Israele in Harley Davidson. In Terra Santa pastori e veterani dell’esercito Usa
11/11/2011 http://www.cinquew.it/
Israele in Harley Davidson. Pastori evangelici e veterani dell’esercito statunitense attraversano la Terra Santa in sella alle storiche moto. Una delegazione di 71 pastori evangelici e veterani dell’esercito statunitense è approdata la scorsa settimana in Israele a bordo di moto Harley Davidson. I motociclisti si trovano in Israele proprio in questi giorni per un tour di 10 giorni che li sta portando alla scoperta del Paese a bordo delle loro Harley Davidson.
Protagonisti del progetto Hope for Israel – Run to the
sabato 12 novembre 2011
Quanti arabi salvati grazie a medici israeliani
Migliaia di arabi sono stati salvati da Israele: si fosse mai sentito un "grazie"
Lasciatemi essere melensa per una volta, proprio mentre i missili iraniani vengono montati sulle rampe e gli F16 israeliani rollano: è una storia di scienza e di buon senso, una storia in cui una dottoressa iraniana di una clinica universitaria, tuttavia prudentemente firmatasi «N.N.», ha contattato «urgente!» il dottor Adi Weissbuch a proposito di una sua paziente alla sedicesima settimana di gravidanza con una grave malattia genetica. «N.N.» era molto preoccupata perché in Iran l'aborto è proibito dopo la diciottesima settimana. Che fare? La ginecologa iraniana aveva letto un bell'articolo, appunto del dottor Weissbuch, e a lui si è rivolta: lo ha cercato a casa sua in Israele, all'ospedale Kaplan di Rehovot. «Per me - ha detto Weissbuck - un paziente può essere di qualsiasi religione o nazionalità. Noi vogliamo solo fornire il giusto trattamento. Tutta la corrispondenza portava una intestazione col mio nome e la dicitura Stato d'Israele: mi è bastato questo».
Purtroppo la gravidanza non aveva speranza. Ma i prodigiosi interventi della medicina israeliana contano una grande quantità di happy end nel mondo arabo. Solo un paio di esempi: durante l'Intifada, quando Hamas uccideva civili israeliani a migliaia, la bambina di tre anni del ministro degli interni di Hamas Elham Fathi Hammad aveva subito a Amman un'operazione al cuore fallita: fu portata all'ospedale Barzilazi ad Ashkelon in gravi condizioni ma i dottori riuscirono a salvarla. Migliaia di arabi sono stati salvati da Israele: si fosse mai sentito un «grazie». Ora magari, però, Ahmadinejad manda un mazzo a di fiori... http://www.ilgiornale.it/di Fiamma Nirenstein - 12 novembre 2011
venerdì 11 novembre 2011
Muro del pianto 2.0: i fedeli inviano preghiere tramite Twitter
Ogni anno milioni di persone si recano in pellegrinaggio a Gerusalemme, sul luogo più sacro della religione ebraica, per portare le loro preghiere. Nelle fessure del Muro del pianto ci sono migliaia di foglietti piegati.
Ma sempre più messaggi vengono mandati a Dio per vie traverse, ovvero su supporto digitale: via e-mail, tramite Twitter o app dello smartphone. Ogni giorno i rabbini del Muro del pianto portano sul luogo sacro preghiere che hanno ricevuto per posta elettronica o tramite un modulo sul sito internet del Muro del pianto.Da due anni lo studente israeliano Alon Nir offre il servizio gratuito «Tweet your Prayer». Utilizzando il servizio di microblogging Twitter, chiunque può inviargli delle preghiere riassunte in un massimo di 140 battute. «Voglio che il Muro sia a disposizione di quanta più gente possibile», riferisce il ventisettenne di Tel Aviv.Nell'estate del 2009 ha seguito i preparativi della rivoluzione in Iran via Twitter e si è reso conto che il servizio non è solo una piattaforma per messaggi personali. «La novità interessante è che si è creato un legame inimmaginabile fra due mondi diversi: qui c'è il Muro, vecchio più di 2000 anni, e là la tecnica più moderna.» Da allora Nir è bombardato di preghiere provenienti da tutto il mondo, che porta a Gerusalemme ogni due o tre giorni.Con la kippà sul capo, l'israeliano si inginocchia davanti al Muro composto da imponenti blocchi di pietra calcarea. Apre una scatola di legno con circa un migliaio di rotolini che sembrano quelli della lotteria e li infila in una fessura del muro molto profonda. «Due volte all'anno il muro viene ripulito di tutti i biglietti, ma questi non sono facili da togliere.»Ogni giorno Nir riceve da 100 a 200 preghiere digitali – alcune sono in giapponese o cinese. Arrivato a 100.000, ha smesso di contarle. «La maggior parte arriva dagli Stati Uniti e dal Brasile, ma anche dall'Inghilterra, dalla Francia, dalla Germania e persino da Israele», aggiunge. E sarebbe stato contattato anche da cristiani, musulmani, buddisti e scintoisti giapponesi.Nir riceve la maggior parte delle preghiere non in forma di tweet pubblici, ma di messaggi privati, che non legge, poiché secondo la religione ebraica i foglietti del Muro del pianto sono destinati solo a Dio. «Neanche a me farebbe piacere se degli estranei venissero a conoscenza delle mie paure e dei miei desideri», commenta in tono deciso. Un software analizza tutti i messaggi cercando determinate parole, perché volgarità e campagne antisemite nel Muro del pianto non devono esserci.Dalle preghiere pubbliche e dai messaggi di posta elettronica, Nir sa che le persone hanno i desideri più disparati. «Alcuni chiedono favori importanti come la pace nel mondo, amore e salute. Ma in particolare dagli Stati Uniti giungono anche molti tweet che parlano di problemi economici, magari perché quella persona sta perdendo la casa o il lavoro.» Anche prima di giorni di festa e dopo catastrofi come il terremoto di Haiti o Fukushima, il numero delle preghiere ha avuto un’impennata.«A molti dà forza sapere che la propria preghiera è custodita nel Muro del pianto», dice Nir. Ed è proprio questo il motivo per cui si è assunto questo incarico, che certamente non è sempre facile. «È un lavoro infinito e richiede un grosso impegno. Ma mi rende felice sapere che basta così poco per cambiare la vita di tante persone.»http://www.bluewin.ch
Durante la cerimonia in comunità in ricordo di Yitzhak Rabin mi accorgo che stento a ricordare il nome del suo assassino: a furia di non menzionarlo (giustamente, perché non lo merita, e infatti non intendo farlo neanche qui) quel nome, che per anni ha dominato i discorsi di tutti gli ebrei come una macchia indelebile, lentamente è scivolato in qualche angolo della memoria da cui fatico a tirarlo fuori. Mentre mi sforzo di ricordarlo, sento come se ci fosse un altro nome che lo blocca; di fronte a me, sulla parete di fondo del centro sociale, è appeso un cartello “Gilad Shalit è libero!”, con la foto del soldato israeliano che ha dominato i nostri pensieri negli ultimi tempi. Un nome e un cognome ebraici continuamente ripetuti, entrambi bisillabi, i-a, a-i. Finalmente mi viene in mente il nome dell’assassino: anche lui due bisillabi, i-a, a-i, stesse vocali, stessa cadenza: ecco perché un nome si era sovrapposto all’altro e lo aveva esiliato.Il nome di un ragazzo ebreo per la cui vita tutti gli ebrei hanno trepidato si è sovrapposto al nome di un ragazzo ebreo che ha ucciso un altro ebreo; il nome che ha unito tutte le nostre comunità si è imposto sul nome che evoca le nostre più dolorose lacerazioni; Il nome che dimostra il valore della vita umana ha cancellato il nome di chi l’ha disprezzata; il nome che ha portato speranza ha prevalso sul nome che l’ha distrutta. Auguriamoci che all’interno del popolo ebraico, come nella mia memoria, prevalgano sempre la solidarietà, il rispetto per la vita, la speranza.A pensarci bene c’è un altro i-a, a-i che non può e non deve essere dimenticato: Yitzhak Rabin. Anna Segre, insegnante, http://www.moked.it/
Le immagini struggenti delle sue lacrime fecero il giro del mondo. L’intera società israeliana abbracciò idealmente la vedova Karnit Goldwasser mentre salutava per l’ultima volta Udi, suo marito, rapito e ucciso dai miliziani Hezbollah. Era il 2008, ma per quasi due anni Karnit dovette lottare per avere notizie del marito, catturato nel 2006 sul confine libanese, e infine riaverne la salma con la magra consolazione di poterne celebrare i funerali. Tutti in Israele conoscono la storia di Karnit, una donna diventata il simbolo della lotta per la liberazione dei soldati rapiti. E che oggi ha deciso di incanalare il suo impegno e la sua popolarità in una nuova avventura: la politica. In una recente intervista al quotidiano Yedioth Ahronot, Goldwasser ha infatti confessato di pensare alla candidatura per le prossime elezioni nazionali. “Avevo già avuto in passato delle proposte dei partiti Kadima e Likud ma non ho mai accettato. Ad ogni modo - ha spiegato - se prenderò la via della politica, non penso che correrò con uno dei partiti presenti. Se arrivassi alla Knesset (il Parlamento israeliano, ndr) non potrei far parte di qualcosa che già c’è”. L’idea potrebbe quindi essere quella di creare un nuovo partito. Un’idea che non sembra troppo remota. “Penso di avere le qualità per poter contribuire alla politica israeliana” dice infatti Ronit. “In particolare sulle questioni socioeconomiche, sull’istruzione e l’ambiente. Da quello che ho capito, non sei tu a scegliere la politica. È lei a scegliere te. La questione è se effettivamente mi ha scelto”. La scomparsa del marito, catturato e ucciso assieme a un altro soldato israeliano, Eldad Regev (i rapimenti portarono al conflitto tra Israele e Libano nel 2006) è ancora oggi una ferita aperta. Condivisa con tante famiglie, orfane di figli, fratelli, nipoti. In particolare Karnit ha partecipato attivamente alla campagna di sensibilizzazione per la sorte di Gilad Shalit. Un profondo legame di amicizia si è così venuto a creare con la madre di Gilad, Aviva. E il giorno della notizia della firma dell’accordo per liberazione del giovane caporale israeliano, la vedova Goldwasser è stata una delle prime persone a recarsi dalla famiglia Shalit per festeggiare. Poche ma significative le parole pronunciate in quella occasione: “Sono venuta per abbracciare Aviva e Noam. Gioisco della loro gioia perché almeno Gilad è riuscito a tornare a casa”.Daniel Reichel, Pagine Ebraiche, novembre 2011, http://www.moked.it/
Si conclude oggi la seconda giornata del Kosherfest a New York, considerata la più grande manifestazione dell'alimentare kosher. La fiera si svolge una volta l'anno, ormai da 20 anni ed ha avuto inizio quando anche negli Usa il kosher non era ancora di moda. Già, di moda. Infatti la particolarità di quest'ultima edizione è stata la sorpresa di vedere moltissimi visitatori e compratori di catene e negozi non esclusivamente kosher. Attuamente la presenza di prodotti certificati kosher nella Gdo statunitense è nettamente superiore a quellla di alimentari non kosher. Business? Abbiamo incontrato anche degli acquirenti egiziani, musulmani, che non si ponevano alcun problema a lavorare con i fornitori presenti. Il bello degli USA... Ripensando alle edizioni passate, fa sorridere il ricordo del grande traffico nei corridoi dei larghi cappelli neri che si scontravano...Non mancava comunque la presenza ortodossa, con tefillot a ritmo continuo in uno spazio dedicato. Oltre ad espositori statunitensi ed israeliani a far la parte del leone, va segnalata una presenza significativa di produttori provenienti da Argentina, Canada, Francia e Regno Unito. Peccato per l'Italia, rappresentata solo da alcuni formaggi, vini e aceti. Mosè Silvera. http://www.moked.it
Nato allo scopo di diffondere la conoscenza della cultura ebraica e della sua produzione letteraria, il Premio letterario Adei-Wizo Adelina Della Pergola celebra quest'anno l'undicesima edizione. Appuntamento all'Accademia Navale di Livorno lunedì 13 novembre a partire dalle 17. Cinque i libri finalisti selezionati dalla giuria: per la categoria principale, oltre all'opera vincitrice “La simmetria dei desideri” di Eshkol Nevo, anche “Fratture” di Irit Amlel e “È andata così” di Meir Shalev. Per il premio narrativa ragazzi “Il quinto servitore” di Kenneth Wishnia, vincitore di categoria, e “La caccia di Salomon Klein” di Massimo Lomonaco. Una menzione speciale è andata a Claude Lanzman per il suo “La lepre in Patagonia”.
“Praga in versione XXI secolo si legge come il resoconto di un’investigazione mozzafiato: non puoi smettere di girare le pagine, e quando hai finito, ne vorresti ancora”. Così il giornale ebraico americano The Forward ha recensito il libro di Kenneth Wishnia Il Quinto servitore, vincitore del Premio Narrativa Ragazzi 2011. “In Europa il senso della storia è insito nelle persone e nella vita. Solo così un libro come il mio, che si svolge tra il Medio Evo e il Rinascimento, e che è pieno di riferimenti alla realtà dell’epoca, può essere apprezzato addirittura da un pubblico di giovani adulti”. Ama molto la storia Kenneth Wishnia, scrittore americano con un passato errante in giro per l’Europa. Passione ereditata dalla madre, storica di professione, ma frutto anche della sua vita vagabonda in giro per il mondo (sulla sua presentazione sul suo sito internet si vanta di aver “vissuto, lavorato e di essere stato inseguito dalla Polizia” in tre diversi continenti). Nonostante ammetta che in Europa le persone hanno un senso della storia molto più profondo di quanto avvenga negli Stati Uniti, Wishnia è quasi incredulo quando pensa a quanto il pubblico di liceali italiani che hanno partecipato all’assegnazione del Premio narrativa ragazzi Adelina Della Pergola abbia apprezzato il suo libro Il Quinto Servitore, pubblicato da Longanesi. Perché nei licei a stelle e strisce è difficile trovare ragazzi con un background storico abbastanza forte da apprezzare un libro come il suo, e lui se ne rende conto benissimo, visto che insegna scrittura e letteratura inglese all’università (al Suffolk Community College) e di studenti ne incontra tutti i giorni. Il Quinto servitore, l’ultima fatica di Wishnia, è il frutto di cinque anni di meticoloso lavoro (“è sempre così: faccio ricerche e prendo appunti a sufficienza per cinque libri, e alla fine ne scrivo uno solo”). L’atmosfera è quella della Praga ebraica del XVI secolo. Costretti a risiedere nel Ghetto, gli ebrei vivono però relativamente tranquilli, e la vita ebraica prospera. Fino al momento in cui alla vigilia di Pesach, anno 1592, una giovane cristiana viene trovata uccisa in una bottega. Lo spettro dell’accusa di omicidio rituale allo scopo di usare il sangue della ragazza per impastare le matzot minaccia di portare via alla comunità anche quel fondamentale barlume di libertà e sicurezza conquistata. Il protagonista Benyamin Ben- Akiva è arrivato da poco in città dalla Polonia per lavorare come assistente del rabbino di una delle sinagoghe del ghetto, ma soprattutto per riconquistare la moglie Reyzl, fuggita dall’oscurità della vita del loro piccolo shtetl polacco. Benyamin Ben-Akiva, “un ebreo alto dalla barba riccioluta” e un’aria di “controllata disperazione” ha solo tre giorni per smascherare il vero assassino e salvare così gli ebrei di Praga da “esilio, sterminio o entrambi”. E a investirlo della missione di “inquisitore del destino, ma dalla nostra parte” è niente meno che Rabbi Judah Loew, il creatore del leggendario Golem.I misteri per Kenneth Wishnia non sono una novità. All’attivo dello scrittore è infatti anche una serie di cinque romanzi incentrati sulle vicende della poliziotta newyorkese Filomena Buscarsela. “Anni fa il mio primo romanzo ‘Ventitre tonalità di nero’ fu rifiutato dall’editore cui lo mandai perché troppo ‘complesso e letterario’ - ricorda l’autore, evidenziando con un filo d’amarezza come solo negli Stati Uniti questa possa essere una critica negativa nei confronti di un libro - e anche troppo ‘politico’. Così quando fu pubblicato, e mi chiesero di descriverlo in poche parole scelsi di definirlo proprio un romanzo complesso, letterario e politico”. Di fronte alla stessa domanda per Il quinto servitore, Kenneth Wishnia riflette un attimo prima di rispondere. “Oscuro, romantico, sardonico” sceglie alla fine, sottolineando come l’umorismo cinico di cui il romanzo è pervaso rappresenta per lui una caratteristica insostituibile. Un romanzo di cui Wishnia è particolarmente soddisfatto “Se i miei precedenti libri erano paragonabili alla musica punk-rock, Il quinto servitore per me è come la musica classica, più denso, più introspettivo”.
“Questo libro è stata anche l’occasione per approfondire i temi legati all’ebraismo - spiega ancora lo scrittore - Io sono ebreo e mia moglie è cattolica. Quando mi sono sposato ho provato il desiderio di conoscere meglio la cultura di mia moglie. Ma studiando mi sono reso conto che non conoscevo affatto la mia. Così ho cercato di rimediare”. Di ricevere il premio Adei, Kenneth Wishnia si dice particolarmente orgoglioso: “Sono molto grato al pubblico femminile che si è sempre dimostrato attento alle mie opere. E non vedo l’ora di venire in Italia per la premiazione”. Rossella Tercatin, Pagine Ebraiche, novembre 2011
giovedì 10 novembre 2011
L’Unesco svilisce la propria missione e allontana le chance di pace
Bisogna dargliene atto, ai palestinesi. Hanno deciso di abbandonare il processo di pace e di perseguire, invece, un riconoscimento internazionale dello “Stato di Palestina” – uno Stato che è de facto in stato di guerra con Israele – e stanno perseguendo caparbiamente questo loro obiettivo.La scorsa settimana i loro sforzi hanno portato i primi frutti quando l’agenzia dell’Onu per l’educazione, la scienza e la cultura (l’Unesco) ha votato l’accettazione della “Palestina” come Stato-membro a pieno titolo.Non è un caso che l’Olp/Autorità Palestinese abbia deciso di iniziare inoltrando proprio all’Unesco la domanda di adesione della “Palestina”. Sin dal 1974 l’Unesco collabora con entusiasmo al tentativo palestinese di cancellare dagli annali la storia, il patrimonio e la cultura degli ebrei in Terra d’Israele. Nel 1974 fu l’Unesco a varare il boicottaggio contro Israele, con la decisione di “sospendere ogni collaborazione con Israele nei campi dell’educazione, della scienza e della cultura a causa della persistenza alterazione da parte di Israele delle caratteristiche storiche di Gerusalemme”. Da allora le mosse dell’Unesco volte a negare qualunque nesso fra ebrei, Gerusalemme e il resto della terra storica d’Israele sono andate avanti senza sosta. Ad esempio, nel 1989 l’Unesco condannò “l’occupazione israeliana di Gerusalemme” sostenendo che stesse distruggendo la città attraverso “atti di interferenza, distruzione e trasformazione”. Nel 1996 l’Unesco tenne un convegno su Gerusalemme nella sua sede di Parigi al quale non venne invitato nessun gruppo ebraico o israeliano.A cominciare dal 1996, sul Monte del Tempio di Gerusalemme il Wakf (l’ente che amministra il patrimonio islamico) ha avviato un’opera di distruzione sistematica di reperti del Secondo Tempio ebraico, nel corso di lavori di scavo illegali sul Monte del Tempio effettuati per costruire una grande moschea abusiva nell’area delle cosiddette Scuderie di Salomone. L’Unesco non si è mai presa il disturbo di condannare questo scempio: se n’è stata zitta, nonostante il fatto che gli interventi del Wakf costituissero una grave violazione delle leggi internazionali relative ai siti archeologici e ai luoghi sacri che l’Unesco, per statuto, è tenuta a proteggere. Allo stesso modo, l’Unesco non ha mai condannato la profanazione da parte palestinese della Tomba di Rachele (a Betlemme), della Tomba di Giuseppe (a Nablus) e di tutte le antiche sinagoghe a Gaza e a Gerico, letteralmente rase al suolo.Il motivo per cui l’Unesco ha abdicato alle sue responsabilità è evidente. Lungi dall’adempiere alla sua missione di proteggere il patrimonio dell’umanità, dal 1974 l’Unesco si è fatta partecipe di uno dei più grandi crimini culturali della storia: il tentativo arabo e palestinese di cancellare dagli annali la storia degli ebrei in Terra d’Israele. I misfatti dell’Unesco in questo campo sono innumerevoli. Nel 2009 ha decretato Gerusalemme “capitale della cultura araba”. Nel 2010 ha designato la Tomba di Rachele e la Grotta dei Patriarchi (a Hebron) come “moschee musulmane”.Ma questa campagna contro la storia ebraica non si limita ad Israele. Nel 1995 dell’Unesco ha approvato una risoluzione per rimarcare il 50esimo anniversario della fine della seconda guerra mondiale. Nonostante le richieste di Israele, la risoluzione non contiene il minimo accenno alla Shoà. Nel dicembre 2010 l’Unesco ha pubblicato un rapporto sulla storia della scienza nel mondo arabo. Il rapporto cita il grande medico ebreo e studioso rabbinico rav Moshe Ben Maimon (Maimonide) come un musulmano rinominato “Moussa ben Maimoun”.
Alla luce di queste virulente politiche e attività anti-ebraiche, non stupisce che l’Unesco abbia collaborato con il tentativo dell’Olp/Autorità Palestinese di ottenere un riconoscimento come Stato che è in stato di guerra contro Israele.Più di quello dell’Unesco, sorprende piuttosto il comportamento di tutti gli stati-membri europei, ad eccezione di cinque. Infatti, a parte la Repubblica Cecoslovacca, la Germania, la Lituania, l’Olanda e la Svezia, tutti gli altri paesi dell’Unione Europea hanno votato a favore dell’adesione della “Palestina” o si sono astenuti. Perché sorprende? Perché l’Unione Europea pone fra gli obiettivi cardine della sua politica estera il rafforzamento delle istituzioni dell’Onu e l’accelerazione del processo di pace fra Israele e palestinesi, per permettere la nascita dell’indipendenza palestinese. Sostenendo o non opponendosi all’adesione della "Palestina" (senza un accordo negoziato con Israele) gli europei in realtà minano entrambi questi obiettivi.L’Unesco è stata indebolita dal voto per due motivi. Innanzitutto perché da tempo la legge americana vieta al governo di finanziare agenzie Onu che accettino la “Palestina” come Stato-membro al di fuori di un accordo negoziato con Israele. Facendolo, l’Unesco ha tagliato il proprio stesso bilancio del 22% garantito dal contributo degli Stati Uniti. In secondo luogo, l’Unesco ha compromesso la propria stessa legittimità e credibilità come organizzazione: accettare la “Palestina” costituisce infatti una violazione del suo stesso statuto, secondo il quale possono essere membri dell’organizzazione soltanto Stati a pieno titolo. Non basta. Il voto rappresenta anche una sconfessione degli obiettivi dell’Unesco fissati nel suo statuto, che comprendono fra l’altro il dovere di incoraggiare la cooperazione nel campo dell’educazione e nella promozione dello stato di diritto. Ma, come ha dimostrato un recente rapporto di IMPACT-SE (Istituto per il monitoraggio della pace e della tolleranza culturale nei sistemi educativi), i libri di testo adottati nelle scuole dell’Autorità Palestinese sono ancora impregnati di odio anti-ebraico ad ogni livello. Consentendo questa violazione dello statuto dell’Unesco, gli stati europei si sono fatti beffe delle regole dell’Onu e in questo modo hanno indebolito non solo l’Unesco, ma il sistema delle Nazioni Unite nel suo complesso.Anche la pretesa degli europei di sostenere la causa della pace fra Israele e palestinesi esce svuotata dal loro comportamento all’Unesco. Il processo di pace fra Israele e Olp/Autorità Palestinese si fonda sull’impegno da parte di quest’ultima che lo Stato palestinese nasca solo come conseguenza di un trattato di pace concordato con Israele. Appoggiando all’Unesco la violazione palestinese di questo impegno fondamentale, gli europei non hanno fatto altro che assottigliare le chance di arrivare a un accordo di pace negoziato che sfoci nell’indipendenza palestinese.Ciò che è emerso dal comportamento della maggior parte dei paesi europei all’Unesco è che, così come l’Unesco è pronta a svilire la sua stessa missione pur di danneggiare Israele, allo stesso modo gli europei sono disposti a compromettere gli asseriti obiettivi della loro politica estera, se farlo serve a recar danno Israele. […] (Da: Jerusalem Post, 4.11.11)
Israele, pallone e' sempre piu' arabo
Il calcio israeliano cambia volto ed e' sempre piu' arabo. Lo si avverte ovunque: nei campi di periferia, fra le squadre giovanili, nei club di serie A e ormai anche nella Nazionale bianco-azzura con la stella di Davide.
Le statistiche di quest'anno sono eloquenti.Gli attaccanti piu' in vista - Wissam Amasha e Ahmed Saba - sono arabi. Dei dieci attaccanti israeliani piu' prolifici, quattro sono arabi. Dei 192 goal realizzati finora in serie A, 39 sono stati frutto dell'estro di giocatori israeliani non ebrei.L'onore 'pallonaro' degli arabi d'Israele (il 20% di una popolazione totale di 7,5 milioni di abitanti) e' tenuto alto non piu' solo dalla loro squadra di bandiera, il Bnei Sakhnin (Galilea): anche i club piu' vista si contendono infatti le vedettes del settore arabo, considerate talora piu' prestanti, sovente piu' fantasiose, quasi sempre piu' determinate in campo.Fatta eccezione per il Beitar di Gerusalemme - legato storicamente alla destra nazionalista israeliana e con una tifoseria che in passato ha avuto ripetute espressioni di xenofobia - altre 14 squadre di serie A vantano arabi fra i loro titolari. Spiccano il Maccabi Haifa (sei giocatori), l'Hapoel Tel Aviv (5), il Kiryat Shmona (5) e il Maccabi Netanya (5), il cui capitano e' un arabo. Di stagione in stagione, inoltre, la presenza araba si fa sempre piu' folta in Nazionale.Nelle squadre giovanili la tendenza e' ancor piu marcata e c'e gia' chi prevede che in un futuro non lontano un giocatore professionista su due - nello Stato ebraico - sara' arabo.Il fenomeno - che ha acceso l'interesse della stampa sportiva e della televisione - ha profonde ragioni sociologiche, azzarda qualche studioso. I giovani arabi in Israele, specialmente quelli che vivono in aree periferiche, sono molto piu' abituati a praticare il 'calcio di strada' dei coetanei ebrei, che trascorrono piu' tempo davanti a computer o tv. D'altronde, provenendo da una minoranza non di rado marginale, essi vedono l'impegno sportivo come un meccanismo d'emancipazione dal disagio e una speranza di benessere per se' e le loro famiglie........9 nov, http://www.ansa.it/
Attentato nel deserto: ''Niente gas a Israele'"
video: http://video.repubblica.it/mondo/attentato-nel-deserto-niente-gas-a-israele/80400/78790
Nato allo scopo di diffondere la conoscenza della cultura ebraica e della sua produzione letteraria, il Premio letterario Adei-Wizo Adelina Della Pergola celebra quest'anno l'undicesima edizione. Appuntamento all'Accademia Navale di Livorno lunedì 13 novembre a partire dalle 17. Cinque i libri finalisti selezionati dalla giuria: per la categoria principale, oltre all'opera vincitrice “La simmetria dei desideri” di Eshkol Nevo, anche “Fratture” di Irit Amlel e “È andata così” di Meir Shalev. Per il premio narrativa ragazzi “Il quinto servitore” di Kenneth Wishnia, vincitore di categoria, e “La caccia di Salomon Klein” di Massimo Lomonaco. Una menzione speciale è andata a Claude Lanzman per il suo “La lepre in Patagonia”.“La Simmetria dei desideri è il titolo più bello tra tutte le edizioni del mio libro uscite nel mondo. ‘Desideri’ e ‘simmetria’ sono parole così evocative. Trasmettono perfettamente ciò che volevo raccontare”. È soddisfatto Eschkol Nevo del trattamento che il suo secondo romanzo, edito da Neri Pozza, ha ricevuto in Italia. E non solo per la scelta del titolo, che coglie la dimensione poetica del racconto come non può certo l’inglese World cup wishes. Il pubblico italiano ha dimostrato ancora una volta il suo apprezzamento per la letteratura israeliana. Il conferimento del Premio letterario Adei-Wizo Adelina Della Pergola è un’ulteriore soddisfazione per Nevo, oltre che un valido motivo per tornare in Italia, paese che ama particolarmente. “Ho una grande passione per la letteratura italiana, soprattutto per quella contemporanea. Elsa Morante, Natalia Ginzburg, Italo Calvino con il suo ‘Se una notte d’inverno un viaggiatore’: sono autori verso cui provo un legame speciale - racconta lo scrittore - Il fatto è che la letteratura italiana, a mio parere, presenta una forte affinità con quella israeliana. Una vicinanza e una somiglianza che invece non trovo in altre realtà letterarie, come per esempio leggendo i romanzi scandinavi”. Forse potrebbe essere questa la ragione per cui anche il pubblico italiano è tra i principali estimatori degli scrittori israeliani. Anche se, a parere di Nevo, è tempo che approdi nel Belpaese in modo definitivo anche la produzione della nuova generazione di autori dello Stato ebraico, dopo i mostri sacri di Amos Oz, David Grossman e Abraham Yehoshua (“che però rimangono maestri che ammiro profondamente” precisa). Figlio di due professori universitari e nipote di Levi Eshkol, primo ministro dello Stato d’Israele tra il 1963 e il 1969, Eshkol Nevo è nato a Gerusalemme nel 1971. Dopo un’infanzia trascorsa trasferendosi continuamente da una località all’altra d’Israele (oltre che per un anno negli Stati Uniti), ha studiato pubblicità alla Tirza Granot School e poi psicologia alla Tel Aviv University ed è attualmente docente di scrittura e pensiero creativo in vari atenei israeliani. Il suo primo romanzo, Nostalgia, pubblicato nel 2004, racconta l’Israele in tumulto dopo la morte del Primo Ministro Yitzhak Rabin nel 1995, attraverso le vicende di sei abitanti di un piccolo villaggio alle porte di Gerusalemme, Maoz Zion, in un indistricabile intreccio tra le loro storie e la Storia con la S maiuscola. Il libro ha raccolto l’apprezzamento sia della critica che del pubblico, rimanendo per 60 settimane nella Israeli best-seller list e vincendo diversi premi, al punto da essere addirittura inserito nel curriculum scolastico dei licei israeliani. Ma se in Nostalgia è forte l’influenza del conflitto, della politica, dei problemi che rappresentano una presenza eterna e incombente nella vita israeliana, ne La simmetria dei desideri l’approccio è completamente diverso. Il punto di partenza è molto semplice: quattro amici, legati sin dai tempi della scuola, si ritrovano a guardare insieme i Mondiali di calcio di Francia 1998 e decidono di mettere nero su bianco i propri desideri più profondi per i successivi quattro anni. Nel 2002 durante la Coppa del Mondo in Giappone e Corea del Sud arriverà il tempo di trarre i bilanci e verificare cosa nella loro vita si è realizzato. “Fino a questo punto, la storia è vera - sottolinea Nevo, spiegando la valenza della componente autobiografica ne La simmetria dei desideri - Questo momento rappresenta un episodio che si è verificato nella mia vita. Poi tutto diventa racconto, anche se questo non rende il libro meno reale. È un romanzo con cui ho un legame particolare perché racconta un sentimento intimo, quello dell’amicizia, che è il vero tema portante dell’opera”. La Coppa del mondo che compare nel titolo in inglese infatti non deve trarre in inganno: il calcio è solo un pretesto, il rintocco dell’orologio che scandisce il tempo della vita dei quattro protagonisti. Anche se Nevo non riesce a trattenere una battura di spirito: “L’interesse per i Mondiali di calcio in Israele è quasi un’ossessione, ogni quattro anni desideriamo ardentemente che la nostra nazionale si qualifichi per disputarli, e ogni volta rimaniamo delusi. Ma insomma, mica bisogna avere una squadra da tifare per appassionarsi di calcio!”). I quattro giovani sono Ofir, il pubblicitario che sorprende tutti con il suo desiderio di pubblicare un libro di racconti, Amichai, che lavora nelle televendite e desidera aprire una clinica per la terapia alternativa, il determinato Churchill, avvocato, che non aspetta altro che di mettere le mani su un caso davvero importante e infine Yuval, la voce narrante, che vuole sposare la donna dei suoi sogni e avere dei bambini. Hanno trent’anni in Israele e pensano alla vita che hanno e a quella che vogliono costruire. Senza però riuscire a superare la sensazione di precarietà che li circonda, di camminare su un velo che in ogni momento può essere lacerato dall’irrompere dei problemi della società. Nel dipanarsi del racconto una domanda rimane sullo sfondo: se l’amicizia, e in particolare quella profonda e stretta che caratterizza un gruppo di giovani uomini, è capace di farti crescere, o al contrario ti tiene fermo.Rossella Tercatin, Pagine Ebraiche, novembre 2011
Joann Sfar: “Così disegno le inquietudini dell’anima”



Come mai la cultura ebraica trova nella Bande dessinée (il fumetto francese) un’espressione particolarmente ricca e fortunata e dove, secondo lui ne possiamo trovare la ragione. Non saprei - dice Sfar - per ragioni religiose non ci sono stati grandi pittori ebrei prima dell’inizio del ventesimo secolo (o almeno ce ne sono stati pochissimi). Nei primi anni del secolo scorso si è sviluppata in Russia una corrente artistica alla quale appartiene anche Chagall. Questa, per ispirarsi, ha attinto sia al mondo onirico degli ebrei, che al quotidiano della loro vita rurale in quel paese. Questi disegnatori, grafomani e pittori hanno scelto di esprimersi attraverso disegni “umili”, disegni che raccontano, illustrazioni, attraverso la creazione di caratteri tipografici, attraverso i disegni umoristici e il fumetto. Penso che ci sia stato, all’inizio del ventesimo secolo, il tentativo di creare un’arte ebraica europea. Mi piacerebbe ripercorrere quella strada, ripartire da quel solco tracciato. Io mi sento molto vicino ad autori come Will Eisner o Jack Kirby. Ma si tratta solo di giudaismo? Io amo altrettanto Segar (l’autore di braccio di ferro n.d.r.) o i Peanuts. Quello che amo di loro è che utilizzano questa “arte povera” (lo dice in italiano) che è il fumetto per raccontare delle storie ambiziose. La sua dichiarazione d’appartenenza all’ebraismo è totale, cominciando dal suo nome pseudonimo (Sfar- Sofer), così evocativo, a un orecchio ebraico, di colui che perpetua la memoria con l’atto di scrivere. Il fumetto per lei è anche una forma di calligrafia? In ogni modo io scrivo per scrivere. Fidandomi delle parole, e non fidandomi troppo della seduzione pagana delle immagini. Quindi, i miei fumetti sono una contraddizione continua. È anche un dialogo costante con degli amici che non ho mai incontrato, come Hugo Pratt, come Milton Canniff. Ma effettivamente, credo che mi piacerebbe che il mio lavoro dialogasse con gli scritti di Phillip Roth o di Jonathan Safran Foer, o di Michael Chabon. Mi sento anche molto vicino a Haim Potok. Amo ogni tipo di ebreo, tanto quello religioso che il miscredente. Amo l’erranza ebraica, la amo soprattutto quando sembra totalmente assurda e disperata. Il suo disegno, che sintetizza molto bene la rapidità del tratto e una profonda conoscenza della storia dell’arte, soprattutto del ventesimo secolo, come è stato percepito dal pubblico, in genere molto conservatore, soprattutto nei primi tempi della sua carriera? Quando frequentavo l’Accademia di Belle arti, pensavo che i corsi di disegno fossero più importanti delle lezioni di storia dell’arte, oggi non ne sono più sicuro. Questa dimensione di dialogo, di gioco, è essenziale. Anche Pratt faceva in questo modo, spargere tra i suoi disegni parole d’amore per i pittori del passato, rinviando i lettori a una lunga catena di artisti. Non per insegnare! Piuttosto per aprire un cammino misterioso. Il fumetto è un’espressione e un linguaggio molto accessibile, ma se lo esploriamo con attenzione, possiamo trovarci dei codici, delle cose molto elevate. Esiste un esoterismo del disegno, delle linee che afferriamo solo quando conosciamo effettivamente il disegno e che possiamo trasmettere a nostra volta. È una confraternita, quella dei disegnatori. Io mi sento nello stesso monastero di Quentin Blake o di William Steig, e anche se non conosco personalmente Bonnard o Loutrec, intrattengo con loro un dialogo molto intimo. Insieme ad altri autori (David B., Marjanne Satrapi, solo per citare qualche esempio) avete compiuto una rivoluzione copernicana nel mondo dal fumetto, che sbocca ad una espressività originale, spogliata delle inibizioni, lontana mille anni dal “cinéma de papier”, ossia da quel fumetto che scimmiotta il cinema, ne segue i temi e gli stili. Come è cominciato tutto questo? Nessuno voleva pubblicarci, quindi ci siamo messi a lavorare tutti assieme e così è nata l’Association. Non penso comunque che siamo stati dei rivoluzionari, visto che ciascuno di noi ha vecchi maestri che rispetta molto. Ma noi abbiamo per il fumetto un ambizione letteraria. Il fumetto non è un romanzo meno bello, è un romanzo più complesso. Ma bisogna accettare di creare un disegno che non doni tutto, che faccia lavorare il lettore, che doni del mistero. E infine bisogna avere delle cose da raccontare. Tornando al mondo ebraico, nelle sue storie troviamo tanto l’identità sefardita quanto quello ashkenazita, raccontate in tutti i loro molteplici aspetti. Ma nella sua scrittura, la diaspora nordafricana e gli sthetl vivono a stretto contatto con mondi fantastici a volte gotici, a volte “fantasy”. Tolkien e Torah possono essere effettivamente così vicini? No. Tolkien è molto cristiano, ma anche molto sudafricano. Io voglio fare della “chassidic fantasy”! Mi viene in mente una frase di Chagall che diceva “Sapete, gli angeli, non sono di mia immaginazione, sono quello che mi è stato trasmesso e sono molto concreti, tanto reali quanto le case del villaggio”. L’immaginario, è un materiale tanto concreto quanto le pietre. È quello che abbiamo, quello sul quale lavoriamo. Il mestiere di scrittore è un gioco, è basato sulle associazioni d’idee. Scrivere e disegnare è accettare di andare costantemente avanti e indietro tra un mondo infantile e una lettura del mondo molto complessa.Giorgio Albertini, Pagine Ebraiche, novembre 2011
Creazione dello Stato d' Israele
un video con immagini d'epoca: http://www.youtube.com/watch?v=Kss5ndq4by0&feature=email(nella stessa pagina altri documenti su Israele)
Generazioni: 1881-1907
di Gabriele Rubini World Hub Press Euro 24
Il panorama della letteratura ebraica si arricchisce di un’ eccellente opera prima.Fra i libri che intrattengono e al contempo informano ed educano, peculiarità non comune nell’editoria italiana, si colloca il romanzo storico Generazioni: 1881-1907 con il quale Gabriele Rubini inaugura la nuova collana High Concept Novel della casa editrice World Hub Press.L’autore, studioso di storia ebraica e del Medio Oriente, ha vissuto un anno in un kibbutz in Israele prima di laurearsi in storia americana e ora affianca la sua attività di scrittore con quella di export manager.Alle finalità dell’ambizioso progetto di HCN Rubini aderisce con un libro straordinario che, pur rivolto ad un pubblico ampio, nasce “da accurate ricerche svolte sulla base di fonti attendibili e documentate”.Generazioni è un romanzo corale, di ampio respiro nel quale l’autore con uno stile brillante e incisivo racconta le vicende di cinque famiglie ebree declinandole in un’epoca storica tumultuosa e foriera di grandi mutamenti in cui meravigliosi personaggi di finzione interagiscono con figure realmente esistite.Da Zithomir in Ucraina dove il romanzo si apre nel marzo del 1881 con le violenze di un pogrom passando per la piccola cittadina di Berdichev, teatro degli avvenimenti che intrecciano le vite dei Zylberstein e dei Jacobi, fino a Shoshanat-Yericho, il villaggio in Eretz Israel “una trentina di pionieri e un pugno di baracche di legno arroccati in cima a un colle” nato dalla munificenza del benefattore Moses Montefiore, (il luogo dove Judah Zylberstein e Lyla Jacobi approdano lasciandosi tutto alle spalle per dedicarsi alla vita di pionieri), il lettore si appassiona alle vicende delle famiglie russe e non può fare a meno di partecipare alle gioie, ai dolori e alle tragedie che li vedono protagonisti.E’ una galleria di personaggi indimenticabile che Rubini ritrae con un accurato lavoro di scandaglio psicologico rivelando di ognuno i pregi, i difetti, le aspirazioni e i desideri più reconditi: pervasi da autentico spirito sionista sono consapevoli che per sfuggire all’antisemitismo e ai pogrom l’unica strada da perseguire è l’Alyah, la salita in Eretz Israel, ma solo pochi potranno realizzare quel sogno.Quando Marek Jacobi acquista la distilleria dei Zylberstein e si trasferisce a Berdichev, consentendo ai parenti del vecchio Zylberstein di continuare a lavorarvi, inizia un sodalizio non solo professionale che porterà i componenti delle due famiglie ad intrecciarsi indissolubilmente l’uno all’altro.Se l’unione di Samuel e Rachel Jacobi si rafforza con la nascita di Benyamin e Lyla, il matrimonio di Dora e Moshe Zylberstein, un giovane “bello, vivace, divertente” amato dalle donne, è benedetto dall’arrivo di Judah, sano e robusto e fin dalla nascita promesso sposo della dolce Lyla. A prezzo di enormi sacrifici economici e solo dopo aver strappato il consenso delle madri saranno proprio Lyla e Judah una volta diventati adulti a voler concretizzare l’ideale sionista, scegliendo di vivere nel paese dove scorre il latte e il miele.Ma il destino non è clemente e si abbatte con inusitata violenza sul villaggio di Shoshanat Yericho, un gruppo di baracche arroccate in cima a un colle sul lago di Kinneret, dove i giovani pionieri conducono per alcuni anni una vita di sacrifici coltivando i vigneti sul fianco della collina e dove nascono i loro figli Nathan e Hannah.Il lettore segue con trepidazione l’evolversi degli eventi che strappano a Lyla e Judah il loro sogno mentre nuovi personaggi intrecciano e arricchiscono la trama ad ogni pagina rivelando una prosa di rara efficacia.Sullo sfondo si delinea la Storia con l’uccisione dello zar Alessandro II, i pogrom, l’antisemitismo che trasforma ogni ebreo in un capro espiatorio, la guerra in Crimea del 1853 che allontana per molti mesi Benyamin dalla sua famiglia: il tutto ritratto dall’autore con un’accuratezza e un rigore storico che, senza appesantire la trama, arricchiscono di fatti nuovi la narrazione che si avvale di una scrittura brillante e scorrevole.Con Daniele Morpurgo, giornalista del Resto del Carlino, conosciamo la Bologna del 1887, percorriamo le strade che costeggiano Piazza San Domenico, facciamo due chiacchiere con gli amici di Daniele al Caffè S. Pietro indignandoci per il massacro degli italiani in Eritrea. Ancora una volta la Storia si insinua nel racconto con la triste vicenda di Edgardo Mortara, il bambino ebreo amico d’infanzia di Morpurgo, rapito dalle autorità ecclesiastiche e mai più restituito alla famiglia. Una storia dolorosa che è rimasta conficcata nell’animo del giovane e riemerge dopo anni dalle pagine di un articolo di Daniele che nel frattempo è diventato marito di Zita e padre affettuoso di Italo e Filippo.Un altro personaggio storico fa capolino dalla penna sapiente di Rubini facendo sognare i lettori che hanno amato le sue rime sui banchi di scuola: è Giosuè Carducci dal temperamento burbero e imprevedibile che affascina Morpurgo con la sua oratoria e diventa per il giovane aspirante professore un maestro e un modello cui ispirarsi.Lasciamo Daniele Morpurgo, ormai giornalista famoso della testata bolognese, alle prese con un articolo su Francesco Crispi, divenuto in quegli anni Primo Ministro per entrare nella Parigi del 1895.Fin dalle prime pagine l’autore inquadra con lucidità fotografica l’epoca nella quale si dipana la vicenda della famiglia Lanzmann.
Siamo nel 1895 al tempo dell’Affaire Dreyfus. Capitano, patriota alsaziano di religione ebraica, Alfred Dreyfus giunto ai vertici dello Stato Maggiore viene accusato ingiustamente di aver passato ai prussiani informazioni militari segrete e degradato in pubblico dinanzi a generali, giornalisti venuti da tutto il mondo e ad una folla che fuori dai cancelli non nasconde il sentimento antisemita serpeggiante nella società francese, al grido: “Morte al giudeo, fuori gli ebrei dall’esercito”.In questo contesto si inserisce la storia struggente del tenente Antoine Lanzman, alsaziano ed ebreo come Dreyfus. Benché si senta prima di tutto francese e poi ebreo per Antoine l’identità ebraica ha un significato profondo e un pomeriggio al circolo degli ufficiali non può fare a meno di udire una conversazione fra quattro ufficiali subalterni. L’indignazione è tale per quelle frasi antisemite che chiede soddisfazione sfidandoli a duello.A nulla servirà l’amore di Pauline, la sua compagna, né l’affetto del padre Bénoit: il destino di Antoine è segnato e l’epilogo straziante lascerà una cicatrice indelebile nell’animo di coloro che lo hanno amato, oltre alla consapevolezza che un’immane ingiustizia si sia compiuta.Se nella prima parte di Generazioni sono le vicende dei “Padri” a costituire l’ossatura centrale del romanzo, è nella seconda, dallo stile narrativo ancor più incalzante e avvincente, che si declinano le storie dei “Figli” con quegli imprevedibili intrecci che solo la vita sa creare, dando vita ad un meraviglioso affresco di culture, tradizioni e paesi diversi l’uno dall’altro.E’ una saga familiare indimenticabile, quasi un romanzo nel romanzo, quella che si apre con il giovane Mendel Jacobi, figlio di Benyamin e della seconda moglie Leah, sullo sfondo della guerra in Manciuria nell’agosto del 1904.Con magistrale arte narrativa, Rubini ricostruisce la situazione degli ebrei in Russia in quegli anni, delineando in maniera puntuale l’epoca dello zar Nicola, le agitazioni di piazza, gli scioperi, oltre alle contrapposizione fra bundisti e sionisti.E’ un universo multiforme, un caleidoscopio di personaggi variegati quello che si presenta agli occhi del lettore che rimane affascinato da un mondo dove albergano e si intrecciano le anime più diverse: dal sionista che vuole costruire il Paese realizzando il proprio sogno, al bundista che insegue l’utopia socialista passando dall’ebreo ortodosso che, fedele ai dogmi religiosi, combatte sia le idee sioniste che quelle bundiste.I personaggi di questa seconda parte, raccontati con consumato mestiere, ci conducono in un viaggio affascinante alla scoperta di paesi nuovi, ci irretiscono con le loro storie, ci commuovono con i loro amori e al contempo ci fanno sorridere con le disavventure in cui incappano.A volte anche le più grandi tragedie uniscono le famiglie. E’ il caso del processo per diserzione di Mendel Jacobi che gettando nella disperazione la famiglia offre il destro a persone di animo generoso come Bénoit, Nathan - il cugino pittore che vive a Parigi - il barone Gennadij Osipovic Opolanin e molte altre di porgere un aiuto prezioso che si rivela determinante per la buona riuscita del processo.Gli eventi che seguono si intrecciano senza tregua e il racconto si dispiega in una narrazione incalzante dove pagina dopo pagina apprendiamo del matrimonio di Mendel con Judith, entriamo nella prestigiosa dimora di Manhattan di Samuel Jacobi (figlio di Benyamin), che dopo anni di ristrettezze e duro lavoro nel quartiere di East Lower Side è diventato un “ricco americano”, ci commuoviamo dinanzi all’amore di Nathan per Gisela, la sfortunata cognata di Samuel ed infine anche il lettore sale con trepidazione su quella carrozza che porta i discendenti dei Jacobi e dei Zylberstein di nuovo a Berdichev per festeggiare due liete ricorrenze.Le pagine indimenticabili che raccontano del viaggio di Samuel in America e della sua ascesa sociale lasciano il posto alle atmosfere struggenti del ritorno in quella cittadina “di soli ventimila abitanti” che, chi per un motivo chi per l’altro, hanno abbandonato in gioventù.L’autore è straordinario nel descrivere le emozioni, nell’indagare con delicatezza i più intimi moti dell’animo, nel far rivivere ad ogni personaggio gli istanti di una vita che, lungi dall’essere dimenticata, trova ancora dimora nel loro cuore (“Il filo che aveva spezzato tanti anni prima era rimasto lì, a penzoloni, ad aspettare che qualcuno o qualcosa lo riannodasse”).Oltre ad una trama avvincente che non sveliamo oltre per non compromettere il piacere della lettura e ad un finale di forte impatto emotivo che dipinge con immagini suggestive la città di Gerusalemme, il romanzo di Gabriele Rubini si rivela prezioso per la capacità dell’autore di affrontare tematiche controverse che ancor oggi sono dibattute e le cui implicazioni influiscono inevitabilmente sulla vita delle persone. Il sottile veleno dell’antisemitismo che pervade molte fasce della nostra società, l’ideale sionista (“….noi sionisti investiamo su un’idea – ricostruire un paese per gli ebrei dopo duemila anni – e sugli uomini che dovranno realizzarla”), la questione della religione e della difesa del proprio popolo sono solo alcuni spunti di riflessione che questo romanzo imperdibile offre.Il tutto narrato attraverso le voci di personaggi eccezionali come il dottor Pollack, “un trentenne racchiuso nel corpo di un centenario”, che all’età di novantotto anni dirige ancora il sanatorio e l’ ospedale per bambini a Berdichev e per spiegare a Bénoit il senso della sua vita sceglie un divertente motto di spirito: “Che cos’è un sionista? Un sionista è un ebreo che, con i soldi di un altro ebreo, manda un terzo ebreo in Palestina”.Orchestrando un romanzo di complessa ideazione e struttura ricco di fatti e personaggi sia storici sia di fantasia, Gabriele Rubini ci regala un’opera che si impone per la qualità della scrittura e per la capacità di descrivere luoghi ed epoche passate in pagine perfettamente calibrate e in grado di intrecciare, con grazia sapiente, riflessione morale, analisi storica ed estro narrativo.Generazioni, primo capitolo di una lunga saga, è un romanzo che lascia una scia luminosa dietro di sé e trovando albergo nel cuore del lettore lo accompagna con un pizzico di nostalgia dal momento in cui si è terminata la lettura in poi. Giorgia Greco
mercoledì 9 novembre 2011
Pasta alla Criptonite
- 4 zucchine
- 1 scalogno
- acqua di cottura qb
- burro qb
- olio
- 2-3 acciughe
- ½ kg di penne rigate
- parmigiano qb
- noce moscata qb
- Affettare grosso due zucchine e fini le altre due.
- Sminuzzare lo scalogno e messo a tostare, in padella, senza olio.
- Tritare le zucchine affettate più grossolanamente con un pò di acqua della pasta e un pò di burro.
- Aggiungere l'olio allo scalogno e mettere in padella anche le acciughe lasciando andare un paio di minuti.
- Aggiungere in padella anche le zucchine affettate sottilmente.
- Lessare la pasta in abbondante acqua salata.
- Scolare la pasta e saltarla in padella nel sugo di zucchine.
- Mantecare con le zucchine frullate e il parmigiano aggiungendo un pò di acqua di cottura.
- Completare con una grattata di noce moscata.
- www.la7.it/imenudibenedetta/
Il tentativo palestinese di ottenere l’indipendenza in modo unilaterale (senza un accordo negoziato con Israele) contraddice la lettera e lo spirito degli accordi di Oslo del 1993 con Israele. Lo afferma il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu nel corso di una conversazione a porte chiuse, lunedì, nel suo ufficio. “Boicottando i negoziati e andando invece direttamente alle Nazioni Unite [senza un accordo con Israele] – spiega Netanyahu – i palestinesi hanno rinnegato il principio cardine su cui si regge il processo di Oslo”.La conversazione si è tenuta alla vigilia della relazione che una sottocommissione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu dovrebbe presentare a proposito della richiesta da parte dei palestinesi di essere riconosciuti come stato-membro a pieno titolo delle Nazioni Unite. Sebbene sia previsto il veto degli Stati Uniti, i palestinesi sono andati avanti con la loro domanda di adesione, inoltrando nel frattempo analoga domanda ad una serie di enti e agenzie internazionali affiliate all’Onu. La scorsa settimana l’Unesco (l’agenzia Onu per l'educazione, la scienza e la cultura) ha ammesso la “Palestina” come 195esimo stato-membro. Intanto, però, i palestinesi continuano a rifiutarsi di negoziare con Israele una soluzione definitiva del conflitto, imponendo una serie di precondizioni: accettazione delle linee del ’67 (cioè delle linee armistiziali del periodo 1949-‘67 lungo le quali si scatenò l’escalation aggressiva araba del ’67) e blocco totale di tutte le attività edilizie ebraiche in Cisgiordania e nei quartieri di Gerusalemme al di là della linea armistiziale del ‘49-’67. A queste precondizioni per il riavvio dei negoziati si è aggiunta di recente la richiesta che Israele scarceri altri detenuti palestinesi condannati per reati di terrorismo (fra cui due capi come Marwan Barghouti e Ahmad Saadat).Nella breve intervista con il Jerusalem Post, Netanyahu ricorda che Israele, nel quadro degli accordi di Oslo, si è ritirato da ampie parti della Cisgiordania. Israele, spiega, ha pagato un prezzo in termini territoriali assumendosi dei rischi giacché, in base agli accordi di Oslo, i palestinesi si erano impegnati a risolvere tutte le questioni e le controversie in sospeso attraverso negoziati diretti.La scorsa settimana Israele ha adottato delle misure (congelamento temporaneo del trasferimento di fondi all’Autorità Palestinese) come reazione alla scelta dell’Autorità Palestinese di perseguire l’indipendenza in modo unilaterale violando gli accordi firmati. “Se rinnegano gli accordi – ha dichiarato lunedì un rappresentante del governo israeliano – devono sapere che la strada che stanno imboccando comporta delle conseguenze. Solo così c’è qualche possibilità che decidano di riprendere a negoziare”.
(Da: Jerusalem Post, 8.11.11) http://www.israele.net/
Niente campionato di basket femminile in Israele | | |
Martedì 08 Novembre 2011 http://www.focusmo.it/ |
Il campionato di basket femminile israeliano è stato cancellato per l’ intera stagione dopo che le giocatrici hanno dichiarato uno sciopero per protestare contro la nuova regola di dare più opportunità alle giocatrici stranieri. La decisione lascia molte giocatrici WNBA senza lavoro. Questa è la prima volta della sospensione del campionato in 54 anni di storia. Israele ha uno dei campionati d'Europa professionisti, e la WNBA detto 13 dei suoi giocatori trascorso l'inverno in Israele la scorsa stagione. Molte cestiste arrivano dalla Lega USA: Jia Perkins dei San Antonio Argento Stelle, Tanisha Wright dei Seattle Storm, Karima Natale dei Tulsa Shock e Plenette Pierson dei New York Liberty. La nuova norma della Lega basket israeliana consente ai team di giocare con quattro straniere contemporaneamente, regola che ha fatto arrabbiare le giocatrici locali che vedono diminuire il tempo di gioco. Un cambiamento di regola che è stata attuata anche nel campionato maschile. "L’annullamento della stagione è necessario per chiarire chi decide le cose in questo campionato", ha dichiarato Dorit Keren-Tzvi, direttore generale del AS Ramat Hasharon. "Chi non conosce il basket femminile in Israele non sa che abbiamo bisogno di più giocatrici straniere. La maggior parte delle giocatrici israeliane non hanno il talento per giocare in una lega superiore, ma vogliono avere più tempo di gioco a disposizione, senza dover lottare per conquistarselo." I critici temono che se non giocano le cestiste israeliane difficilmente potranno crescere talenti per la nazionale. L'associazione delle giocatrici 'ha fatto appello alla Lega per ulteriori colloqui per salvare la stagione. Ma la Lega ha già fatto sapere che la loro decisione è definitiva. |
Cinema israeliano, oltre gli stereotipi
Carta, matite e un tapis roulant
Ghilad Shalit ha trascorso gran parte del tempo della sua prigionia disegnando e scrivendo i propri pensieri su foglio di carta sciolti. E’ quanto scrive oggi, 6 novembre, il quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth.Dopo un anno di prigionia Ghilad è stato fornito dai suoi carcerieri, di fogli di carta e matite che il giovane soldato ha utilizzato per disegnare per esempio la sua città natale, Mitze Hila; per scrivere i nomi degli abitanti della sua città; per esprimere giorno per giorno pensieri e impressioni.Al momento del rilascio Ghilad ha dovuto lasciare nelle mani di Hamas, sia i disegni, sia il diario.Oltre a carta e matite, nella cella sotterranea in cui era rinchiuso Ghilad aveva a sua disposizione anche un tapis roulant per evitare l’atrofizzazione degli arti.Ghilad è stato dimesso sabato 5 novembre dal Rambam Medical Center dove si è sottoposto ad un intervento chirurgico per la rimozione di alcune schegge da una mano. Ghilad si era provocato la ferita nel corso della battaglia precedente la cattura.