sabato 4 dicembre 2010


LG Star, arriva il primo video hands-on

E dopo avervi mostrato le prime foto del nuovo agitatore di scimmie Androidiane, l’LG Star*, ecco arrivare il primo video. Sembra che il primo paese a ricevere lo Star sarà Israele che così assurge a paese privilegiato; nello stesso articolo abbiamo visto quali sono le caratteristiche tecniche principali. Non resta che sperare, ammesso che l’Italia sia fra i paesi deputati a ricevere questo terminale, che l’OS on board sia GingerBread e non l’annunciato FroYo. 1 dicembre 2010 http://www.ilbloggatore.com/
*Il nuovo smartphone LG Star basato su sistema operativo Android e piattaforma Nvidia Tegra 2 si è svelato finalmente online nei forum degli appassionati. Le immagini trafugate mostrano un design piuttosto classico e uno schermo WVGA con touch-screen capacitivo. Da rilevare la presenza dell'interfaccia HDMI e la fotocamera.


Marek Rosenbaum
AUDIOVISIVO: FRANCIA E ISRAELE, RAFFORZARE COOPERAZIONE

(ANSAmed) - PARIGI, 29 NOV - Gia' legate dal 2002 da un accordo di cooperazione bilaterale che ha portato alla realizzazione di oltre 30 coproduzioni, tra cui ''Valzer con Bashir (Oscar 2009 per il miglior film straniero), Francia e Israele hanno intenzione di rafforzare la loro collaborazione nel campo della televisione e del cinema, stando ai partecipanti ai primi Incontri audiovisivi franco-israeliani organizzati a Tel Aviv dall'ambasciata di Francia, primo investitore straniero in Israele nel settore cinematografico.Una trentina di produttori, sceneggiatori e registi francesi hanno aderito all'appuntamento con colleghi israeliani, tra cui il regista Eytan Fox e lo scrittore arabo israeliano Sayed Kashua. Tra i tanti, Jerome Clement ha sottolineato che Arte, la rete franco-tedesca da lui presieduta, ha coprodotto 19 film israeliani, e ha poi scherzando proposto di ''mettere l'esperienza di Arte, un canale tv franco-tedesco nato dopo due guerre sanguinose, a disposizione per la creazione di una televisione israelo-palestinese''. La produttrice Fabienne Servan-Schreiber ha dichiarato che ''il cinema israeliano e' un esempio di energia e di talenti''.Da parte sua, Marek Rosenbaum, presidente dell'Accademia del cinema israeliano, ha sottolineato che il suo Paese ''ha un grande debito verso la Francia che ha molto contribuito allo sviluppo del cinema israeliano'', ricordando che un terzo dei film di fiction sono coprodotti con la Francia.All'inizio di novembre Francia e Israele hanno firmato un accordo per favorire l'accesso dei film israeliani al Fonds Syd, un fondo di appoggio alla creazione cinematografica del Centro nazionale della cinematografia e dell'immagine animata al fine di accrescere le coproduzioni tra i due Paesi.(ANSAmed).


Una serie di foto impressionanti che aiutano a capire la portata della tragedia che si sta compiendo sul Monte Carmelo: http://www.ilpost.it/2010/12/03/incendio-israele/


i regnanti della Giordania
Nuovo collegamento ferroviario tra Israele e Giordania
An-Nasira (Nazareth) - InfoPal. 2.12.2010
Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha annunciato l'avvio di nuovi progetti per il collegamento transfrontaliero.Dal prossimo anno, il porto di Haifa e l'area di Beisan saranno collegate con la Giordania.La notizia è stata resa pubblica da Netanyahu in occasione dell'inaugurazione del tunnel al-Karmel, nei Territori palestinesi occupati nel '48 (Israele, ndr). I propositi di creare un collegamento che agevolasse relazioni e scambi tra i due Paesi erano già stati manifestati cinque anni fa, in un incontro tra i rispettivi ufficiali, quando si auspicò un treno tra Haifa e la Valle del Giordano.Il Re 'Abdallah II di Giordania avrebbe dato la propria disponibilità a creare ulteriori collegamenti ferroviari tra Eilat, Ashdood e 'Aqaba.Tra le altre cose, i due Paesi hanno anche posto la firma di un partenariato nell'industria aerea per potenziare i trasporti aerei (fino a 13 voli a settimana, potenziando pure quelli cargo), ed hanno stabilito un calendario che prevede incontri ogni semestre.


uno dei terroristi di Monaco
La stampa di parte allontana la pace

Editoriale del Jerusalem Post http://www.israele.net/
Il quinto Consiglio Rivoluzionario di Fatah, che si è tenuto a Ramallah alla fine di novembre, non è iniziato sotto i migliori auspici. I partecipanti hanno aperto i lavori celebrando in modo speciale il “martire” Amin al-Hindi, uno dei mandanti del massacro degli undici atleti israeliani alle Olimpiadi di Monaco del 1972, deceduto all’inizio di quest’anno. Ciò che è seguito è stato uno sfoggio di intransigenza da parte dei 120 membri del “congresso” che dovrebbe rappresentare l’opinione “moderata” palestinese, in quanto opposta all’estremismo di Hamas che invoca apertamente l’uso della violenza per determinare la fine di Israele. Dopo due giorni di convegno, Fatah, che costituisce la spina dorsale della dirigenza dell’Autorità Palestinese, ha proclamato un sonoro “no” al compromesso, smorzando ulteriormente le già tenui speranze in una pace negoziata con Israele.Il Consiglio di Fatah ha respinto in modo sprezzante il riconoscimento del “cosiddetto stato ebraico” e di uno “stato razzista basato sulla religione”. Ha riaffermato il “diritto al ritorno” che, se attuato, porterebbe alla fine della maggioranza ebraica all’interno della Linea Verde pre-67 permettendo a circa quattro milioni di profughi palestinesi e loro discendenti di insediarsi all’interno di Israele. Scartati allo stesso modo anche eventuali scambi territoriali nel quadro di un accordo di pace. Stando a quanto deciso dal Consiglio di Fatah, i grandi blocchi di insediamenti in Giudea e Samaria (Cisgiordania) come Gush Etzion e Ma’aleh Adumim, posti appena al di là della Linea Verde su non più del 5% della Cisgiordania e dove vive l’80% degli ebrei di Cisgiordania, dovrebbero essere sradicati e tutti i loro abitanti espulsi. “Le bande di coloni illegali – proclama Fatah – non possono essere messi sullo stesso piano dei possessori di terre e diritti”.In pratica sono state respinte tutte le intese fra Israele e Stati Uniti a partire dai “parametri di Clinton” del dicembre 2000, fino alla dichiarazione del presidente George Bush secondo cui qualunque accordo di pace permanente deve rispecchiare la realtà demografica della Cisgiordania. Con un comunicato che suona più come una chiamata alle armi, Fatah ha sostanzialmente enunciato la propria determinazione a insidiare l’esistenza dello stato ebraico in ogni modo possibile a parte rilanciare apertamente la lotta armata.L’enunciazione da parte del Consiglio di Fatah di una posizione così estremista comporta implicazioni di vasta portata per i negoziati israelo-palestinesi. Ecco perché il servizio del corrispondente per gli affari palestinesi Khaled Abu Toameh sulle decisioni del Consiglio è stato pubblicato sulla prima pagina del Jerusalem Post, domenica scorsa. Curiosamente, invece, la maggior parte delle testate d’informazione sia locali che internazionali finora hanno accuratamente evitato di riportare i proclami intransigenti di Fatah. Quegli stessi mass-media che solitamente scattano con solerzia e grande spazio per qualunque passo intrapreso da Israele che venga percepito come un ostacolo al processo di pace, trovano del tutto normale passare sotto totale silenzio le decisioni di Fatah, abituati come sono a minimizzare o ignorare del tutto l’istigazione e l’intransigenza da parte palestinese.Lo scorso 24 novembre, ad esempio, sempre il Jerusalem Post è ha riportato per primo la notizia dello stravagante “saggio” del vice ministro dell’informazione dell’Autorità Palestinese in cui si sosteneva che il Muro Occidentale (del pianto), chiamato dai musulmani Muro Al- Buraq, costituirebbe proprietà esclusiva del Waqf (la Custodia del patrimonio islamico inalienabile) e che “l’occupante sionista pretende falsamente e ingiustamente che tale muro gli appartenga”. Solo alcuni giorni più tardi pochi altri mass-media hanno ripreso la notizia. Molti non l’hanno riportata affatto.Analogamente, un sondaggio commissionato da Israel Project che mostrava l’atteggiamento altamente ostili da parte dei palestinesi verso Israele è stato a mala pena notato dai mass-media quando è stato pubblicato, il mese scorso. Secondo quel sondaggio, due terzi dei palestinesi che vivono in Cisgiordania e nella striscia di Gaza concordano con l’affermazione: “Nel corso del tempo i palestinesi devono adoperarsi per riprendersi tutta la terra per lo stato palestinese”. Il 60% degli intervistati dice che “il vero obiettivo deve essere quello di iniziare con due stati, ma poi passare all’esistenza di unico stato palestinese”. Il 56% concorda con l’affermazione: “Dovremo di nuovo fare ricorso alla lotta armata”.Quando giornalisti e direttori non danno il giusto peso e il giusto spazio alle notizie sull’estremismo e sull’intransigenza palestinesi contribuiscono a perpetuare i pregiudizi contro Israele. Il giornalismo distorto non è solo un tradimento della professione e di coloro che su di essa fanno affidamento: in questo caso costituisce anche un danno concreto al processo di pace, giacché dà una rappresentazione insostenibilmente deformata di una urgenza di compromesso da parte della dirigenza e della popolazione palestinese, condannando così al fallimento le speranze in autentici progressi negoziali.I palestinesi devono ammettere la legittimità dei diritti degli ebrei ad una sovranità in questo lembo di terra se si vuole che abbraccino la necessità di un compromesso, e in questo modo si incamminino sulla strada verso la pace. Tale processo di riconoscimento richiede un discorso onesto da parte della dirigenza palestinese. Il che a sua volta richiede che la comunità internazionale, in primo luogo, comprenda con esattezza la natura dell’attuale ostilità palestinese verso la nozione stessa di un legittimo stato di Israele; e in secondo luogo che persuada la dirigenza palestinese della necessità di un cambiamento. Quanto sia importante questa impresa è emerso con perfetta chiarezza nel recente Consiglio Rivoluzionario di Fatah. Peccato che la maggior parte del mondo non ne abbia saputo nulla.(Da: Jerusalem Post, 29.11.10)



Mark Ivanir
'Il responsabile delle risorse umane', lezione di cinema da Israele

Il regista Eran Riklis riprende l'omonimo romanzo di Abraham Yehoshua
Un film fatto bene si riconosce dalle prime battute. E’ questo il caso de "Il responsabile delle risorse umane", del regista Eran Riklis, che riprendendo l'omonimo romanzo del celebre scrittore israeliano Abraham Yehoshua da vita a un intreccio di personaggi, luoghi e situazioni coinvolgenti e mai banali. Stranezze, idiozia, egoismi e generosità degli uomini vengono messi in luce attraverso le azioni, passando attraverso ai sentimenti e scavando bene, senza lasciare niente in sospeso.Una donna perde la vita in un attentato terroristico nel cuore di Gerusalemme. Julia, straniera, sulla quarantina. Queste le sole informazioni su di lei. Insieme a una busta paga dell’azienda per la quale lavora, un panificio, trovata nei suoi effetti personali. La stessa azienda che a distanza di una settimana non si é nemmeno accorta della sua scomparsa. Chi ha la colpa di questa "crudele" mancanza di umanità? Chi deve pagarne le conseguenze e fare in modo che il polverone scatenato si plachi? La stampa locale, maligna e in cerca di qualcuno da attaccare, si scatena contro il responsabile delle risorse umane. Un uomo onesto, dedicato, una persona per bene. Non conoscendo la donna, il RRU si documenta sul suo conto, per scoprire che in realtà da qualche mese non lavorava neanche piu’ per il panificio. La situazione scotta e tocca a lui risolverla. La bara della donna deve essere riportata a casa, altrimenti i guai saranno tanti. La buonafede – superata l’iniziale riluttanza – del RRU si scontra non solo con le malelingue dei giornalisti, ma anche e soprattutto con la poca fiducia della ex-moglie, che lo rimprovera di non essere mai abbastanza presente. Ma il RRU ha l’obbligo morale di portare a termine la missione. Cosa puo’ comportare d’altronde? Solo due giorni, un viaggio andata e ritorno poco impegnativo, giusto in tempo per mettere a posto le cose e accompagnare al ritorno, come promesso, l’amata figlioletta in gita, senza deluderla.Naturalmente le cose andranno diversamente, e gli incidenti di percorso saranno tanti. Un viaggio improbabile, tra furgoni tutti rotti guidati da vice-consoli raccomandati e senza patente, bigotti e ignoranti abitanti di paesini sperduti della fredda Russia, ragazzini - il figlio adolescente di Julia - selvaggi e difficili da approcciare.L’attore Mark Ivanir dà una grande prova di talento, protagonista assoluto si fa carico di tutte le sue responsabilità e ci fa credere nel suo personaggio dall’inizio alla fine. Un uomo onesto, carismatico, professionale sul lavoro, affettuoso e presente nonostante gli ostacoli con le donne della sua vita. Un uomo determinato, che decide di portare a termine qualcosa e che riesce a dare prova alla fine di quell’immensa umanità che era stata pericolosamente messa in dubbio.Sorprendente nella fluidità e semplicità con cui avviene é il progressivo aumento della carica emotiva del film. La forzata convivenza tra i personaggi diventa uno scambio, un modo per conoscersi e superare gli ostacoli dati dalle differenti età, culture, attitudini di ognuno. Si sviluppa pian piano, in particolare, un profondo legame d’affetto tra il RRU e il difficile figlio della donna, risultato di un lungo processo di conquista della fiducia reciproca e di riconoscimento della bellezza interiore dell’uno e dell’altro.I personaggi sono ben strutturati, studiati, limpidi dall’inizio, ognuno nel suo, personalissimo modo. C’è il giornalista indisponente e onnipresente con la sua macchina fotografica, la signora console truffaldina e furba nel curare solo il proprio interesse. C’è Julia, nella sua bara, unico personaggio di cui si conosce il nome, e l’unico di cui non si sa niente allo stesso tempo. Nulla è fuori posto né di troppo. A fare da cornice una moltitudine di location che sembrano quasi improvvisate nella loro unicità, e soprattutto una sceneggiatura intrigante, completa, ricca di dialoghi arguti, che rende giustizia al romanzo da cui è tratta.Una riflessione sugli uomini, la loro umanità e la loro malafede. Un delizioso contributo di Israele al cinema. Da vedere, e gustare.2/12/2010 http://www.voceditalia.it/


Israele lotta contro incendio, arrivati primi aiuti

TIRAT CARMEL, Israele (Reuters 3 dicembre) - Mezzi antincendio sono arrivati oggi in Israele da quattro Paesi per aiutare a spegnere le fiamme di un vasto incendio che minaccia la città settentrionale di Haifa e in cui finora hanno perso la vita almeno 40 persone.Aiuti sono attesi in giornata da molti altri Paesi, mentre Israele lotta per contenere l'incendio, il più grave della sua storia, che ha distrutto foreste, case e costretto a evacuazioni di massa mettendo in luce falle nei servizi di emergenza."Gli incendi non sono ancora sotto controllo e i forti venti stanno peggiorando le cose", ha detto a Radio Israele il capo dei vigili del fuoco, Shimon Romah.Ieri sono stati mobilitati tutti i pompieri in Israele per combattere l'incendio, che sarebbe iniziato in una discarica illegale. Ma i mezzi a disposizine non erano quelli necessari.Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha detto recandosi nella zona dell'incendio che Israele è alle prese con un "disastro di dimensioni mai viste prima".Aiuti sono arrivati da Bulgaria, Giordania, Grecia e Gran Bretagna. Stanno giungendo anche aerei da Cipro, Turchia e Russia, mentre la Francia sta inviando dei materiali.


Eritrei rapiti nel Sinai: necessario intervenire con urgenza

Dichiarazione dell'On. Fiamma Nirenstein (Pdl), Vicepresidente della Commissione Esteri della Camera
"Il dramma dei profughi eritrei in ostaggio nel deserto del Sinai da parte di bande di trafficanti criminali continua a degenerare: ora sembra che gli aguzzini vogliano espiantare i reni di alcuni degli ostaggi per pagare così il loro "riscatto". E' davvero necessario intervenire con urgenza perché già nei giorni scorsi i predoni hanno assassinato sei prigionieri e ora minacciano di ucciderne altri. E' indispensabile che le istituzioni si mobilitino per salvare la vita di queste vittime della violenza e apprezzo l'azione dell'Italia preannunciata dall'On. Margherita Boniver, volta a fare pressioni sul governo egiziano per localizzare i profughi e intervenire".


L'Italia sta mandando tonnellate di materiale anti-incendio per aiutare Israele

Dichiarazione dell’On. Fiamma Nirenstein (Pdl), Vicepresidente della Commissione Esteri della Camera
“Esprimo la mia soddisfazione per la risposta italiana alla richiesta di aiuto israeliana per far fronte alla terribile tragedia dell’incendio che sta devastando il Monte Carmelo, nel nord d’Israele. Il nostro Paese sta già mandando infatti ingenti quantità di FireTroll, un materiale per spegnere incendi di cui Israele si trova in assoluta necessità al momento, avendone esaurite le scorte. Israele si trova di fronte a una autentica catastrofe rispetto al numero di feriti, alla tragedia della perdita di vite umane e alla rovina ambientale delle foreste e dei villaggi del Carmelo, di cui tutta la comunità internazionale deve sentirsi investita rispondendo con gesti di viva e concreta solidarietà”.


La nuova guerra di Gerusalemme scoppia per il Muro del Pianto

Il Giornale, 3 dicembre 2010, di Fiamma Nirenstein
L’Autorità nazionale palestinese fa suo uno studio che nega l’origine del sito sacro agli ebrei. E fa marcia indietro solo dopo le proteste internazionali. La reazione Usa non ferma però le nuove pretese di Abu Mazen sui Territori.Era una bugia troppo insopportabile perché reggesse. Era scritta sul sito dell’Autorità palestinese da mercoledì della scorsa settimana: il Muro del Pianto, la meta per eccellenza degli ebrei di tutto il mondo, che nei millenni gli ebrei, sfidando i più micidiali pericoli, non hanno mai mancato di presidiare come la pietra delle loro identità stessa, bagnandolo con le loro lacrime; carezzandolo come una persona cara; ricordandone, come è scritto nella Bibbia e come gli archeologi hanno certificato, la storia di muro occidentale del monumento grandioso distrutto dai Romani nel ’70 dopo Cristo, lo stesso cui Gesù fu condotto in pellegrinaggio da Maria e Giuseppe... beh, è tutta un’invenzione degli ebrei. In realtà, dice il sito palestinese, è il muraglione delle Moschee cui Maometto, nel suo volo verso “la città lontana” come è scritto nel Corano che non nomina Gerusalemme, legò il suo cavallo Al Buraq con cui volò poi verso il Cielo.Il sito ufficiale dell’Autorità Palestinese ha fatto sua una “ricerca” di cinque pagine a cura di Al Mutawakil Taha, viceministro dell’informazione, poeta e studioso. Scardinando secoli di documentazione e di amore verso il primo luogo ebraico di culto (se fosse stato negato così un sito islamico ora tutti i musulmani del mondo farebbero una rivoluzione mondiale) e ignorando anche i gesti di rispetto dei cristiani, come quello di Papa Giovanni Paolo II che nel Muro, secondo la tradizione ebraica, pose un bigliettino di preghiera, il sito ufficiale palestinese ha ospitato Taha. Ha fatto cioè proprio il negazionismo sulla città di Gerusalemme che delegittima Israele, negandovi la presenza ebraica. «Il muro del Pianto non è mai stato parte di quello che è chiamato il Tempio Ebraico - afferma il rapporto - ed è stata semmai la tolleranza islamica a permettere agli ebrei di pregare e piangere là davanti».La posizione negazionista nei confronti della storia ebraica di Gerusalemme è un’invenzione vecchia. Fu Arafat a tirare fuori per primo l’insostenibile menzogna che gli ebrei erano novellini dalle sue parti. Lo fece con convinzione, con voce flautata, e molti gli hanno voluto credere. Eppure gli ebrei non se ne erano mai andata dalla loro patria originaria, specie da Gerusalemme, anche quando romani, crociati, arabi davano loro la caccia. E vi hanno rappresentato per tutto il 19esimo secolo, pur sotto i turchi, la maggioranza. Bill Clinton, a Camp David, quando Arafat ammiccò dicendo che tutti sanno che gli ebrei non hanno a che fare col Monte del Tempio, gli intimò, letteralmente, di piantarla con quella menzogna pena l’interruzione dei colloqui di pace. Ma Arafat ne fece un cavallo di battaglia e i suoi uomini non hanno perso occasione di cavalcarlo.Stavolta si intravede però un ripensamento obbligato. Il sito ufficiale dell’Autorità palestinese ha cancellato lo “studio” di Taha perchè il governo americano non ha sopportato l’odiosa balla e lo State Department ha fatto sapere che «rifiuta completamente quei commenti come contrari ai fatti, insensibili, altamente provocatori...». Il presidente della commissione esteri del parlamento, Howard Berman, ha chiesto al presidente Abu Mazen e al primo ministro Salam Fayyad di denunciare al pubblico l’errore. Una reazione che ha portato al risultato della cancellazione del testo e ci insegna che l’odio potrebbe talvolta essere domato.Ma nessuno ha reagito, invece, quando a Ramallah, lo scorso fine settimana, il Quinto Consiglio Rivoluzionario di Fatah, il partito dei moderati, la spina dorsale di Abu Mazen, ha dato il via ai lavori onorando il defunto Hamin Al Hindi, uno dei capi della strage delle Olimpiadi di Monaco del 1972 in cui furono uccisi senza pietà 11 atleti israeliani. Fatah ha anche preso una serie di decisioni che è molto difficile descrivere come moderate: è stata rifiutata la richiesta israeliana di riconoscere Israele come stato del popolo ebraico, chiamandolo stato razzista; è stato ribadito il “diritto al ritorno” dei profughi del ’48 e del ’67 con i loro discendenti, contando fino a 4 milioni e oltre i palestinesi che dovrebbero stabilirsi in Israele; è stato rifiutato il classico “swap”, lo scambo di circa il 5% dei territori che consentirebbe di dare ai palestinesi, con l’aggiunta di zone omogenee, l’equivalente di tutta la Cisgiordania, conservando a Israele le zone densamente popolate da suoi cittadini, un punto presente in tutti gli accordi.Insomma, l’Autorità palestinese sembra muoversi verso la rottura con Israele e la dichiarazione unilaterale dello Stato. Una scelta molto estrema, di cui nessuno parla, mentre la questione del famoso “freeze” delle costruzioni nei territori è continuo banco di prova per misurare la moderazione di Bibi Netanyahu, il solito reprobo.

venerdì 3 dicembre 2010


Di Caprio, da Israele al Monferrato

L'attore americano pensa di comprare un terreno in territorio israeliano per costruirvi una casa. Ma nel frattempo opziona un castello in Piemonte
Statunitense di origine, israeliano d’adozione. Il bel volto del cinema made in Usa, Leonardo Di Caprio, ha dichiarato- a detta del quotidiano Israel Hayom - di voler acquistare un terreno in Israele e costruirvi una casa, dove andare a vivere con la bellissima fidanzata e modella israeliana Bar Refaeli.I due - lui 36 anni, lei 25 - in previsione del matrimonio, che si celebrerà forse l’anno prossimo, hanno deciso di andare a vivere al sud o al nord del Paese, evitando così il centro, dove vivono i genitori della top model. Ma nel frattempo, Di Caprio ha opzionato per tre mesi il Castello di Camino, il simbolo della terra Monferrina, in Piemonte vicino Alessandria, un tempo assai ricca di torri e di castelli andati per la maggior parte distrutti nelle guerre di successione ai ducati di Mantova e del Monferrato. Risalente al 1100, questa dimora è composta da più strutture di circa 5mila metri quadrati coperti e 160mila metri quadrati di terreni di cui una parte a parco, una a vigna e una fabbricabile. Al Castello inoltre sono abbinate una foresteria e un’azienda agricola. La cifra? «Top secret» come afferma Alessandro Proto della società finanziaria Alessandro Proto Consulting che si occupa della trattativa. Ma, è certo, si parla di oltre 20 milioni di euro.«È stato molto cordiale e informale- continua Proto- ha dichiarato che i paesaggi italiani sono unici al mondo e si è anche preoccupato per gli alluvionati del Veneto in quanto all'inizio la richiesta era su un immobile a Verona, ma purtroppo non abbiamo trovato nulla che rispondesse alle sue esigenze a differenza di questo castello in Piemonte».http://temi.repubblica.it/

Israele promuove la costruzione del primo casinò del Paese

Martedì 30 Novembre 2010 http://www.focusmo.it/economie-nazionali/
Il Ministro del turismo di Israele Stas Misezhnikov ha parlato dell’intenzione del Governo di promuove la costruzione del primo casinò del Paese e di un centro congressuale nel sud d'Israele, per incentivare, dal punto di vista economico e sociale, lo sviluppo delle aree geografiche considerate più deboli. Una Commissione ministeriale ne sta ora valutando la fattibilità.



kibbutz Nir David anni '40
Aumentano le esportazioni israeliane ad eccezione dell'Europa

Martedì 30 Novembre 2010 http://www.focusmo.it/
Le esportazioni di merci e beni israeliani verso Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna hanno perso, in tutto, 17.3 punti percentuali (in termini di milioni di dollari) nel terzo quarto del 2010 rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. A lanciare l’allarme è l’Istituto israeliano per le esportazioni. «La crisi del debito in Irlanda e Grecia – ha spiegato il direttore, Avi Hefetz – pende come una spada di Damocle su Portogallo e Spagna: e le esportazioni israeliane ne hanno risentito duramente in questi ultimi mesi».A incidere sull’andamento dell’export sono stati, in particolare, «le riduzioni nelle richieste di forniture e scorte da parte degli importatori di questi Paesi europei, ma anche alcune misure precauzionali prese in risposta alla crisi e all’aumento del grado di rischio di questi mercati». Ad eccezione dei diamanti (settore particolare, per cui è necessario tenere conto di altri fattori), il valore complessivo delle esportazioni nel periodo considerato è sceso a 299 milioni di dollari, contro 361 milioni del 2009: ovvero, un crollo del 17.3%. Al contempo, nel terzo quarto dell’anno in corso il dollaro ha perso il 10% rispetto all’euro: «Anche questo – aggiunge Hefetz – ha contribuito ad accelerare la crisi delle esportazioni verso parte del vecchio continente». Crisi a cui però – come sottolineano sempre dall’Istituto nazionale per le esportazioni – fa da contraltare un aumento delle esportazioni in generale. Male dunque verso le quattro nazioni europee, a oggi le più fragili, ma bene nel resto del mondo, dove l’export israeliano ha registrato nello stesso intervallo di tempo una crescita dell’11%. «La crisi irlandese e le sue conseguenze – hanno scritto gli economisti Mike Harrison e Simon Samuels di Barclays in un resoconto – sono tra le prime preoccupazioni degli investitori, che guardano con timore soprattutto all’economia spagnola, dove anche la primavera 2011 si annuncia delicatissima. Le sfide che la Spagna dovrà fronteggiare restano sostanziali, e numerosi punti di domanda appaiono ancora lontani dall’avere una risposta». L’Istituto israeliano ha poi qualche parola anche per l’Italia, nei cui confronti gli analisti si dichiarano «molto più ottimisti», in ragione del «solido sistema bancario».


La beffa di Tehran

Davvero singolare la notizia riportata dalle agenzie internazionali e acquisita da quello strumento potentissimo che risponde al nome di Google maps in grado di trasformare chiunque in un potentissimo spione.
Accade ,dunque, che, quasi per una sorta di beffardo e divertente contrappasso, sul tetto di un edificio facente parte del complesso aeroportuale di Teheran, capitale della repubblica islamica iraniana, sia ben visibile dall’alto una stella di Davide, noto simbolo dello stato di Israele.Il tutto si spiega con i rapporti non esattamente conflittuali che intercorrevano tra il regime persiano dello Scià Reza Pahlevi ed il Governo di Tel Aviv. Ovviamente ci si riferisce agli anni ’70, data della progettazione dell’edificio cui sovrintesero architetti israeliani e che decisero di lasciare, per così dire, il marchio di fabbrica della propria opera.Così, per decenni, nonostante la crescente retorica antisemita del regime fondamentalista iraniano e gli anatemi truculenti del Presidente Ahmadinejad, chi avesse per avventura aguzzato lo sguardo verso il basso in fase di atterraggio avrebbe potuto scorgere la traccia dell’arcinemico.Resta inspiegabile come le autorità locali non abbiano provveduto a rimuovere il tutto. La spiegazione ufficiale fornita è quella della mancata conoscenza, ma aleggia il sospetto che si volesse evitare una figuraccia colossale per il regime. Tentativo fallimentare visto lo scherzetto giocato dal motore di ricerca più diffuso del mondo. Che ci dimostra quanto qualsiasi dittatura abbia, per nostra fortuna, un grado di ottusità ed incompetenza assai sviluppato.http://lasentinelladellalaicita.wordpress.com/


Festival Cairo,Binoche invoca pace in MO

L'attrice francese presenta 'Copia Conforme' di Kiarostami
(ANSA) - IL CAIRO, 1 DIC - Conflitto in Medio Oriente, relazioni internazionali, ecologia, rapporti uomo-donna. E' con una veste impegnata che Juliette Binoche ha scelto di presentarsi al Festival del Cinema del Cairo, dove presenta 'Copia conforme' di Abbas Kiarostami. ''E' impossibile rimanere inermi dinnanzi alle sofferenze dei palestinesi - ha detto - Tutti dovrebbero fare di piu' in favore delle due parti in causa e per la pace. E la Francia, in particolare, dovrebbe fare qualcosa in piu' in favore di Israele''.



Haifa
Radwin: l’Italia ci interessa

Per Radwin ( apparati wireless per le telecomunicazioni israeliana) crescita e potenzialità del mercato italiano impongono una presenza diretta

Radwin opera da poco con una propria presenza diretta in Italia. Il vendor è specializzato nella fornitura di tecnologia per l’implementazione di collegamenti wireless punto a punto di backhauling e di accesso per operatori a frequenze inferiori ai 6GHz. Il quartier generale della società è in Israele. Appartenente al gruppo RAD, l’azienda ha aperto un ufficio a Napoli guidato da Franco Errico in qualità di country manager per l’Italia e la Spagna. A questo punto , grazie anche alla collaborazione con il distributore Elmat di Padova, l’ufficio italiano di Radwin potrà contare su 10 risorse di supporto alle vendite e su un team tecnico per assistere partner e clienti locali. L’obiettivo è di espandere e rendere ancora più capillare la rete di integratori di sistemi in grado di proporre e installare le soluzioni Radwin nei vari mercati verticali in tutta Italia. Ma sono già molti i progetti basati sulla tecnologia della società realizzati in Italia attraverso gli attuali partner per clienti del settore pubblico e privato.“Il mercato italiano ha un grosso potenziale di crescita. La nostra tecnologia può ad esempio aiutare i carrier a rendere disponibile a bassi costi di implementazione l’accesso anche in aree rurali, piccoli comuni, zone di montagna in genere non coperte da questi servizi. La presenza diretta di Radwin in Italia ha l’obiettivo di fornire ulteriore supporto a clienti e partner operanti nelle varie regioni, primo fra tutti il distributore Elmat, che gestisce una rete di system integrator operanti su tutto il territorio nazionale”, ha commentato Hanoch Maskalchi, General Manager EMEA di Radwin. 1 dicembre 2010 http://www.eweekeurope.it/


Si fa presto a dire confini

Di Elisha Efrat http://www.israele.net/
La richiesta fatta dagli americani al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu di indicare i confini di un futuro stato palestinese – e di specificare la percentuale di Cisgiordania da cui Israele si ritirerebbe per permetterne la creazione di tale stato – non ha ancora ricevuto ufficialmente una risposta pubblica. È una domanda a cui in effetti è difficile dare una risposta, giacché solleva a sua volta la questione di quali sarebbero esattamente i principi a attenersi nello stabilire tali confini.L’avvio di negoziati sui confini è di estrema importanza. Il confine è una creazione artificiale dell’uomo stabilita da una popolazione per dare espressione alla propria sovranità – e alle proprie aspirazioni territoriali – sulla propria terra. Il confine influenza direttamente la vita di coloro che vivono lungo di esso, ed è spesso molto più importante del percorso lungo cui viene fissato. Il confine trasforma il territorio in esso compreso in un diritto di nascita, organizza la rappresentazione pubblica della sovranità, crea una connessione fra una nazione e il suo territorio.Nel caso dello stato palestinese, questi non sarà in grado di iniziare a edificare se stesso finché non saranno fissati e accettati i suoi confini. Il futuro confine fra Israele e Palestina deve essere tracciato nella prospettiva della fine del conflitto mediorientale. Pertanto occorrerà che sia basato il più possibile su caratteristiche topografiche chiaramente visibili sul terreno. Inoltre, indipendentemente dal suo esatto percorso definitivo, il confine concordato dovrà anche essere riconosciuto dalla comunità internazionale.Esistono diverse opzioni generali che si possono adottare per tracciare la futura frontiera internazionale: la Linea Verde (vale a dire, ex linea armistiziale fra Israele e Giordania in vigore dal 1949 al 1967), con la possibilità eventuale di modifiche minori; ovvero seguire la barriera di separazione difensiva edificata fra Israele e Cisgiordania, che modifica significativamente la Linea Verde prevedendo l’inclusione in Israele dei maggiori blocchi di insediamenti; infine, scambi di terre che tengano conto degli sviluppi geografici e demografici intervenuti dopo il 1967.Ma ci sono alcuni altri criteri essenziali da tenere presente nel determinare la natura del futuro confine israelo-palestinese. Esso dovrà prevedere dei valichi di passaggio per persone, merci e prodotti agricoli. Dovrà garantire l’esistenza di continuità territoriale su entrambi i versanti. Dove risulteranno necessari scambi di territori, la misura dovrà essere presa sulla base di uno scambio uno-a-uno, salvo quando una parte offra all’altra territori di particolare valore economico o strategico tali da richiedere un trattamento specifico.Infine, cosa più importante, il confine dovrà includere il minor numero possibile di centri abitati palestinesi sul suolo israeliano e il minor numero possibile di centri abitati israeliani su suolo palestinese. Se dei centri abitati arabi attualmente in Israele dovessero essere inclusi all’interno dei confini dello stato palestinese, l’intervento dovrebbe essere preceduto da un voto della popolazione su entrambi i versanti dell’area frontaliera in questione.Non basta. La demarcazione del confine dovrà tenere conto delle infrastrutture esistenti o in fase di progetto, e dovrà permettere ai palestinesi ragionevoli possibilità di movimento dalla Cisgiordania alla striscia di Gaza e viceversa, senza tuttavia compromettere il territorio sovrano d’Israele.Dunque non esiste un’unica particolare ricetta per tracciare il confine. Piuttosto, l’operazione dovrà tener conto di una varietà di criteri geografici in ogni specifico segmento di frontiera – che si tratti di alcuni metri o di alcuni chilometri – e soltanto con l’accordo di entrambe le parti. Altrimenti ci ritroveremo di nuovo con un confine distorto e disfunzionale come la Linea Verde del 1949.(Da: Ha’aretz, 25.11.10)


Tecnici israeliani realizzano dentifricio speciale per canguri. La gengivite causa la morte dei marsupiali

Gerusalemme, 1 dic. (Apco) – Una équipe di ricercatori israeliani ha messo a punto il primo dentifricio specifico per i canguri malati di gengivite, malattia che generalmente causa la morte degli animali. Il quotidiano Yediot Aharonot spiega infatti che l’infiammazione alle gengive causa nei marsupiali una drastica mancanza di appetito che alla lunga porta al decesso per inedia. Quattro anni fa, racconta il giornale, quasi la metà dei canguri dello zoo di Beit Shean, nel nord di Israele, si sono ammalati di gengivite e poi sono morti. Quell’episodio ha spinto ricercatori dell’Università e della scuola dentistica di Gerusalemme a cercare un rimedio. Il professor Doron Steinberg, direttore della Scuola dentistica, ha presentato quindi il nuovo dentrificio spiegando che tutti i “canguri curati col ritrovato sono guariti rapidamente”. Il dentifricio, ha aggiunto, può rivelarsi utile anche per cani e gatti.


Gb-Israele/ Londra cambierà legge su giurisdizione universale

Presentata riforma dopo le polemiche con lo Stato ebraico
Londra, 1 dic. (Ap) - Il governo conservatore britannico ha presentato una proposta di riforma della legge di giurisdizione universale che permetteva - in caso di presunti crimini di guerra - a gruppi privati e a individui di ottenere dei mandati di arresto contro dignitari esteri in vista nel Regno Unito: la riforma prevede che le richieste di arresto debbano essere approvate dalla Procura di Stato La legge era stata sfruttata da attivisti filo-palestinesi per chiedere l'arresto di dirigenti politici e ufficiali militari israeliani di cui era prevista la visita in Gran Bretagna, iniziative che hanno creato tensioni diplomatiche tra Londra e lo Stato ebraico. Israele aveva sospeso il mese scorso un vertice strategico bilaterale in programma a Londra dopo che alcune ong aveano minacciato di fare ricorso alla legge.


Premi: ''Italiani per Israele'' al Cavaliere del Lavoro Giancarlo Elia Valori

Siena, 1 dic. - (Adnkronos) - L'Associazione Italia-Israele di Siena onlus ha istituito il Premio ''Italiani per Israele'' da attribuire ad italiani illustri che si sono distinti per il loro impegno e solidarieta' verso lo Stato di Israele. Il premio per l'anno 2010 sara' consegnato al Cavaliere del Lavoro Giancarlo Elia Valori, durante una cerimonia che si terra' venerdi' 3 dicembre, alle ore 17.30, presso la sede dell'Associazione Industriali della Provincia di Siena, in via dei Rossi 2. Dopo la premiazione, l'editorialista Stefano Folli presentera' l'ultimo libro di Giancarlo Elia Valori dal titolo ''La via della Cina'', edito da Rizzoli. Il professor Valori, presidente della Centrale Finanziaria Generale SpA, da anni si e' prodigato per la cooperazione e lo studio della pace in Medio Oriente, e grazie al suo costante impegno gli e' stata conferita la Cattedra onoraria per lo studio della Pace e della cooperazione internazionale presso l'Universita' Ebraica di Gerusalemme. La cerimonia di premiazione si svolgera' alla presenza del presidente dell'Associazione Italia- Israele di Siena, Remo Martini, e dal presidente della Federazione Nazionale delle Associazioni Italia-Israele, Carlo Beningi, e dal direttore della Associazione Industriali di Siena, Piero Ricci. 01/12/2010, http://www.libero-news.it/


Luci, frittelle e trottole

Il dreidel di latta, che avevo comprato prima di Hanukkah, portava incise, sulle quattro facce, delle lettere in ebraico: nun, ghimel, he e shin. Secondo il babbo, queste erano le lettere iniziali di parole che significavano un grande miracolo è avvenuto là. … Ma per noi bambini ghimel significava vittoria, nun sconfitta, he mezza vittoria e shin un’altra possibilità per il giocatore. (Isaac Bashevis Singer, Una notte di Hanukkah). Anche nel racconto di Singer sembra rivelarsi una sorta di doppia identità di Hanukkah, forse simile a quella di cui parlava ieri rav Di Segni. La festa pare non avere lo stesso significato per i bambini e per gli adulti. In effetti sono le stesse tradizioni legate a Hanukkah a determinare questa divaricazione: mentre in altre feste (pensiamo per esempio a Pesach) tutto ciò che si fa per coinvolgere i bambini rimanda immediatamente alla storia che si vuole ricordare, a Hanukkah tra accensione delle candeline, frittelle e trottole la vicenda dei Maccabei sembra quasi passare in secondo piano. Anche le canzoni di Hanukkah parlano quasi sempre di luci, frittelle e trottole. Singer nei racconti che compongono Una notte di Hanukkah e parte di Zlateh la capra non lascia molto spazio né alla vittoria dei Maccabei né al miracolo dell’olio: tra storie fantastiche e vicende struggenti, dalla Russia zarista, al ghetto di Varsavia, il filo conduttore è la luce di Hanukkah che permette di tenere viva l’identità ebraica e accende una speranza quando tutto sembra perduto; ma in qualche modo in tutti i racconti anche le frittelle e le trottole prima o poi fanno la loro comparsa.Anna Segre, insegnante, http://www.moked.it/


L'abitudine all'abitudine

Nella Meghillat Antiochos, una delle fonti antiche che racconta la storia di Chanukkà, si dice che i Greci si accanirono contro tre riti ebraici: lo Shabbat, il Capo Mese e la Milà. Passi per lo Shabbat e la Milà, che sono pilastri dell'ebraismo, ma cosa di tanto importante c'era nel Capo Mese? Effettivamente, soprattutto quando esisteva il Miqdash, il Capo Mese era un momento importante, prescritto dalla Torà; la parashat hachodesh è la prima mitzwà data a Moshè. Ma perché dava tanto fastidio ai Greci? Le risposte a questa domanda si basano su quanto detto prima, ma si può proporre qualche idea in più.In italiano si dice “alle calende greche” per indicare una data inesistente. Le calende erano presso i romani il primo giorno del mese lunare, e non c'erano nel calendario greco. E già questo si pone come un elemento di differenza tra ebrei e greci. Ma c'è un altro dato rilevante. Presso gli ebrei la determinazione della data del Capo Mese avveniva con una procedura speciale che prevedeva l'avvistamento della nuova luna in cielo, la raccolta della testimonianza relativa e quindi il decreto del Tribunale di Gerusalemme, l'unica autorità con questa facoltà, che poi veniva diffuso in tutto il mondo ebraico. Le date delle feste si basavano su questa procedura.Cosa c'entra tutto questo con i Greci? Anche loro avevano un calendario basato sulla luna e anche loro dovevano prevedere un correttivo per adattare il calendario lunare a quello solare. L'anno solare dura circa 11 giorni in più dell'anno di 12 mesi lunari, alternativamente di 29 e 30 giorni, per cui bisogna ogni tanto aggiungere un mese di compenso per rispettare il ciclo agricolo naturale che si basa sul sole. Tutto questo nell'antica Israele avveniva sotto il controllo del Sinedrio che decideva quando dovesse cominciare il mese e in quali anni aggiungere un mese in più prima di Pesach.I Greci però avevano capito il trucco; con un semplice calcolo l'astronomo Metone aveva scoperto che un ciclo di 19 anni di mesi lunari + 7 mesi aggiuntivi coincideva con la durata di 19 anni solari, per cui si poteva disporre un sistema automatico. La cosa fu introdotta in Grecia nel 432 prima dell'era cristiana, molto prima della dominazione dei Seleuci della terra d'Israele, dell'ellenismo e della rivolta degli Asmonei. Conoscendo il sistema di Metone (ma probabilmente c'erano già arrivati da soli, se non l'avevano già scoperto i Babilonesi) i rabbini del Sinedrio si sarebbero risparmiati la fatica della complessa procedura di ogni inizio mese. Effettivamente questo fu quello che accadde ben otto secoli dopo Metone, quando la grande Diaspora e le persecuzioni contro il Sinedrio costrinsero uno degli ultimi suoi patriarchi, Hillel II, ad istituire il sistema di calendario perpetuo e automatico, basato su cicli di 19 anni, che è quello che ancora oggi usiamo.Perché i rabbini non adottarono subito il sistema di Metone? Sembra difficile che si tratti di ostinazione antiscientifica. E' invece l'espressione della volontà di lasciare il controllo degli eventi e di tutta la vita religiosa nelle mani degli uomini, piuttosto che nell'automatico svolgimento delle cose. In questo si segnalava una radicale opposizione al pensiero greco, alla sua razionalità, al rapporto con la natura. E questo spiegherebbe perché i greci se la presero tanto non solo con Shabbat e Milà, ma anche contro il Capo Mese.C'é una parola chiave in questa opposizione che torna nelle halakhot di Chanukka: reghel, che in ebraico indica l’arto inferiore, la festa e l’abitudine. Le luci devono brillare fino a che non finisca reghel min hashuq, il camminare, il passeggio dalla strada. Sono state date spiegazioni simboliche a questo reghel; per Levi Izchaq di Berditchev (Qedushat Lewi) è l'espressione dell'abitudine, del normale corso degli eventi, in opposizione al senso profondo di Chanukkà che indica invece l'elemento provvidenziale, non automatico e non ciclico. Il miracolo a Chanukkà proprio questo sta a indicare, e la luce che lo racconta deve durare fino a quando non finisca dalla strada l'abitudine all'abitudine. E a conferma di questa lettura si può richiamare la famosa storia del pagano che voleva convertirsi, prima con Shammai e poi con Hillel, con la pretesa di apprendere la Torà mentre stava su un unico reghel; che di solito si spiega mentre stava su un solo piede, ma che si spiega meglio pensando che reghel assomiglia alla parola latina regula, da cui regola, in italiano. Il pagano voleva tutta la Torà in una sola regola (e Hillel gliela dà), i Maestri chiedono che la luce di Chanukkà brilli fini a che non finisca l'idea che il mondo si basa solo sulla regola, sulla legge fisica. In apparenza si può decidere con una buona approssimazione che il Capo Mese capiti a date fisse, ma questa è una regola razionale. Il pensiero della Torà vuole superare questo limite.Rav Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma


Solidarietà sul fronte del fuoco

Mentre decine di migliaia di alberi delle preziose foreste di Galilea ardono nel più vasto incendio che Israele si trova a fronteggiare, mentre si combatte per salvaguardare gli abitanti, la natura e il territorio e si rende omaggio alle decine di soccorritori e di civili che hanno perso la vita, il vasto fronte di aiuti internazionali che si sta dispiegando per fare da barriera alle fiamme porta in primo piano un segno di solidarietà fra le genti del Mediterraneo che spesso faticano a intendersi. Come già negli scorsi giorni avevano ampiamente dimostrato le rivelazioni da fonti diplomatiche diffuse sul web, le ragioni dell'unica democrazia del Medio Oriente non sono forse care solo agli ebrei di tutto il mondo, ma anche a tutte le società avanzate e persino a molti regimi islamici che spesso per opportunismo preferiscono tacere sulla scena pubblica. Israele è il bene più prezioso, le sue sorti e la sua integrità sono nel cuore di tutti noi. Ricordiamolo, aggiungendo luce, restando uniti alla vigilia di questo Shabbat Chanukka. E sentendoci accanto a tutti coloro che si espongono con determinazione per estinguere il fronte del fuoco.gv, http://www.moked.it/


Incendio del Monte Carmelo: 42 morti e 20mila sfollati. Ma ora le fiamme si stanno avvicinando a Haifa

È salito a 42 morti il bilancio dello spaventoso incendio che da ieri sta divorando i boschi del monte Carmelo, a pochi chilometri da Haifa (nel nord d’Israele). Venerdì mattina sono entrati in azione i primi aiuti internazionali invocati dal governo di Benyamin Netanyahu. A dare una mano anche tecnici e vigili del fuoco turchi, nonostante le pessime relazioni tra i due paesi.Secondo le autorità i feriti ricoverati in ospedale sono 17, alcuni dei quali in gravi condizioni. Quasi ventimila, invece, le persone sfollate. Tra le vittime, 36 sono guardie carcerarie, bruciate vive a bordo di un bus che si era ribaltato mentre partecipava alle operazioni di evacuazione del carcere di Damon. Gli altri morti pare siano poliziotti e soccorritori.Le fiamme intanto continuano a divampare e si stimano in 4000 gli ettari di bosco danneggiati. Alcuni kibbutz risultano semidistrutti, mentre diverse altre località sono state evacuate in tutto o in parte a scopo precauzionale, incluso un sobborgo periferico di Haifa, la terza città del Paese. Quasi totalmente svuotata è la cittadina drusa di Tirat Carmel, dove l’ospedale è stato sgomberato e le scuole sono chiuse. Chiuso temporaneamente anche un tratto della strada costiera numero 2.Il giorno dopo la tragedia, la stampa israeliana non risparmia gli attacchi alle autorità pubbliche locali e statali e agli apparati di soccorso nazionali. «Quello israeliano si è dimostrato un corpo dei vigili del fuoco degno del terzo mondo», ha scritto il progressista «Haaretz», mentre «Ma’ariv» ha descritto la giornata di giovedì come «il Kippur dei servizi di emergenza». Tracciando così un paragone fra l’impreparazione dimostrata a nord di Haifa contro l’incendio e il modo in cui le forze armate israeliane furono colte a sorpresa all’inizio della guerra del 1973.Molti giornalisti, poi, hanno puntato il dito contro il ministro dell’Interno, Eli Yishai (destra religiosa ebraica) chiedendogli, in alcuni casi, di dimettersi dalla guida del dicastero che occupa.Leonard Berberi, http://falafelcafe.wordpress.com/


Israele: Telefonini in tilt, lo Shin Bet indaga

TEL AVIV, 1 DIC - Uno dei tre principali gestori di telefonia mobile in Israele, Cellcom, ieri è rimasto paralizzato dalle prime ore della giornata per un guasto di natura ancora non accertata. Centinaia di migliaia di abbonati in tutto il territorio israeliano non sono riusciti ad inoltrare né a ricevere telefonate, mentre alcuni hanno potuto spedire - sia pure con qualche difficoltà - messaggi Sms. La vicenda - ha riferito la televisione commerciale Canale 10 - ha allarmato anche lo Shin Bet, il servizio di sicurezza interno. Il timore - ancora non corroborato da elementi concreti - è che Israele possa essere stato vittima di un attacco cibernetico in grande stile. Di fronte allo stato di emergenza il direttore generale della Cellcom, Amos Shapira, ha convocato una conferenza stampa che è stata anche mostrata ai clienti, in diretta, su internet. “Si tratta - ha detto Shapira - del guasto più grave mai patito dalla società, dalla sua fondazione. L’ipotesi di un sabotaggio è stata vagliata anche dallo Shin Bet, nel timore che dietro al black-out della società possano esserci nemici di Israele. Ad esempio gli Hezbollah libanesi (che ancora pochi giorni fa hanno accusato Israele di aver mantenuto segretamente il controllo del telefoni libanesi) oppure l’Iran. Secondo Globes, Cellcom (prefisso: 052) conta 3,3 milioni di abbonati e mantiene - assieme con Pelephone e Orange - il controllo quasi assoluto della telefonia mobile in Israele. Le altre reti telefoniche israeliane hanno funzionato in maniera regolare.http://www.moked.it/


Aria

Dal viceministro per l'informazione dell'Autorità Palestinese, Al-Mutawakil Taha, giunge l'utile informazione che il Muro Occidentale, superficialmente chiamato per secoli Muro del Pianto, non è ebraico. E' meramente induttivo che Gerusalemme non è ebraica, né sono ebraiche Tel Aviv e Haifa; come è fluidamente chiaro che il deserto del Negev non è ebraico, pur essendo deserto e quindi una concessione che poco impegna. Andando di seguito e spicciandoci, non è effettualmente ebraica la lingua ebraica, e non possono costituirsi come ebraici i titoli letterari che seguono e che riportiamo in lingua non ebraica per restaurare un minimo di chiarezza: il Genesi, il Patto di Abramo con il Creatore, subdolamente chiamato con nome ebraico. Non sono ebrei Isacco e Giacobbe. E Giuseppe, è inutile sottolinearlo, non è certo un nome ebraico, se no lo è anche Roberto. Non sono ebraici, non scherziamo, il Levitico, il Deuteronomio, le leggi che vi sono contenute, e i Comandamenti non se ne parla (NdA: i Comandamenti sono probabilmente turchi) . E figuriamoci se sono ebraici i Re, i Giudici, i Profeti, ebraiche le Haftarot, ebraici il Talmud, la Mishnà, e a proposito, i Proverbi. I Salmi poi sono tipicamente non ebraici. Ne segue, ed è assiomatico, che gli ebrei insediati nel territorio chiamato con espressione ebraicizzante Israel, così come i loro consanguinei sul pianeta, non costituiscono ad alcun titolo soggetto giuridico e non possono detenere una proprietà ebraica, essendo nell'insieme un soggetto sia a-storico che a-utistico. E dunque, e men che meno, gli ebrei sono o possono definirsi ebrei, posto che non esiste una reale ebraicità: essa è una mera rappresentazione onirica e questa gente dovrebbe curarsi in massa. Gli ebrei sono senza terra, sono senza lingua e sono senza sé. Per questo non si sono mai accorti di non esistere. Non esistono. Siamo un'altra volta uomini d'aria. Il Tizio della Sera, http://www.moked.it/



Emanuele Fiano
Boicottaggi accademici: "Opposizione e maggioranza unite"

Un segno di attenzione durante i giorni più difficili della politica italiana. Il governo italiano si è impegnato ad assumere ogni iniziativa che ritenga utile per impedire manifestazioni di boicottaggio accademico nei confronti del mondo della cultura dello Stato d’Israele, attraverso un ordine del giorno presentato durante l’esame del disegno di legge sulla riforma dell’università. L'onorevole Emanuele Fiano (Pd) ha presentato la proposta con Walter Veltroni, Piero Fassino e Dario Franceschini e l'iniziativa è stata fra gli altri poi sottoscritta anche dei parlamentari Alessandro Ruben e Fiamma Nirenstein. Alla luce di alcuni avvenimenti degli ultimi mesi, tra cui l’adesione di alcuni atenei italiani alla Israeli Apartheid Week, si tratta di un documento che ha richiamato consensi su fronti diversi.Onorevole Fiano, come nasce l’idea di questo ordine del giorno, e cosa comporta la sua approvazione? In Parlamento quando si arriva all’approvazione di un disegno di legge, ciascun parlamentare può presentare un impegno per il governo collegato al tema del provvedimento in esame. Poiché io ritengo che il principio della libertà di espressione e di insegnamento venga calpestato dal boicottaggio accademico delle università israeliane, penso che la discussione della riforma dell’università fosse il momento giusto per intervenire su questo tema. La mia proposta è stata firmata da molti parlamentari, e poi approvata senza passare attraverso alcuna votazione, il che equivale a dire che maggioranza e opposizione sono state unanimemente concordi nell’appoggiarla. È un risultato molto importante.Quali sono le iniziative che potranno essere adottate? Spetterà al governo il compito di valutare di volta in volta quali azioni concrete intraprendere e, grazie a questo ordine del giorno, avrà il mandato parlamentare per farlo. Dal mio punto di vista per esempio, se si dovessero ripetere episodi di adesione a manifestazioni di boicottaggio, il governo potrà chiederne conto alla conferenza dei rettori o agli altri organi direttivi dell’università, ovviamente mantenendo il pieno rispetto per la sua autonomia.Secondo lei c’è il rischio che in Italia la situazione diventi come in Inghilterra, dove per un accademico israeliano parlare in un college è un'azione a rischio? Il rischio esiste soltanto se coloro che si impegnano per la difesa della libertà d’espressione decidono di non alzare più la voce quando questa libertà viene messa in pericolo. Ma questo non accadrà. Noi non staremo mai zitti.Qualche tempo fa lei ha espresso delle perplessità circa la proposta di una legge che punisca il negazionismo. Ritiene invece che uno strumento come quello dell’ordine del giorno potrebbe funzionare? Oppure secondo lei è meglio che il Parlamento non intervenga sulla materia?La questione è molto complessa. Penso che sicuramente l’individuazione di un reato penale non sia lo strumento giusto per combattere il negazionismo, pur essendo totalmente convinto che vada portato avanti ogni sforzo per contrastarlo.Rossella Tercatin, http://www.moked.it/



L’alba ci colse come un tradimento

Era la sera del 30 novembre 1943 quando tutte le Prefetture d’Italia ricevettero dal ministero dell’Interno un ordine che i Prefetti impiegarono solo poche ore a diramare alle Questure. Si trattava delle circolari esecutive per la ricerca, il rintraccio, la cattura degli ebrei che di fatti iniziarono subito. La creazione del campo di concentramento per ebrei a Fossoli di Carpi fu l’immediata conseguenza dell’arresto generalizzato, destinato a tutti gli ebrei, che non si erano ancora ripresi dallo shock delle retate tedesche realizzate nelle principali città tra il 16 ottobre e la fine di novembre di quel terribile autunno del 1943. Ben duemila 845 ebrei passarono da quel campo di concentramento dopo essere stati arrestati ovunque nell’Italia centrosettentrionale dalle autorità di polizia italiane. E’ l’argomento del mio ultimo lavoro L’alba ci colse come un tradimento. Gli ebrei nel campo di Fossoli 1943-1944 (Mondadori, 294 pp.) che reca come frontespizio una lettera di partecipazione del presidente Napolitano. Se è vero che le deportazioni verso i lager furono attuate dagli occupanti, qui si tocca con mano che i primi mattoni della strada lastricata per Auschwitz furono posti dalle autorità italiane. A partire dal 30 novembre, le ricerche casa per casa degli ebrei, il loro arresto, il loro imprigionamento furono questione italiana; solo allora le autorità di occupazione poterono servirsi dei prigionieri di Fossoli, offerti loro su di un piatto d’argento, per organizzare i trasporti verso Auschwitz e altri lager. Le deportazioni iniziarono a partire dalla fine di gennaio del 1944 con una cadenza che dipendeva dal numero delle persone raccolte a Fossoli in quel dato momento, dalla capienza massima del campo, dalle condizioni di viabilità delle strade ferrate e, non ultima, dalla capacità assassina del momento delle attrezzature di Auschwitz. La situazione era talmente disperata che alcune madri si consegnarono spontaneamente con i loro figli alle autorità italiane, sperando in un barlume di umanità. Carabinieri, polizia, e guardie carcerarie non furono inumani ma eseguirono gli ordini. Non possiamo quindi definire tutte queste persone come “brava gente”, brava gente furono coloro che misero a repentaglio la loro sicurezza per soccorrere gli ebrei in pericolo. Non sono pochi ed è in corso un progetto di ricerca della Fondazione Cdec, da me diretta, per mettere in luce la loro generosità e il loro contributo alla crescita civile dell’Italia. Allo stesso modo, non si può ignorare il comportamento di quegli abitanti del circondario di Fossoli che videro aumentata la loro possibilità di scambi positivi di merci e vettovaglie alla vigilia delle partenze dei convogli. Per non parlare delle forniture di cibo e di trasporti da e per il campo richieste a ditte di commercio della zona. La domanda spontanea è: con il gran movimento che si creò intorno al campo, possibile che nessuno si sia chiesto mai chi fossero tutti quei civili portati là alla spicciolata con le loro famiglie, che cosa fossero quei vagoni fermi a Carpi con paglia per terra e un bidone, perché partissero con treni merci inchiavardati dall’esterno come animali, dove fossero diretti? La ricerca, condotta su nuova documentazione, offre un altro elemento di riflessione grazie alle fatture che registrano le razioni, distribuite prima delle deportazioni, di pane, di formaggio fuso e di marmellata. I conti erano presentati al Comune di Carpi e il Comune li girava alla Prefettura per il pagamento. Tutto regolare, come se si fosse trattato di forniture per una colonia marittima o qualsiasi altra comunità. Ma se una qualche sorpresa per ciò che stava accadendo avrebbero potuto provarla funzionari di basso livello, stessa sorpresa non provavano certo il Questore di Modena né tantomeno il Prefetto, al corrente che qualcosa di gravissimo si stava preparando per gli ebrei dopo l’ordine di arresto del 30 novembre. Benchè non si sia ritrovato il documento formale dell’accordo tra i vertici italiani e i vertici tedeschi, risulta evidente dall’analisi del meccanismo messo in atto che agli italiani toccavano le ricerche, gli arresti, il concentramento nel campo degli ebrei scovati, ai tedeschi la loro spedizione verso i lager. Un’ultima annotazione sul titolo: “l’alba ci colse come un tradimento” è il grido di dolore lanciato da Primo Levi alla fine del suo viaggio da Fossoli ad Auschwitz. Nulla di più pertinente si poteva trovare per intitolare questo libro.Liliana Picciotto, Pagine Ebraiche, dicembre 2010


Ugo Volli su questa colonna domenica scorsa stigmatizzava chi ha criticato la decisione della Knesset di istituire un referendum nel caso Israele decidesse di cedere territori attualmente in suo possesso in vista di un futuro possibile accordo di pace. Mi sono sembrati davvero ingenui i riferimenti alla costituzione norvegese o australiana, o al caso italiano delle scelte della repubblica e del divorzio, o magari alla tradizione elvetica delle assemblee di cantone. È chiaro che lo scopo della maggioranza della Knesset non era quello di trasformare l'agitata democrazia israeliana in un blando, nevoso, e forse noioso paese nordico. Lo scopo vero del voto della Knesset era di mettere ulteriori bastoni fra le ruote di Benyamin Netanyahu nel caso questi decidesse di seguire la strada di David Ben Gurion, Menahem Begin, Izhak Rabin e Ariel Sharon i quali, tutti, hanno accettato di ritirare la presenza di Israele da territori che erano in suo possesso. Ma il referendum popolare su questioni tanto delicate sarebbe un grave errore perché porterebbe il paese a un confronto frontale interno, laddove la mediazione della politica ha per lo meno il pregio di svolgersi all'interno delle istituzioni e non per le strade. Inoltre, anche se può essere spiacevole riconoscerlo, i recenti sondaggi di opinione dimostrano che una decisione popolare che passasse con il volto determinante degli elettori arabi non sarebbe considerata legittima e finirebbe con l'acuire le tensioni interne. E poi provi Volli a immaginarsi la controparte politica palestinese che si rivolge al suo pubblico e chiede il consenso popolare alle decisioni di vertice su una ipotetica pace con Israele. Resta da vedere se Bibi avrà la forza, la voglia, la capacità, o perfino la fortuna di trovarsi di fronte all'occasione storica dell'accordo politico, e di carpirla al volo nell'attimo fugace in cui gli passa davanti.SergioDella Pergola,Università Ebraicadi Gerusalemme, http://www.moked.it/

giovedì 2 dicembre 2010


kibbutz Degania primi edifici anni '20

WikiLeaks fa a pezzi il ''linkage'' fra questione Iran e processo di pace

Da un articolo di Herb Keinon http://www.israele.net/
Sin dai primi giorni della presidenza di Barack Obama vi sono state due importanti differenze concettuali fra come vedono il Medio Oriente Israele e l’amministrazione americana.La prima differenza ha a che fare con il livello regionale. Da un lato gli Stati Uniti sostengono che risolvere l’enigma israelo-palestinese sia la chiave per sbloccare la pace in Medio Oriente e guadagnare l’adesione di altri paesi della regione perché aiutino a fermare la minaccia iraniana. La posizione di Israele, invece, ritiene che bisogna innanzitutto affrontare l’Iran – vale a dire, neutralizzarlo – perché ciò renderà più facile arrivare a un accordo coi palestinesi. La logica di Israele è che, se l’Iran sarà reso innocuo, Hamas e Hezbollah – i due scagnozzi dell’Iran – avranno molte meno chance di far fallire i lavori ogni volta che si delineano progressi diplomatici.La seconda fondamentale differenza concettuale ha a che fare col modo si risolvere il conflitto israelo-palestinese, con gli Stati Uniti ancora legati alla formula terra in cambio di pace – Israele cede terre e ottiene in cambio la pace – mentre gran parte di Israele, amaramente scottato dalla realtà, non è più convinto che tale formula sia pertinente.È a questo punto che si spalanca il forziere di documenti di WikiLeaks e rivela che il “linkage”, il collegamento di Obama fra soluzione del conflitto israelo-palestinese e Iran non è altro che una finzione: una finzione che Obama e i suoi più vicini collaboratori hanno continuato a spacciare sin dall’inizio del mandato.Nel suo primo incontro alla Casa Bianca col primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu nel maggio 2009, il famoso incontro in cui chiese lo stop completo delle attività edilizie ebraiche negli insediamenti in Cisgiordania, Obama si vide chiedere che cosa pensasse della posizione d’Israele secondo cui solo risolvendo la minaccia iraniana si sarebbero potuti avere reali progressi sul versante palestinese. “Ebbene – rispose Obama – Non vi è dubbio che per qualunque governo israeliano è difficile negoziare in una situazione in cui gli israeliani si sentono in pericolo immediato. Non è certo una situazione favorevole ai negoziati. E come ho già detto, mi rendo conto delle legittime preoccupazioni di Israele circa la possibilità che l’Iran ottenga un arma nucleare quando ha un presidente che in passato ha dichiarato che Israele non dovrebbe esistere. Si tratta di una condizione che farebbe esitare i leader di qualunque paese. Detto questo però – continuò Obama – se c’è un legame fra Iran e processo di pace israelo-palestinese, io personalmente ritengo che esso vada nel senso contrario: nella misura in cui riusciremo a fare la pace con i palestinesi, cioè fra palestinesi e israeliani, penso realmente che ciò rafforzerebbe la nostra posizione nella comunità internazionale nel fare i conti con la potenziale minaccia iraniana”. Che questa posizione, questi progressi sulla questione israelo-palestinese, questo blocco delle costruzioni negli insediamenti dovrebbero in qualche modo magicamente rabbonire il mondo arabo, sponandolo a dare una mano riguardo all’Iran, è stata una costante di tutto il periodo Obama. In Israele viene popolarmente chiamata la formula “Yitzhar in cambio di Bushehr” (il piccolo insediamento israeliano in cambio della centrale atomica iraniana).Ciò che ha svelato il forziere di WikiLeaks, tuttavia, è che questo argomento era una invenzione. Non c’è nessun bisogno di forzare la mano sulla questione israelo-palestinese per guadagnarsi l’adesione delle nazioni arabe “moderate” (Arabia Saudita, stati del Golfo Persico, Egitto e Giordania) all’azione di contrasto all’Iran, giacché quelle nazioni sono già pienamente schierate e aspettano solo che si agisca concretamente contro il nucleare iraniano.Orbene, questo non significa che non ci si debba adoperare per cercare di risolvere la questione israelo-palestinese. Ma non si dica che il motivo per farlo è convincere gli arabi a fermare l’Iran. Il seguente campionario di dichiarazioni di leader arabi tratte dalla miniera WikiLeaks non disegna esattamente l’immagine di leader che hanno bisogno di ulteriori incentivi e lusinghe per essere convinti a prendere posizione.L’inviato saudita negli Stati Uniti avrebbe detto nel 2008 che re Abdullah dell’Arabia Saudita esortava Washington ad attaccare l’Iran per porre fine al suo programma nucleare e, stando a uno dei dispacci, parlando dell’Iran avrebbe detto che è necessario “tagliare la testa del serpente”. Secondo un altro dispaccio, l'Arabia Saudita sarebbe atterrita non solo dalla minaccia nucleare iraniana, ma anche dai disegni egemonici di Teheran nella regione. Nel marzo 2009 re Abdullah avrebbe detto che, quand’anche venisse risolto il conflitto israelo-palestinese, “l'obiettivo dell'Iran resta quello di creare problemi: che Dio ci preservi dal diventare loro vittime”. Come le altre monarchie del Golfo (ad eccezione del Qatar), l’Arabia Saudita sarebbe preoccupata anche per le ambizioni di egemonia dell’Iran sciita e persiano. “Abbiamo avuto rapporti corretti in passato, ma non possiamo fidarci di loro”, avrebbe detto il monarca saudita a funzionari Usa nel 2009, raccontando anche d’aver chiesto al ministro degli esteri iraniano, Manouchehr Mottaki, di allontanarsi da Hamas. “Sono musulmani”, avrebbe risposto il ministro iraniano (stando al documento Usa). E il re avrebbe ribattuto: “No, sono arabi, e voi persiani non dovete interferire negli affari arabi”.Nel 2009 re Hamad del Bahrain avrebbe detto, a proposito del programma nucleare iraniano, che “deve essere fermato: il pericolo di lasciarlo andare avanti è peggiore del pericolo di fermarlo”.Sempre nel 2009, secondo un altro dispaccio, il principe ereditario di Abu Dhabi, Muhammad bin Zayed, avrebbe sollecitato gli Stati Uniti a non assecondare Teheran, dicendo che “Ahmadinejad è Hitler”. Secondo altri dispacci, in un incontro del luglio 2009 con il segretario al tesoro Usa Timothy Geithner lo sceicco Mohammad bin Zayed, avrebbe detto che “ una guerra convenzionale a breve termine con l'Iran è chiaramente preferibile alle conseguenze a lungo termine di un Iran nucleare”. Nel 2006, parlando del presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad, avrebbe detto: “Penso che quest’uomo ci porterà alla guerra”.Il generale Muhammad al-Assar, assistente del ministro della difesa egiziano, nel 2010 avrebbe detto che “l’Egitto considera l’Iran una minaccia per tutta la regione”. Lo stesso presidente egiziano Hosni Mubarak avrebbe detto, circa l’Iran: “Siamo tutti terrorizzati”.Obama era evidentemente ben consapevole delle opinioni di questi leader, la maggior parte dei quali egli ha anche incontrato personalmente. Eppure ha continuato a divulgare ciò che ormai sapeva essere una falsità: che quei paesi avrebbero sottoscritto sanzioni o altre forme di sostegno agli sforzi per neutralizzare l’Iran soltanto se vi fossero stati progressi sul versante israelo-palestinese. È chiaro che quei paesi vorrebbero vedere progressi su versante israelo-palestinese, ma questo loro desiderio non ha nulla a che vedere con l’Iran. E nessun accordo israelo-palestinese li spingerebbe a sostenere misure più combattive verso l’Iran, giacché in pratica sono già totalmente favorevoli a tali misure.Legare le due questioni – il conflitto con i palestinesi e l’Iran – serve solo a confondere malamente il problema. Il motivo preciso per cui Obama si sia sentito in dovere di farlo è uno degli interrogativi chiave suscitati dai documenti di WikiLeaks in relazione al Medio Oriente.(Da: Jerusalem Post, 30.11.10)