venerdì 20 marzo 2009

Sergio Della Pergola
Negli anni Sessanta si era molto discusso il problema della stampa ebraica in Italia e in particolare la sua frammentazione fra venti testate, quasi tutte a limitata diffusione locale. Il 2 maggio 1965 si tenne a Roma un convegno nazionale organizzato dalla Federazione Giovanile Ebraica d’Italia, la mitica FGEI. La mozione finale auspicava fra l’altro la “creazione di un grande periodico degli ebrei italiani che, senza rinunciare a un’ampia ma particolare personalità, dia democraticamente spazio a tutte le opinioni e sopperisca alle esigenze di formazione e di informazione di tutte le famiglie ebraiche”. Sono passati 44 anni, molte cose sono cambiate nel mondo, in Israele, nell’ebraismo italiano e nella diaspora globale. Chi ricorda quei tempi sa che le necessità e le sfide sono oggi enormemente più complesse in una società inondata dall'informazione. Il collettivo ebraico è impegnato su più fronti, nel mondo e in Israele, non necessariamente unanime su tutto, ma ancora fondamentalmente solidale nella difesa dei propri diritti civili e della propria cultura. E questo di fronte a una popolazione ebraica che in Italia è diminuita a causa dell’invecchiamento e dell’erosione identitaria, ma che contiene energie intellettuali e una profondità di conoscenze ebraiche certamente non inferiori a quelle di 44 anni fa. Ora l’Unione delle Comunità ha dato una chiara indicazione di voler creare un giornale ebraico nazionale a stampa, concepito con moderni criteri editoriali, al di là del sito internet. Con tutto l’apprezzamento meritato da chi oggi dirige con passione e onestà la stampa periodica ebraica, le risposte locali non sono sufficienti. Le iniziative editoriali esistenti potrebbero proficuamente confluire e trovare spazio nella nuova pubblicazione nazionale. Chi ha visto il “numero zero” del nuovo giornale ebraico pensa che esso offrirebbe un grande salto di qualità nell’immagine e nell’approfondimento, in grado di competere in modo più efficiente e aggressivo con le forze della disinformazione, della contestazione, e anche della violenza fisica che ci circondano. Sosteniamo l’idea e la sua realizzazione. Sergio Della Pergola, demografo,Università Ebraica di Gerusalemme http://www.moked.it/


Crema pasticcera al cioccolato con mandorle

INGREDIENTI: 70gr di cioccolato grattugiato, 110 gr di biscotti semplici, 1 cucchiaio di mandorle sgusciate, 1 pinta di latte, 1/3 tazza di zucchero, 5 rossi d'uovo, 3 bianchi d'uovo, 1 cucchiaio di burro PREPARAZIONE:Versare il latte nella casseruola e mettere su fuoco medio.Aggiungere lo zucchero ed il cioccolato grattugiato e fondere mescolando costantemente. Quando il cioccolato si è sciolto togliere dal fuoco. Mondare le mandorle mettendole in acqua bollente e togliere la pelle a mano. Asciugare bene e sbriciolarle con i biscotti. Aggiungere al latte e lasciar raffreddare. Aggiungere i rossi al latte mescolando bene. Sbattere i bianchi d'uovo e incorporare nel composto. Ungere con il burro una piccola casseruola,spargervi un po' di zucchero, versarci il composto e coprire. Mettere la casseruola in un'altra larga casseruola riempita per metà con acqua calda e mettere in forno moderatamente caldo per un'ora. Estrarre dal forno e far raffreddare per 10 minuti. Dopo il raffreddamento rimuovere il cioccolato dalla casseruola e dividerlo nelle ciotole da tavola. Servire caldo o freddo come dessert. BOLLETTINO N° 27

Torta alla frutta del Monte Sion

INGREDIENTI: 4 mele delizia, 4 uova intere, 400 gr. di amaretti secchi, 1 arancia, 70 gr. di cacao amaro, 1 bicchiere vino dolce bianco, 1 bustina di vaniglina, 1/2 bicchiere di rum, Caffè quanto basta, 1 punta di cannella in polvere,Zucchero, Savoiardi.
PREPARAZIONE: Far cuocere le mele con il vino bianco. Lasciare intiepidire e passare al passaverdure la verdura.A parte ammorbidire gli amaretti lasciandoli a bagno con il caffè ancora caldo ed il rum, schiacciandoli bene con una forchetta. Sbattere bene le uova con lo zucchero (a piacere) ed unirle alla frutta, agli amaretti, al cacao, la cannella ed alla buccia di arancia grattugiata . Se il composto risulta essere aggiungere alcuni savoiardi sbriciolati. Oliare una pirofila e cospargerla di farina di mais. Versarvi il composto, coprirlo con un foglio di carta da forno e lasciarlo cuocere a forno medio, 160° C per circa due ore. BOLLETTINO N° 27

Benamozegh Elia

SHAVUOT Cinque conferenze sulla Pentecoste
COLLANA DI STUDI EBRAICI

Cinque conferenze sulla Pentecoste venne pubblicato dal rabbino Elia Benamozegh
nel 1886, nel periodo in cui, dopo i grandi lavori dedicati alle origini ebraiche del cristianesimo, si dedicava alla stesura di Israël et l’Humanité. In quest’opera egli intende esporre la parte non scritta ma tradizionale della storia della Rivelazione sul Sinai. Mentre i teologi cristiani avevano preso a pretesto l’episodio del vitello d’oro per trasformare l’elezione di Israele in una maledizione, e i filosofi, da almeno tre secoli, negavano che il Pentateuco fosse opera di Mosè, e vedevano nella rivelazione un’aggiunta inutile, se non dannosa, alla religione naturale, Benamozegh, con Cinque conferenze sulla Pentecoste, sottolinea la forza salvifica della Rivelazione sul Sinai («una verità antica quanto il mondo, l’anima, anzi il pensiero, il verbo, lo spirito dell’universo») e la sua validità per l’intera umanità.
Elia Benamozegh (Livorno 1823-1900), biblista, talmudista, cabbalista, filosofo della religione, è stato il più importante rabbino italiano dell’Ottocento. Nato da una famiglia originaria di Fez, in Marocco, trascorse per intero la sua vita a Livorno, esercitando l’ufficio di rabbino. Negli ultimi anni si è assistito ad un crescente interesse per la sua opera, con la pubblicazione di
Israele e l’umanità (1990), Morale ebraica e morale cristiana (1997), L’origine dei dogmi cristiani (2002), Il Noachismo (2006), Storia degli esseni (2007) editi da Marietti, Israele e Umanità. Il mio Credo (ETS, 2002), L’immortalità dell’anima (La parola, 2008).
Marco Morselli (Roma 1954) ha insegnato Filosofia ebraica e Storia dell’ebraismo presso il Collegio Rabbinico Italiano ed è stato Research Fellow dell’Università di Modena e Reggio Emilia. Da più di venti anni si occupa di dialogo ebraico-cristiano e di dialogo interreligioso. Ha curato una ventina di opere ed è autore de I passi del Messia. Per una teologia ebraica del cristianesimo,
Marietti 20082.

Amos Oz, Una pace perfetta, Feltrinelli - Collana I Narratori, pp. 352, Euro 17,5

Il giusto riposo della pace » Non poteva essere scelto un momento più adatto per presentare quest'opera del grande romanziere israeliano Amos Oz ai lettori italiani. Scritto nel 1982, Una pace perfetta, è la storia, vera, attuale e struggente, dell'inevitabile fallimento degli ideali, della conseguente disillusione, dell'inesorabile degrado nell'ambiguità e nella paura di ammettere ciò che è reale. Centro del romanzo è il kibbutz Granat, luogo immaginario ma possibile, situato forse in Galilea e attorniato da quel deserto che spesso, nelle opere di Amos Oz, assume un significato profondo e trascendentale. Immagine di un mito e simbolo di un'utopia, il kibbutz, quel luogo ideale dove regna l'uguaglianza assoluta e la perfetta armonia tra lavoro fisico e ricerca intellettuale, ha ormai lasciato il posto alle proprie rovine. Nel 1965, Yonathan, protagonista del romanzo, che ha 26 anni come ne aveva allora Amos Oz, è l'incarnazione stessa del fallimento. Insoddisfatto e annoiato, è un disadattato del sogno sionista, la sua vita con la moglie Rimona, priva di forza e di passione, appare insignificante come potrebbe esserlo quella di una coppia borghese in una città occidentale. In questa totale assenza di prospettive, l'unico sogno di Yonathan è il più ovvio e il più elevato: fuggire verso una libertà ugualmente simbolica e reale. Ma la sua rabbia è offuscata dall'ombra del padre Yolek, segretario del kibbutz ed eroe della nazione, ministro israeliano all'epoca di Ben Gurion, costretto ad assistere al crollo delle sue convinzioni e alla dispersione del suo popolo non a causa di un esilio, ma dell'incapacità di trasmettere alla generazione successiva le proprie convinzioni. Tormentato egli stesso dal dubbio che Yonathan non sia figlio suo ma di una transitoria relazione della moglie, Yolek passa il suo tempo a scrivere lettere al primo ministro Levi Eshkol dove rende nota la sua crisi di padre non solo del proprio figlio ma di un'intera generazione che, a conti fatti, ha imparato soltanto a sparare. Lettere che, peraltro, non spedisce mai.In questo violento succedersi di sentimenti, raccontati a voci narranti alterne, compare la misteriosa e romantica figura di Azariah, un ragazzo dall'aspetto nomade e ribelle, poeta e seduttore al contempo e soprattutto ultimo idealista a cantare l'utopia del kibbutz. La sua presenza scatenerà la decisione di Yonathan, sullo sfondo di un paese dove ormai incombe la guerra dei sei giorni. Oggi, quando l'utopia del kibbutz è ormai solo un ricordo lontano, e minacce di altra natura incombono sulla Terra promessa, ma anche sul resto del mondo, quest'opera si rivela sorprendentemente attuale, con la sua storia di ansia e smarrimento. Il solo titolo originale, "giusto riposo" (Menuka nekhona), tratto da una delle più splendide e suggestive preghiere ebraiche per i defunti, ne rappresenta il grande significato. Elisa M. MinoMilano 03/03/09, http://www.mosaico-cem.it/

giovedì 19 marzo 2009


Helen Mirren in Israele Interpretera' un'ex agente segreta del Mossad

(ANSA) - TEL AVIV, 16 MAR - Svestiti i panni di Elisabetta II in 'The Queen', Helen Mirren si appresta a indossare quelli di un'ex agente segreta del Mossad. E' una donna ormai in pensione, ma decisa a non dare tregua a uno degli ultimi criminali nazisti rimasti in circolazione. Per girare alcune scene del film, che si intitola 'The Debt' (Il debito) ed e' il remake in lingua inglese di una produzione israeliana del 2007, l'attrice britannica e'in questi giorni in Israele.

A Hollywood, Florida, ha aperto i battenti "Ben Gamla", la prima scuola elementare pubblica degli Stati Uniti dove si insegna solo in lingua ebraica e inglese. Il 90 cento degli alunni sono ebrei, il 50 per cento figli di israeliani e, essendo pubblica, è aperta a tutti. Gli alunni apprendono la storia di Anna Frank, Harry Houdini e Albert Einstein assieme a quella di Washington, Jefferson e Lincoln. Il boom di iscrizioni si deve al fatto che è gratis e, in tempo di crisi, così molte famiglie tendono a lasciare le scuole ebraiche private per quella pubblica.
MaurizioMolinari,giornalista, http://www.moked.it/

Osseh Shalom. Il Rav Sacks invita a cantare assieme e per Israele si rinnova la magia del Band Aid


L'appuntamento era di quelli da non mancare. L'appello lanciato attraverso Londra dalla gente della Casa della speranza (Home of Hope) era chiaramente un richiamo diramato dall'Ufficio del Rabbino capo. Trevor Horn aveva buttato giù alcune note nuove. Gli arrangiatori e i tecnici del suono erano già al lavoro. Le parole non potevano rappresentare un problema. Sono già state scritte, sono da sempre nero su bianco sotto gli occhi di tutti gli ebrei, le conosciamo tutti. Ce le ha messe in mente un Autore senza pari e sono le stesse con cui gli ebrei di ogni luogo e di ogni tradizione giorno dopo giorno invocano la Pace. Solo poche ore per incontrarsi fra persone diverse, intonare la propria voce, imparare una nuova melodia. E provare, riprovare, provare ancora. Poi le riprese e la realizzazione del disco. Nel cuore di Londra il mitico studio di registrazione dei divi del pop apriva di nuovo i battenti.Presto le sale di registrazione di riempiono di gente venuta per cantare. Arrivano le camicie azzurre del coro dello Shabbaton, uno dei più ascoltati a Londra. Sono appena rientrati da un lungo tour di solidarietà in Israele. Canto su canto, assieme alla gente di Ashkelon, di Beer Sheva e di Sderot, hanno risposto ai missili che piovevano da Gaza per colpire la popolazione civile. Arrivano le magliette bianche dei ragazzi della Moriah Jewish Day School che portano al centro l'immagine delle pietre del Kotel. Entrano i tre solisti, Rav Lionel Rosenfeld, Jonny Turgel, Shimon Craimer. Ma in studio ci sono anche alcuni dei protagonisti della mitica esperienza del Band Aid, quando Bob Geldof chiamò a raccolta i gruppi e cantanti più noti per cantare assieme contro la carestia che flagellava l'Africa orientale. Il compositore Stephen Levey, l'arrangiatore e produttore Trevor Horn, il regista Adam Cohen. La sala del Sarm West Studio è la stessa di allora. La magia di questo incontro riporta la memoria di molti all'entusiasmo di allora.Infine arriva lui, il Rabbino capo. Sir Jonathan Sacks, sesto nella dinastia dei rabbini capo del Commonwealth. Lo storico Michael Burleight lo ha definito “il più influente leader religioso nel Regno Unito”. L'ex primo ministro Tony Blair lo ha chiamato “un gigante nella vita intellettuale contemporanea”. L'attuale Primo ministro Gordon Brown ha detto che “non è solo un luminare, ma un leader spirituale e un ambasciatore rispettato ovunque della minoranza ebraica. Ha fatto più di chiunque altro in per mettere a fuoco l'attenzione sulle necessità e le sfide della comunità civile nella società globalizzata”.Questo incontro lo ha voluto lui. L'Ufficio del Rabbino capo ha deciso di distribuire un disco con molte nuove musiche. Ma il Rav Sacks voleva accompagnare delle immagini al disco. Mostrare a tutti con un filmato la gioia di stare assieme e quella di cantare per la pace e per Israele.Fra poco lo Stato di Israele giungerà al suo sessantunesimo compleanno. Quest'anno siamo stati testimoni di un evento formidabile. Forse non abbiamo avuto il tempo di rendercene conto appieno. Sessanta anni di Indipendenza. Sessanta anni di libertà. Conquistata a fatica. Difesa con dolore e dignità anche nelle situazioni più difficili.Il Rav Sacks parla a tutti, spiega perché dobbiamo cantare “Osseh Shalom”, spiega che Israele non è solo uno Stato, ma anche il territorio dove abitano i nostri ideali, la terra delle nostre radici.Cominciano le prove e ogni gruppo impara a integrarsi con il canto altrui. Il Rav non lascia lo studio, ma se ne sta in disparte. Poi si lascia coinvolgere. Via la giacca. Si allenta l'impeccabile cravatta. Si confonde nel coro. Poi, è venuto il momento di unire le voci. Di cantare assieme la nostra speranza.g.v., http://www.moked.it/

"Il dottor Sachs - Un medico ebreo in Friuli e la sua famiglia tra Otto e Novecento"


Casa Editrice Kappavu - pp.351, 20 euro
Un notevolissimo sforzo di ricostruzione storica quello di Valerio Marchi (nell'immagine a fianco), autore del libro che racconta la storia di Ettore Sachs, giovane medico condotto, fra la fine dell'800 e gli inizi del '900 a Gonars e a San Daniele del Friuli e della sua famiglia proveniente dalla Moldavia meridionale il cui arrivo fu accolto da manifestazioni e da cartelli di protesta affissi sui muri del paese, proprio perché ebreo. "Mi occupo di storia del cristianesimo e dell'ebraismo dal 1993, dice Marchi per spiegare il motivo del suo interesse per questa particolare storia, data in cui mi sono laureato in Storia con una tesi in Storia della Chiesa su «L’Italia», le dittature e la “questione ebraica” negli anni Trenta. Due anni fa nello sfogliare dei giornali dell'epoca mi sono imbattuto nella storia di un giovane medico israelita e mi sono incuriosito: che cosa aveva fatto quel medico ebreo per divenire oggetto di tante attenzioni?".Ma la curiosità del professor Marchi, che insegna storia e filosofia in una scuola superiore e sta concludendo un dottorato di ricerca presso l’Università di Udine con una tesi dal titolo: «Tempo bello per gli ebrei». Stampa cattolica udinese e questione ebraica (1880-1914), va ben oltre questo singolo libro. Seguendo la sua passione nell'andare a ricercare tutto ciò che riguarda la questione ebraica e l'opposizione agli ebrei, già qualche mese fa si era occupato di un altro personaggio, l'onorevole Riccardo Luzzatto parlamentare dal 1892 al 1913, una figura per lungo tempo dimenticata e tornata alla luce proprio grazie a una documentata monografia del professor Marchi dal titolo Il Serpente biblico - L'on. Riccardo Luzzatto in Friuli fra culto della patria antisemitismo e politica , il cui titolo non è un'espressione che richiama all'episodio della Genesi, ma un'immagine che racchiudeva tutto un mondo di significati nella lotta politica in Friuli il cui destinatario era per l'appunto Riccardo Luzzatto.Come per il Serpente biblico così per la storia di Ettore Sachs, Valerio Marchi, è riuscito attraverso una grande quantità di fonti, soprattutto giornali e riviste dell'epoca, a ricostruire uno spaccato della società friulana anteguerra evidenziandone gli aspetti ancora sconosciuti, come l'antisemitismo e il razzismo ritenuto da molti estraneo alla cultura italiana e che invece diviene un'amara consapevolezza per il lettore fin dalle prime pagine del libro."Ho accettato di curare la prefazione del libro di Marchi, - spiega il professor Giorgio Cosmacini autore fra gli altri di Medicina e mondo ebraico prezioso resoconto della storia pressoché sconosciuta della medicina ebraica dai tempi di Mosè al Seicento, - perché anch'io sono originario di quelle parti ed è stato un po' come tornare alle radici, e poi perché penso che nella figura del medico ebreo ci siano delle peculiarità interessanti da indagare si pensi alla versatilità della cultura ebraica. In passato i medici ebrei erano più colti della media della società, la loro professione era veicolo per essere ammessi a corte, negli ambienti aristocratici...""La storia della famiglia Sachs mi ha appassionato al punto che ne ho ripercorso la storia seguendola a Padova, in Toscana e perfino in Israele dove ora vive suo nipote, Giorgio Algranati, figlio della figlia di Sachs, che mi ha ospitato qualche giorno e mi ha aiutato ad aggiungere elementi importanti nella ricostruzione di alcuni aspetti della vicenda", ci rivela Marchi.La storia di Ettore Sachs è ora motivo di orgoglio per il Comune di Gonars, luogo in cui il medico ebreo visse ed esercitò la professione, che ha sponsorizzato metà della pubblicazione e che nella serata di presentazione presso il centro civico di Fauglis ha donato una copia del libro a tutti i cittadini intervenuti. Lucilla Efrati, http://www.moked.it/

Cari amici, ho problemi con la posta ed è per questo che non ricevete le mie news sul blog. Spero di risolvere al più presto. Chicca

domenica 15 marzo 2009

Università della Pensylvania

Rotschild Boulevard - La Jewish Ivy taglia il suo programma in Israele

Se la chiamano la “Jewish Ivy”, un motivo c'è. Con un buon 30% di studenti ebrei, la University of Pennsylvania (detta Penn) si è sempre distinta per l'apertura alle altre culture e alle minoranze, a cominciare da quella ebraica, tra tutti gli atenei dell'Ivy League (il consorzio che riunisce le 8 università più prestigiose d'America, incluse Harvard e Princeton, spesso associato all'élite Wasp) . Fondata a Filadelfia da Benjamin Franklin nel 1740, a lungo è stata un'oasi di yidishkeyt, in un establishment accademico prevalentemente dominato dalla cultura anglo-protestante.Adesso le cose ovviamente sono un po' cambiate, e gli studenti ebrei abbondano in tutte le università, di élite e non, degli Stati Uniti. Ma la tradizione ha lasciato una forte identità, Penn resta la “Jewish Ivy”, e molti studenti ebrei la scelgono proprio per questo. Ci sono anche molti studenti arabi e musulmani, il che rende il dibattito nel campus molto stimolante, sempre su un piano di confronto civile. Gruppi come Hillel e Aipac (American Israel Public Affairs Committee) lì sono molto attivi e radicati. Proprio per questo, stupisce la notizia di questi giorni: Penn è tra le quattro università americane che hanno cancellato il proprio programma di studio all'estero in Israele. L'unica tra i membri dell'Ivy League.No, non c'è nessun boicottaggio accademico: anzi docenti e figure pubbliche israeliani sono spesso invitati a tenere conferenze. Piuttosto si tratta di una questione di sicurezza: dopo la guerra di Gaza, le autorità dell'università non se la sono più sentita di mandare i ragazzi a studiare per un anno o per un semestre in Israele. A Gerusalemme Penn aveva un programma di scambio con l'Università ebraica. Cosa c'entra la guerra di Gaza con Gerusalemme? Il giornale del campus spiega che “mentre i combattimenti sembrano ben lontani da Gerusalemme, è impossibile sapere se la situazione rimarrà tale”.Sarà. Ma intanto le associazione ebraiche e sioniste non l'hanno presa molto bene. Fanno notare che la precauzione è eccessiva e che depriva gli studenti di un'opportunità importante di crescita e di studio : “Al di là dei titoli dei giornali, Israele offre una cultura calma e vibrante, un'opportunità per l'arricchimento accademico” si legge in una lettera firmata dai leader di Hillel e della Penn Israel Coalition.E' un gran peccato, perché con la cancellazione del programma israeliano Penn ha perso un tassello importante della ricchezza culturale che l'ha resa non solo la “Jewish Ivy”, ma soprattutto un laboratorio di idee cosmopolite e di confronto.Anna Momigliano, http://www.moked.it/

Sinagoga di Livorno

Qui Livorno - La città toscana è oggi capitale dell'ebraismo italiano

Oggi Livorno può definirsi "capitale" dell'ebraismo italiano: ospita infatti una seduta del Consiglio dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e nel pomeriggio, con il patrocinio di Comune e Provincia, si tiene un convegno sulla bioetica dal punto di vista ebraico, organizzato dal Dipartimento Educazione e Cultura dell'UCEI con la collaborazione della Comunità ebraica livornese. A chiudere la giornata, la neonata sezione locale del Benè Berith riceve la visita del Presidente europeo Weinberg.Non posso nascondere la mia soddisfazione per questa massiccia dose di attività ebraica che viene immessa questa domenica a Livorno e ciò non solo per meri motivi campanilistici. Circa un'iniziativa sulla bioetica, da realizzare appunto nella città labronica, ebbi modo di parlare con Rav Gianfranco Di Segni (uno dei principali relatori della giornata) al Moked di Forte dei Marmi. Tema oggi più che mai in evidenza, quello della bioetica, è importante far rilevare pubblicamente come vari possano e debbano essere gli attori di un confronto su questo terreno. Livorno, città storicamente aperta alle varie culture a partire da quelle che ne posero le fondamenta, è indubbiamente una città particolarmente idonea a raggiungere questo scopo.La seduta in loco del Consiglio dell'Unione dimostra invece, al pari di analoghe iniziative svolte altrove, attenzione da parte dell'UCEI alle realtà ebraiche del territorio e volontà di coinvolgimento anche delle "piccole" Comunità.Benvenuti quindi a Livorno! Gadi Polacco, Consigliere dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, http://www.moked.it/, 15 marzo 2009


Witold Pilecki

Una spia nell'orrore di Auschwitz

Due serie di foto segnaletiche: la prima è del 1940, l'uomo indossa l'uniforme a strisce dei detenuti nei lager nazisti; la seconda serie è del 1947, scattata dalla polizia segreta del regime comunista di Varsavia. Il prigioniero è lo stesso: il capitano di cavalleria Witold Pilecki.L'ufficiale si era offerto volontario per una missione all'inferno: si fece catturare dai tedeschi sapendo che sarebbe stato rinchiuso ad Auschwitz, per raccogliere informazioni su quello che succedeva all'interno del campo di concentramento.Il Konzentrationslager presso la cittadina polacca di Oswiecim (in tedesco Auschwitz) era stato costruito dai nazisti nell'estate del 1940 e all'inizio i detenuti erano polacchi e soldati russi. La resistenza aveva bisogno di notizie. Pilecki preparò il piano: aspettò che la Gestapo mettesse in atto uno dei ricorrenti rastrellamenti a Varsavia, si mise in tasca un documento di identità falsificato a nome dell'operaio «Tomasz Serafinski» e si lasciò arrestare con altri duemila civili. Era la mattina del 19 settembre 1940, due giorni dopo si ritrovò ad Auschwitz. Il campo non era ancora organizzato per lo sterminio sistematico, ma i detenuti venivano decimati già all'arrivo. All'internato sotto il nome di Serafinski fu tatuato sul braccio il numero 4859. Il capitano Pilecki cominciò ad organizzare militarmente un gruppo di resistenti. E cominciò anche a scrivere messaggi per il comando dell'Esercito clandestino polacco.Il suo rapporto comincia così: «Mi è stato ordinato di descrivere i semplici fatti, senza commenti. Ci proverò, ma non siamo di legno, nè di pietra e debbo confessare che stando qui dentro qualche volta mi è sembrato che anche la pietra possa sudare...».Con il passare dei mesi Auschwitz fu allargato su una superficie di 40 chilometri quadrati e trasformato nel centro del progetto di annientamento degli ebrei, al servizio della Soluzione Finale. La resistenza a Varsavia ricevette un altro rapporto da Pilecki fatto filtrare attraverso i reticolati: «La gigantesca macchina del campo che vomita cadaveri ha portato via molti dei miei amici... Abbiamo inviato messaggi al mondo esterno, alcuni sono stati trasmessi da stazioni radio straniere. Adesso le guardie del campo sono furiose».Nel 1942 il gruppo del capitano si assicurò che le informazioni sullo sterminio degli ebrei arrivassero a Londra e Washington, cominciò ad invocare che gli aerei alleati bombardassero le installazioni di Auschwitz e la linea ferroviaria che alimentava il trasporto dei deportati, o che organizzassero un lancio di paracadutisti della Brigata polacca per liberarlo.Non successe niente. Solo orrore quotidiano. A quel punto il capitano Pilecki decise di tentare la fuga: la notte del 26 aprile 1943 riuscì ad evadere. Arrivato a Varsavia riprese il suo posto nell'Esercito clandestino, partecipò alla Rivolta del 1944. Poi andò in Italia, con le forze polacche del generale Anders. Finita la guerra con i nazisti l'Europa fu spaccata dalla Cortina di Ferro. Pilecki fu inviato a Varsavia: di nuovo in missione clandestina, per raccogliere informazioni sui gulag sovietici e la repressione comunista. Lo arrestarono. E (secondo nuovi documenti pubblicati dal Times) l'uomo che era entrato volontariamente nell'inferno e aveva documentato lo sterminio degli ebrei, scoprì che l'agente della polizia segreta comunista che lo stava torturando era un ebreo. Potè incontrare un'ultima volta la moglie e le disse che Auschwitz per lui era stata meno atroce di quello che stava passando nel carcere del regime a Varsavia.Witold Pilecki fu condannato a morte per «crimini contro lo Stato e spionaggio agli ordini dell'imperialismo straniero». Il 25 maggio del 1948 gli spararono un colpo alla nuca nel sotterraneo del comando della polizia e lo gettarono in una fossa comune.Poi, fino al 1989, il suo nome fu cancellato dalla storiografia ufficiale della Polonia. La vicenda del «volontario di Auschwitz», delle sue informazioni sull'Olocausto e dell'aiuto alleato che non arrivò ai disperati dei lager continua ad agitare gli storici britannici: perché Winston Churchill non ordinò l'azione? «Perché a nessuno importava di salvare gli ebrei», disse Chaim Weizmann, primo presidente di Israele. Sir Martin Gilbert, biografo di Churchill, sostiene invece che il leader inglese era sempre stato amico e sostenitore della causa ebraica e in realtà non seppe di Auschwitz fino al 1944.Ora un gruppo di eurodeputati polacchi ha presentato una mozione a Bruxelles chiedendo che il 25 maggio, anniversario dell'uccisione del capitano, sia dichiarato «Giorno degli Eroi della Lotta contro il Totalitarismo ». Dagli archivi sono usciti nuovi documenti che nei decenni della Cortina di Ferro erano stati censurati e a Varsavia è stata organizzata una mostra in cui le foto segnaletiche del detenuto 4859 di Auschwitz sono affiancate a quelle dell'«agente imperialista» Witold Pilecki scattate dalla polizia segreta comunista. 14.03.2009, Corriere della Sera

tra Gerusalemme e Tel Aviv

In Israele l'organizzazione del sistema dei trasporti toscana

La Regione impegnata a promuovere reti multimodali anche all'estero
L'assessore regionale ai trasporti ed infrastrutture Riccardo Conti ha firmato oggi l'accordo di collaborazione con il Ministero francese dell'ecologia, energia, sviluppo sostenibile e gestione del territorio che regola la partnership e le modalità di attuazione del progetto dell'Unione Europea Twinnig, “Gemellaggio istituzionale”, con lo scopo per rafforzare la capacità di gestire, progettare e fornire un servizio di rete integrata di transito del trasporto urbano sostenibile di Israele.A seguito della gara indetta nel maggio 2008 dal Ministero dei trasporti di Israele, è stato firmato oggi l'accordo con le autorità francesi, per promuovere le reti multimodali finanziariamente sostenibili e integrate di trasporto pubblico nelle regioni urbane metropolitane israeliane. Un simile progetto nasce in risposta ad uso notevolmente aumentato dell'auto privata anche nella realtà israeliana, che causa sempre maggiore inquinamento atmosferico, rumore, quindi ricadute anche sulla sanità pubblica e rischi per la sicurezza dei cittadini, oltre che un danno irreversibile dell'ambiente naturale. «E' importante poter verificare che la competenza e le professionalità coltivate e stimolate nella nostra regione fino ad oggi potranno essere di aiuto anche per altre realtà europee - così l'assessore Riccardo Conti commenta la firma dell'accordo -. ..................Il bando Twinning n. IS08/ENP-AP/TP02 ha l'obiettivo di migliorare nei trasporti di Israele l'efficienza del circolazione di passeggeri e merci, sottolineando l'importanza di un trasporto sostenibile. ............. 13 marzo 2009 http://www.regione.toscana.it/

Tel Aviv - la strada degli artisti

Facebook e le nuove versioni in arabo ed ebraico

Washington, 12 mar -Facebook, il social network più celebre del web, già disponibile in quaranta lingue, si espande, realizzate due nuove versioni in arabo e in ebraico."Nostro obiettivo - ha affermato un responsabile del sito, Ghassan Haddad, in un messaggio online - è di rendere Facebook accessibile in tutte le lingue del pianeta", e il gruppo sta lavorando per aggiungerne altre 60.Nato nel 2004, creato dall'ex studente di Harvard Mark Zuckerberg, Facebook oggi rivendica 175 milioni di utenti.

Valzer con Bashir


Nna testimonianza fatta di ritegno e non con sdegno I principali disturbi prodotti dal disturbo post traumatico da stress sono, tra gli altri, incubi che fanno rivivere i momenti che hanno generato il trauma stesso, oppure amnesie, cioè quando si dimenticano quei momenti.Boaz Rein ha incubi, sogni i cani che abbatteva quando nel Libano le truppe israeliane cercavano i terroristi palestinesi. Boaz non era capace di sparare alla gente, così il suo compito era sparare ai cani prima che segnalassero il loro arrivo abbaiando. Ma l’interlocutore di Boaz è Ari Folman che da vent’anni non ricorda nulla di quei giorni a Shabra e Shatila. Attraverso una indagine che si profila a binari multipli: su se stesso e sui compagni d’armi, sulla prima guerra del Libano, sui sentimenti, Ari riesce a ricostruire nella sua mente un percorso mnemonico che lo conduce a quel momento che causò lo stress.Il percorso non può partire se non da chi ha le sapienza per spiegare cosa può essergli successo: uno psicologo. La ricerca parte da un indizio ed è Ori che gli suggerisce il primo passo, e così passo dopo passo, esperienza dopo esperienza di chi ha combattuto in Libano, Ari rivive la guerra. Non solo la sua, ma anche quella di altri soldati, che gli raccontano la loro esperienza. Ecco che si forma il binario del racconto della guerra del Libano. Vediamo i soldati nelle loro azioni più disparate da lavarsi i denti a combattere. Significativa la scena di un ex-carrista, mentre racconta, cammina sui luoghi degli stessi racconti.Con la memoria si associano sempre parole che intendono il movimento, ecco perché questa scena come tutto Valzer con Bashir è un atto mnemonico di grande effetto. Gli autori camminano, i personaggi, i lettori, camminano, tutti camminiamo verso una destinazione della nostra mente dove sono stati nascosti i ricordi che ci hanno sconvolto. È inevitabilmente anche una soluzione narrativa che permette agli autori di raccontarci la guerra cercando di dare una testimonianza con “ritegno” piuttosto che con “sdegno”, come Primo Levi spiegava in una intervista rilasciata a Marco Vigevani diversi anni fa. “È più efficace una testimonianza fatta con ritegno che una fatta con sdegno: lo sdegno dev’essere del lettore, non dell’autore e non è detto che lo sdegno dell’autore diventi sdegno del lettore. Io ho voluto fornire al lettore la materia prima per il suo sdegno.” (Bollettino della Comunità Israelitica di Milano, XL, 5 maggio 1984).Anche se il percorso principale del fumetto rimane la ricerca della memoria perduta di Ari, dalla seconda parte della storia in poi, c’è una impietosa descrizione degli orrori della guerra. Cambia anche il montaggio del fumetto stesso. A un tratto gli ex-combattenti che intervista Ari sono senza sfondo, senza definizione del luogo dove avvengono. La narrazione si fa fitta, intensa. E non è più possibile frenare l’orrore di quelle scene, tutto si fa nero, i testimoni parlano come se fossero davanti a un giornalista. I fatti riaccadono ancora una volta e non possono essere fermati, finché la violenza della shock si concretizza nell’unica forma di rappresentazione che incornicia la realtà in una forma immobile, precisa, immutabile. La fotografia. “È stato” avrebbe detto Barthes, segnando una drammaticità a cui ci si può opporre solo con l’oblio oppure con un processo di catarsi che permette di far propria l’esperienza, di viverla dentro di noi. Il fumetto in questo caso è una forma efficace per coinvolgere il lettore: “l’intimità del fumetto conduce la vicenda in un luogo che il cinema non può raggiungere. I fumetti coinvolgono il lettore, lo trasformano in una parte del meccanismo.” (Intervista con David Polonsky in coda all’edizione italiana)Questo processo non può avvenire se non esiste una solida sceneggiatura, un disegno fortemente realistico dettato dall’esperienza dell’animazione di Polonsky e dall’uso del computer per lavorare le tavole e dare loro effetti di forti contrasti tra i colori e le ombre. La linea di Polonksy lascia sempre perplessi: sono nella realtà o in un ricordo. Proprio questa incertezza non può che risolversi con le fotografie del massacro di Shabra e Shatila, perché la fotografia rappresenta ciò che è stato realmente.L’edizione italiana è accompagnata da una intervista al disegnatore David Polonsky dove l’autore spiega i vari processi produttivi, i cambi di paradigma dall’animazione al fumetto.Finita la lettura di Valzer con Bashir non si avrà una maggiore consapevolezza di quali siano le responsabilità, tranne quelle dirette dei cristiano-falangisti. Ari Forman riporta sul personaggio stesso i sensi di colpa, il dolore, il trauma di aver fatto parte involontariamente di un fatto così orribile. Ognuno in base alle proprie idee, cultura, senso di appartenenza troverà quello sdegno che non può che essere suscitato dalla morte di un essere umano.
Andrea Grilli, http://www.moked.it/


Rullare, o-oh

Un uomo politico italiano conversava sull'esclusione di Israele dai prossimi Giochi del Mediterraneo, che come si sa saranno a Pescara. Alla domanda di come fosse possibile a questo riguardo un tale silenzio mediatico e politico nel cuore dell'Europa, ha risposto con acume: "Ma i Giochi del Mediterraneo non sono in Europa". Dal che si desume che l'Italia è una nazione a rotelle: certi giorni è ferma in Europa, ma all'occorrenza mette le rotelle e rotola anche fino in Libia. Il Tizio della Sera http://www.moked.it/