possibile raggiungere la sinagoga de La Ghriba, e la zona dei villaggi turistici, che gia' stanno lavorando con una forte presenza di stranieri.Il sistema di sicurezza, riferisce radio Shems, sara' tenuto attivo sino a domenica prossima, quando dovrebbero essere calati i livelli di allarme su potenziali pericoli. Sotto controllo anche altri centri vicini, come Houmt Souk e Midoun.Attivata anche una rete sanitaria d'emergenza, con l'istallazione, a Djerba, di un ospedale da campo, con 35 tra quadri medici e paramedici, al servizio del quale presteranno la loro opera anche quattro ambulanze e quattro automediche.


Archeologia: Gerusalemme, scoperto un sigillo votivo donato al Tempio 2700 anni fa

Gerusalemme, 9 mag. - (Adnkronos) - Un sigillo ebraico, con inciso il nome del suo proprietario, risalente alla fine del periodo del primo Tempio, circa 2700 anni fa, e' stato rinvenuto sul pavimento delle rovine di un antico edificio vicino al Monte del Tempio, nella Citta' Vecchia a Gerusalemme. L'annuncio della scoperta e' stato dato dall'Israel Antiquities Authority, come riferisce il sito Israele.net, precisando che i reperti sono stati trovati sotto la base di un antico canale di scolo che gli archeologi stanno esplorando sotto l'Arco di Robinson, nel parco archeologico di Gerusalemme adiacente al Muro Occidentale. L'edificio rappresenta la struttura piu' vicina al Primo Tempio finora trovata dagli studiosi. Il sigillo e' fatto di pietra dura e porta inciso il nome del suo proprietario: ''Lematanyahu Ben Ho...'' (cioe': ''di proprieta' di Matanyahu Ben Ho''), vissuto tra il VIII secolo e il 586 a.C. Il resto del nome e dell'iscrizione risultano illeggibili. Questi sigilli, incastonati in anelli porta-sigillo, venivano usati nel periodo del Primo Tempio per siglare lettere e identificarne i proprietari, un po' come i timbri usati oggi negli uffici.''Il nome Matanyahu, come il nome Netanyahu, significa 'Dare a Dio' - ha spiegato Eli Shukron, direttore degli scavi per la Israel Antiquities Authority - Sono nomi menzionati varie volte nella Bibbia, tipici del Regno di Giuda nell'ultima parte del periodo del Primo Tempio, dalla fine dell'VIII secolo fino alla distruzione del Tempio nel 586 a.C''.http://www.adnkronos.com/

Ashton incontra premier israeliano Netanyahu su prossimo 5+1

(ASCA-AFP) - Gerusalemme, 9 mag - Il capo della diplomazia europea Catherine Ashton ha incontrato oggi il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu per discutere della prossima tornata di colloqui 5+1 che si aprira' Baghdad il 23 maggio.Lo hanno riferito all'Afp funzionari di Tel Aviv, secondo cui alla riunione hanno partecipato anche il ministro degli Esteri Avigdor Lieberman, il collega alla Difesa Ehud Barak e il neo vicepremier Shaul Mofaz, leader del partito centrista Kadima entrato nei giorni scorsi nella coalizione di governo.''Hanno discusso di Iran e Israele ha presentato le sue posizioni per la prossima tornata di colloqui 5 +1 a Baghdad'', hanno spiegato le fonti.

Ciambellone ai Frutti di Bosco

Ingredienti per 4 persone:350 gr di farina 200 gr di zucchero 250 gr di mascarpone 4 uova 1 bustina di lievito per dolci 120 gr di Frutti di bosco surgelati 50 ml latte.Procedimento:Sbattere le uova con lo zucchero e aggiungere il mascarpone.Amalgamare bene poi unire anche latte, farina, lievito e sale.Infarinare i frutti di bosco ancora congelati e unirli al composto.Versare tutto in uno stampo da ciambella imburrato e infarinato.Cuocere a 180 gradi per 30-40 minuti e completare con zucchero a velo.http://imenudibenedetta.blogspot.com/

Crocchette di Melanzane

Ingredienti per 4 persone:2 melanzane medie 1 uovo 3 cucchiai di pangrattato 4 cucchiai di parmigiano 1 ciuffo di prezzemolo Farina Olio di semi Sale.Procedimento: Sbucciare le melanzane, tagliare a dadini e lessarle in acqua bollente per 5 minuti.Strizzare le melanzane cotte per rimuovere l'acqua in eccesso e unirle a pangrattato, parmigiano, prezzemolo tritato e sale.Formare delle polpettine con il composto, passarle nella farina e friggerle in abbondante olio bollente.http://imenudibenedetta.blogspot.com/

La Terra della Bibbia

Gerusalemme. La Terra della Bibbia conferma tutto il suo fascino. Nell’arco di pochi giorni, sono stato testimone di due celebrazioni religiose che affondano le loro radici nei testi sacri.La prima cerimonia si ‘ tenuta venerdì scorso, sulle pendici del Monte Grizim, vicino a Nablus. I Samaritani hanno celebrato la loro Pasqua, in memoria della liberazione degli Israeliti dall’Egitto, sacrificando 30 agnelli al Signore. Quello dei Samaritani e’ l’unico Popolo del Libro che mantiene il sacrificio animale così’ come descritto nell’Antico Testamento. I Samaritani, 1700 anime , si ritengono i discendenti del Regno israelita del Nord , che ai tempi di Davide e Salomone entro’ in conflitto col Regno di Giuda. Secondo la loro narrativa, Salomone, un giudeo, costrui’ il tempio a Gerusalemme per consolidare la sua supremazia. I Samaritani ritengono che il luogo più’ santo non sia Gerusalemme ma il loro Monte Grizim.La seconda cerimonia religiosa si e’ tenuta ieri a Monte Meron, dove si trova la tomba del rabbino Shimon Bar Yochai. Qui convergono ogni anno 500 mila ultra-ortodossi provenienti non solo da Israele ma da tutto il mondo, in occasione della festivita’ ebraica di Lag ba’Omer. Si ricorda un episodio descritto nel Talmud, risalente all’epoca dell’esilio babilonese: 24 mila studenti della Yeshiva del rabbino Akiva morirono di peste, una punizione divina per non aver mostrato sufficiente rispetto gli uni verso gli altri. Si slavarono solo 4 studenti, tra essi, il futruro rabbino Yochai, considerato il più’ grande studiosi della Kabbalah, la mistica ebraica. Per ricordare la fine della peste, si accedono grandi falò in tutto Israele: e’ la festa piu’ amata dai bambini.http://www.claudiopagliara.it


Giulio Terzi favorevole al nuovo governo israeliano

Il ministro degli Esteri Giulio Terzi, commentando l'ingresso del partito Kadima, nel nuovo governo israeliano di unità nazionale, ha affermato che esso può offrire una "maggiore possibilità di aprire il dialogo sul versante palestinese". Secondo Terzi è "un'analisi molto affrettata" quella secondo cui con il nuovo governo si avvicinerebbe l'attacco ai siti nucleari iraniani. Al contrario, secondo il titolare della Farnesina, si tratta di una decisione "che appartiene alle dinamiche interne della politica israeliana e la valuto sicuramente un fatto positivo, perché allarga la base di maggioranza".http://www.moked.it/

Cose buone e piccolissime cose buone

ll Tizio legge che la comunità ebraica di Roma e quella di Sant’Egido hanno realizzato al Colosseo una fiaccolata per le comunità cristiane perseguitate. Il Tizio lo legge diversi giorni dopo che il fatto c’è stato. E' contento della buona notizia, scontento di averla letta in ritardo. Il Tizio allora si domanda se le buone notizie non sono talmente notizie da sfondare, o lui era distratto quando il fatto c’è stato. Se io ero distratto e magari dormivo e lo hanno detto in Tv, pensa il Tizio che non è affatto un abile pensatore ma un ruminante dei fatti, perché la notizia non mi ha svegliato con un sonoro bum? Deve essere che le piccole notizie sono umide, la miccia non prende e non esplodono. Uffa, sospira il Tizio. La signora Linda dell’appartamento accanto lo sente mormorare uffa, e bussa sul muro del Tizio. “Perché uffa, signor Caio?”. Lei chiama Tizio signor Caio dato che Caio è il secondo nome del signor Tizio. Allora, pensa Tizio, qualcuno le sente le piccole cose. Esistono lo stesso anche se non diventano notizie. Il Tizio della Sera, http://www.moked.it/

la targa in ricordo del piccolo Stefano Gay Tachè, di fronte alla Sinagoga Maggiore di Roma

Napolitano ricorda Stefano Gay Taché

Menzione anche per Stefano Gay Taché ieri al Quirinale alla cerimonia in ricordo delle vittime del terrorismo in Italia. Un momento lungamente atteso dalla Comunità ebraica di Roma che da tempo chiede l'inserimento del nome del piccolo Stefano, caduto vittima dell'agguato mortale all'uscita del Tempio Maggiore della Capitale il 9 ottobre 1982, nella lista che commemora chi ha perso e continua ancora oggi a perdere la vita sotto i colpi dell'odio. È la prima volta che il presidente della Repubblica si sofferma su quel tragico episodio in occasione delle celebrazioni ufficiali del 9 maggio. Ad ascoltare del vivo le sue parole tra gli altri il presidente della Comunità ebraica Riccardo Pacifici e il fratello di Stefano, Gadiel Gay Taché, anch'egli vittima diretta del fuoco palestinese come molti altri ebrei romani che si trovavano in quegli istanti all'uscita della sinagoga. Soddisfazione, commozione ed orgoglio per le parole del presidente Napolitano sono state espresse da entrambi. “Il ministro dell'Interno Cancellieri – ha poi spiegato Pacifici – ci ha assicurati avere in carico la pratica e che dal prossimo anno, vogliamo immaginare, il nome di Stefano Gay Taché sarà inserito nella lista ufficiale”. Non è stato facile raggiungere questo obiettivo, prosegue il leader degli ebrei romani, che sente per questo di dover ringraziare in primis Pierluigi Battista del Corriere della Sera (“che ne ha fatto una 'sua' battaglia dalle pagine del quotidiano per cui scrive”) e il sindaco di Roma Alemanno (“che dopo essersi esposto con vari appelli pubblici ha pressato in questi mesi il cerimoniale e la Commissione preposta”). L'obiettivo, conclude Pacifici, è adesso quello di organizzare una grande cerimonia al Quirinale in occasione del trentesimo anniversario dell'attentato.http://www.moked.it/


Eravamo andati a letto la sera, felici, sapendo che la Knesset aveva votato con 109 favorevoli contro uno contrario per l'anticipo delle elezioni in Israele al 4 settembre 2012 invece del novembre 2013. Shaul Mofaz, da poco eletto nuovo leader del partito Kadima aveva detto in serata: "Non entrerò nel governo di Netanyahu, è chiaro?" e poche settimane fa in commissione aveva detto: "Netanyahu è un bugiardo, e mi potete citare". Ci siamo risvegliati al mattino, stupefatti, con un governo di grande coalizione sostenuto da 94 deputati su 120. Ed ecco Mofaz viceprimo ministro nel governo di Bibi. È la grande svolta politica che porterà avanti e anzi trasformerà il paese nei prossimi 18 mesi? Gli israeliani non sono tanto sprovveduti e non la bevono. Nei sondaggi, il 63 per cento dicono che la manovra è stata fatta per angusti interessi personali e di partito e non per ragioni di Stato. La grande maggioranza non crede che le due grandi riforme promesse da Mofaz verranno effettuate: il nuovo statuto sul servizio militare o civile da parte di tutti i cittadini, inclusi i haredím e gli arabi; e la riforma del sitema elettorale. Ma è anche vero che ora non ci sono più scuse. Con una tale mastodontica maggioranza quasi bulgara, Bibi non può più essere ricattato dai suoi partners, e tutto quello che il governo di Israele farà o non farà fino alle prossime elezioni potrà essere attribuito solo a lui. Sergio Della Pergola, http://www.moked.it/

Anche in ebraico è un gran successo!

Una band israeliana, i Roi Lavi & the Good Guys, stanno ottenendo un grande successo di pubblico su youtube (115.000 visite) grazie alla cover in ebraico della canzone che al momento è ai primi posti delle classifiche di almeno 20 paesi, Somebody that I used to know del belga Gotye.I Roi Lavi & the Good Guys reinterpretano la canzone che è ai primi posti delle classifiche americane ed europee e Youtube li premi. VIDEO: http://www.mosaico-cem.it/media/anche-in-ebraico-e-un-gran-successo

L'arte nei capelli

Un celebrato e rivoluzionario hairstylist, uno scultore della testa, ma anche un veterano della guerra del 1948 e il fondatore del Vidal Sassoon Center for the Study of Antisemitism all’Università di Gerusalemme. Vidal Sassoon è morto ieri all’età di 84 anni nella sua casa di Los Angeles, dopo una lunga battaglia contro la leucemia.Sassoon e i suoi tagli di capelli, hanno segnato un’epoca, anzi, hanno rappresentato una vera cesura nella storia del costume occidentale. Esiste un prima e un dopo Vidal Sassoon – e oggi, inutile dirlo, viviamo ancora nell’epoca Sassoon.I suoi tagli corti e scolpiti sono ormai iconici, “sono” gli anni ’60 al pari delle minigonne, di Mary Quant, dei Beatles e della swinging London .Nato a Londra da una famiglia poverissima, nel 1948, a 20 anni Sassoon decide di andare in Israele a combattere nell’Haganà e partecipare alla guerra di indipendenza di Israele. “Quello è stato l’anno più bello della mia vita” raccontò più tardi Sassoon. “C’erano soltanto 600.000 uomini che combattevano contro cinque eserciti, e ognuno doveva fare qualcosa”.Quando negli anni ’50 tornò in Gran Bretagna, si dedicò completamente a quello che sin adolescente era stato il suo sogno: fare il parrucchiere.Negli anni ’60 i tagli corti e creativi che Sassoon proponeva si adattavano bene al momento storico: in piena emancipazione femminile, capelli corti e sbarazzini, veloci e facili da lavare e asciugare, senza bigodini e cotonature ancien regime, era un atto provocatorio, rivoluzionario e assertivo.Dal punto di vista di Sassoon era anche qualcosa d’altro: “Scolpire una testa di capelli con le forbici, è una forma d’arte, è una ricerca artistica” diceva. E oggi, queste opere d’arte rivoluzionarie che Sassoon ha creato ormai 50 anni fa, le donne hanno il privilegio di possederle.http://www.mosaico-cem.it/

giovedì 10 maggio 2012



"Vi presento Israele"

http://www.youtube.com/watch_popup?v=fwBzd2U8NVc&vq=medium

Il coup de théâtre Netanyahu-Mofaz

Colpo di scena. Nella notte fra lunedì e martedì, mentre la Knesset era riunita per discutere il proprio scioglimento e la convocazione a settembre delle elezioni anticipate, Benjamin Netanyahu, primo ministro e leader del Likud, e Shaul Mofaz, da poco eletto alla guida del partito di centro Kadima (sinora all’opposizione), hanno annunciato d’aver raggiunto un accordo per la formazione di un governo di unità nazionale.Il primo effetto della mossa a sorpresa è quello di annullare la convocazione delle elezioni anticipate. “L’unità ripristina la stabilità – ha detto martedì Netnayahu in una conversazione telefonica col presidente Shimon Peres, che si trova in visita in Canada – Un ampio governo di unità nazionale è un fatto positivo per la sicurezza, per l’economia e per il bene della popolazione d’Israele”. Peres si è congratulato con Netanyahu per la decisione, confermando di considerare il governo di unità nazionale un bene per il Paese alla luce delle sfide cruciali che lo attendono.Martedì Binyamin Netanyahu e Shaul Mofaz hanno presentato in conferenza stampa il loro accordo per la formazione di una coalizione di governo che conta sul sostegno di 94 parlamentari (su 120), e che la Knesset dovrebbe approvare entro due giorni.I commenti dei principali giornali israeliani si interrogano su chi guadagna e chi ci rimette con il rinvio delle elezioni alla loro scadenza naturale. Eccone una sintesi.CHI CI GUADAGNA. Benjamin Netanyahu: rimarrà primo ministro fino alla scadenza naturale della legislatura (fra un anno e mezzo, nell’ottobre 2013) a capo della coalizione più ampia della storia del Paese. Ora ha la possibilità concreta di affrontare temi delicati che finora rischiavano di far cadere il governo. Uno dei temi più scottanti – previsto dall’accordo con Mofaz – è la riforma della Legge Tal (che permette agli studenti ultra-ortodossi di rinviare indefinitamente il servizio militare): la legge scade ad agosto e in molti ambienti è cresciuta la richiesta di riformarla in senso più egualitario, un’incombenza che metteva a rischio la precedente coalizione. Ora Netanyahu potrà accreditarsi il merito di questa riforma, così come quella di una riforma del sistema istituzionale di governo (anch’essa prevista dall’accordo con Kadima). Infatti, presentando martedì alla stampa il nuovo accordo di governo, Netanyahu ha indicato quattro priorità: “sostituire la Legge Tal con una storica soluzione giusta ed equa; formulare un bilancio responsabile per affrontare le questioni economiche, sociali e di sicurezza; modificare la struttura istituzionale in modo tale che un governo che duri tutto il mandato sia la regola e non l’eccezione; portare avanti in modo responsabile il processo di pace”.Shaul Mofaz e il partito Kadima: si sono risparmiati un possibile decesso politico prematuro. I sondaggi più recenti dicevano che, votando il 4 settembre, Kadima avrebbe perso due terzi dei seggi. Il loro futuro rimane avvolto nella nebbia, ma ora leader e partito hanno il tempo necessario per costruire la propria immagine.Ehud Barak: aveva programmato di concorrere alle elezioni con la sua nuova formazione Ha'atzmaut (Indipendenza), che però nei sondaggi arrivava a malapena al quorum minimo per entrare nella Knesset. Ora rimarrà ministro della difesa e può tirare un sospiro di sollievo.Eli Yishai e il partito Shas: finché il partito è guidato dal rabbino Ovadia Yosef, Yishai ci guadagna perché non voleva davvero andare alle elezioni e per il momento l’ex leader Aryeh Deri è fuori dai giochi. Se poi dovesse lasciare il governo sulla questione della Legge Tal, potrà sempre dire ai suoi elettori d’essersi battuto contro di essa.Avigdor Lieberman: ha sempre detto che voleva che questo governo terminasse la legislatura. Voleva anche accreditarsi la riforma della Legge Tal. Ora diminuirà significativamente il suo peso all’interno del governo e la sua capacità di minacciarne la caduta. Sarà anche ridimensionato il suo contributo alla riforma delle Legge Tal, che non sarebbe mai passata senza i voti di Kadima. Ma nei confronti di Liberman è in corso un’inchiesta per presunta corruzione che potrebbe sfociare in una formale incriminazione: in questo caso sarebbe costretto a lasciare il posto di ministro, ma potrebbe concordare un periodo di time-out fino alle prossime elezioni. Se invece l’incriminazione fosse giunta alla vigilia delle elezioni anticipate, sarebbe probabilmente rimasto escluso dalla politica per quattro anni.Naturalmente, ci guadagnano anche alcune decine di deputati che stavano già preparando i bagagli.CHI CI RIMETTE Shelly Yachimovich e il partito laburista: i sondaggi davano i laburisti vicini ai 20 seggi. Yachimovich stava cavalcando l’onda della protesta sociale per il caro-vita emersa la scorsa estate, e con le elezioni anticipate contava di ritrovarsi a capo del secondo gruppo parlamentare. Ora è destinata a restare per un lungo periodo nel ruolo di capo dell’opposizione con soltanto otto parlamentari alla Knesset, cercando di mantenere in vita lo slancio politico-mediatico di cui ha goduto al momento in cui ha vinto le primarie.Yair Lapid: un vero colpo basso per l’ex anchorman della televisione israeliana che aveva annunciato la nascita della sua nuova formazione Yesh Atid (C’è un futuro) proprio scommettendo sulla prossimità della scadenza elettorale. Ora rischia di perdere l’effetto mediatico della sua discesa in campo e di logorarsi in un ruolo marginale senza la possibilità di misurare le sue forze nelle urne. Se poi la nuova coalizione di governo approverà la riforma della Legge Tal, verrà meno uno dei suoi cavalli di battaglia.Tzipi Livni: quando ha lasciato Kadima, dopo aver perso le primarie del mese scorso contro Mofaz, sembrava rappresentare un bacino di voti appetibile. Ora rischia di restare fuori dal gioco. Se fosse rimasta, avrebbe potuto tornare nel governo. D’altra parte, può attendere l’occasione buona per tentare un rientro in proprio.Meretz: un altro partito che sarebbe andato volentieri alle elezioni anticipate perché i sondaggi gli attribuivano un raddoppio dei suoi tre attuali deputati. Il Meretz tuttavia ha sempre detto che non intende entrare in un governo guidato da Netanyahu, e dunque sembrava destinato in ogni caso a restare all’opposizione.(Da: YnetNews, Ha’aretz, Jerusalem Post, 8.5.12) http://www.israele.net

Un accordo tra Iran ed Occidente è ancora lontano

La strada per trovare un accordo tra Iran ed occidente è ancora lunga, secondo un alto esponente politico iraniano.Moshei Rezai, un importante consigliere della Guida Suprema della Repubblica Islamica, l'Ayatollah, Ali Khamenei ed ex capo delle Guardie Rivoluzionarie iraniane seppur dicendosi "ottimista" sull'esito dei prossimi colloqui tra il suo paese e le principali potenze mondiali, ha avvertito che "c'è ancora molta strada da fare" prima di raggiungere un intesa che porti alla soluzione definitiva della questione nucleare.Rezai ha spiegato che la priorità ora è quella di costruire una fiducia reciproca tra l'Iran e le potenze mondiali e solo dopo si potrà cominciare a parlare di maggiori concessioni sui programmi di arricchimento dell'uranio del paese condizionati alla rimozione delle sanzioni economiche internazionali approvate negli anni contro Teheran.Il mese scorso l'Iran e le potenze mondiali del 5+1 (i cinque membri del Consiglio di Sicurezza dell'ONU più la Germania) hanno rilanciato i colloqui sul nucleare della Repubblica Islamica a Istanbul in Turchia. Entrambe le parti hanno descritto i negoziati come "positivi" e "costruttivi" manifestando l'intenzione di voler evitare a tutti i costi un'escalation del conflitto.Ora si attende con ansia il prossimo round dei colloqui previsti per il 23 maggio a Baghdad in Iraq.Sempre oggi il portavoce del ministero degli esteri iraniano, Ramin Mehmanparast ha ribadito che l'Iran "non negozierà i suoi diritti sul nucleare" quando gli è stato chiesto un commento sulla notizia che l'Occidente avrebbe chiesto a Teheran di sospendere le attività di arricchimento dell'uranio al 20%.Nei giorni scorsi diversi funzionari iraniani avevano suggerito che l'Iran potrebbe fare delle concessioni sui suoi programmi nucleari di arricchimento in cambio di uno stop alle sanzioni sul settore petrolifero iraniano che dovrebbero entrare in vigore il prossimo luglio.Israele ha avvertito che l'Iran userà i colloqui con l'Occidente per prendere tempo e continuare indisturbato ad arricchire l'uranio per la costruzione di una bomba nucleare, sfruttando la volontà del presidente statunitense Obama di voler evitare a tutti i costi un conflitto militare in Medio Oriente alla vigilia delle elezioni presidenziali previste per novembre.In Israele nel frattempo si è raggiunta un'intesa tra i due principali partiti politici nazionali per creare un forte governo di unità. Alcuni analisti hanno speculato sul fatto che dietro i movimenti politici della classe dirigente israeliana ci sia la volontà di preparare il terreno ad un possibile attacco militare contro le strutture nucleari della Repubblica Islamica.Da tempo Israele avverte che i programmi nucleari iraniani rappresentano una "minaccia" esistenziale per lo stato ebraico. http://it.ibtimes.com/

Pronostici Israele, Hapoel Tel Aviv-Netanya: i consigli per scommettere

PRONOSTICI ISRAELE HAPOEL TEL AVIV NETANYA – La redazione di Cm Scommesse vi propone di scommettere approfittando del bonus di benvenuto di 50 euro offerto da Bwin per i nostri utenti.Basta registrarsi, versare con qualsiasi tipo di carta (Postepay, Visa, Mastercard ecc.) ed al primo deposito effettuato vi sarà accreditato un importo pari al 100% del versamento (fino ad un massimo di 50 euro di bonus su 50 euro versati), da poter giocare in assoluta liberta’.Per la 36esima giornata del campionato israeliano i padroni di casa dell’Hapoel Tel Aviv affrontano allo stadio Bloomfield gli ospiti del Netanya. I padroni di casa si trovano attualmente in 2° posizione in graduatoria con 58 punti, frutto di 16 vittorie, 13 pareggi e 6 sconfitte. Ottimo cammino nell’ultimo periodo con 3 vittorie e 2 pareggi negli ultimi 5match disputati. Gli ospiti di contro stazionano in 5° posizione con 53 punti, dovuti a 15 vittorie, 8 pareggi e 12 sconfitte. Pessimo il ruolino nell’ultimo periodo con una vittoria e 4 sconfitte. Nel match di andata successo per i padroni di casa 1-0, mentre nel computo totale degli scontri diretti vantaggio per i padroni di casa con 6 vittorie,a fronte di 4 pareggi e altrettante vittorie per il Netanya. http://scommesse.calciomercato.it/

Agricoltura: la ricerca italiana si presenta a Tel Aviv

(AGI) - Tel Aviv, 8 mag. - Rafforzare la cooperazione tra Italia e Israele nel settore dell'innovazione agraria, promuovendo le sinergie tra istituzioni e centri d'eccellenza dei due Paesi: e' il senso di una conferenza in programma il prossimo 16 maggio a Tel Aviv, organizzata dall'ambasciata italiana in collaborazione con la Camera di commercio Israel-Italia. All'evento, che si svolge nell'ambito dell'AgriTech, la manifestazione internazionale sull'agricoltura di Tel Aviv, parteciperanno il ministro per la Politiche agricole, Mario Catania, la sua collega israeliana, Orit Noked, e il presidente di Confagricoltura, Mario Guidi.Nel 2009 Italia e Israele hanno firmato un accordo per lo scambio di know-how e ricercatori nel settore agricolo e alimentare, a cui ha fatto seguito, nel novembre 2010, un'intesa sulla ricerca scientifica e l'innovazione nell'agricoltura. L'obiettivo della conferenza, spiegano gli organizzatori, e' fare il punto sulle attivita' di collaborazione ed esplorare nuove prospettive di cooperazione in un settore che, nello Stato ebraico, presenta un altissimo livello di innovazione, grazie a una solida collaborazione tra universita', incubatori aziendali e societa' commerciali nelle attivita' di ricerca e sviluppo. A rappresentare le realta' di eccellenza italiane saranno, fra gli altri, Massimo Scaglia, Business Development Corporate Director di Isagro, Sara Guerrini, Agriculture Sales Specialist di Novamont, Francesco Salamini, presidente dell'Istituto San Michele dell'Adige, e Cesare Galli dell'universita' di Bologna. Una sessione della conferenza sara' dedicata all'Expo 2015 di Milano, che sara' presentato dal sottosegretario alla presidenza della Regione Lombardia, Paolo Alli. (AGI) Rmq/Sar