sabato 28 maggio 2011


Riconosciuti i diritti di eredità al partner di un gay sopravvissuto all'Olocausto
26 maggio 2011 http://www.queerblog.it/
La giustizia israeliana ha riconosciuto al partner di un uomo gay già deceduto tutti i diritti di eredità, compresi i benefici associati alla condizione di sopravvissuto all’Olocausto. È la prima volta che viene riconosciuto quest’ultimo diritto a una coppia dello stesso sesso. La sentenza costituisce un importante precedente per casi simili che potrebbero verificarsi in futuro.René Lev Ran aveva chiesto di essere il beneficiario delle compensazioni di restituzione di Wolf Bleichman – una serie di indennizzi a favore dei sopravvissuti dell’Olocausto per cercare di compensare in qualche modo alle sofferenze che hanno dovuto patire – in quanto erede universale: Lev Ran e Bleichman, infatti, hanno vissuto insieme come coppia per nove anni.Sebbene la Holocaust Survivors Rights Authority (il dipartimento che amministra il pagamento di tali indennizzi) non si fosse opposta in linea di principio a che René Lev Ran fosse il beneficiario, come di fatto avviene per le coppie regolarmente sposate, si è deciso di ricorrere alla giustizia per fugare ogni dubbio.Secondo Ira Hadar, avvocata israeliana esperta in temi lgbt che ha rappresentato Lev Ran, la decisione è un passo avanti vero il pieno riconoscimento dei diritti delle coppie dello stesso sesso in Israele. Dal canto suo Ofra Ross, direttrice della Holocaust Survivors Rights Authority, si è detta lieta per la sentenza e si è impegnata ad aggiornare i protocolli dell’ente che dirige in base a quanto stabilito dal tribunale.


Anche questo è sionismo...

VIDEO:Israel's deaf-blind theater troupe touches audiences

http://elderofziyon.blogspot.com/2011/05/israels-deaf-blind-theater-troupe.html


da Barbara

venerdì 27 maggio 2011







Israele: Mekorot inaugura nuovo impianto desalinizzazione
Mercoledì 25 Maggio 2011 http://www.focusmo.it/
La compagnia pubblica delle acque israeliana Mekorot ha inaugurato un nuovo impianto di desalinizzazione. Il ministro delle Infrastrutture, Uzi Landau, ha espresso soddisfazione per la struttura costruita nel sud del Paese, destinata a produrre 7.4 milioni di metri cubi di acqua potabile all’anno. L’impianto fa parte di un progetto che prevede in tutto due stabilimenti di desalinizzazione, destinati a trattare le acque saline della falda freatica nei pressi della città costiera di Ashkelon. Il piano è stato finanziato con un investimento di mezzo miliardo di NIS, pari a circa 101 milioni di euro. La costruzione del secondo impianto terminerà nel corso del 2012.








Assoluti di Piombino Vista su Shanghai e Eilat

Dal 5 all'11 giugno i tricolori dei 5, 10 e 25 chilometri di nuoto in acque libere che qualificano ai Mondiali in Cina e agli Europei di specialità in Israele. I criteri di selezione e le parole del CT Giuliani .................24 maggio 2011, http://www.federnuoto.it/fondo.asp?p=articolo&id=23090





Scozia, una cittadina bandisce dalle biblioteche pubbliche i libri stampati in Israele
La decisione rientra in un insieme di iniziative a sostegno della causa palestinese. Indignazione tra gli scrittori israeliani. - Si levano voci di indignazione tra gli scrittori israeliani, per la decisione di un consiglio provinciale in Scozia, il West Dunbartonshire (100 mila abitanti), di bandire dalle biblioteche pubbliche i libri stampati in Israele. L'iniziativa si inserisce in un contesto più generale di sostegno alla popolazione palestinese. La notizia è stata resa nota già nei giorni scorsi dalla stampa britannica, fino ad arrivare oggi sulle pagine del quotidiano israeliano Yediot Ahronot, scatenando così la polemica. Un portavoce del West Dunbartonshire ha spiegato al giornale che non verranno boicottati "libri israeliani stampati in Gran Bretagna, ma solo quelli stampati in Israele", aggiungendo che la decisione non ha valore retroattivo. Ha dovuto inoltre ammettere che solo lo Stato ebraico è stato colpito dal provvedimento, mancando qualunque limitazione per i testi stampati in Iran, Libia o Siria. Il giornale israeliano racconta poi di un'altra città scozzese, Dundee, dove le autorità si sono mobilitate per "sollecitare" la popolazione a non acquistare prodotti israeliani, evitando però di proclamare un boicottaggio formale. Lo scrittore israeliano Amos Oz parla di decisione "vergognosa". Gli fa eco il romanziere Allon Hilu, per il quale sono proprio gli scrittori a rappresentare "il lato più equilibrato" della società. "Dove oggi si boicottano libri - ha commentato l'ambasciatore israeliano a Londra, Ron Prossor - in futuro potremmo assistere anche al loro rogo", con un rimando evidente ai falò di libri ebraici ordinato dal gerarca nazista Joseph Goebbels nel 1933.
24 maggio http://notizie.virgilio.it/notizie/



opera di Denis Zilber

Yedioth Ahronoth: Finita la luna di miele Italia-Israele?
"Sbagliato puntare tutto su Berlusconi, ora in caduta libera"
La "luna di miele piena di sorrisi ed abbracci" fra Italia e Israele "sta per terminare": è la previsione avanzata dal popolare quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth, in un editoriale dedicato alla "caduta libera di Berlusconi" e le sue ripercussioni sulla politica estera italiana. "La disaffezione che sta attualmente crescendo nell'elettorato italiano nei confronti di Berlusconi potrebbe costare caro a Israele, da sempre riconosciuto come sostenitore entusiasta di un leader controverso" si legge nel commento firmato dal corrispondente dello Yedioth in Italia, Menachem Gantz. "L'Italia potrebbe cominciare a parlare senza fronzoli" prosegue l'articolo, in cui si osserva che nel recente ricevimento dell'Ambasciata d'Israele a Roma per la Festa dell'Indipendenza dello stato ebraico "non c'era neanche un singolo rappresentante dell'opposizione italiana". Lo Yedioth cita il leader del Pd Pier Luigi Bersani, secondo cui l'atteggiamento di Berlusconi nei confronti di Israele deriva da interessi personali e commerciali. "Ci vuole una leadership stabile, credibile e seria - secondo Bersani - che applichi il principio dei due Stati due popoli". Sempre stando all'editoriale, l'annuncio da parte del presidente Giorgio Napolitano di elevare lo status della Rappresentanza palestinese a Roma al rango di ambasciata, avrebbe colto Israele di sorpresa: "Nonostante altre capitali europee abbiano agito in modo simile in passato, nessuna fonte diplomatica a Roma, malgrado i rapporti considerati calorosi e amichevoli tra i due stati, ha dato agli israeliani un segnale di preavviso". "Lo zigzag di Berlusconi è doppio - denuncia Yedioth Ahronoth - colui che ha aggiunto Hamas alla lista delle organizzazioni terroristiche in Europa, sta ora regalando a un governo a cui partecipa Hamas un'Ambasciata per dare slancio alla propria attività". "Durante gli anni di Berlusconi al potere - secondo il quotidiano israeliano - Israele ha scelto di mettere tutte le sue uova nel paniere" del premier di centrodestra "senza pensare al domani". Ecco perché, sempre in quest'ottica, ora potrebbe pagarne il prezzo. 24 maggio
http://notizie.virgilio.it/



Golan

Voci a confronto
Sono sostanzialmente tre gli argomenti che tengono banco sulla stampa nazionale e internazionale: il futuro della pace in Medioriente dopo il discorso di Obama che ribadiva un ritorno ai confini del ’67, le rivolte popolari nei paesi arabi e i dubbi degli otto Grandi sulle modalità di intervento e sulle conseguenze politico diplomatiche, e infine un’ampia riflessione sulla questione della Memoria e della Giustizia, attualizzata dalla cattura (finalmente!) del criminale di guerra serbo-bosniaco Ratko Mladić. In realtà, se lo vogliamo vedere con gli occhi dello storico, le tre questioni si reggono l’una con l’altra e hanno molto a che fare con l’etica dei comportamenti individuali e del potere in presenza di conflitti, scontri e stragi di civili. Ma naturalmente conoscono anche percorsi interni che emergono con forza dalla lettura della stampa. Sul futuro del conflitto israeliano-palestinese e sulla sua connessione con la cosiddetta “primavera araba” è interessante il dossier proposto dall’Espresso, che analizza anche la pluralità di reazioni che si registrano in Israele, una realtà che sempre più si va caratterizzando come laboratorio di democrazia. Una democrazia che prevede anche delle contrapposizioni aspre come viene registrato sul Manifesto e sull’Haaretz dove si dà conto di una lettera inviata da alcuni altissimi esponenti della cultura e della politica israeliana ai principali leader europei affinché guardino positivamente alla dichiarazione d’indipendenza di uno stato palestinese. D’altra parte cresce il supporto dell’opinione pubblica in Israele per l’attuale primo ministro Netanyahu che di fronte al Congresso americano ha chiaramente messo in evidenza i due nodi su cui non è disposto a transigere nella trattativa di pace, vale a dire il riconoscimento di Israele come stato ebraico e l’impossibilità di accogliere un eventuale ritorno di rifugiati palestinesi, come mette in evidenza il Jerusalem Post. La cattura di Mladić ha colto evidentemente di sorpresa la stampa che ospita solo poche analisi al di là delle note di cronaca. Colpiscono in particolare le riflessioni che propongono un parallelo fra la strage di Srebrenica e le stragi naziste. Lo fa il regista bosniaco Tanovic intervistato dal Corriere , mentre Andrea Lucchetta sul Riformista mette in evidenza come la cattura di Mladić riapra vecchie ferite nella società bosniaca inasprendo il confronto sulla percezione delle Memorie. Ed è singolare la coincidenza che proprio oggi la stampa presenti numerosi articoli proprio dedicati alla riflessione sulla Memoria delle persecuzioni naziste: se ne possono leggere importanti esempi a proposito della strage di Fucecchio del 1944 (La Stampa) , e il piccolo dossier su Giustizia e Memoria (La Stampa). Sollevazioni popolari, stragi etniche, strategie del potere e della giustizia internazionale: in percorso che impone una riflessione generale e che si rispecchia nella lettura della stampa quotidiana. Gadi Luzzatto Voghera 27 maggio 2011 http://moked.it/



Fmi: Fischer (Banca di Israele) non smentisce candidatura
Posto vacante per la sostituzione di Dominique Strauss-Kahn, capo del Fondo monetario internazionale. Fra i candidati spicca il nome di Stanley Fischer, capo della banca centrale di Israele, che in un'intervista a Les Echos alla domanda sulla sua possibile candidatura alla direzione del Fmi ha risposto: "Ho un lavoro eccitante come capo della banca centrale di Israele. Ma la gestione del Fondo monetario internazionale è una posizione appassionante". Fischer è stato direttore generale aggiunto del Fmi tra il 1994 e il 2001, ricorda Les Echos. Le candidature per questa posizione sono state aperte lunedì, e per ora solo il ministro dell'Economia francese Christine Lagarde e il Governatore della banca centrale del Messico, Agustin Carstens, hanno annunciato la candidatura, mentre il governatore della banca centrale del Kazakhstan, Grigory Marchenko è stato proposto dalla Comunità degli Stati Indipendenti (ex Unione Sovietica meno gli Stati baltici e Georgia). Le candidature devono pervenire al Fmi entro il 10 giugno.http://www.moked.it/








ISRAEL'S SECURITY SITUATION





da Vichi



Strage di Fucecchio, ergastolo a 3 nazisti
Nell'eccidio del '44 morirono 184 civili Il Tribunale ha anche disposto un maxi risarcimento ai familiari delle vittime costituitisi parte civile di oltre 13 milioni
ROMA - Ergastolo. Questa la pena inflitta stasera dal Tribunale militare di Roma a tre ex militari tedeschi, oggi novantenni e contumaci, tutti accusati della strage del Padule di Fucecchio, in Toscana, che nell’agosto ’44 portò alla morte di 184 civili, in gran parte anziani, donne e bambini: uno degli eccidi più gravi compiuti dai nazisti in Italia durante la seconda guerra mondiale. Il Tribunale ha anche disposto un maxi risarcimento ai familiari delle vittime costituitisi parte civile di oltre 13 milioni, solo di provvisionale, a carico degli imputati e del responsabile civile individuato nella repubblica federale di Germania. Gli imputati sono l’ex capitano Ernst Pistor, di 91 anni, l’ex maresciallo Fritz Jauss, di 94 e l’ex sergente Johan Robert Riss, di 88, all’epoca tutti appartenenti a diversi reparti della 26/a divisione corazzata dell’esercito tedesco. Un quarto imputato, l’ex tenente Gherard Deissmann, è morto a cento anni, nelle more del processo. Secondo l’accusa i quattro avrebbero «contribuito a causare la morte» di 184 persone «che non prendevano parte ad operazioni belliche»: 94 uomini (soprattutto anziani), 63 donne e 27 bambini, tra cui anche alcuni neonati. Come ha sottolineato il pubblico ministero nella sua arringa, richiamando quanto detto nel corso del processo dallo storico Paolo Pezzino, non fu una semplice rappresaglia, ma «un’operazione di desertificazione totale». Tra le 5 del mattino e le 2 del pomeriggio del 23 agosto 1944, 11 giorni dopo la strage di Sant’Anna di Stazzema, soldati della 26/a divisione corazzata dell’esercito tedesco, in particolare gli esploratori del 26/o Reparto agli ordini del capitano Josef Strauch, batterono uno per uno i casolari della zona, a cavallo tra le province di Firenze e Pistoia, sembra alla ricerca di partigiani, trovandovi però solo famiglie di contadini e numerosi sfollati in fuga dai bombardamenti. I nazisti uccisero senza pietà tutte le persone che trovarono, in una carneficina che non risparmiò nessuno. I quattro imputati, in concorso con altri ex militari delle forze armate tedesche non identificati o già morti, sono accusati di aver compiuto l’eccidio, con le aggravanti, tra l’altro, dei motivi abietti, della premeditazione e di aver compiuto il fatto con sevizie e crudeltà. A comandare la squadra che si sarebbe macchiata di gran parte dei crimini, in particolare, sarebbe stato il maresciallo Jauss. Nel processo si sono costituite parti civili la Presidenza del Consiglio dei ministri, la Regione Toscana, la Provincia di Pistoia, numerosi comuni della zona e diversi familiari delle vittime. «Dopo 67 anni abbiamo ottenuto giustizia. I parenti delle vittime la chiedono dall’agosto del 1944». Rinaldo Vanni, sindaco di Monsummano Terme, ha assistito con la fascia tricolore alla lettura della sentenza che stasera ha condannato all’ergastolo tre ex nazisti accusati della strage del Padule di Fucecchio, in cui morirono 184 civili innocenti di vari comuni della zona. Si è costituito parte civile, insieme ad altre otto amministrazioni comunali, alla Presidenza del Consiglio, alla Regione Toscana e alla Provincia di Pistoia ed ora esprime «soddisfazione». Il procuratore della Repubblica di Roma, Marco De Paolis, che ha sostenuto l’accusa nel processo a carico di tre ex nazisti condannati stasera all’ergastolo per la strage del Padule di Fucecchio, è «soddisfatto» perchè «un lavoro così lungo e faticoso, cominciato sei anni fa alla Spezia (dove era procuratore capo, fino a quando l’ufficio è stato soppresso - ndr) e reso difficile da una serie di ostacoli, ha trovato oggi il conforto del tribunale». Insensata crudeltà. «Era auspicabile, questa sentenza rende finalmente giustizia a tutti i morti di quell’eccidio. Fu un’operazione di estrema crudeltà, in cui furono uccisi soprattutto donne, anziani e bambini. Non c’erano partigiani nè oppositori e comunque nessuno che potesse danneggiare l’esercito tedesco in ritirata». È il commento a caldo del sindaco di Fucecchio Claudio Toni. Mercoledì 25 Maggio 2011 - http://www.ilgazzettino.it/









Visite gratuite all'Ospedale Israelitico
Per la prima volta l'Ospedale israelitico di Roma aprirà i battenti offrendo visite gratuite. Nell'ambito della alla giornata di prevenzione delle patologie dell'anca e del ginocchio infatti, domenica 29 maggio dalle 9 alle 12.45 del mattino nell'ambulatorio dell'Isola Tiberina reparto di Ortopedia e Traumatologia, diretto dalla professoressa Elvira Di Cave, si eseguiranno visite gratuite alla mano, all'anca e al ginocchio.http://www.moked.it/






Nuovi materiali per Gaza
Da quando Forza Nuova ha aderito alla Flottiglia della Pace, il significato della parola "pace" si è sensibilmente allargato. Ora comprende molteplici idee, esperienze, fatti della storia umana. Pace è finalmente un'immensa nozione elastica. Ma può bastare? Si vorrebbe portare la nuova nozione elastica a compimento: pace senza l'avversario, pace senza ebrei, pace senza cristiani, e infine l'ultima idea: "Senza Israele, pace". Adesso si tratta di raggiungere il punto di massima estensione elastica della parola "pace", concettualizzato nella nuovissima espressione che sostituisce la vecchia "Flottiglia di pace", con la nuova dizione "Flottiglia di Caucciù". Si attende da un momento all'altro, l'adesione del mostro di Lochness. Il Tizio della Sera, http://www.moked.it/



viti nel deserto del Neghev

Quando si parla di Israele, esiste una certa categoria di persone che sempre fa riferimento al "governo di Tel Aviv". Chiaramente, il governo di Israele si trova a Gerusalemme, che è anche la sede del Presidente della Repubblica, della Knésset (il Parlamento), e della Corte Suprema – ossia di tutti gli organi essenziali nell'ordinamento di uno stato democratico definito dalla separazione dei poteri. Nello scrivere "governo di Tel Aviv", questi portatori d'acqua nel pubblico dibattito pensano evidentemente di incidere nell'alta politica, ossia di evidenziare il loro dissenso dall'amministrazione israeliana, ovvero di esternare la loro presa di distanza dall'esistenza di uno Stato ebraico. Ora è avvenuta una cosa straordinaria. Un altro gruppo di persone, di quelle che generalmente scrivono "governo di Gerusalemme", ha proposto di trasferire da Roma a Milano un certo numero di ministeri, creando cosí di fatto una specie di "governo di Milano" in contrapposizione al "governo di Roma". La reazione di quelli che scrivono "governo di Tel Aviv" contro quelli che vogliono il "governo di Milano" è stata, prevedibilmente, molto negativa. Se il tutto non fosse cosí esilarante, sarebbe davvero triste. Sergio Della Pergola, Università Ebraica
di Gerusalemme http://www.moked.it/



Intervista a Shimon Peres
A pochi giorni dalla visita in Italia, dove parteciperà alle celebrazioni per il 2 Giugno, il Presidente dello Stato di Israele, Shimon Peres, mi ha rilasciato una lunga intervista trasmessa dal Tg1 delle 20.00 e, in forma integrale, da Rai News 24. Per chi volesse leggerla, ecco la trascrizione integrale in italiano. Claudio Pagliara. Abbiamo assistito alla calorosa accoglienza tributata dal Congresso americano al premier Netanyahu. Come presidente dello Stato di Israele, che significato gli attribuisce? Shimon Peres. Chiaramente, l’espressione di amicizia ad Israele è molto significativa per tutti noi. Abbiamo una lunga tradizione di profonde relazioni con gli Stati Uniti. d’America: il Presidente, l’Amministrazione, il Congresso, la gente. Per noi è molto importante. Siamo molto lieti che il Congresso abbia riaffermato il suo sostegno ad Israele. I palestinesi hanno reagito negativamente al discorso di Netanyahu. Lei crede che il premier avrebbe dovuto esprimere un chiaro sì ad un compromesso territoriale basato sui confini del ’67 , come suggerito da Obama? Dobbiamo distinguere tra discorsi e processo di pace. Prima di tutto, penso che si possa arrivare ad una vera pace solo in un modo: attraverso un accordo. Una parte in causa non può imporre la pace all’altra. Può imporre altre cose, ma non la pace. E la pace è un processo Non avviene con uno o due discorsi. Il processo inizia con delle questioni aperte. Sono aperte perché c’è un disaccordo e bisogna trovare un terreno comune. Poi bisogna condurre il negoziato per cercare di superare le differenze. E’ vero che in questo momento siamo alle pre – condizioni. Dobbiamo creare l’atmosfera giusta affinché le parti partecipino al negoziato, ognuno con le sue posizioni. Il negoziato deve essere diretto, tra israeliani e palestinesi, animati dalla consapevolezza delle differenze e dalla volontà di superarle. La sensazione in Europa è che il processo di pace sia infinito… L’unità d’Italia ha richiesto 80 anni , perché siete così impazienti? E’ molto difficile unificare i popoli in questo piccolo fazzoletto di terra, ma stiamo facendo passi avanti, non restiamo fermi ai blocchi di partenza.. Innanzitutto, siamo d’accordo che la base del negoziato sono i confini del ‘67 e non quelli del ‘47 . Vengono chiamati con nomi diversi. Ovviamente, nessuno suggerisce che Israele torni ai confini del ‘67 perché le realtà sono cambiate; le dimensioni del ‘67, ecco ciò di cui si parla. E ora i palestinesi hanno un’Autorità nazionale. Non dimentichiamo che non c’è mai stato storicamente uno Stato palestinese. La Cisgiordania era nelle mani dei giordani, che non l’hanno data ai palestinesi; la Striscia di Gaza era nella mani degli egiziani, che non l’hanno data ai palestinesi. Noi abbiamo lasciato Gaza completamente e abbiamo favorito la nascita di una Autorità palestinese. In Cisgiordania, i palestinesi stanno sviluppando con successo la loro economia, stanno costruendo le loro forze di sicurezza, anche col nostro aiuto. Io vorrei che le cose andassero anche meglio, ma è difficile: i palestinesi sono divisi e la guerra ha creato tutta una serie di problemi. Ma sono convinto che le differenze si sono accorciate e che, con uno sforzo genuino, si possa arrivare alla pace. L’Autorità Palestinese però ha scelto un’altra strada, il riconoscimento dello Stato palestinese da parte dell’Onu. Molti Paesi europei sono propensi a dire di sì. Perché lei crede che l’Europa farebbe meglio a non votare a favore? Per creare una nazione, non basta dichiararlo. Ci vogliono atti, non parole. Affinché uno stato palestinese nasca, deve essere chiaro che non porrà una minaccia ad Israele. Nessuno vuole uno stato palestinese in guerra con lo stato d’Israele. Non avrebbe alcun senso. Così, bisogna pensare allo stesso tempo allo Stato palestinese e alla sicurezza di Israele. Ho chiesto al Segretario generale dell’Onu: “Vuole dichiarare la nascita dello Stato palestinese? OK! Può fermare il terrore? Può fermare il contrabbando di munizioni e razzi? Può fermare il trasferimento da parte dell’Iran di armi e denaro? Se la risposta è no, che significato ha la dichiarazione dello Stato? Ci sono due questioni connesse: una è l’indipendenza dello stato palestinese, l’altra la sicurezza di Israele. Se si fa una sola cosa delle due, niente accadrà. La strada è prima il negoziato diretto e poi l’approvazione delle Nazioni Unite Israele non vuole trattare con un Governo di unità palestinese che includa Hamas. Ma Rabin usava dire: la pace si fa con i nemici…. E’ vero, ma solo se i nemici vogliono la pace. Finché i leader di Hamas agiscono da terroristi, accumulano missili, e li usano, non c’è alcuna possibilità. E in ogni caso, questa è anche la posizione del quartetto. Loro, non noi, hanno posto tre condizioni ad Hamas: rinuncia al terrore, riconoscimento di Israele, rispetto degli accordi firmati. Sono riconoscente al Presidente del Consiglio italiano per aver portato questa posizione in sede europea. E al vostro Presidente della Repubblica che la condivida. Se c’è terrore e pace allo stesso tempo, la pace è destinata a cadere vittima del terrore Se i palestinesi vogliono unirsi, ok. Siamo per un fronte unito, non siamo per la divisione, ma ciò che veramente li divide è l’avere due eserciti. Abu Mazen, il presidente dell’Autorità Palestinese, che io rispetto molto, ha detto: un popolo, un fucile. Non abbiamo obiezioni su questo. Ma se poi dice: un popolo, due fucili , uno spara l’altro parla, si contraddice..
Cosa pensa della primavera araba? Porterà più o meno stabilità in Medio Oriente?
Senza la primavera araba non ci sarà mai stabilità. Gli arabi devono entrare nel XXI secolo. Hanno ancora una economia tradizionale, nazionale e agricola, che li costringe alla povertà. I problemi del Medio Oriente sono la povertà, la mancanza di acqua. Non c’è soluzione senza tecnologie avanzate. Guardi Israele: non ha acqua e non ha molta terra eppure ha una delle agricolture più avanzate del mondo. Possono fare lo stesso, non ci sono differenze. Certo, la vecchia generazione è ancorata alle tradizioni, ma si sta facendo largo una nuova generazione che incarna la speranza di libertà. Questi giovani usano i computer, hanno accesso a Facebook, YouTube, internet, possono vedere sui loro schermi quando orribile sia la dittatura, quanto terribile sia la corruzione, quanta povertà ci sia a causa dell’ economia tradizionale. Paragonano la loro situazione a quella di altre giovani generazioni. E si chiedono: perché lì è così e qui no? Non sono più disposti a chiudere gli occhi. Ed è molto difficile mantenere le dittature quando la gente apre gli occhi. Non sono sicuro che vinceranno al primo round: hanno idee, ma l’establishment ha i fucili Basta vedere ciò che accade in Siria. Il governo spara e loro manifestano. Manifestano con forza, hanno tutto il mio rispetto. Per il bene del popolo arabo, per il bene della pace, per il bene di tutti noi, gli arabi entrino nell’era della libertà, dell’economia moderna! E’ una grande speranza. Anche mia personale. Auguro loro successo. Il Paese dove iniziò la primavera, prima che si chiamasse così, fu L’Iran. Ora in Iran non ci sono manifestazioni. Netanyahu ha detto, tre giorni fa, che il tempo sta scadendo, riferendosi al programma nucleare. Cosa si può fare per fermarlo? Innanzitutto, il problema Iran non è monopolio di Israele. L’Iran è riconosciuto come un pericolo da tutti i leader del nostro tempo, da Obama a Putin, dall’Italia alla Francia. Tutti sostengono che non si può vivere in un mondo dove armi nucleari siano nella mani di una leadership irresponsabile. Dobbiamo dunque guardare all’Iran come un problema del mondo, che non ricade sulle sole nostre spalle. Ciò che andrebbe fatto è rafforzare le sanzioni. Secondo me, è anche necessaria una campagna morale: stiamo combattendo per i nostri valori, non è una questione di soldi. Ahmedinajad viola i valori nei quali crediamo: impicca innocenti, incita all’odio. E’ terribile che non ci sia una rivolta morale. Gli iraniani avevano manifestato contro il regime, ma non sono stati aiutati, sono ancora indignati e alla fine penso che anche il regime iraniano dovrà fare i conti con le aspirazioni delle giovani generazioni. Non è un regime stabile. L’Iran sostiene gli Hezbollah in Libano e sostiene Hamas qui. Gli Hezbollah stanno uccidendo il Libano. E Hamas ha diviso il popolo palestinese. Non c’è una sola cosa positiva che venga dai leader iraniani. Vogliono distruggere Israele, negano l’Olocausto, impiccano persone oneste, danno denaro e armi ad ogni terrorista e come se non bastasse vogliono la bomba nucleare. Dobbiamo prendere ogni misura per impedirlo, non dico Israele ma tutto il mondo. A ancor prima, dobbiamo dotarci di una strategia di difesa,. Ad esempio, un sistema antimissilistico che ci protegga dall’Iran da ogni lato, in modo che non sia in grado di lanciare missili. Sono convinto che è possibile. Lei crede che scienza e tecnologia possono cambiare il volto del Medio Oriente. Che contributo può dare Israele in questo campo? Israele il suo contributo lo dà con la sua stessa esistenza. Abbiamo una piccola porzione di terra, con poca acqua, senza petrolio e fino a poco fa senza gas, eppure la nostra economia va estremamente bene. Cosa abbiamo? Un popolo, tecnologia e una società libera. Una società libera non è solo una società dove c’è libertà di parola. È una società dove ci sono diritti uguali per tutti. Le faccio un esempio. Se le donne sono discriminate, abbiamo una nazione dimezzata. E una nazione dimezzata non progredisce. Se le donne sono discriminate, non hanno possibilità di avere una adeguata educazione. E se non sono istruite non possono istruire i loro figli. Gli uomini la fanno da padroni in famiglia Obama mi ha chiesto chi sono i più grandi oppositori della democrazia in Medio Oriente? Gli ho risposto: i mariti . Non basta introdurre nuovi macchinari, bisogna cambiare stile di vita. Le donne devono avere accesso all’educazione, alla scienza, alla tecnologia, a tutto. Così aiuteranno i loro figli ad essere ambasciatori del futuro invece che vittime del passato Sono certo che il mondo arabo farà questo passo. Nulla lo salverà dalla povertà, senza il pieno accesso di tutti alla scienza e alla tecnologia. 50 anni fa la Cina era povera come l’Egitto di oggi. Non è il denaro che ha salvato la Cina, è il cambio di sistema . Si possono sostituire presidenti e ministri: nulla cambierà: Bisogna cambiare il sistema per sfuggire dalla povertà Presidente, lei sarà ospite d’onore alla cerimonia del 2 giugno a Roma. Qual è lo stato delle relazioni tra Italia e Israele? Si può davvero dire che tra Israele e Italia non c’è solo una relazione diplomatica, c’è quasi una storia d’amore. Prima di tutto, gli israeliani amano moltissimo gli italiani, il Paese, la gentilezza, la bellezza, la musica, la cultura. Non è scritto nei libri diplomatici ma è nei nostri cuori. Anche nei momenti più difficili, l’Italia è sempre stata speciale. Oggi le nostre relazioni sono estremamente buone, sia con Roma che col Vaticano. Per noi, l’Unità d’Italia, è un esempio. Mazzini e Garibaldi li studiamo sui nostri libri di storia: Mazzini con la sua mente raffinata, Garibaldi con il suo cavallo veloce. L’unità d’Italia è un evento mondiale. Sono veramente felice di partecipare a queste celebrazioni. Lei ha appena incontrato qui in Israele il Presidente Napolitano, una visita che ha acceso la luce sui rapporti tra Risorgimento e sionismo. Che impressione ne ha avuto? La forza del presidente Napolitano risiede nei suoi valori, nel fatto che è animato da onestà intellettuale e sentimento per la gente. E’ un esempio che si può governare con la buona volontà e non con la forza. Per questo è rispettato in ogni posto, non solo in Italia, ma anche qui. E quando ci siamo incontrati, dopo 5 minuti eravamo già amici. Siamo animati dalla stessa filosofia e vediamo le cose allo stesso modo. Ho il più alto rispetto per lui. Gli siamo molto grati di essere venuto qui per ritirare il premio Dan David, il cui conferimento è anch’esso una espressione di rispetto. di Claudio Pagliara 26 maggio – Tg1 e Rai News 24






Servizio video di Telepace redazione di Gerusalemme sulla inaugurazione del bosco d'oltre 10.000 alberi dedicato a Giorgio Perlasca nella foresta di Ahilud in Israele: http://www.youtube.com/watch?v=_qtpcY9-vP0




giovedì 26 maggio 2011



Netanyahu, al Congresso una vittoria di Pirro?
Gerusalemme. “Il Congresso sionista” ironizza Yedioth Ahronoth, il più letto quotidiano israeliano. Durante il suo discorso al Congresso degli Stati Uniti, Benjamin “Bibi” Netanyahu è stato applaudito 45 volte e la platea gli ha reso onore scattando in piedi 31 volte, registrano i cronisti. Se le stesse parole le avesse pronunciate alla Knesset, sarebbe stato interrotto sì, ma dai fischi dei deputati arabi, alcuni dei quali parlano come i leader di Hamas, dalle rimostranze dei rappresentanti dei coloni, furiosi per l’ammissione del premier che “alcuni insediamenti resteranno al di là dei confini di Israele”, dai mugugni dei partiti religiosi, per quella disponibilità “a soluzioni creative” su Gerusalemme, anche se offerta nel contesto della ferma determinazione a non dividere mai la città santa. Il contrasto tra le assise parlamentari dei due Paesi è balenato nella mente del premier israeliano, che rivolto ai deputati statunitensi ha detto loro: “Pensate, guys, di essere duri, gli uni verso gli altri, qui al Congresso? Venite per un giorno alla Knesset. Siete miei ospiti”. L’accoglienza è stata calorosa e bipartisan ma non unanime. Il potente Presidente del Comitato per le Relazioni Estere, John Kerry, uno dei più vicini collaboratori del Presidente Obama, non solo non si è affatto spellato le mani, ma quando il premier ha rivendicato come vitale per Israele la permanenza dell’esercito lungo la valle del Giordano, è rimasto ostentatamente seduto mentre la gran parte dei suoi colleghi tributava all’oratore l’ennesima standing ovation. Netanyahu ha ribadito il suo sì ad uno Stato palestinese demilitarizzato, si è detto pronto ad una offerta territoriale “generosa”, ha citato le parole di Obama a metà, per affermare che i confini tra Israele e il futuro Stato palestinese “non saranno quelli del 5 giugno 1967”, tacendo sul fatto che per il Presidente Usa quei confini dovrebbero essere la base per il negoziato. Ha infine lanciato il guanto di sfida al Presidente Mahmoud Abbas, chiedendogli di riconoscere lo Stato ebraico di Israele e di strappare l’accordo con Hamas. Scontato il no dell’Autorità palestinese e quello, che arriverà nelle prossime ore, della Lega Araba. Il processo di pace non solo è defunto; è chiaro a tutti che non risorgerà dalle ceneri tanto presto. Il premier israeliano non ha voluto varcare alcun Rubicone, convinto com’è che lo status quo, per quanto non sia il migliore dei mondi possibili, è nelle attuali circostanze più difendibile delle linee del ’67, cui ha fatto riferimento esplicito Obama. Qui risiede la divergenza di fondo tra Gerusalemme e Washington. Obama è andato nella “tana del lupo”, l’Aipac, per dire che “lo status quo non è più sostenibile”, alla luce dei cambiamenti in atto in Medio Oriente. Ha snocciolato una lista di rischi che Israele ha di fronte se non risolve il suo conflitto con i palestinesi. Ha aggiunto di essere consapevole che una parte degli 11mila delegati della lobby americana filo israeliana non la pensa allo stesso modo, implicitamente annoverando nella lista lo stesso Netanyahu. Davanti al Congresso, Netanyahu ha dimostrato di essere uno dei leader più abili nell’oratoria. Ma rientra in patria, lasciando dietro di sé un Obama adirato e i cocci di un processo di pace che nessuno sembra più disposto a tentare di mettere insieme. Vero è che il Presidente Usa si è impegnato a contrastare il tentativo dei palestinesi di isolare Israele alle Nazioni Unite, ma ha avuto da Netanyahu ben poche carte da spendere con gli alleati europei, che incontra in queste giorni. A settembre, quando Mahmoud Abbas porterà all’Assemblea delle Nazioni Unite, sapendo di disporre di una maggioranza automatica, la richiesta di riconoscimento dello Stato palestinese entro i confini del ’67, la differenza per Israele la farà il voto di alcuni Stati europei chiave, primi fra tutti Gran Bretagna, Francia e Germania. Le prossime settimane diranno se le aprture di Netanyahu saranno state sufficienti a conquistare questi Paesi. E dopo settembre, arriverà ottobre. Crescerà l’isolamento di Israele? Riprenderanno a piovere copiosi i razzi di Hamas? La Facebook generation marcerà verso i check point? Col Medio Oriente che corre verso l’ignoto, Israele per ora ha scelto di giocare sulla difensiva, dando la sensazione di aver rinunciato a influenzare il corso degli eventi. Per Netanyahu gli applausi di ieri sono una indiscutibile vittoria, che rischia però di avere ben presto il sapore di quella di Pirro. di Claudio Pagliara 25 Maggio 2011 http://www.loccidentale.it/



guerra 1967

UNA SOTTILE LINEA DI DEMARCAZIONE
1938. Una sottile linea di demarcazione, un invisibile confine, divide il mondo ebraico dal resto dell’universo. Un universo capace di rimanere silente di fronte al massacro di sei milioni di vite. Un universo che ha deciso di schierarsi al fianco dello sterminatore. Un universo desideroso di ascoltare, obbedire, offrire intere città, concedere immensi territori, al Male in persona. All’ideatore delle camere a gas. Al pianificatore del minuzioso progetto di sterminio del popolo ebraico. Il confine è ancora lì. E si chiama identità ebraica. 1967. Una sottile linea di demarcazione, un invisibile confine, divide il mondo ebraico dal resto dell’universo. Un universo capace di rimanere silente di fronte alle minacce quotidiane di leader arabi secondo i quali “il pericolo di Israele consiste nella mera esistenza di Israele, in ciò che è e ciò che rappresenta" [1]. Un universo che ha deciso di schierarsi al fianco di regnanti che vogliono vedere “Israele allagata di sangue ebraico”. Un universo in cui anche gli alleati storici, di nome Stati Uniti, a pochi giorni da una prima dichiarazione “in questa guerra Israele non sarà solo”, allo scoppio della Guerra dei Sei Giorni, cambiano strategia e annunciano “la nostra posizione sarà neutrale nel pensiero, nelle parole e nell’azione”. Alleati capaci di dichiarare l’embargo di armi nella regione proprio quando i nemici di Israele vengono foraggiati dalla Russia. Il confine è ancora lì. E si chiama ime in ani lì, mi li. Se non sono io per me, chi sarà per me. 2011. Una sottile linea di demarcazione, un invisibile confine, divide il mondo ebraico dal resto dell’universo. Un universo capace di cambiare etichetta e denominazione a terroristi macchiati di sangue ebraico elevandoli al rango di interlocutori politici. Un universo desideroso di ingraziarsi, inginocchiarsi, annullare la propria identità civile concedendola al terrorismo in persona. Il confine è ancora lì. E nessuno è disposto a metterlo in discussione. Perché costruito col sangue di soldati desiderosi di dare una terra sicura ai propri fratelli. Perché basato sulla Halachà, la legge ebraica, che impone di salvaguardare la vita degli abitanti. Perché prescritto dalla Torà, che lo esige di “ferro e rame” affinché nessun nemico possa aprirsi un varco nella terra d’Israele. Il confine è ancora lì. E nessun alleato presunto, nessuna autorità contingente, nessun amico sedicente, potrà mai deciderne il destino.
Gheula Canarutto Nemni , 25 maggio http://ilblogdibarbara.ilcannocchiale.it/





Scuola in Egitto (molto doloroso riuscire a vederlo tutto......)

Video:http://elderofziyon.blogspot.com/2011/05/video-of-egyptian-teacher-beating.html


da Barbara

mercoledì 25 maggio 2011


Tel Aviv

Voci a confronto
Si è chiusa ieri una “sei giorni” durante la quale, a Washington, si è parlato quasi soltanto di Medio Oriente. Si è iniziato con il discorso di Obama fatto subito prima dell’incontro con Netanyahu (fatto questo a dir poco anomalo nella prassi delle relazioni internazionali tra nazioni amiche), si è continuato con il franco incontro tra i due e con i loro successivi, distinti discorsi di fronte all’AIPAC, e si è concluso col discorso del primo ministro di fronte al Congresso USA. Di questo si sussurrava da molti giorni, e alcuni addirittura avevano cercato di anticiparlo con articoli dimostratisi fantasiosi. Oggi, finalmente, i media di tutto il mondo ne possono riferire. Chi, tuttavia, ne desidera conoscere esattamente il contenuto, dovrà selezionare le testate, giacché ben poche ne riferiscono in modo corretto e completo. Sicuramente consiglio la lettura dell’editoriale del Foglio, di Fiamma Nirenstein sul Giornale, e del Riformista. Non complete sono le parole di Libero che contengono anche un grave errore: Netanyahu, infatti, non ha mai detto di voler “cedere dei pezzi di territorio israeliano in cambio soprattutto della piena sovranità su Gerusalemme”, e queste parole non dovrebbero essere scritte su giornali che si proclamano vicine alle posizioni di Israele. Fabio Scuto, su Repubblica, riporta quasi tutti gli argomenti presentati da Netanyahu, ma non si trattiene dal chiamare “coloni” gli abitanti di Gerusalemme est. Non completo è Francesco Semprini che, su La Stampa, si affretta a presentare anche le reazioni negative dei palestinesi. Anna Guaito sul Messaggero ha ascoltato le parole pronunciate di fronte al Congresso con la testa dei palestinesi, e preferisce cancellare le spiegazioni offerte da Netanyahu per lasciare spazio alle immediate repliche dei dirigenti dell’Anp. Non dissimile il Corriere che pubblica, con la firma di Guido Olimpio, un articolo che, già nel sottotitolo, si premura di far conoscere la risposta di Hamas; Olimpio poi non è completo nel riferire le parole pronunciate di fronte al Congresso, e, a proposito delle terre di Giudea e Samaria, cancella le parole di Netanyahu per scrivere “territori arabi conquistati nel conflitto del 1967”. Non obiettivo neppure Il Fatto Quotidiano che scrive solo parole di critica, non di informazione; Netanyahu avrebbe detto no a tutto, e questo è quanto resterà nella mente del lettore del giovane quotidiano. Anche Avvenire riferisce chiudendo, con grande risalto, con le reazioni dei palestinesi: classico modo, anche questo, per influenzare il lettore, in contrasto coi doveri di una corretta informazione. Ugo Tramballi scrive sul Sole 24 Ore che chiedere il riconoscimento del diritto all’esistenza di uno stato ebraico significa spostare ancora più in alto l’asta della pace, aggiungendo che Obama avrebbe fatto “ritornare le posizioni della diplomazia americana” alle vecchie frontiere. Critica anche la posizione de L’Unità, che osserva che Netanyahu non avrebbe chiarito a quali rinunce sarebbe pronto: è difficile da comprendere per questa testata che, se ci si deve confrontare in una trattativa, non bisogna anticipare le condizioni di apertura e di chiusura. Sull’insieme degli avvenimenti di questi sei giorni riferisce anche il Secolo d’Italia a che riporta (cosa legittima) le posizioni dell’Anp, sotto un titolo che, tuttavia falsamente, dice: “L’ANP apre anche a confini diversi da quelli del ‘67”; le posizioni di tutti i leader palestinesi, ancora negli ultimi giorni, sono state chiarissime, e non ci si deve lasciare abbindolare da qualche parola di circostanza detta eventualmente ieri, destinata a non lasciare il segno. Anche Frédéric Encel analizza i recenti avvenimenti sul Figaro, per concludere tristemente che non c’è “nulla di nuovo” che possa farci sperare. Interessante, come sempre, Giulio Meotti che intervista per il Foglio Schueftan, già consulente di Rabin e di Sharon, voce che nel passato ha saputo anticipare, in Israele, quanto si sarebbe poi verificato. Ancora sul Foglio un editoriale si chiede che cosa sia successo veramente ieri in Iran dove una grave esplosione ha anticipato di poco l’inaugurazione di una raffineria fatta da Ahmadinejad: è stato uno scoppio accidentale o un fatto inevitabile causato dalle difficoltà iraniane di fronte alle sanzioni occidentali? O non sarà magari stato un nuovo attentato contro il presidente iraniano, fallito di poco? Certamente è questo un episodio da seguire attentamente nei prossimi giorni. Infine raccomando ai miei lettori una attenta lettura dell’Herald Tribune dove si legge un pericoloso articolo firmato da Stanley Fish sotto il titolo: Cosa succede con gli ebrei? Partendo dall’episodio del regista Von Trier e da quello meno recente di Mel Gibson, Fish allarga il discorso agli altri avvenimenti che hanno coinvolto Strauss Kahn e Madoff, che nulla hanno in comune se non il fatto di avere come interpreti persone di religione ebraica. Ebrei vittime o colpevoli? Diavolo o popolo eletto? si chiede, per rispondere: tutto ciò, per concludere che non sarebbero davvero avvenuti per caso i gravi crimini del secolo scorso. Antisemitismo allo stato puro, secondo il sottoscritto, se non si arriva a comprendere che i signori Madoff (già dichiarato colpevole), e Strauss Kahn (al momento colpevole solo per i media, ma non per la legge), sono gli unici responsabili dei loro atti, come tutte le persone di questo mondo, e che non possono quindi essere catalogati con la loro appartenenza al “popolo eletto”. Emanuel Segre Amar 25 maggio 2011http://moked.it/



Progetto Meridione - Il Gargano e l'ebraismo
Con lo shabbaton tenutosi nei giorni scorsi a Torre Mileto nei pressi di San Nicandro Garganico si è ufficialmente aperto il Progetto Meridione. Questo progetto è organizzato dal dipartimento Educazione e Cultura dell’UCEI in partnership con Shavei Israel e con la collaborazione della Comunità Ebraica di Napoli. Descrivere in un articolo le emozioni che abbiamo provato durante questo shabbaton non è semplice. L’evento si è tenuto presso il villaggio vacanze Cala Del Principe in un paesaggio di mare decisamente suggestivo. All’evento hanno partecipato circa sessanta persone provenienti principalmente da Roma ma anche da Napoli, Brindisi, Bari, Palmi, Reggio Calabria e Bologna. All’evento, è stata invitata come ospite Daniela Abravanel, che ha tenuto una lezione su Rabbi Shim’on Bar Jochai e Cabalà. Fra i presenti anche il Rav Shalom Bahbout, rabbino capo di Napoli, che ha tenuto una lezione sui racconti talmudici inerenti Rabbi Shim’on Bar Jochai. Ma ciò che ha reso veramente straordinari questi giorni è stato l’incontro con la Comunità di San Nicandro, che ha partecipato all’intero shabbaton. Come molti sanno, dopo la Aliyà di circa settanta persone nel 1949, da quattro donne rimaste a San Nicandro, si è riformato un nuovo gruppo, che ora conta una trentina di persone e che ha già dato luogo alla prima conversione, quella di Grazia Gualano. Può sembrare incredibile ma oggi a San Nicandro vivono una decina di famiglie che si incontrano ogni shabbat nel loro Bet Hakkeneset, piccolo sì ma ottimamente tenuto e ben fornito. A proposito, un aneddoto. Giovedì in piena fase preparativa scopriamo che la spedizione che avrebbe dovuto dotarci di piatti kasher, plate, siddurim, libri di Torah non sarebbe arrivato in tempo. Per i piatti poco male, ma il resto rischiava di metterci in grossa difficoltà. Avremmo mangiato freddo, e pregato senza siddurim. Lo sconforto stava per prenderci ma non avevamo tenuto conto del fatto che a San Nicandro c’erano (almeno) cinque famiglie che usano la Plata di shabbat! Quanto ai libri poi… la mia station wagon è tornata al villaggio carica di tutto quanto ci ha permesso di portare a termine uno splendido shabbat. Il nostro mashghiach Ettore Segrè era letteralmente incredulo. La domenica il gruppo si è trasferito a San Nicandro dove, oltre alla visita del tempio e delle altre strutture della Comunità, abbiamo potuto gustare orecchiette, parmigiana di matzot, e altre prelibatezze locali. Il tutto si è concluso con una Bircat hamazon cantata e quasi strillata: un modo per esternare la grande gioia che ha pervaso tutti i partecipanti. Tutti sono rimasti affascinati e colpiti dalla forza di questa Comunità che pur distando 400 chilometri dai principali centri ebraici è riuscita a risorgere e a vivere un ebraismo intenso, fatto di rispetto delle mitzvoth, ma anche di tradizioni che solo in questo posto si possono trovare. Per ragioni di brevità non posso andare oltre, chiunque voglia saperne di più deve solo chiedere a chi è stato con noi. Ma i racconti non riescono a riprodurre le sensazioni che abbiamo provato lì. L’unico modo è andare a San Nicandro. Gadi Piperno, coordinatore Progetto Meridione, http://www.moked.it/



Haifa

Mi associo a quanto ha scritto Sergio Della Pergola sulla recente visita del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Dopo 44 anni dalla fine della Guerra dei Sei Giorni, Giorgio Napolitano non è l'unico amico di Israele a sostenere l'urgente necessità della creazione di uno Stato palestinese accanto allo Stato d'Israele. Aggiungo che gli attuali "nemici" d'Israele non comprendono solo quelli che, in vari angoli della Terra, non accettano l'esistenza del nostro Stato. Il gruppo di questi nemici comprende anche molti ebrei italiani, in Italia e anche in Israele, incapaci di liberarsi da superate ideologie colonialistiche che contrastano - fra l'altro - con gli interessi del nostro stesso Stato. Alla luce di quanto accade attualmente nei Paesi arabi (confinanti e non con Israele), oltre a Netanyahu e a Lieberman anche non pochi israeliani ed ebrei della Diaspora, fra cui molti italiani, dovrebbero finalmente accendere una lampadina rossa per cominciare a riflettere seriamente.Sandro Natan Di Castro, Haifa http://www.moked.it/



Abu Mazen: lavoriamo a governo Anp formato da tecnici
Ha incontrato ad Amman re Abdallah
Amman, 23 mag. (TMNews) - Il presidente dell'Autorità nazionale palestinese Abu Mazen ha affermato ad Amman che il prossimo governo palestinese sarà formato da tecnici indipendenti. "Lavoriamo per formare un governo di tecnici", ha dichiarato alla stampa Abu Mazen al termine di un colloquio con re Abdallah II. "Non sarà un governo formato in parti uguali da membri di Hamas (movimento islamista) e di al Fatah (di Abu Mazen). Il governo sarà il mio governo che seguirà la mia strategia e la mia politica, un governo formato da indipendenti dove nessun membro sarà affiliato a un movimento palestinese", ha aggiunto Abu Mazen, secondo dichiarazioni riportate dall'agenzia di stampa ufficiale Petra. Il re ha da parte sua ribadito che la riconciliazione tra Fatah e Hamas rappresenta "una tappa positiva sulla strada dell'unificazione del popolo palestinese", secondo la Petra. Abu Mazen ha difeso ieri Hamas ad Amman, sottolineando che "conduce un'opposizione su basi democratiche". Il presidente americano Barack Obama ha invitato da parte sua Hamas a "riconoscere il diritto di Israele a esistere" e a "respingere la violenza", durante un discorso pronunciato al congresso annuale della principale lobby filo-Israele negli Stati Uniti, l'Aipac, a Washington.







L'Iran difende Von Trier
'L'espulsione da Cannes lascera' macchia in storia festival'
(ANSA) - TEHERAN, 24 MAG - L'Iran difende il regista danese Lars Von Trier, espulso da Cannes per le sue dichiarazioni sugli ebrei, Israele e Hitler, affermando che questa decisione lascera' ''una macchia nella storia del Festival''. In una lettera inviata al presidente del festival Gilles Jacob, il vice ministro della Cultura iraniano, Javad Shamaqdari, ha detto che ''costringere Von Trier a chiedere scusa'' e dichiararlo 'persona non grata' ricorda ''il trattamento di Galileo da parte della Chiesa medievale''.




TEL AVIV, CARRELLO GUASTO: VOLO TORNA INDIETRO
23 Maggio 2011 - http://www.leggo.it/
TEL AVIV - Paura, ma nessun danno per 270 passeggeri a bordo di un volo in Israele. Un aereo, un Boeing 777 della El Al diretto a New York, ha dovuto effettuare un atterraggio d'emergenza pochi minuti dopo il decollo, a causa di un guasto rilevato al carrello. Dopo aver svuotato il serbatoio in mare, l'aereo è riatterrato in aeroporto, senza alcuna conseguenza per i passeggeri.



Gerusalemme

Edipi, il X Raduno sarà a Gerusalemme
23/5/2011 http://www.evangelici.net/
PADOVA - Un gruppo di Edipi (l'associazione evangelici d'Italia per Israele) tra un mese partirà per il viaggio culturale "Nel cuore di Israele con Israele nel cuore" (21-28 giugno), intanto è stato definito il programma del decimo Raduno degli associati che, in concomitanza con il viaggio, quest'anno si terrà a Gerusalemme nello shabbat del 24 e 25 giugno. Il titolo dato al raduno «è - afferma Ivan Basana, presidente dell'associazione - quanto mai suggestivo: "57 A.D. l'apostolo Paolo scrive una lettera ai Romani... giugno 2011, l'Italia risponde"». Nei due giorni di riunione al kibbutz messianico di Yad Hashmonà si alterneranno quali relatori: Avi Mizrachi, David Lazarus, Michael Yaron, Tony Sperandeo, Angel Gerber, Tom Hess, Corrado Maggia e Ivan Basana. Sono previste diverse testimonianze di vita cristiana tra cui quelle di Emma Benjamin e Rachel Netanel. La parte musicale è stata affidata alla compositrice e cantante Ellah Gorelik. Lei stessa si esibirà oltre ai complessi Adonai Roi di Tel Aviv e Beit Emanuel di Jaffa. Ci si attende una «partecipazione da parte italiana di quasi cento persone e una calorosa ospitalità messianica» spiega Ivan Basana, aggiungendo che «il raduno vedrà un prologo il venerdì mattina nell'incontro con l'ex-vice sindaco di Gerusalemme David Cassutto che ci parlerà sul tema "Gerusalemme unica e unita capitale d'Israele". Questo incontro si svolgerà nel tempio italiano di Gerusalemme a Rehov Hillel, l'antica sinagoga di Conegliano Veneto portata in Israele e ricostruita come tempio attivo per la comunità italiana di Gerusalemme». [arg]




Silicon Valley





Marvell Technology investe in Israele
Lunedì 23 Maggio 2011 http://www.focusmo.it/
Marvell Technology investirà circa 200 milioni di dollari in Israele il prossimo anno. Lo hanno annunciato Sehat Sutardja, amministratore delegato di Marvell e sua moglie Weili Dai, socia di capitale e vicepresidente della compagnia. I due hanno reso nota la notizia durante la visita al presidente Shimon Peres a Gerusalemme. Marvell, azienda designer dei chip della Silicon Valley , investirà 200 milioni di dollari in ricerca e sviluppo nel settore della comunicazione critica, la telefonia e la tecnologia avanzata.



Golan

Ue: «Le nuove sanzioni colpiscono anche il presidente siriano Assad»
Fonti diplomatiche: le nuove misure indirizzate a colpire anche «un altro piccolo gruppo di esponenti del regime»
BRUXELLES - Le nuove sanzioni europee contro la Siria colpiscono anche il presidente siriano Bachar al Assad. Lo riferiscono fonti diplomatiche, in margine al consiglio esteri della Ue. NOVE COLPITI - Oltre al presidente siriano, le nuove misure sono indirizzate a colpire anche «un altro piccolo gruppo di esponenti del regime», ha riferito la fonte. In tutto, dovrebbero essere nove le persone ad essere aggiunte nella lista delle 13 personalità già sanzionate. Anche per i nuovi nomi aggiunti, le misure restrittive riguardano il bando del visto di ingresso nella Ue e il congelamento dei beni posseduti su territorio europeo. GLI INCIDENTI - Intanto in un'intervista al quotidiano Israel ha-Yom di Tel Aviv, un oppositore del regime siriano - lo sceicco sufi Abdullah al-Tamimi - sostiene che dietro gli incidenti avvenuti il 15 maggio sulle alture occupate del Golan ci sono lo stesso presidente Bashar Assad, nonchè gli Hezbollah libanesi e le Guardie rivoluzionarie iraniane. Ogni dimostrante palestinese, ha aggiunto, ha ricevuto 100 dollari di compenso per partecipare alla manifestazione. Gli incidenti, i primi nel Golan da decenni, sono avvenuti in concomitanza con la Giornata della 'Naqbà, il 'disastrò agli occhi dei palestinesi della costituzione dello Stato di Israele. Dopo che centinaia di persone avevano abbattuto i reticolati di frontiera, l'esercito israeliano ha aperto il fuoco uccidendo complessivamente tre persone, secondo quanto ha appreso l'Ansa da fonti ben informate. Gli infiltrati, quasi tutti di origine palestinese, sono stati poi costretti a tornare in Siria. Israel ha-Yom aggiunge che lo sceicco al-Tamimi - che dice di trovarsi in territorio siriano, non lontano dal confine con la frontiera libanese - ha inoltrato al premier israeliano Benyamin Netanyahu una lettera di ringraziamento per il comportamento controllato mantenuto dalle forze israeliane durante l'incidente. Un atteggiamento ben diverso, nota, da quello delle forze armate siriane che - secondo le stime in suo possesso - hanno ucciso finora «oltre 5.000» connazionali in rivolta, «e non 850» come sostengono diversi mezzi di comunicazione. L'insolita telefonata fra lo sceicco al-Tamimi e il giornale israeliano è avvenuta con l'aiuto del viceministro per lo sviluppo regionale Ayub Kara (Likud), un druso israeliano che da mesi mantiene contatti con la opposizione siriana. (fonte: Ansa) 23 maggio 2011http://www.corriere.it/



FFS: no ai manifesti contro IsraeleZurigo, veto annullato dal TAF - Ultima parola al TF
23 mag 2011 http://www.cdt.ch/
BERNA - Le FFS ritengono di non aver violato il diritto alla libertà d'espressione vietando l'affissione nella stazione centrale di Zurigo di un manifesto filopalestinese, critico verso Israele. Per questo motivo hanno deciso di appellarsi al Tribunale federale (TF) contro la decisione dell'istanza precedente. A fine marzo, il Tribunale amministrativo federale (TAF) aveva infatti annullato il veto delle FFS e aveva ingiunto all'ex regia federale di autorizzare l'affissione del manifesto, opera dell'Aktion Palästina Solidarität, un gruppo svizzerotedesco di militanti filopalestinesi. Secondo il tribunale, le ferrovie non hanno rispettato la libertà di espressione garantita dalla Costituzione federale. L'ex regia considera però che questa decisione comporta «una forte limitazione della responsabilità come azienda che deve avere la facoltà di vietare la pubblicità di cattivo gusto, moralmente riprovevole o con messaggi scabrosi su temi di politica estera». Per questo motivo, e anche per avere la «necessaria certezza del diritto in vista di eventuali casi futuri», le ferrovie hanno deciso di rivolgersi al TF, scrivono le stesse FFS in una nota. Il manifesto era stato affisso a fine marzo 2009 all'interno della stazione dall'impresa specializzata SGA. Tre giorni più tardi le FFS ne avevano deciso la rimozione, dopo essere state rese attente al suo contenuto politico: il manifesto, critico verso la politica di colonizzazione perseguita da Israele, rimproverava allo Stato ebraico di essersi «costruito con la violenza sul suolo palestinese» e si appellava alla «resistenza» per rispondere a questa «ingiustizia».
























Israele: ecco X-Hawk, la prima auto che vola
Si chiama "X-Hawk", è stata progettata e costruita in Israele: avrà la manovrabilità di un elicottero senza l'ingombro delle eliche. In commercio, assicurano i costruttori, dal 2012 di Daniela Accadia (24 maggio 2011)http://tv.repubblica.it/



Gerusalemme - suoni e luci

Voci a confronto
Non vi sono notizie particolarmente significative oggi sulla nostra rassegna, solo un paio di commenti da sottolineare. In positivo, è interessante e acuta l’analisi dell’ex ambasciatore americano all’Onu Richard Bolton su Liberal, la cui tesi è che Obama ha sbagliato a pensare che la chiave della pece in Medio Oriente sia il conflitto israelo-palestinese, e che essa vada cercata invece nell’Iran: che cioè riuscendo a smontare l’aggressività della teocrazia degli ayatollah sarà molto più facile risolvere anche i conflitti locali. Interessanti anche le due analisi ospitate dal Wall Street Journal, quella di Wexler e Krieger che cerca di dare una lettura diversa, più filoisraeliana, del discorso di Obama sulla politica estera e quella di Levinson che ricorda come comunque Israele abbia bisogno dell’America per il voto di settembre all’Onu sul riconoscimento dello stato palestinese, preteso da Abu Mazen al posto delle trattative. In negativo bisogna segnalare un pezzo di Maurizio Clerici sul Fatto davvero incredibile per la massa di inesattezze e di malignità accumulate intorno alla costruzione di una linea ferroviaria ad alta velocità fra Tel Aviv e Gerusalemme. E anche un intervento decisamente confuso pubblicato da Tobia Zevi e Luigi Manconi sul Corriere in cui si dà ragione di una inchiesta demoscopica organizzata dalle loro associazioni tutto in termini di opinioni personali, senza dare un solo numero – il che è un’evidente manipolazione, perché non si distinguono i fatti dalle opinioni degli analisti e il pubblico non è messo in condizione di capire la significatività dell’inchiesta né di tentare interpretazioni alternative. Di più, è confusa la tesi degli autori per cui antisemitismo (anche nella forma di antisionismo) e islamofobia sarebbero fenomeni paralleli nella nostra società – una tesi la cui infondatezza è evidente se solo si pensa alle posizioni delle forze politiche: la Lega contro l’immigrazione islamica ma non certo contro Israele, la sinistra più o meno estrema contro Israele ma per i palestinesi, gli immigrati e le moschee, eccetera. Ci sono alcuni brani di questo articolo non solo insensati ma veramente pericolosi, come quello iniziale che intorno all’11 settembre mette insieme le calunnie islamiste e la giusta preoccupazione collettiva per il terrorismo islamico: “La provvisoria vittoria dell’America di Obama su Al Qaeda, celebrata nell’immenso cantiere di Ground Zero, non può cancellare i molti detriti di quella tragedia tuttora presenti nelle società occidentali. Anche sotto la forma antica dell’ansia da complotto e del sospetto verso i possibili autori. A partire dalla fobia antisemita: gli ebrei si sarebbero tenuti lontani dalle Torri Gemelle in quel fatidico undici settembre, perché informati dell’attacco, se non coinvolti in esso. Da quel giorno, poi, l’islamofobia si è nutrita della minaccia del terrorismo, della confusione tra straniero e musulmano, della presunta inadattabilità (meglio: inconciliabilità) dell’Islam rispetto ai costumi occidentali”. Giudichi il lettore se un accostamento del genere abbia posto nel dibattito ragionevole sul pregiudizio politico o non risenta invece esso stesso di una deriva ideologica che non capisce nemmeno di accostare le vittime ai loro carnefici. Ugo Volli
24 maggio 2011 http://moked.it/






Netanyahu al Congresso di Washington
Grande attesa in Israele per il suo discorso
Grande attesa in vista dell'intervento di Benyamin Netanyahu oggi al Congresso di Washington a seguito anche delle profonde divergenze di opinione emerse nel suo recente colloquio con il presidente degli Stati Uniti Barack Obama. “Sarà il discorso della sua vita” afferma il quotidiano israeliano Maariv. “Il primo ministro svelerà posizioni che desteranno attenzione in tutto il mondo” scrive dal canto suo il giornale Haaretz. Il filo-governativo Israel ha-Yom, dal canto suo, anticipa che Netanyahu ribadirà le linee politiche già note del suo governo, ma potrebbe lanciare da Washington un appello pubblico al presidente dell'Anp Abu Mazen. http://www.moked.it/




L'omaggio a Herzl, politico della speranza
ll sognatore che fu artefice del miracolo ebraico, l’uomo la cui fondamentale intuizione avrebbe portato di lì a breve alla nascita dello Stato di Israele. Roma torna a celebrare la vicenda straordinaria di Theodor Herzl, padre del moderno sionismo, attraverso la presentazione di un libro, Theodor Herzl - Il Mazzini di Israele, che già nel titolo accosta un suggestivo parallelismo tra due grandi “politici dell’irrealtà” protagonisti delle rispettive epopee nazionali. In una biblioteca Giovanni Spadolini gremitissima dibattito a più voci: oltre all’autore, il senatore Luigi Compagna, erano chiamati a portare un contributo il senatore Marcello Pera, il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni, Annamaria Cossiga, Aldo Rizzo e Giuliana Limiti. Presenti tra il pubblico il presidente UCEI Renzo Gattegna e vari esponenti della classe politica nazionale tra cui i senatori Maurizio Gasparri e Fiamma Nirenstein. Edito da Rubbettino, il volume ha la prefazione autorevole dell’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga e apre varie finestre su radici e sviluppi del movimento sionista oltre che sull’avvincente biografia di Herzl. Numerosi gli spunti di riflessione emersi ieri nel corso del dibattito. Tra i vari interventi molto atteso quello del rav Di Segni, che è stato dedicato alla decodificazione della visione utopistica di Herzl e al suo differente approccio nei confronti della sfera religiosa rispetto a Mazzini. Nell’approfondire la geniale personalità del giornalista ungherese, rav Di Segni ha parlato di irrealtà come di “condizione esistenziale dell’ebraismo” e citando il pensiero di un noto politico israeliano secondo cui chi in Israele non crede ai miracoli non è realista, ha sintetizzato questo singolare approccio ebraico con una battuta: “Noi ebrei siamo diversamente reali”. Applausi anche per Annamaria Cossiga, figlia del presidente Francesco Cossiga, che ha ricordato un significativo episodio familiare legato alla Guerra dei Sei Giorni e alla vicinanza di suo padre verso Israele. “Era il 1967, avevo appena 5 anni ma ricordo benissimo come mio padre auspicasse la vittoria degli israeliani. Il mio affetto per Israele e per il sionismo è nato allora”.http://www.moked.it/










Golan


La cultura dell’antisemitismo, specie quello più bieco, non la si combatte con leggi e ostracismi, ma con una presenza trasparente e con una cultura forte che vi si oppongano mettendo a nudo le falsità e le demagogie del pregiudizio. Dario Calimani, anglista http://www.moked.it/

martedì 24 maggio 2011



La paradossale strategia di Obama
Se ne discute in Israele: commenti sulla stampa israeliana
YISRAEL HAYOM scrive che «Netanyahu non può colmare il divario fra lui e il presidente Obama, il quale è convinto che gli sconvolgimenti in corso in Medio Oriente annuncino l’arrivo della democrazia.» Secondo l’editoriale «la politica di Obama, che brilla nei sondaggi d’opinione, rappresenta tuttavia una minoranza all’interno del partito democratico, dell’opinione pubblica e del Congresso, che rappresenta un baluardo della stima per Israele» e che pertanto può fare da contrappeso alla Casa Bianca. «Netanyahu – conclude il giornale – deve fare leva su questa situazione e, pur continuando il dialogo con Obama, considerare il Congresso come la sede più promettente dove promuovere le sue idee.» (Da: Yisrael Hayom, 22.5.11) HA’ARETZ scrive che «i confini di oggi sono quelli veramente “indifendibili”», e ammonisce che «la decisione di Netanyahu di far scontrare Israele con Obama non solo è un vicolo cieco, ma potrebbe persino rimuovere il solo muro protettivo che rimane a Israele, sacrificando il futuro del paese sull’altare di una vuota ideologia e di un nazionalismo sfrenato.» (Da: Ha’aretz, 22.5.11) Scrive YEDIOT AHARONOT: «Tre giorni dopo che il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu aveva espresso consenso a ritirare Israele dentro i blocchi di insediamenti [cedendo il resto della Cisgiordania], gli americani hanno dimostrato che anche le più disponibili concessioni da parte di Israele non sono mai abbastanza soddisfacenti. Se il punto di partenza dei negoziati è la Linea Verde [ex linea armistiziale ’49-’67], cosa resta da discutere? Secondo Obama, Israele dovrebbe accettare in anticipo di cedere la Valle del Giordano e il saliente di Latrun [che dominava la strada Tel Aviv-Gerusalemme], e solo successivamente iniziare ad ascoltare che cosa ha da dire Mahmoud Abbas (Abu Mazen) circa i profughi.» L’editoriale ricorda al primo ministro Benjamin Netanyahu che «una decisiva maggioranza della popolazione israeliana lo ha eletto due anni fa esattamente per condurre questa battaglia a Washington» e gli chiede pertanto di parlare martedì al Congresso con estrema franchezza. (Da: Yediot Aharonot, 22.5.11) Scrive MA'ARIV che gli americani hanno insistito sul riferimento alle linee del 1967, come base per una futura composizione, allo scopo di cercare di prevenire il voto a settembre alle Nazioni Unite sul riconoscimento unilaterale (cioè senza negoziato nè accordo) di uno stato palestinese. Secondo l’editoriale, «è quasi paradossale come l’aspra reazione di Netanyahu potrà finire per aiutare Obama a conseguire questo obiettivo. Gli europei si sentiranno soddisfatti solo quando saranno certi che Netanyahu non è contento. Solo quando avranno la sensazione che Israele ha ricevuto lo schiaffo in faccia che secondo loro si merita, potranno accettare di avallare lo schiaffo assai più doloroso alle Nazioni Unite. In ogni caso, dopo il discorso davanti ad Aipac di domenica mattina, il presidente Obama è in partenza per una viaggio di diversi giorni in Europa. Se tornerà con in tasca il consenso a bloccare l’iniziativa unilaterale palestinese all’Onu, sarà possibile riconsiderare perdite e guadagni del suo discorso di settimana scorsa.» (Da: Ma’ariv, 22.5.11) Scrive EYTAN GILBOA: «Col suo discorso, Obama ha cercato di formulare un equilibrato piano americano per la ripresa dei colloqui fra Israele e palestinesi: ha incluso dei principi su cui insistono i palestinesi, come la necessità di porre fine all’occupazione, di un ritiro sulle linee del 1967 (con scambi di territorio concordati) e di iniziare le trattative dalla questione dei confini; e ha incluso dei principi su cui insite Israele, come la necessità di riconoscere Israele come stato ebraico, che lo stato palestinese sia smilitarizzato e la contrarietà a mosse unilaterali come la dichiarazione di indipendenza alle Nazioni Unite. Si tratta di un approccio non nuovo, che ha già caratterizzato analoghi sforzi americani in passato. C’è tuttavia da dubitare che il discorso di Obama e il suo incontro con Netanyahu possano avere un effetto sostanziale sulla ripresa dei negoziati, né peraltro sui rapporti fra Usa e Israele. Nei due anni scorsi i palestinesi hanno dimostrato di non essere interessati ad alcun negoziato e hanno adottato una strategia volta ad eluderli: riconoscimento alle Nazioni Unite di uno stato palestinese sulle linee del 1967 (senza accordo con Israele). Nel suo discorso Obama ha respinto senza mezzi termini questo approccio, ma non ha detto che cosa gli Stati Uniti intendano o possano fare per impedirlo. Obama ha anche detto che l’accordo di unità fra Hamas e Fatah ostacola la ripresa dei colloqui, ma non ha chiarito come si possa superare la cosa se Hamas, come previsto, non cambierà le sue posizioni strategiche di rifiuto del diritto di Israele ad esistere e contro i colloqui di pace. In fin dei conti, Israele e Stati Uniti mantengono un solido sistema di interessi strategici che è più forte di qualunque presidente o primo ministro. (Da: YnetNews, 22.5.11) http://www.israele.net/