sabato 23 maggio 2009

kibbutz Ein Gev

L'Otto per mille, i valori laici e l'impegno di valdesi e metodisti

Da sempre le Chiese valdesi e metodiste si presentano con una impronta laica che risulta gradita ad una minoranza significativa di persone: a fronte di circa 20.000 fedeli in tutta Italia, nelle dichiarazioni dei redditi 2005 (ultimo dato disponibile) sono stati ben 264.676 i contribuenti che hanno destinato il loro 8 per mille alla chiesa valdese, con una tendenza inarrestabile di crescita. La proporzione tra il numero de fedeli e quello dei sottoscrittori (1 a 13) è di gran lunga il più alto tra tutte le confessioni religiose che concorrono all’8 per mille. L’essenziale messaggio pubblicitario per la raccolta 8 per mille lanciato dalle chiese valdesi e metodiste, basato quest’anno sullo slogan “Facciamo qualcosa di laico”, esercita evidentemente attrazione su una fascia di persone che rivendicano il diritto alla laicità in un Paese non sempre così laico come dovrebbe essere. Un’ultima annotazione: il messaggio di quest’anno segnala tra tutti i progetti finanziati con i fondi dell’8 per mille due dedicati alla ricerca sulle cellule staminali: un tema sul quale i laici di tutti gli schieramenti hanno ingaggiato una dura battaglia, dall’esito non proprio positivo.Valerio Di Porto, Consigliere dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane moked.it/

Torino e i libri - Leonid Mlečin: Perché Stalin volle Israele


In una società in cui il pubblico è costantemente bombardato dalla teatralità delle notizie, da dichiarazioni farsesche, dall’idea che ci sia un Noi-buoni ed un Voi-cattivi, stupiscono sempre le analisi profonde e sottili, che si dirigono al punto senza tante elucubrazioni. Questo è il caso della presentazione alla Fiera del Libro, nella gremita Sala Rossa, dell’opera di Leonid Mlečin "Perché Stalin creò Israele", con i relatori David Bidussa e Luciano Canfora, assieme al loro editore Sandro Teti.Il libro non vuole dare una qualificazione morale di Joseph Stalin e delle sue scelte ma offrire un quadro della realtà politica di un determinato periodo storico. La scelta sovietica di appoggiare la creazione dello Stato di Israele e di sostenere il partito laburista di Ben Gurion nasce da un’analisi pragmatica di Stalin di voler creare un avamposto socialista in Medio Oriente. Non è la scelta filantropica di dare un paese in cui vivere al popolo ebraico, ma la decisione di un capo di stato di creare delle opportunità per aumentare la propria influenza.Forse il fatto che non si sia descritto Stalin come il feroce dittatore cattivo ha lasciato un po’ spaesati i presenti; il pubblico è troppo abituato a sentire slogan e discorsi demagogici, che puntano a risvegliare le emozioni, a rassicurare o spaventare a seconda dei casi. Canfora e Bidussa hanno riportato il discorso a se stesso, evitando di dare connotazioni etiche perché avrebbero svilito il ragionamento. I due relatori ci invitano ad analizzare le scelte di Stalin attraverso una riflessione razionale e non con sentimenti di pancia. Come mai Stalin ha prima appoggiato Israele e a poi osteggiato con tutte le sue forze la migrazione ebraica dall’Unione Sovietica? A questa domanda vuole rispondere Perché Stalin creò Israele.Al termine dell’incontro è stato chiesto al pubblico se avesse qualche domanda, in quel momento è sceso un velo di imbarazzo nella sala. Sembrava di essere al liceo, quando il professore fa la fatidica domanda “chi interroghiamo oggi?”. La sensazione era che i presenti fossero stati catapultati in un mondo non loro, mentre era stato chiesto niente di più umano se non ragionare.Bidussa ha concluso ricordando il credo di Machiavelli secondo cui in politica le scelte non si basano sui sentimenti ma sui ragionamenti. Siamo sicuri che valga solo in politica? Daniel Reichel http://www.moked.it/


Vilnius (Vilna)

A Vilna la ferita ancora aperta fra l'indifferenza della gente

“L’indifferenza è gemella della crudeltà”, recita un aforisma turco, che è lo specchio della condizione degli ebrei lituani, nel passato come nel presente.La comunità ebraica lituana, culturalmente assai fiorente, fu quasi totalmente annientata durante gli anni del nazismo con la complicità dei volenterosi collaborazionisti lituani. A Vilna, la “Gerusalemme della Lituania”, nel cui territorio si trovavano un centinaio di sinagoghe, oltre a numerose Yeshivot e centri culturali, rimase in piedi solamente una sinagoga, che si salvò dalla distruzione solo perché scambiata dai nazisti per un magazzino. Visitando Vilna ai giorni nostri, si ha la sensazione che ad essere scomparsa dalla città non sia solamente gran parte della popolazione ebraica, ma anche ogni traccia della sua memoria storica. All’unica sinagoga rimasta in piedi non è praticamente dedicato nessuno spazio nelle guide turistiche, e di segnaletica per raggiungerla neanche a parlarne. Solo sulle mappe stradali, e nemmeno su tutte, è possibile notare una piccola stella di David in mezzo a centinaia di croci. Molto pubblicizzato è un Museo del Genocidio; solo che si tratta del museo delle vittime del KGB e non di quelle dei nazisti, come si potrebbe istintivamente pensare. Una volta raggiunta la sinagoga, senza grande collaborazione da parte della popolazione locale (e non è solo un problema di comunicazione legato alla lingua), la sensazione di disagio aumenta. La sinagoga è localizzata leggermente al di fuori del centro storico, peraltro molto bello, pittoresco e ben curato, ed è dunque lontana dai flussi turistici tradizionali; è circondata da palazzi in stato di semi abbandono con le facciate scrostate e le strade sporche e dissestate. Le finestre della comunità ebraica, a poca distanza dalla sinagoga, ogni tanto vengono affrescate dai soliti imbecilli con svastiche, stelle di David appese a forche e amenità simili, che, nell’indifferenza dei passanti, restano lì per giorni prima che una qualche autorità cittadina intervenga mandando qualcuno a cancellarle. Non è un fatto isolato, comunque, visto che sono molti i gruppi neonazisti lituani nati in questi ultimi anni (con relative manifestazioni pubbliche), favoriti da una certa indulgenza governativa e dal fascino esercitato da forti correnti negazioniste. Passeggiando tra i vicoli caratteristici del centro, tra gallerie d’antiquariato e locali turistici, si avverte una sensazione di disagio pensando che quello, una volta, era l’animato quartiere ebraico di Vilnius, abitato da quasi 80.000 persone. E il disagio aumenta quando si chiede qualche informazione (perché targhe o lapidi commemorative non se ne vedono): le persone di una certa età, quelle che dovrebbero avere una memoria storica, se interpellate, o non rispondono oppure rispondono scontrosamente, quasi che abbiano voluto rimuovere il passato, manifestando indifferenza se non addirittura fastidio a sentirselo ricordare. I giovani, poi, sembra che siano del tutto all’oscuro del passato. Infine, le autorità locali si sono dedicate ad un’opera di maquillage dell’esterno dei palazzi, delle vie e delle piazze del centro, cercando di dimenticare e far dimenticare il ricordo di questo scomodo passato, forse anche per non causare fastidiosi turbamenti agli attuali inquilini e passanti. Mentre nel resto dell'Europa, alla fine del conflitto, si è cercato di valorizzare ogni più piccola traccia della presenza ebraica prebellica, in Lituania è accaduto l'esatto contrario. Sotto il dominio sovietico, infatti, laddove sorgeva la Grande Sinagoga di Vilnius è stato costruito un asilo infantile, mentre al posto dell'unico cimitero ebraico, dove si trovava la tomba del celeberrimo Gaon, è stato costruito uno stadio di calcio. D'altronde queste sono profanazioni che si stanno ripetendo continuamente negli ultimi anni. Basta per esempio pensare alla discoteca costruita vicino al lager di Auschwitz ("Le atrocità appartengono al passato", la sbalorditiva giustificazione). Tutto questo nonostante lo sforzo della comunità ebraica che, con notevole dispendio di risorse, cerca di diffondere e comunicare la cultura e le radici ebraiche della Lituania attraverso tutti i mezzi di comunicazione possibili, compreso un interessante sito web sulla storia della comunità locale.Al visitatore non ancora sazio di rancore e malinconia è suggerita vivamente una visita a Panierai, località nelle vicinanze della capitale, dove si trova un memoriale dedicato alle vittime della furia nazista. A Panierai i contrasti tra bellezza del luogo e orrore si acuiscono ancora di più. Questo piccolo villaggio si trova in mezzo ad una verdissima e rigogliosa foresta d’alto fusto. La natura incontaminata nasconde un passato orribile. Qui furono massacrati quasi tutti gli ebrei di Vilnius, gli ebrei dei villaggi della vicina Bielorussia e molti oppositori politici. Camminare per le strade del villaggio è un’esperienza emotivamente molto forte. Gruppetti di abitanti del luogo camminano senza una meta, con in mano bottiglie di vodka, già palesemente ubriachi alle 9 di mattina. Ovviamente di cartelli del memoriale delle vittime neanche l’ombra. Eppure si trova a soli 500 metri dalla stazione ferroviaria. Chiedere a qualcuno del posto dove si trovi il sito ed ottenere risposta è ovviamente impossibile, la collaborazione è difatti nulla. Spesso si ottiene come risultato un sorrisetto ironico e si sente mormorare alle spalle la parola Zydow, che significa ebreo. Dopo avere trovato in qualche maniera la strada, si arriva al memoriale, che è praticamente un parco pubblico dove gruppi di ragazzotti con la testa rasata si ritrovano a bere e bivaccare ed anziane signore portano i loro cani a passeggiare. Quasi casualmente ci si imbatte in qualche cartello. Sul bordo del fossato dove i prigionieri, a dieci per volta, venivano assassinati nudi con un colpo alla nuca, mentre gli altri, in fila, aspettavano il loro turno, c'è un'iscrizione commemorativa. Le guardie lituane erano gli esecutori, i tedeschi i coordinatori e organizzatori del massacro. Gli abiti e i beni depredati alle vittime erano la ricompensa che si prendevano i volenterosi assassini e che, di ritorno a Vilnius, dopo la faticosa giornata lavorativa, barattavano con vodka e danaro con i disponibili abitanti del vicino villaggio. C’è un minuscolo museo in mezzo al parco con foto e documentazioni sulle vittime: il museo risulta aperto quando arriviamo, però dobbiamo suonare il campanello per entrare. Il custode accoglie noi solitari visitatori in canottiera e ciabatte.Adam Smulevich www.moked.it/

giovedì 21 maggio 2009

Blintzes di formaggio


Questo piatto di origine sefardita può essere realizzato sia dolce che salato.INGREDIENTI: Uova (5), farina (2 tazze scarse), acqua (2 tazze scarse), formaggio bianco(350 g), a scelta o zucchero a velo o sale.PREPARAZIONE: Sbattere le uova ed aggiungere la farina e l’acqua. Rendere omogeneo l’impasto e preparare le frittatine in una antiaderente unta con un goccio d’olio.Posare via via le frittatine sopra la carta assorbente per fritti. Poi disporle sopra un vassoio, mettervi il formaggio ed arrotolarle su sé stesse.Friggerle di nuovo per 2-3 minuti e assorbire di nuovo l’olio.A piacere coprirle con zucchero a velo in abbondanza o condirle con sale.Tempo di cottura: 25 minuti. Sullam n.31

Nir Eliau: muro difensivo
Il Giardino dei Giusti
di Claudia Campagnano
Il primo giardino dei giusti al mondo è stato fondato a Gerusalemme allo Yad Vashem, il secondo a Yerevam in Armenia, il terzo a Sarajevo, il quarto nel 2003 in Italia a Milano. Ed è proprio nel giardino milanese che il 5 maggio 2009 sono stati piantati 6 nuovi alberi dedicati ad altrettanti “eroi” che hanno lottato contro i crimini commessi contro l’umanità.Ma chi sono questi eroi o, come preferiamo chiamarli, Giusti? Sono persone semplici che con grande coraggio scelgono di lottare contro gli orrori dell’umanità, così come nel suo bel intervento ci ha ricordato Claudia De Benedetti, vicepresidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane: “I giusti sono la nostra coscienza, fanno cadere tutti gli alibi della malafede o della semplice indifferenza.Hanno dimostrato che di fronte al male c’è sempre un’alternativa, si deve avere il coraggio di scegliere, di dire un sì o un no. Grazie a loro, nell’immane orrore della Shoà, una tenue luce di speranza e di fiducia si è fatta strada. Ricordano a noi tutti che è umano perdonare,mai dimenticare: perché è la memoria, che aiuta a scegliere tra l’indifferenza ed il coraggio, che impedisce il ripetersi di errori nefasti.”Ma non solo gli orrori della Shoà sono stati ricordati a Milano: i giusti, infatti, non sono solo coloro che salvarono gli ebrei durante la seconda guerra mondiale, ma sono tutti queli che,in misura diversa, si sono distinti per il loro coraggio nel salvare vite umane, coloro che hanno scelto di combattere e di non restare indifferenti davanti ai crimini dell’umanità,davanti al negazionismo storico, coloro che hanno difeso a tutti i costi la verità.E allora ecco a chi sono stati dedicati i 6 alberi nel giardino milanese: alla Giornalista russa
Anna Politkovskaja, assassinata nel 2006 per aver denunciato i massacri in Cecenia; all’intellettuale turco di origini armene Harant Dink che ha lottato per costruire un dialogo con
i turchi; all’attivista dei diritti umani in Bosnia Erzegovina Dusko Condor assassinato nel 2007 per aver testimoniato contro i carnefici serbi che avevano brutalmente assassinato 26 musulmani sotto casa sua; al console italiano in Rwanda Pierantonio Costa che salvò 2000 Tutsi; ai 440 giusti italiani della Shoà e all’arabo tunisino Khaled Abdul Wahab che durante la seconda guerra mondiale sfamò e nascose per diversi mesi un gruppo di ebrei.Proprio all’interramento di quest’ultimo albero si può forse attribuire un significato ulteriore, poiché, come ci ricorda Gabriele Nissim, Presidente del Comitato per la Foresta dei Giusti: “E’ un atto di grande significato morale, perché nel mondo arabo e musulmano si preferisce non divulgare di atti di umanità compiuti nei confronti degli ebrei.Per alcuni infatti non è onorevole raccontare episodi di questo tipo nel clima lacerato del conflitto meD-orientale. Faiza (la figlia di Wahab, presente alla cerimonia, ndr) rompe questo tabù con la sua decisione di esporsi pubblicamente. Sta infatti lavorando questi giorni ad un documentario in Tunisia sul gesto del padre con l’obiettivo di farlo conoscere a livello internazionale.”Sarà forse possibile dopo questo primo passo rendere onore anche agli altri giusti arabi che in paesi quali Tunisia, Marocco e Algeria hanno rischiato la loro vita per difendere quella degli ebrei.Lo scopo di questo giardino è quello di onorare ogni anno le figure esemplari della storia mondiale, ma anche quello di ricordarci che il male in tutte le sue forme, anche le più atroci, potrà sempre essere sconfitto, grazie ai “giusti”, persone normali, che con grande coraggio scelgono di combatterlo. Sullam n.31

Yehoshua Kenaz

Incontro con Yehoshua Kenaz ospite del Salone del Libro di Torino

“Io e gli altri” è il filo conduttore scelto per l’edizione 2009 del Salone del Libro di Torino, la “casa comune” di coloro che amano i libri e si confrontano con il piacere della letteratura.E, come dice Ernesto Ferrero direttore editoriale della Fiera, la presenza dell’Egitto come paese ospite d’onore, “al di là del fascino che la sua storia plurimillenaria ha sempre esercitato su di noi, ha anche il senso di un’attenzione più consapevole verso l’Africa e il Medio Oriente: verso gli altri, perché il nostro destino sarà sempre più intimamente legato a loro”.Un’attenzione che conoscono molto bene gli scrittori israeliani che in una quotidianità complessa e spesso contraddittoria si confrontano con l’”Altro”, le sue inquietudini e le sue sofferenze spesso nella comune incapacità di pensare in termini di “noi”.Questo e molti altri sono i temi che affronta Yehoshua Kenaz, lo scrittore israeliano che Elena Loewenthal introduce al Caffè letterario sabato 16 maggio in occasione della presentazione del suo ultimo libro “Paesaggio con tre alberi” edito dalla casa editrice Nottetempo.
Nato a Petah Tikva nel 1937 durante il Mandato Britannico, Kenaz è conosciuto in Italia per romanzi straordinari come Voci di muto amore, La grande donna dei sogni pubblicati da Giuntina e Cortocircuito edito, come il suo ultimo romanzo, da Nottetempo. Considerato uno dei massimi esponenti della letteratura israeliana contemporanea, vincitore nel 1995 del prestigioso premio Bialik, Kenaz è anche traduttore dal francese di Stendhal, Flaubert, Balzac e Simenon.Il tema della convivenza che appassiona lo scrittore israeliano torna nel suo ultimo romanzo, Paesaggio con tre alberi, attraverso il racconto di una famiglia di ebrei provenienti dal Cairo e da poco trasferitisi a Haifa che vivono a fianco dei loro padroni di casa, anch’essi ebrei ma di origini e confessioni diverse, pieni di pregiudizi e paure sullo sfondo della Palestina all’epoca del Mandato britannico.Il punto di osservazione è quello di un bambino il cui sguardo si rivolge con delicata ingenuità ora ai vicini così diversi per abitudini e cultura - dai quali trascorre molto tempo, affascinato dalla loro conversazione e dai loro gusti alimentari “……..è bello sentir parlare e discutere in quella famiglia, ridere con loro anche quando non si capisce quello che si stanno dicendo, scoprire il sapore dei loro cibi sconosciuti…”- ora a un soldato inglese appassionato più di pittura che di arte militare e che passa buona parte del suo tempo cercando di riprodurre al meglio il quadro di Rembrandt che dà il titolo al romanzo.Sarà proprio quest’opera a sancire la nascita di un’amicizia quando Franck, il soldato inglese, regalerà il quadro, frutto del suo impegno e di una costante ricerca di perfezione e bellezza, alla famiglia del bambino. E’ dunque il racconto di un incontro di culture diverse filtrato attraverso gli occhi ingenui di un ragazzino ebreo che vivendo a fianco di una famiglia così diversa dalla propria ne scopre la ricchezza in una lingua e in una cultura affascinanti.Yehoshua Kenaz è un autore capace di portare il lettore all’interno di storie che si incrociano per vie casuali o seguendo il destino. Quando si leggono i suoi romanzi e in particolare “Paesaggio con tre alberi” si è perfettamente coscienti della sua capacità di raccontare i misteri di luoghi intimi e cioè l’intimità di qualcosa che sta racchiuso in una casa e attraverso essa si coglie il mistero stesso della vita e delle grandi scelte che occorre fare.Il coinvolgimento per il lettore è totale e, quasi sentendosi un intruso nella vita altrui, è completamente travolto dalla magia della storia stessa di cui si sente parte integrante. Analizzando il rapporto tra il lavoro di traduttore e quello di scrittore, Kenaz afferma di non sentirsi influenzato dall’autore che sta traducendo in quanto cerca di entrare nella sua mente e nel suo stile, mentre quando scrive l’attenzione è rivolta alla propria interiorità. (“Cerco di immedesimarmi in me stesso”).E, come sottolinea Elena Loewenthal traduttrice e scrittrice lei stessa, “la traduzione è un lavoro di artigianato, una sorta di confronto fra la parola che incontro e quella in cui debbo condurre un testo”.Moltiplicare i personaggi è un’altra straordinaria capacità di Yehoshua Kenaz : sia che si tratti di personaggi principali o di comparse i suoi protagonisti sono figure complete. Nei suoi romanzi non c’è la figura appena abbozzata e anche se si tratta di un comprimario che si colloca in una scena molto breve e poi l’abbandona per non farvi più ritorno, lo scrittore israeliano costruisce tutti i suoi personaggi con grande perizia.Alla domanda di Elena Loewenthal di quale sia il segreto per trasformare ciò che ha sotto la pelle in una tale varietà di colori, di suoni e di voci, Kenaz risponde che, nonostante la sua non più giovane età, non ha la minima idea delle ragioni che stanno alla base della scrittura e della lettura; probabilmente è ascrivibile ad una sorta di dovere che si avverte dentro se stessi, un sentimento profondamente intimo.“Ci sono tante cose che non capisco – continua Yehoshua Kenaz – soprattutto in ciò che scrivo. Nella traduzione invece è tutto più facile: recentemente ho tradotto dieci novelle di Simenon, uno scrittore francese che considero un genio, e ho trovato questo lavoro semplice in quanto mi sono limitato a scrivere mettendomi nei panni dell’autore, come se fosse Simenon stesso a scrivere in ebraico”.Quando invece interpreta il ruolo di scrittore, Kenaz sente di avere una storia nella mente che lascia “passeggiare” fino a che non giunge il momento di sedersi e metterla su carta. “A questo punto cerco di descrivere le persone alle quali ho pensato, il loro modo di parlare e di agire e alla fine mi trovo dinanzi ad un nuovo romanzo o a una novella. E quando dopo diverso tempo debbo rileggere ciò che ho scritto, ad esempio per una nuova edizione del romanzo, rimango piacevolmente colpito dalla bellezza di quelle pagine”.Per quanto riguarda la presenza di elementi autobiografici nella sua opera, lo scrittore israeliano sottolinea che in tutto ciò che scrive esiste una sorta di nucleo, di centro autobiografico che ovviamente si sviluppa con il tempo e attorno ad esso l’arte letteraria costruisce e dà vita a quello che prima era racchiuso nella sua mente; si tratta di esperienze legate all’infanzia, alla giovinezza oppure alle persone che ha conosciuto e che avevano qualcosa di interessante da raccontare.
“A mio parere è proprio questa la vera avventura letteraria: inserire qualche elemento autobiografico nella narrazione creando attorno un tessuto di avvenimenti e personaggi”.Un elemento che incuriosisce nell’incontro con Yehoshua Kenaz è che, a differenza di molti autori israeliani che hanno un rapporto privilegiato con la letteratura russa oppure con quella tedesca o anglosassone, si coglie in lui una profonda conoscenza della cultura francese, un percorso culturale che lo porta a fare da ponte fra la letteratura francese e quella italica.La ragione è da ricercarsi negli anni della sua giovinezza quando decise di iscriversi ad un corso alla Sorbona sulla civilizzazione francese; in questi due anni Kenaz ha avuto l’opportunità di scoprire la sua vocazione di scrittore e entrare in contatto con la letteratura francese: “un incontro che ha rappresentato un vero shock dal quale non mi sono ancora liberato e che continua ad accompagnarmi ancor oggi”. Una delle voci più alte della narrativa israeliana, Yehoshua Kenaz è uno scrittore che Elena Loewenthal invita a leggere con “riverenza” per poter apprezzare e subito dopo amare intensamente i suoi romanzi. Giorgia Greco