venerdì 1 febbraio 2013
Israele - Al via le consultazioni
Dopo
una settimana di colloqui ufficiosi è arrivato il momento delle
consultazioni ufficiali. I risultati delle elezioni sono stati
comunicati ieri al presidente israeliano Shimon Peres dalla Commissione
elettorale, quando ormai gli esiti delle urne erano ben noti a tutti da
sette giorni. Questo ha lasciato a Benjamin Netanyahu, il leader della
coalizione Likud-Beytenu che ha raccolto il maggior numero di seggi (31
sui 120 della Knesset), il tempo di esplorare le varie possibilità a
disposizione per dare vita a una maggioranza di governo già prima di
ricevere incarico. Ora è arrivato il momento di concretizzarle, e fonti
a lui vicine hanno fatto trapelare alla stampa israeliana che le
intenzioni sono quelle di impiegare molto meno dei 28 giorni che la
legge gli concede per formare la coalizione.Secondo quanto emerso a proposito dei colloqui già effettuati da
Netanyahu, saranno il centrista Yair Lapid, l’ex giornalista che con il
suo Yesh Atid ha conquistato 19 seggi e Naftali Bennett di Habaiyt
Hayehudi, punto di riferimento politico degli insediamenti con 12
parlamentari, a rappresentare gli altri capisaldi del prossimo governo
Netanyahu, con il partito religioso sefardita Shas che potrebbe
rientrare se disponibile a venire a compromessi su alcuni aspetti, tra
cui la questione dell’arruolamento dei giovani haredim nell’esercito,
un punto centrale tra le istanze tanto di Lapid, quanto di Bennett.Il presidente Peres ha ascoltato innanzitutto le delegazioni di
Likud-Beytenu e Yesh Atid, per proseguire con gli altri dieci partiti
che hanno trovato posto nella diciannovesima Knesset. Salvo sorprese,
Peres affiderà l’incarico di formare il governo a Netanyahu nella
mattina di venerdì.Rossella Tercatin - http://www.moked.it/
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In definitiva, il 22 gennaio gli elettori israeliani hanno
dato cartellino giallo al governo di Benyamin Netanyahu, ma soprattutto
hanno inflitto una dura punizione al primo ministro uscente – che poi
dovrebbe essere anche quello entrante. Non è chiaro se le richieste di
cambiamento di rotta, sia in politica economica, sia in politica
estera, siano state ben comprese e metabolizzate da parte della
leadership di Likud-Beitenu. La controprova verrà dal tipo di compagine
governativa che emergerà da una trattativa che si annuncia lunga a
complessa. L'ostacolo principale non sta tanto nella questione
palestinese, o nella politica economica, o perfino nel servizio
militare dei Haredim, bensí nella richiesta di Yair Lapid di ridurre
drasticamente il numero dei ministri da oltre 30 a 18. Ciò
comporterebbe il licenziamento di numerosi ministri in carica di
Likud-Beitenu, con conseguente intifada all'interno del partito di
maggioranza relativa. È certo che le nuove direzioni della politica
israeliana hanno sorpreso gli osservatori nella Diaspora molto più che
in Israele, dove peraltro la vera entità della contestazione è emersa
completamente solo all'ultimissima ora. Il fatto è che per chi vive in
Israele la politica riflette in larga misura le esperienze della vita
quotidiana, mentre per chi sta altrove la politica è vissuta
soprattutto sul piano dell'ideologia pura. Cosí, uno dei prediletti di
una certa parte degli analisti italiani che si autodefiniscono
pro-israeliani, l'ultranazionalista Dr. Arieh Eldad, non è stato
rieletto perché il suo partito Otzmah Leisrael ha fallito la soglia
necessaria del 2%. Difficile invece capire da fuori i motivi del
successo di Lapid, popolare personaggio mediatico in Israele ma
sconosciuto altrove. Lapid porta in parlamento 19 volti nuovi, tutti
altamente istruiti e professionali, mentre Tzipi Livni e Shaul Mofaz –
che fondamentalmente si sono contesi la stessa mattonella elettorale
medio-borghese di Lapid – hanno ottenuto insieme solo 8 seggi, di cui 6
sono parlamentari esperti ma riciclati una o due volte da altri
partiti. Anche questo è un messaggio forte che l'elettore israeliano ha
voluto dare alla politica.Sergio Della Pergola,Università Ebraica di Gerusalemme.http://www.moked.it
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Rischio calcolato
01-02-2013 Di Alex Fishman. http://www.israele.net/
Stando alle notizie di stampa, all’alba di mercoledì scorso Israele
avrebbe attaccato un convoglio di armi di Hezbollah al confine
siro-libanese. Se l’attacco ha avuto luogo davvero, si tratta forse del
preludio di uno scontro militare più ampio sul fronte settentrionale?
Probabilmente la risposta va cercata innanzitutto nello stato maggiore
delle Forze di Difesa israeliane. Il capo di stato maggiore Benny Gantz,
il suo vice Gadi Eizenkot e il capo dell’intelligence militare, Aviv
Kochavi, sono fautori delle attività “coperte” nel quadro di quella che
nell'esercito viene definita “politica di prevenzione”: la stessa in
base alla quale si possono interpretate le notizie relative a un
precedente attacco contro un convoglio di armi in Sudan. Se, ad esempio,
è possibile impedire il trasferimento di armi dall’Iran distruggendole
lungo il tragitto, questo è preferibile rispetto a lanciare
un’operazione di terra dopo che le armi sono già arrivate nella striscia
di Gaza o in Libano.
In generale questa politica si applica ad ogni attività o preparativo ostile, con l’obiettivo di eliminare le minacce il più lontano possibile, preferibilmente quando sono ancora in fase di preparazione. Il rischio è che l’azione, in uno stato nemico, possa andare storta. E poi c’è il rischio di irritare paesi amici, mettendo in questo modo a repentaglio gli interessi nazionali. Questa politica funziona finché rimane sotto copertura, ed è qui che si trova il suo principale punto debole: non appena l’operazione viene alla luce, o se si vedono le “impronte digitali” degli autori, si induce l’altra parte a reagire. Ed è qui che potrebbe scoppiare una guerra: proprio quella guerra che si voleva prevenire, e il cui prezzo potrebbe non essere giustificato.Durante l’ultimo anno, il presidente siriano Bashar Assad, man mano che perdeva terreno di fronte alle forze ribelli, ha trasferito grandi quantità di armamenti strategici – come i vari missili Scud e gli agenti per armi chimiche – in aree su cui aveva un controllo migliore. Questi movimenti sono stati motivo di grande preoccupazione fra i servizi di intelligence occidentali, nel timore che tali armi siano sul punto di approdare in Libano. Ma la tensione nell’intelligence e fra i militari ha conosciuto continui alti e bassi, mentre il regime alawita si va a poco a poco sgretolando.Sempre stando alle notizie di stampa, in passato Israele avrebbe attaccato in Sudan dei convogli e un deposito di armi, e avrebbe distrutto missili a lungo raggio. Ogni tanto vengono colpiti dei convogli di armi in partenza dalla Libia; nel Mar Rosso sono affondate delle navi di contrabbandieri; in Libano sono saltati per aria diversi magazzini di munizioni. Ma finora Israele ha evitato di attaccare direttamente in Libano, sebbene sia a conoscenza del fatto che Hezbollah ha ricevuto partite di missili Scud, missili M-600 a lungo raggio e praticamente ogni altro tipo di missili e razzi in possesso dell’esercito siriano.Come ogni paese, Israele deve stabilire quando può prendersi il rischio calcolato, contando di non ritrovarsi coinvolto in una vera e propria guerra, e quando è invece meglio tirarsi indietro perché non si vuole correre il rischio di arrivare a un conflitto militare aperto.Benché Israele non sia interessato a un ampio scontro sul fronte libanese, da almeno un anno, e in particolare negli ultimi mesi, le Forze di Difesa si stanno preparando all'eventualità di un tale conflitto.(Da: YnetNews, 31.1.13)
ALTRI COMMENTI DALLA STAMPA ISRAELIANA
Secondo un editorialista di Yediot Aharonot, il raid è stato uno “schiaffo” al presidente siriano Bashar al-Assad. L’editoriale ricorda che nel settembre 2007 un bombardamento distrusse nel deserto siriano quello che era con ogni probabilità un impianto nucleare segreto. Bashar al-Assad non l’ha mai ammesso, e Israele non ha mai rivendicato. Oggi la Siria è in pieno caos, e ciò che Israele teme soprattutto è un trasferimento di armi, anche chimiche, agli Hezbollah libanesi.Su Ha’aretz, un esperto di questioni militari descrive con precisione i “paletti” posti da Israele in questo campo: è fuori discussione permettere il passaggio di missili terra-aria, né missili che potrebbe colpire navi israeliane o missili terra-terra a lunga gittata. Quanto a un trasferimento di armi chimiche, l'editoriale ritiene si tratti di un “tabù” assoluto che Assad non infrangerà tanto facilmente.Ma’ariv ricorda che "gli attacchi in Siria non sono una novità” e ipotizza che, qualunque cosa sia accaduta questa volta, “non porterà immediatamente a un round di combattimenti nel nord" perché, fra l'altro, "l'arsenale di armi di Hezbollah è stato costruito, in primo luogo, in vista del giorno in cui vi dovesse essere uno scontro tra Israele e l'Iran, e non come risposta ad un attacco a un convoglio di armi, per quanto importante possa essere”.Secondo il quotidiano Israel HaYom, “la palla è ora nell’altro campo”. Cioè: Damasco e Beirut devono decidere cosa fare. Da un lato, Assad può essere tentato di reagire perché, nella sua attuale situazione, ciò migliorerebbe la sua immagine: uno scontro con Israele è una ricetta sicura per accrescere la propria popolarità in tutto il mondo musulmano. Assad avrebbe bisogno di un grande exploit per far dimenticare i 60.000 siriani morti e i 700.000 siriani profughi che ha causato. D’altra parte, l’intero esercito siriano è occupato a combattere i ribelli. E poi, una reazione militare siriana porterebbe a un’ulteriore risposta israeliana, e questa è l’ultima cosa di cui il regime siriano ha bisogno in questo momento.(Da: Yediot Aharonot, Ha’aretz, Ma'ariv, Israel HaYom, 31.1.13)
In generale questa politica si applica ad ogni attività o preparativo ostile, con l’obiettivo di eliminare le minacce il più lontano possibile, preferibilmente quando sono ancora in fase di preparazione. Il rischio è che l’azione, in uno stato nemico, possa andare storta. E poi c’è il rischio di irritare paesi amici, mettendo in questo modo a repentaglio gli interessi nazionali. Questa politica funziona finché rimane sotto copertura, ed è qui che si trova il suo principale punto debole: non appena l’operazione viene alla luce, o se si vedono le “impronte digitali” degli autori, si induce l’altra parte a reagire. Ed è qui che potrebbe scoppiare una guerra: proprio quella guerra che si voleva prevenire, e il cui prezzo potrebbe non essere giustificato.Durante l’ultimo anno, il presidente siriano Bashar Assad, man mano che perdeva terreno di fronte alle forze ribelli, ha trasferito grandi quantità di armamenti strategici – come i vari missili Scud e gli agenti per armi chimiche – in aree su cui aveva un controllo migliore. Questi movimenti sono stati motivo di grande preoccupazione fra i servizi di intelligence occidentali, nel timore che tali armi siano sul punto di approdare in Libano. Ma la tensione nell’intelligence e fra i militari ha conosciuto continui alti e bassi, mentre il regime alawita si va a poco a poco sgretolando.Sempre stando alle notizie di stampa, in passato Israele avrebbe attaccato in Sudan dei convogli e un deposito di armi, e avrebbe distrutto missili a lungo raggio. Ogni tanto vengono colpiti dei convogli di armi in partenza dalla Libia; nel Mar Rosso sono affondate delle navi di contrabbandieri; in Libano sono saltati per aria diversi magazzini di munizioni. Ma finora Israele ha evitato di attaccare direttamente in Libano, sebbene sia a conoscenza del fatto che Hezbollah ha ricevuto partite di missili Scud, missili M-600 a lungo raggio e praticamente ogni altro tipo di missili e razzi in possesso dell’esercito siriano.Come ogni paese, Israele deve stabilire quando può prendersi il rischio calcolato, contando di non ritrovarsi coinvolto in una vera e propria guerra, e quando è invece meglio tirarsi indietro perché non si vuole correre il rischio di arrivare a un conflitto militare aperto.Benché Israele non sia interessato a un ampio scontro sul fronte libanese, da almeno un anno, e in particolare negli ultimi mesi, le Forze di Difesa si stanno preparando all'eventualità di un tale conflitto.(Da: YnetNews, 31.1.13)
ALTRI COMMENTI DALLA STAMPA ISRAELIANA
Secondo un editorialista di Yediot Aharonot, il raid è stato uno “schiaffo” al presidente siriano Bashar al-Assad. L’editoriale ricorda che nel settembre 2007 un bombardamento distrusse nel deserto siriano quello che era con ogni probabilità un impianto nucleare segreto. Bashar al-Assad non l’ha mai ammesso, e Israele non ha mai rivendicato. Oggi la Siria è in pieno caos, e ciò che Israele teme soprattutto è un trasferimento di armi, anche chimiche, agli Hezbollah libanesi.Su Ha’aretz, un esperto di questioni militari descrive con precisione i “paletti” posti da Israele in questo campo: è fuori discussione permettere il passaggio di missili terra-aria, né missili che potrebbe colpire navi israeliane o missili terra-terra a lunga gittata. Quanto a un trasferimento di armi chimiche, l'editoriale ritiene si tratti di un “tabù” assoluto che Assad non infrangerà tanto facilmente.Ma’ariv ricorda che "gli attacchi in Siria non sono una novità” e ipotizza che, qualunque cosa sia accaduta questa volta, “non porterà immediatamente a un round di combattimenti nel nord" perché, fra l'altro, "l'arsenale di armi di Hezbollah è stato costruito, in primo luogo, in vista del giorno in cui vi dovesse essere uno scontro tra Israele e l'Iran, e non come risposta ad un attacco a un convoglio di armi, per quanto importante possa essere”.Secondo il quotidiano Israel HaYom, “la palla è ora nell’altro campo”. Cioè: Damasco e Beirut devono decidere cosa fare. Da un lato, Assad può essere tentato di reagire perché, nella sua attuale situazione, ciò migliorerebbe la sua immagine: uno scontro con Israele è una ricetta sicura per accrescere la propria popolarità in tutto il mondo musulmano. Assad avrebbe bisogno di un grande exploit per far dimenticare i 60.000 siriani morti e i 700.000 siriani profughi che ha causato. D’altra parte, l’intero esercito siriano è occupato a combattere i ribelli. E poi, una reazione militare siriana porterebbe a un’ulteriore risposta israeliana, e questa è l’ultima cosa di cui il regime siriano ha bisogno in questo momento.(Da: Yediot Aharonot, Ha’aretz, Ma'ariv, Israel HaYom, 31.1.13)
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Siria e Iran minacciano Israele:"Dura rappresaglia dopo il raid"
All'indomani dei raid dei caccia israeliani in territorio siriano
Teheran minaccia: "Ci saranno serie conseguenze per la città israeliana
di Tel Aviv". E Damasco parla di rappresaglie "a sorpresa". Mentre
l'amministrazione Usa lancia un duro monito al regime di Bashar Al
Assad, mettendolo in guardia dal trasferire armi ai miliziani sciiti
libanesi di Hezbollah.Su quanto accaduto ieri non c'è ancora
chiarezza. La Nato e l'Onu dicono di non avere informazioni sufficienti e
continua il balletto delle accuse reciproche. L'Esercito siriano
afferma che i missili israeliani hanno centrato e parzialmente distrutto
il sito militare di Jamraya, considerato il polo tecnologico più
avanzato del Paese e fulcro del programma missilistico. Fonti
occidentali sostengono che i caccia hanno colpito un convoglio che
trasportava missili anti-aerei SA-17 di fabbricazione russa destinati
alle milizie Hezbollah in Libano. Non è da escludere che siano vere
entrambe le versioni: le violazioni accertate dello spazio aereo
libanese sono state diverse - almeno otto i caccia coinvolti - e sono
durate per diverse ore, il sito militare di Jamraya si trova a pochi
chilometri dal confine libanese, dove sarebbe stato colpito il
convoglio.Quel che è certo, scrive il quotidiano israeliano Haaretz, è che quanto accaduto offre ad Assad la possibilità di gridare al "complotto straniero guidato dai sionisti e portato avanti dai terroristi", così come vengono chiamati dai media siriani i ribelli anti-regime.Il
raid arriva poi in un momento cruciale per il conflitto siriano: il
presidente della Coalizione dell'opposizione, Ahmad al Khatib, prima che
venisse diffusa la notizia dell'attacco aereo, si era detto a sorpresa
favorevole a negoziati diretti con rappresentanti del regime di Damasco.
Altri esponenti del fronte anti-regime avevano lamentato di non essere
stati consultati e di fronte a queste critiche il direttivo della
Coalizione aveva precisato che "ogni negoziato deve partire dalla fine
del regime". Il passo indietro era del resto stato anticipato dallo
stesso Khatib, che oggi ha accusato Assad di non voler difendere il
Paese dagli attacchi israeliani e di usare l'aviazione solo per
bombardare i civili nelle zone che si sono schierate con l'opposizione.Damasco
ha giustificato la sua inazione affermando che i velivoli israeliani
provenienti dalla valle libanese della Bekaa - feudo degli Hezbollah
amici degli Assad - volavano a bassa quota, eludendo così il sistema di
sorveglianza aerea, installato e manovrato da tecnici di Mosca, da
decenni il principale alleato internazionale degli Assad.L'azione
israeliana è stata condannata da Hezbollah, che apparentemente ha
consentito ai caccia dello Stato ebraico di sorvolare le sue batterie di
missili in Libano, dalla Lega Araba, dall'Egitto e dall'Iraq. Il
governo russo, che nel Consiglio di sicurezza Onu ha finora osteggiato
ogni misura contro Assad, si è detto "preoccupato" e ha sollecitato la
comunità internazionale "misure immediate" per chiarire l'accaduto "in
tutti i dettagli". L'amministrazione americana non ha commentato il
raid, ma funzionari Usa hanno confermato la versione dell'attacco a un
convoglio che portava sofisticate armi antiaeree destinate alla milizia
sciita libanese e hanno reso noto che Israele aveva informato Washington
preventivamente. Le
ripercussioni dell'azione militare israeliana hanno messo in secondo
piano le notizie sul conflitto, che anche oggi ha provocato decine di
vittime. Secondo i Comitati di coordinamento locali dell'opposizione,
nel corso della giornata sono rimaste uccise almeno 47 persone.
(31 gennaio 2013)http://www.repubblica.it/esteri/
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Voci a confronto
L’emozione del presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche
Italiane Renzo Gattegna nella cerimonia di celebrazione del Giorno della
Memoria al Quirinale insieme a Giorgio Napolitano per l’ultima volta è
raccontata dal Corriere della Sera,
che riporta anche il retroscena della reazione del Colle alle parole di
Berlusconi su Mussolini, a firma di Marzio Breda. Napolitano e Gattegna
lanciano anche un monito contro i fascismi e le intolleranze di ieri e
di oggi (vedi tra gli altri l’Osservatore romano e il Tempo).Nella sua sezione interventi e repliche il Corriere
riporta un intervento dell’ex ministro Pdl Renato Brunetta: “quelle
parole su Mussolini Silvio Berlusconi forse ha scelto il giorno meno
adatto per manifestare la sua riflessione, del tutto ovvia — e
ampiamente condivisa — sul fascismo. La sinistra ha scelto il modo più
sbagliato per scatenare l’assalto. Da antifascisti dei suoi stivali
(molti dirigenti comunisti furono ferventi mussoliniani) si son
trasformati In filoebraici delle nostre ciabatte, visto che passano la
vita a lisciare Hamas ed Hezbollah. La vergogna delle leggi razziali,
del resto, fu possibile anche perché l’Italia è popolata da gente
simile, pronta a latrare a comando”.Sul Fatto quotidiano
Furio Colombo risponde alle domande di un lettore ripercorrendo le
tappe dell’approvazione della legge che istituì il Giorno della Memoria,
percorso di cui egli fu protagonista in prima persona.Il Corriere della Sera Roma riferisce
il sì del sindaco Gianni Alemanno all’idea di proclamare il 16 ottobre,
anniversario della razzia del ghetto, lutto cittadino, lanciata unanno
fa dal giornalista Pierluigi Battista. Sulle pagine della stessa testata un articolo è dedicato alla mostra “Israel now. Reinventare il futuro”.Per le notizie da Israele, sulla Stampa
il grande scrittore Abraham Yeoshua offre la sua prospettiva sull’esito
delle elezioni, mettendo in guardia Yair Lapid dal ripercorrere la via
che ha portato tanti partiti centristi a grandi exploit per poi
sgretolarsi dopo una o due legislature.Sempre più difficile la situazione in Siria: fanno orrore le foto di
decine di cadaveri lungo un corso d’acqua riprese da vari giornali (tra
gli altri Francesca Paci sulla Stampa). Tensioni fra il presidente Morsi e l’esercito in Egitto (Repubblica).http://moked.it/blog/
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La Memoria e i rapporti con
la Chiesa
Anche
quest’anno, come sempre negli ultimi tempi, sono stato invitato a
partecipare a un paio di incontri commemorativi in occasione del
Giorno della Memoria. A entrambe le manifestazioni, tra i vari
relatori, è stato invitato anche un ecclesiastico. Due persone serie
e preparate, che hanno espresso parole di sincera esecrazione per
quanto accaduto e di sentita vicinanza al popolo ebraico. In entrambe
le occasioni, però, il dibattito si è inceppato quando è stata
sfiorata la questione del ruolo svolto dal Vaticano durante quegli
anni, perché i due ecclesiastici, a differenza di alcuni degli altri
presenti, non solo rifiutavano di riconoscere la benché minima ombra
nell’operato di Pio XII, ma ne rappresentavano l’azione in
termini di totale eroismo e abnegazione, mostrandosi decisamente
offesi che qualcuno, per puro pregiudizio e malevolenza, osasse
mettere in discussione un dato di fatto tanto evidente e
incontestabile.Tale
situazione su ripete immancabilmente, come un copione fisso, e mette
decisamente a disagio. Altre volte, ci si trova a litigare tra
relatori che hanno idee diverse – a volte anche radicalmente
contrapposte – sull’oggetto della discussione (per esempio, sulla
questione mediorientale). Il dibattito può svolgersi civilmente o
può anche degenerare, ma ognuno si sente libero, in genere, di dire
la propria. In queste situazioni, invece, è diverso, giacché tutti
i relatori, per lo più, vorrebbero esprimere una comunanza di
intenti, un sentimento di unità e di comune impegno civile. Se il
dibattito non tocca un determinato argomento, questo sentimento
appare integro, e si ha l’idea che gli uomini di oggi siano davvero
schierati, in modo unitario, a difesa dei valori di umanità e
tolleranza. Se, invece, l’argomento tabù viene toccato, sia pure
in modo marginale, l’incantesimo si spezza.Che
fare, quindi? Parlarne o non parlarne? Meglio forse non toccare il
punto spinoso, per cementare questa unità di intenti, per sentirsi,
o apparire, uniti? O piuttosto affrontarlo in modo aperto, per
cercare di fugare ombre, equivoci, retropensieri? Nel primo caso, ci
si sente ipocriti, pavidi, falsi. Facciamo finta di andare d’accordo,
ma sappiamo che non è davvero così. Nel secondo, si appare
indelicati, divisivi, dal momento che si urta la sensibilità di
persone che vorrebbero esserti amiche, e che tu sembri invece volere
respingere, o mettere in difficoltà (oltre tutto, in modo gratuito e
inutile, poiché c’è l’assoluta certezza che, da quella parte,
non verrà mai la benché minima correzione di giudizio).Che
fare? Non so rispondere. So solo porgere un’altra domanda: la
Chiesa è un’istituzione umana (sia pure, per chi ci crede,
ispirata da Dio), fatta da uomini, calata nella storia? E quindi
soggetta anch’essa, come tutto ciò che è umano e storico, a
errore, debolezza, contraddizione? O è sempre, in ogni suo atto, a
qualsiasi livello, divina, perfetta, infallibile? E’ nel tempo, o
fuori dal tempo? Se è fuori dal tempo, fuori dalla storia, allora
analizzarne i comportamenti storici in un pubblico dibattito è del
tutto fuorviante e inopportuno, come lo sarebbe dibattere su una
verità di fede, con un credente che la difende e un non credente che
cerchi di smascherarne la falsità: sgradevole, intollerante,
offensivo. Se è nel tempo, nella storia, perché dovrebbe essere al
di sopra di qualsiasi umano giudizio? Può esistere, nella storia,
qualcosa di perfetto, assoluto, sovrumano, metastorico? Francesco
Lucrezi, storico.http://www.moked.it
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Cultura
Il cono d’ombra
Calato
il sipario sul 27 gennaio, ogni anno sono inseguito da un incubo. Mi
sveglio d’improvviso, gli occhi sbarrati. Sogno di essere
prigioniero dentro un cono. L’ombra del professor De Felice mi
rincorre urlando: “Fuori, e vedi di sparire anche dalla mia ombra”.
I luoghi comuni storiografici turbano i miei sonni, perché in Italia
tendono a ripetersi come un disco rotto: fra l’altro ho un ricordo
molto gradevole di un pranzo a Roma con il Professore, che non aveva
il fascino di un attore di Cinecittà, ma non era Dracula. Il suo
libro mi capita di riaprirlo spesso, vi imparo sempre qualcosa, anche
se nel frattempo la ricerca è andata avanti. Questo ritornello del
cono proprio non mi persuade. Le cifre parlano chiaro: di tutti i
paesi che hanno subito l’occupazione tedesca, l’Italia si situa
dopo la Danimarca e la Finlandia. È
il
terzo paese con la più bassa percentuale di vittime dello sterminio.
Se si considera che la maggior parte degli ebrei erano residenti
nella parte della penisola dove più a lungo durò l’occupazione
nazista, su quel 17.3 % bisognerebbe ragionare con più serenità,
lasciando da parte gli accanimenti postumi contro il Professore. La
percentuale è comunque spaventosa, ma come insegna Mario Pirani
nella sua autobiografia, lecito dire che, forse, poteva andare anche
peggio. Fuori del cono d’ombra del nazismo s’è visto di tutto,
un arcobaleno di atteggiamenti, dal nero delle delazioni, alla pietas
di un fascista di Salò. Fuori del cono d’ombra s’è visto
innanzitutto un viluppo di odio e di amore. Giacomo Debenedetti,
come gli odierni detrattori del Professore, non vedeva altro
che lacrime e sangue. Faticava a spiegargli che cosa fosse quel
viluppo di odio e di amore il dolcissimo Umberto Saba delle
Scorciatoie, che vado subito a rileggermi appena mi riprendo
dall’incubo annuale di fine gennaio.Alberto
Cavaglion.http://www.moked.it/
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La storia questa sconosciuta
Il governatore della Banca d'Israele lascia l'incarico
Il
Governatore della Banca centrale, la Bank of Israel, Stanley Fisher si
è dimesso improvvisamente martedì sera senza spiegare al pubblico i
motivi che lo hanno spinto alle dimissioni. Egli rimarrà al suo posto
fino al prossimo mese di giugno. Il momento da lui scelto, non poteva
essere peggiore. Il governo ha scoperto qualche settimana fa di avere
un deficit di bilancio importante, circa 40 miliardi di shekel. Proprio
adesso Israele aveva bisogno di una persona onesta e competente che
gode della fiducia di tutti i tecnici della finanza pubblica, alla
guida della Banca centrale. Qualcuno sussurra che il momento scelto
alla vigilia della formazione del nuovo governo indica che Fisher
potrebbe aspirare a diverntare il ministro degli Esteri di Israele, ma
l`interessato non ha confermasto questa
supposizione. Nell`incertezza causata dalle recenti elezioni
legislative, Fisher era un`isola di sobria stabilità, logica, giudizio
equilibrato e rinomanza internazionale, scrive il quotidiano “The
Marker” stamane. Fisher gode della stima dei professionista della
finanza e del pubblico ed è un personaggio raro nella politica
israeliana. Permane un grande punto interrogativo sulle ragioni che lo
hanno spinto a questo passo. È
certo che tali ragioni non sono un complimento per la classe dirigente
israeliana ma piuttosto un ammonimento e un invito alla serietà.Sergio Minerbi
http://www.moked.it/
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Ho trovato molto bella l’intervista a Claudio
Magris di Guido Vitale pubblicata sull’ultimo numero di Pagine Ebraiche. In particolare, mi è molto piaciuta la diagnosi, assai
controcorrente, per cui la crisi europea dipenda dalla perdita di “un
sano senso di ipocrisia”. Mi pare una brillante definizione del
tentativo di civiltà europeo, che, aprendo ad un’ottica universalista,
si incammina nel difficile tentativo di contenere pulsioni territoriali
e identitarie legittimate, invece, in altri progetti sociali. È pur
vero che, spesso, l’Europa si dimentica che l’origine di questo
percorso è ebraica e che nessuno come l’ebraismo ha affrontato il tema
della sublimazione delle pulsioni profonde dell’animo umano. Ed è anche
vero che serve a poco “ricordare” se poi, in Paesi membri dell’Unione,
si rimuove la matrice ebraica con progetti di legge per l’abolizione
della kasherut o con sentenze giuridiche che paragonano la brìt milà a
una mutilazione. Meglio restare sanamente “ipocriti”, facendo finta che
alterità e differenze di ogni tipo non diano fastidio. Abbiamo tutti
provato, in questi giorni, quale brutta sensazione provochi la perdita
di ipocrisia nelle classi politiche.Davide Assael,ricercatore.http://www.moked.it/
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Cultura
Ho il piacere di
invitare i Soci, ma anche i simpatizzanti e gli amici ad un
BUFFET
ISRAELIANO
ovvero il nostro
appuntamento annuale per incontrarci e per sostenere
la nostra attività
e che avrà luogo
Sabato
23 febbraio 2013 - ore 20
Villa
Linda- via della Villa 15 – Plaino di Pagnacco
La scelta della
logistica, come vedete, vuole sottolineare il tono informale di una
riunione fra amici. Quanto alla parte gastronomica , sarà
protagonista la cucina ebraica mediterranea e israeliana in
particolare ,curata da Francesca.
Costo a persona: €
45,oo
Prenotazioni entro il 20
febbraio 2013 :e-mail
italia-israele@giorgiolinda.it
Il
Presidente
Dott. Giorgio Linda
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eventi
Ci
sono tre ipotesi che tuttavia convergono su un punto di significato cruciale,
ovvero la situazione estrema che la rivoluzione siriana ha ormai creato:
sarebbe stata bombardata una carovana di camion carichi di armi forse in parte
chimiche in viaggio dalla Siria in Libano, per finire nelle mani degli
hezbollah. Oppure, ipotesi due, sarebbero stati distrutti alcuni depositi in
cui erano pronti oltre all’ingente arsenale di missili iraniani forniti alla
Siria e agli Hezbollah anche degli SA17 russi, che cambiano decisamente
l’equilibrio balistico dell’area. Oppure, terza ipotesi, ambedue i tipi di armi
sono stati oggetto dell’attacco israeliano. Sembra che sia stato colpito il
territorio siriano, anche se sul confine.Si
sa sempre poco in Medio Oriente degli eventi basilari, finchè essi non si
spalancano come un fiore carnivoro e rivelano i loro significati fatali. Così
accadde con il bombardamento del reattore di Osirak nel 1981 in Irak e poi di
quello siriano nel 2008, a lungo Israele negò e non spiegò. Anche ora si sa
poco delle incursioni degli F16 israeliani che hanno (forse) bombardato nella
notte fra martedì e ieri (non è confermato, anzi, il riserbo è totale)
“qualcosa” sul confine fra Siria e il Libano: “I jet israeliani hanno violato
il nostro spazio aereo all’alba di oggi e hanno effettuato un attacco diretto
contro un centro di ricerche scientifiche per testare il nostro livello di
difesa e resistenza” l’unica conferma firmata alla Sana dal comandante dell’esercito
siriano.Fra
tutti questi “sembra”, la verità inequivocabile, secondo i criteri con cui
viene decisa un’operazione di questa portata e di questa evidente potenzialità
strategica (è la prima volta che Israele interverrebbe direttamente e per sua
iniziativa in una situazione creatasi a causa di una rivoluzione araba) è che
non se ne può più fare a meno, e anche che ci se ne aspetta i massimi
risultati. Il governo di Netanyahu, in varie forme, ripeteva da giorni che non
doveva essere sorpassata la “linea rossa” del cambiamento strategico degli
armamenti presenti nella zona. Aveva addirittura riunito il gabinetto poche ore
dopo le elezioni per parlare appunto, di Siria. Evidentemente le armi o sono
già passate in mani di nuovi proprietari imprevedibili o stanno per farlo. Il
regime di Assad potrebbe forse durare ancora qualche mese, ma sono chiari i
segni dello smottamento totale della Siria e dello scivolare della sua potente,
moderna fornitura d’armi nelle mani degl! i sciiti hezbollah o dei ribelli Gli
uomini di Nasrallah hanno ultimamente stabilito nuove basi in Siria presso gli
arsenali di armi non convenzionali, mentre anche i sunniti si organizzano allo
stesso scopo.
Per Israele, come del resto per gli Stati Uniti e persino per la Russia che ha fornito qualche segnale in questo senso, il passaggio delle armi chimiche e convenzionali in mani estremiste è uno sviluppo che segna un pericolo imminente. E’ per questo che Israele ha piazzato Kipat Barzel, le nuove potenti batterie di difesa aerea, sul confine del nord. Se l’attacco di ieri è avvenuto, se l’ha compiuto Israele, tutte cose piuttosto realistiche, ora c’è da chiedersi se l’IDF è pronto ad affrontare un’eventuale reazione. Anche qui la risposta ha varie sfumature: Assad non è nel migliore stato per intraprendere una guerra con Israele, e anche gli Hezbollah, dato che il loro amico Bashar non rappresenta più una base logistica affidabile, non vedono volen! tieri uno scontro duro, che alla fine risulterebbe distruttivo per la loro presa sul Libano. Può anche darsi che i veri capi degli hezbollah e di Assad, gli iraniani siano in questi giorni molto occupati con i loro danni dopo lo scoppio della struttura di arricchimento delle’Uranio di Fordo, che la CIA sostiene essere di dimensioni molto notevoli. Tutto questo però può crollare di fronte all’istinto fanatico e antisraeliano di molti nemici di Israele attratti dall’occasione bellica. Gli israeliani affrontano con calma la consueta cerimonia, che purtroppo talvolta è risultata assai realistica, per cui si tirano fuori le maschere antigas, si spolverano, si provano, si ascoltano e si leggono le istruzioni per rimetterle in funzione Il numero di normali cittadini che hanno rinnovato il loro kit contro le armi non convenzionali è triplicato nell’ultimo mese. Questa è la nuova situazione. E anche il grande caos egiziano che ieri ha fatto altre due vittime nelle piazze, non promette niente di buono. Il Sinai, abbandonato alle bande beduine, diventa sempre di più una giungla qaedista sul confine di Israele. Fiamma Nirenstein.Il Giornale, 31 gennaio 2013
Per Israele, come del resto per gli Stati Uniti e persino per la Russia che ha fornito qualche segnale in questo senso, il passaggio delle armi chimiche e convenzionali in mani estremiste è uno sviluppo che segna un pericolo imminente. E’ per questo che Israele ha piazzato Kipat Barzel, le nuove potenti batterie di difesa aerea, sul confine del nord. Se l’attacco di ieri è avvenuto, se l’ha compiuto Israele, tutte cose piuttosto realistiche, ora c’è da chiedersi se l’IDF è pronto ad affrontare un’eventuale reazione. Anche qui la risposta ha varie sfumature: Assad non è nel migliore stato per intraprendere una guerra con Israele, e anche gli Hezbollah, dato che il loro amico Bashar non rappresenta più una base logistica affidabile, non vedono volen! tieri uno scontro duro, che alla fine risulterebbe distruttivo per la loro presa sul Libano. Può anche darsi che i veri capi degli hezbollah e di Assad, gli iraniani siano in questi giorni molto occupati con i loro danni dopo lo scoppio della struttura di arricchimento delle’Uranio di Fordo, che la CIA sostiene essere di dimensioni molto notevoli. Tutto questo però può crollare di fronte all’istinto fanatico e antisraeliano di molti nemici di Israele attratti dall’occasione bellica. Gli israeliani affrontano con calma la consueta cerimonia, che purtroppo talvolta è risultata assai realistica, per cui si tirano fuori le maschere antigas, si spolverano, si provano, si ascoltano e si leggono le istruzioni per rimetterle in funzione Il numero di normali cittadini che hanno rinnovato il loro kit contro le armi non convenzionali è triplicato nell’ultimo mese. Questa è la nuova situazione. E anche il grande caos egiziano che ieri ha fatto altre due vittime nelle piazze, non promette niente di buono. Il Sinai, abbandonato alle bande beduine, diventa sempre di più una giungla qaedista sul confine di Israele. Fiamma Nirenstein.Il Giornale, 31 gennaio 2013
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