giovedì 6 ottobre 2011

guerra del '67

L’illusione di un accordo globale impedisce intese parziali e pragmatiche

Di Shlomo Avineri, http://www.israele.net/
Nel suo discorso all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) ha fatto ancora una volta un errore molto frequente fra i palestinesi: ciò che deve fare un leader palestinese, infatti, non è convincere le nazioni di tutto il mondo, ma convincere gli israeliani.Uno stato palestinese vedrà la luce soltanto se e quando i palestinesi riusciranno a persuadere gli israeliani di essere davvero pronti a convivere in pace e nel reciproco riconoscimento. Il presidente egiziano Anwar Sadat seppe farlo col suo storico intervento alla Knesset (novembre 1977) che in un batter d’occhio lo trasformò da acerrimo e spietato nemico nel personaggio più popolare in Israele. Abu Mazen, invece, non solo non ha parlato agli israeliani, ma con le sue calunniose dichiarazioni – che non per caso citavano Yasser Arafat, magnificandolo – non ha fatto che aggravare la diffidenza degli israeliani circa le mire dei palestinesi.Sul discorso del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, inutile spendere parole.La richiesta del Quartetto (Usa, Ue, Russia, Onu) di rilanciare i colloqui senza precondizioni è un successo diplomatico per Israele, giacché respinge l’approccio palestinese che, ponendo invece precondizioni (arresto delle attività edilizie negli insediamenti e impegno di Israele a tornare sulle linee del 1967), ha portato al fallimento precisamente del rilancio dei negoziati. Il governo israeliano ha agito correttamente quando ha accolto con favore l’appello del Quartetto, mentre il rifiuto dell’appello da parte palestinese mostra come siano loro la parte che punta i piedi.Questo punto è importante, ma non è essenziale. Quand’anche le parti tornassero al tavolo negoziale, non si vede come potrebbero arrivare a un accordo vista l'evidente distanza che separa le posizioni delle due parti. Se un governo Olmert-Livni non è riuscito a raggiungere un accordo con Abu Mazen dopo quasi due anni di trattative serie e responsabili, è chiaro che non c’è da aspettarsi un accordo fra Abu Mazen e il governo Netanyahu. La diffusa illusione che la chiave di tutto si trovi negli Stati Uniti si è dissolta da quando è entrato in carica il presidente Barack Obama: se un presidente americano non riesce nemmeno a far sedere le parti al tavolo negoziale, come potrà colmare il divario su confini, insediamenti, Gerusalemme, profughi e disposizioni per la sicurezza?Anche chi, come il sottoscritto, considera gli insediamenti un errore politico e morale, sarebbe veramente ingenuo se credesse che un governo democratico (come quello israeliano) possa facilmente sgomberare centinaia di migliaia di coloni, che i palestinesi cederanno sul “diritto al ritorno”, che uno slogan come “Gerusalemme capitale di due stati” potrà risolvere il groviglio di problemi connessi con lo status della città, o che i palestinesi – che non considerano gli ebrei un popolo – accetteranno Israele come stato nazionale del popolo ebraico.
Bisogna cambiare approccio e capire che in questo momento non vi sono chance per un accordo definitivo. C’è un solo modo per procedere, come a Cipro, nel Kosovo e in Bosnia: in mancanza di una possibilità realistica di negoziare un accordo per lo status permanente, bisogna investire gli sforzi diplomatici nella ricerca di soluzioni alternative: accordi provvisori, misure per costruire fiducia, anche passi unilaterali purché reciprocamente accettabili, incessante cooperazione pragmatica sul terreno.Nel gergo politico, si tratta di passare dal fallito tentativo di conseguire una soluzione globale a misure politiche parziali di gestione del conflitto, con l’obiettivo “due stati per due popoli” come orizzonte finale dell’azione diplomatica: le parti concordano in linea di principio sul traguardo finale, ma sono consapevoli delle difficoltà che sorgono nel realizzarlo adesso.Tali mosse parziali costituiranno una delusione per tutte le parti: per i palestinesi, che aspirano giustamente a un loro stato; per gli israeliani, per i quali è essenziale che i palestinesi riconoscano che il popolo ebraico ha diritto alla sua sovranità e indipendenza. Ma abbassare il livello del conflitto e realizzare accordi pragmatici parziali è possibile anche con un governo di destra in carica in Israele e in assenza di una dirigenza palestinese legittima ed efficace, data la spaccatura fra l’Autorità Palestinese in Cisgiordania e il controllo di Hamas sulla striscia di Gaza.
Discorsi ipocriti su un accordo finale entro un anno o due non possono rimpiazzare una politica realistica, che tenga conto del grave stato di cose sul terreno. Soltanto coloro che non coltivano illusioni irrealistiche possono promuovere gli interessi sia palestinesi che israeliani simultaneamente, e aiutare entrambi i popoli a emergere, molto lentamente nel corso del tempo, dalla spietata morsa del conflitto. I proclami alle Nazioni Unite servono solo a evidenziare la profondità del divario fra le due parti.(Da: Ha’aretz, 5.10.11)


L’Israele di Kenaz

Non è uno scrittore molto noto in Italia, il settantaquattrenne israeliano Yehoshua Kenaz, autore dei racconti contenuti in Appartamento con ingresso nel cortile”, tradotto come altri suoi libri da Giuntina. Certo molto meno noto della classica triade Oz, Grossmann, Yehoshua. Non lo traduce del resto un colosso editoriale, ed è legato a una percezione sbilanciata di scrittore non modernissimo perché narratore più di caratteri che di storie, più di riflessioni interiori che di azione.Kenaz stesso (traduttore dal francese in ebraico di classici, ispiratore di più di un film dei quali si è sempre detto insoddisfatto) confessa che pur avendo idee politiche chiarissime, orientate a sinistra, difficilmente nella sua narrativa affronta temi tout court politici - il che non vuol dire peraltro che la politica non faccia capolino qua e là, per esempio in alcuni dialoghi di questi racconti. Non foss’altro per via della peculiarità della storia israeliana, nella quale il principio che se puoi illuderti di fare a meno della politica, è certo che la politica pensa a te, ecco, questo elementare assioma, per Israele è indiscutibile.L’asserragliamento obbligato e insieme auto-indotto dalla comunità israeliana, la tensione prodotta da una storia particolare (e da un presente tutt’altro che semplice) è certo che se rafforza l’identità politica pena la messa in causa della stessa sopravvivenza dello stato ebraico, non sembra favorire le relazioni distese fra le persone, in particolare fuori dal contesto urbano, com’è evidente nel primo racconto della raccolta (una donna sopravvissuta a un campo di concentramento, cui non mancherebbe nulla per essere considerata fra l’altro bella e attraente, sembra afflitta da escrescenze rossastre intorno alle mani; il che la induce a pensare, a dire, che si tratta di carne tedesca).L’equilibrio psichico in queste storie sembra non di rado a rischio, non stupisce che un senso di solitudine pervada la vita di molti dei personaggi presenti, atomizzati nelle loro inquietudini più o meno razionali, più o meno sensate, anche se e quando vivono con tanto di coniugi, figli e parenti. Le storie si risolvono in ambiti più ristretti di quelli giocati nei romanzi di Oz o di Yehoshua, e tuttavia nei vicoli, negli appartamenti, negli incontri-scontri di piccole famiglie di Kenaz vivono mondi che non sono niente di meno che le cellule originarie della società israeliana degli ultimi decenni. La tensione dei personaggi che li abitano è sentimentale, si tratta di figure alquanto strambe, inquieti o inquietanti, elusive o terribilmente emotive, impressionabili. Nemmeno fortunate a giudicare dall’appartamento in cui alcuni giovani dovrebbe passare buon tempo (“La festa”) e invece succede di tutto, compresa la scoperta di un cadavere nel bagno. Altrettanto esemplare quanto a cifra microcosmica un altro appartamento, abbandonato misteriosamente da un giovane e lasciato tutto alle supposizioni degli altri che cercano di capirci qualcosa. Ancora un’emotività fragile, incapace di sostenere la freddezza di un padre distratto quella di un figlio condotto al ristorante e lasciato lì senza alcuna voglia di mangiare (“La borsa nera”). Storie strane, in fondo, che sembrano uscite da un quadro di Chagall.Yehoshua Kenaz è considerato uno dei più grandi scrittori israeliani. Nato a Petach Tikva nel 1937, ha studiato filosofia all’Università Ebraica di Gerusalemme e letteratura francese alla Sorbona. Già traduttore di classici francesi e redattore dell’autorevole Ha’aretz, è autore di romanzi e racconti tradotti in tutto il mondo. Per la Giuntina ha pubblicato La grande donna dei sogni, Voci di muto amore, Ripristinando antichi amori, Momento musicale, Appartamento con ingresso nel cortile. E’ in traduzione il suo romanzo capolavoro Infiltration.Titolo: Appartamento con ingresso nel cortile.
di Michele Lupo il 6 ottobre 2011 http://www.ilrecensore.com/

Ankara

GLI USA CHIEDONO A ANKARA PIU' IMPEGNO CONTRO ASSAD

WASHINGTON CONSIDERA UN`ASSISTENZA MILITARE TURCAAI RIBELLI SIRIANI Usa chiedono a Ankara Gli più impegno contro Assad Irritazione per il veto russo-cinese sulle sanzioni al Consiglio Onu. Russia e Cina bloccano all`Onu la condanna di Damascoper la repressione delle proteste e poche ore dopo la Turchia alza il profilo nella crisi compiendo tre mosse:promette sanzioni unilaterali, dà inizio a manovre militari lungo i confini siriani e accoglie il generale che guida l`opposizione militare ad Assad.Al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite i rappresentanti di Mosca e Pechino hanno posto il veto contro il testo di una risoluzione che si limitava a chiedere di «considerare» imprecisate «misure» contro il regime di Bashar Assad se entro 30 giorni non terminerà la repressione che, secondo stime del Palazzo di Vetro, ha già causato oltre 2600 vittime civili.Usa ed europei avevano tolto dal testo ogni riferimento a sanzioni nel tentativo di evitare proprio tale scenario ma la mediazione è fallita quando il rappresentante russo Vitaly Churkin e quello cinese Li Baodong si sono opposti a «ogni interferenza negli affari interni siriani».L`ambasciatrice americana, Susan Rice, ha lasciato per protesta la seduta in corso definendo «una vergogna» quanto avvenuto. Il ministro degli Esteri francese Alain Juppé ha parlato da Parigi all`unisono:«Questo è un giorno triste per il popolo siriano e per il Consiglio di Sicurezza».Ad accrescere lo smacco diplomatico degli occidentali c`è iliatto che, pur avendo ottenuto 9 voti favorevoli, non sono riusciti a evitare le astensioni di Sud Africa, india, Brasile che confermano il dissenso strategico delle economie emergenti nell`approccio alla Primavera araba. Si è astenuto anche il Libano, tradizionale alleato della Siria. Il voto all`Onu è avvenuto nella notte di marte- dì e ieri mattina la prima reazione è arrivata da Ankara, dove il primo ministro Recep Tayyip Erdogan ha fatto sapere che «il veto non ci impedisce di varare un nostro pacchetto di sanzioni». L`impegno di Ankara conta molto per l`amministrazione Obama in quanto la Turchia è il maggior partner commerciale della Siria nella regione. A conferma della volontà turca di alzare il profilo nella crisi in atto, sempre ieri le forze armate hanno cominciato una massiccia esercitazione lungo i confini siriani, nella provincia di Hatay. Le operazioni dureranno otto giorni, includono l`impiego di reparti corazzati e seguono il monito di Erdogan ad Assad sul «deterioramento delle relazioni bilaterali».La scelta di Hatay per il dispiegamento della 399 divisione di fanteria meccanizzata è significativo perché si tratta di una provincia turca che Assad ha sempre rivendicato alla Siria. Un altro messaggio aspro nei confronti di Dama- sco arriva dalla scelta di Erdogan di accogliere il generale siriano Riad Assad, che ha disertato unendosi alla rivolta e afferma di essere alla guida di un Esercito di liberazione che conterebbe già 10 mila uomini, in gran parte soldati fuggiti dalle caserme. Assad, che non è parente del presidente siriano, è arrivato in Turchia martedì ma l`annuncio è stato dato ieri, in coincidenza con il moltiplicarsi di indiscrezioni a Washington sul rafforzamento dell`opzione militare contro il regime del Baath. Il portavoce del Dipartimento di Stato Mike Hammer ha spiegato che «finora abbiamo sostenuto le proteste non violente ma poiché il regime di Assad continua a non ascoltare la voce del suo popolo non c`è da sorprendersi se qualcuno sceglie il ricorso ad altri mezzi». Una delle ipotesi di cui si discute a Washington è che la Turchia consenta all`opposizione militare siriana di organizzarsi in maniera tale da poter tentare di marciare su Damasco.Manovre militari al confine e ospitalità a un generale disertore «con diecimila uomini» Soldati siriani osservano una postazione militare turca al di là dei confine, nel Nord dei Paese [.]Maurizio Molinari, "LA STAMPA" di giovedì 6 ottobre 2011


Il medio oriente è all’inizio della sua guerra dei trent'anni

Roma. “Viviamo il momento più importante per il mondo arabo dal 1952, da quando in Egitto salì al potere Nasser e i nazionalisti”, dice al Foglio l’israeliano Barry Rubin, professore all’Interdisciplinary Center di Herzliya e direttore del Global Research and International Affairs Center. Rubin ha scritto quaranta libri sul medio oriente e ne è una delle massime autorità mondiali. A Roma Rubin ha appena partecipato a un convegno con il ministro degli Esteri, Franco Frattini, e la parlamentare Fiamma Nirenstein. “La ‘primavera araba’ è una sconfitta dell’Iran, ma perché può essere una vittoria dell’islamismo sunnita. Ci sono tre fattori in gioco oggi: l’ascesa islamista dei Fratelli musulmani, il dominio iraniano e lo scontro sunniti-sciiti. I Fratelli musulmani sono già diventati i padroni dell’islam sunnita e stanno portando via Hamas da Teheran”. Con Rubin cerchiamo di decifrare l’autunno elettorale del medio oriente. “In Tunisia stanno per diventare primo partito i demagoghi islamici di Ennahda, è clamoroso in un paese che fino a ieri si diceva non avere un problema di fondamentalismo. In Turchia si è imposto un modello neoottomano molto pericoloso. A novembre ci saranno le elezioni in Egitto e i Fratelli musulmani conquisteranno fra il 30 e il 40 per cento dei consensi, il resto sarà diviso fra vecchio regime, sinistra e centristi. Pochi i dubbi che saranno il primo partito. E’ un risultato naturale. Presidente sarà con ogni probabilità Amr Moussa, non è un religioso ma formerà un regime radicale, nazionalista e ostile all’America e a Israele. Questa primavera riporterà l’Egitto ai tempi del primo Sadat. Il pericolo maggiore sarà il rafforzamento di Hamas a Gaza e il rischio di una nuova guerra con Israele. Cosa farà l’Egitto in quel caso? Cosa accadrebbe se migliaia di Fratelli accorressero in aiuto di Hamas? Nel 2009 durante ‘Piombo Fuso’ Hosni Mubarak rimase a guardare. Non credo avverrà lo stesso oggi. Moussa è un politico esperto e furbo, ma è anche un avventuriero. I Fratelli musulmani nel frattempo vorranno islamizzare il paese, credo che avverrà gradualmente, senza fretta, ‘alla turca’. I primi obiettivi saranno il velo, l’alcol, il turismo straniero”. Secondo Rubin molto dipende da cosa faranno con la nuova Costituzione. “Qui ci sono tre opzioni: dichiarare l’islam ‘una’ fonte legislativa, ‘la’ fonte legislativa oppure ‘la sola’ fonte legislativa. Credo che punteranno alla seconda opzione. Economicamente l’Egitto andrà incontro a una grave crisi economica, dal prezzo del pane ai sussidi. Poi ci sarà lo scontro confessionale. Centomila cristiani sono già scappati”. Veniamo alla Siria, che sembra sull’orlo di una guerra civile. “Nessuno sa quanto Bashar el Assad resterà al potere, ma se il regime cadrà non sarà un male per la regione come Mubarak. Sappiamo che l’opposizione è divisa e che i Fratelli musulmani non hanno gli stessi consensi come al Cairo. Non va però dimenticato che c’è moltissima isteria antioccidentale contro Assad. Vedremo ancora omicidi, stragi, scontri e attacchi religiosi. Assad non è finito e i suoi non si arrenderanno. Non avranno pietà per nessuno. E c’è il rischio di uno scenario iracheno per i cristiani”. In conclusione, per Rubin più che una primavera può essere l’inizio di un inverno. “Non è l’età della democrazia araba, ma dell’islam rivoluzionario. Non è detto che vincano, ma non facciamoci illusioni: i religiosi vogliono ripetere quello che ha fatto Nasser. Sarà come la guerra dei trent’anni che ha scoinvolto l’Europa”. Il Foglio 06 ottobre 2011
di Barry Rubin


Idee

Il Tizio della Sera legge sul giornale che alcuni ricercatori dell'università di Tel Aviv hanno mostrato a Cambridge un topo con impiantato un cervello robotico. Bella vita quella del ricercatore, sospira il Tizio: sempre al'estero, navi, atenei, alberghi. Anche lui con po' di fortuna avrebbe potuto fare il ricercatore, attività per la quale è indubbiamente portato. Adesso per esempio gli è venuta in mente un'idea sensazionale, fare un robot completamente robotico e poi mettergli in testa dei capelli. Il primo robot umano della Storia. Complimenti, esclama il Tizio. Grazie risponde il Tizio. Obiettivamente una bell'idea, si accalora il Tizio. Lo so, acconsente il Tizio, adesso però basta. Ci vediamo tra dieci minuti con altre due scoperte. Hai qalcosa in pentola? chiede il Tizio al Tizio. Penso di sì, ora scusa devo andare in laboratorio: a fra poco. Il Tizio apre la porta del bagno. Lo so, sono sogni. E allora? Il Tizio della Sera, http://www.moked.it/


"Pagine ebraiche" titola il numero di ottobre: "Un anno di incognite e speranze". Un titolo che certo si adatta bene anche a molti altri anni che lo hanno preceduto e a molti anni che lo seguiranno, e al quale vorremmo aggiungere: "e di realismo e di pazienza". Quest'anno, in particolare, dovremo augurarci che una ragionevole percezione delle incognite e dei limiti del possibile conduca la leadership israeliana e quella palestinese a compiere dei passi orientati a creare maggiore fiducia reciproca e attenti a evitare pericolose ricadute nel ciclo della violenza. La pace, si sa, si deve fare, con speranza e con timore, col nemico e non con l'amico – anche quando il nemico, oltre ai suoi interessi naturalmente antitetici ai nostri, rivela la sua natura compulsiva di bugiardo e di ciarlatano. La pace col nemico si deve tentare, con realismo, nonostante la dose di zeloti e di ciarlatani che infestano anche la nostra casa e causano gravi danni dall'interno. La pace col nemico si deve perseguire, con pazienza, nonostante l'orda di incompetenti e di ciarlatani che, senza sapere una parola di ebraico o di arabo, inquinano con i loro commenti le pagine e le onde elettroniche dei mezzi di comunicazione. Incognite, speranze, realismo e pazienza per l'anno appena iniziato.Sergio Della Pergola,
Università Ebraica di Gerusalemme, http://www.moked.it/



BRIGATA EBRAICA NEWS - Novità sul sito italiano dedicato alla Brigata Ebraica

Grande successo a Pesaro per l'inaugurazione del "Ponte Brigata Ebraica"

Due pagine tratte dal giornale pesarese "Il Nuovo Amico"

pag.8: http://www.brigataebraica.org/immagini/pagina8dell11sett2011web.jpg

pag.9: http://www.brigataebraica.org/immagini/pagina9dell11sett2011web.jpg

mercoledì 5 ottobre 2011


Teppismo criminale e senza senso

Alcuni commenti dalla stampa israeliana
Scrive Hagai Segal, su YnetNews: «Gli abitanti del villaggio beduino israeliano di Tuba Zangaria che lunedì mattina hanno trovato la loro moschea bruciata possono trarre conforto da un fatto: che l’intera opinione pubblica ebraica del paese, da un estremo all’altro, è rimasta sconvolta da quel gesto. Ad eccezione delle scritte lasciate sui muri stessi della moschea, non si è letta né udita una sola frase in ebraico che giustificasse l’incendio doloso perpetrato nel nord del paese. Dal che risulta chiaro che l’incendio della moschea rappresenta, a un dipresso, solo e unicamente le persone che l’hanno appiccato con le loro mani: un gruppuscolo di teppisti criminali e infantili. È impossibile che un persona adulta e matura possa credere che dare fuoco a un luogo di preghiera arabo-musulmano nella regione israeliana di Galilea costituisca una “vendetta” per l’assassinio di due ebrei presso Hebron. Solamente persone del tutto scollegate dall’esperienza israeliana possono trastullarsi con l’idea d’aver “vendicato” un qualunque crimine bruciando delle copie del Corano. Persone in contatto con la realtà avrebbero capito che, non appena si fosse diffusa la notizia dell’incendio doloso, sarebbero piovute dure parole di condanna da tutto il paese. Sarebbe saggio, da parte degli arabi israeliani, considerare sufficienti queste condanne a tutto campo, e tornare alla routine quotidiana (anziché darsi ad incendiare centri sportivi, uffici municipali e ambulatori medici, come hanno fatto alcuni di loro, lunedì, a Tuba Zangaria). Sanno bene che non hanno alcun fondamento le accuse di chi insinua che polizia e servizi di sicurezza non farebbero abbastanza per arrestare i colpevoli. Non c’è alcun dubbio che la lotta contro le bande di “vendicatori”, al di qua e al di là della ex linea armistiziale, costituisce uno dei principali compiti di chi è chiamato a far rispettare la legge in Israele. D’altronde, qualunque ragazzetto fanatico dotato di fiammiferi e pennello può appiccare il fuoco e proclamare d’aver compiuto un atto di “vendetta”. […] Naturalmente, è sempre possibile incolpare tutta la destra israeliana, ma sarebbe una calunnia assurda. Queste fantasie di “vendetta” sono innanzitutto un grosso problema per la stessa destra: anziché incalzare gli avversari in un acceso dibattito sui temi della terra e della pace, l’establishment della destra si ritrova a dover emettere dure condanne di aggressioni come quella contro la moschea di Tuba Zangaria. Quando gli incendiari verranno infine arrestati, il sospiro di sollievo dei membri del Consiglio di Giudea e Samaria (Cisgiordania) si sentirà fino a Tuba Zangaria, in Galilea.»(Da: YnetNews, 4.10.11)
Scrive Yaakov Katz, sul Jerusalem Post: «Il bersaglio scelto suscita seri interrogativi sulle motivazioni dei presunti responsabili. Attaccare una moschea in una città israeliana è totalmente anomalo, a maggior ragione in un villaggio beduino come Tuba Zanghariya i cui abitanti servono anche nelle Forze di Difesa israeliane. Non solo i giovani maschi del villaggio prestano servizio di leva in percentuale relativamente alta, ma in esso opera anche un ramo del movimento Acharey (“Dopo di me”) dove uno del posto, veterano della Brigata Golani, si adopera per motivare sempre più giovani beduini ad arruolarsi nelle unità di combattimento. Non è affatto chiaro cosa cercavano di ottenere coloro che hanno perpetrato quest’aggressione. Cercavano di distruggere intenzionalmente le già fragili e delicate relazioni fra ebrei e arabi beduini? Volevano silurare l’arruolamento della gioventù del posto nelle Forze di Difesa israeliane? Volevano spostare il fulcro dai palestinesi di Cisgiordania agli arabi israeliani, o volevano semplicemente attaccare un villaggio arabo, infischiandosene totalmente di quale villaggio fosse, dove si trovasse e chi vi abitasse? […] Nei mesi scorsi i servizi di sicurezza israeliani hanno registrato un crescente numero di vandalismi per “vendetta”, quelli che vengono rivendicati come gesti “per fargliela pagare”: dallo sradicamento di ulivi, al danneggiamento di veicoli militari, alle aggressioni verbali e fisiche contro attivisti avversari ma anche contro militari e poliziotti impegnati nello sgombero di insediamenti illegali, fino all’incendio della moschea. Il timore, negli ambienti della sicurezza e della difesa, è che questo genere di attacchi possa crescere nel momento in cui i palestinesi vanno avanti con la loro richiesta di indipendenza unilaterale (cioè, senza accordo negoziato con Israele), specie se verranno lanciate dimostrazioni di massa nelle città palestinesi. Un altro potenziale fattore scatenante è il previsto sgombero, nei prossimi mesi, di un certo numero di avamposti illegali in Cisgiordania. Non esiste un modo semplice per fermare questo genere di violenze. Chiaramente polizia, servizi di sicurezza, forze armate e procura generale devono unire le forze e creare delle task-force congiunte con questo specifico compito. I responsabili devono essere scoperti, arrestati e puniti. Solo così Israele potrà fermare un fenomeno che non solo danneggia la sua immagine nel mondo, ma soprattutto mina i principi democratici basilari su cui si fonda il paese.»(Da: Jerusalem Post. 4.10.11)
Scrive Uri Ariel, su Yisrael Hayom: «Abbiamo uno stato di diritto che ci è costato sangue e sudore. Farsi giustizia da sé significa abbandonare lo stato ebraico, i valori ebraici e optare per l’anarchia.» L’editoriale chiede che «la polizia indaghi e scopra tutti i responsabili, e che il sistema giudiziario li punisca con tutta la severità prevista dalla legge.» (Da: Yisrael Hayom, 4.10.11)
da: http://www.israele.net/



Risotto al cedro


INGREDIENTI: 1 litro di brodo vegetale, 1 cucchiaio di olio, 2 scalogni o 1 cipolla bianca, 500 grammi di riso,1 bicchiere di vino bianco, 3 cucchiai di buccia grattugiata di cedro, 1 tazzina di semi di melograno, sale, pepe nero.PREPARAZIONE: Portare a bollore il brodo. In una casseruola riscaldare l’olio e far soffriggere la cipolla ritaata. Aggiungere il riso mescolando con un cucchiaio di legno e farlo tostare per circa 3 minuti. Bagnare con il vino bianco e mescolare fino a che non evapori completamente.Aggiungere gradualmente il brodo bollente, lasciando ogni volta assorbire, fino a quando il riso sarà cotto al dente. Unire la buccia del cedro, lasciar insaporire il risotto. Aggiungere il sale e il pepe mescolando accuratamente.Decorare con i chicchi di melagrana, servire caldo. Sullam n.79


Non prendiamoci troppo sul serio....

La mia mamma era una vera e tipica yedish mame, al punto che la cacciarono dalla giuria di un tribunale perché continuava sostenere che l’unica colpevole era lei!
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Una scritta fuori una sinagoga americana: Siamo affidabili! da 5723 anni sotto la stessa gestione!
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Cinque ebrei che hanno cambiato il nostro punto di vista sul mondo:
Mosè: La Torà è tutto
Gesù: L’Amore è tutto
Marx: Il Danaro è tutto
Freud: Il Sesso è tutto
Einstein: Tutto è relativo
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In un supermercato di New York, una signora ebrea vede un madre di colore il cui figlio afferra una merendina dallo scaffale e fà i capricci perchè la vuole assolutamente mangiare.A questo punto sente la madre dire:
- Jullam, mettila subito a posto! Non è Kasher!
Incuriosita, la signora si avvicina e le chiede:
- Mi scusi signora, ma lei è ebrea?
E la signora di colore risponde:
- Io? No!
- Allora perchè ha detto così al bambino?
- Beh, vedo sempre tutte quelle madri ebree dire questa frase ai loro figli, e visto che a loro funziona, la uso anche io!
A cura di R.Modiano Sullam n. 79


Gli ebrei nel regno sabaudo

Nel parlare d’unità d’Italia una nota di merito va a Gianfranco Moscati che ha appena pubblicato un nuovo catalogo:“Gli ebrei sotto il regno sabaudo. Combattenti, Resistenza, Shoah”.
Il catalogo raccoglie una serie di documenti collezionati da Moscati che dimostrano quanto gli ebrei fossero attivi nella vita politica italiana, anche prendendo parte alle guerre risorgimentali, entrando così nella storia del loro paese, ma anche ai conflitti in Libia, Etiopia, Prima guerra mondiale e nella resistenza.Attraverso questo volume si potranno quindi ripercorrere i passi degli ebrei italiani, dall’emancipazione, con lo Statuto Albertino del 1948, alla partecipazione alla vita politica del paese, fino ad arrivare alle discriminazioni e alle persecuzioni. Un catalogo che come scrive nella bella introduzione Pia Jarach “[…] è senza dubbio un contributo prezioso per tutti coloro che credono che il futuro possa essere migliore. Non smettendo mai di imparare e di ricordare sia le grandi vittorie, che gli errori più tragici, scritti fra le righe di una semplice lettera, su una medaglia al valore o su un manifesto propagandistico.”Il volume, circa 70 pagine a colori, sarà come di consueto stampato e venduto a chi ne farà richiesta, i proventi della vendita saranno interamente devoluti in parti uguali a favore dei bambini delle associazioni che Gianfranco segue da anni, Alyn, l’ospedale pediatrico di Gerusalemme e Gioco, immagine e parole, la ludoteca di san Giovanni a Teduccio.Da questo nuovo catalogo sono stati realizzati alcuni pannelli che andranno ad ampliare la mostra “Per non dimenticare la shoah”, già esposta da Gianfranco nelle principali città italiane. La mostra così arricchita è a disposizione (a fronte del pagamento della sola assicurazione e spese di trasporto) di qualunque ente voglia esporla.Per informazioni sull’esposizione e per l’acquisto dei cataloghi potete inviare una mail direttamente all’indirizzo sullamnapoli@gmail.com, la redazione provvederà a fornire maggiori informazioni.Si informa che lunedì 12 settembre si è svolta l’’Assemblea elettorale dell’Associazione Italia-Israele nella sede dell’Associazione “Oltre il Chiostro”. Ivi, in presenza del Consiglio Direttivo uscente, si è proceduto a votare per l’approvazione del sistema elettorale proposto dal Presidente uscente, Giuseppe Crimaldi, che prevedeva il voto per liste di Consiglieri già determinate. È stata presentata un’unica lista, per un Consiglio Direttivo composto da Giuseppe Crimaldi (Presidente), Ottavio Di Grazia e Luciano Tagliacozzo (Vice-Presidenti), Suzana Glavaš e Diego Guida (Probiviri), Francesco Lucrezi (Segretario Tesoriere).Si è votato per alzata di mano, e la lista è stata approvata all’unanimità.A votazione ultimata, il Consiglio ha accolto con piacere la proposta di iscrizione da parte di Giuseppe Reale, Presidente di “Oltre il Chiostro”, al quale ha offerto la tessera di Socio onorario, rinnovando i ringraziamenti per la cortese ospitalità.In apertura di seduta, invece, si è data pubblica lettura del messaggio di sostegno inviato da Rav Scialom Bahbout, a cui tutti i presenti hanno inviato un caloroso saluto e ringraziamento.Claudia Campagnano, Sullam n.79

George Gershwin

Ebraismo e modernità


Nella discussione sul rapporto tra ebraismo e cultura moderna, svoltasi lo scorso 4 settembre, in occasione della Giornata Europea della Cultura Ebraica, alla Comunità ebraica di Siracusa (alla quale abbiamo già fatto cenno, su queste pagine, lo scorso mercoledì 14 settembre), un problema particolarmente interessante che è stato affrontato è quello dei diversi linguaggi dell’arte e della scienza che sono stati attraversati, nel corso del Novecento, dalla creatività ebraica. Essa, come è noto, ha permeato profondamente di sé tutti i campi della cultura umana, dalla musica (con Mendelsohn, Mahler, Gershwin, Schönberg, Stockhausen, Berlin, Dylan…) alla letteratura (Proust, Brecht, Bellow, Kafka, Canetti, Celan, Miller, Morante, Svevo, Saba, Agnon, Vassily Grossman, Isaak e Israel Singer, Némirovsky, Carlo e Primo Levi…), dall’arte figurativa (Chagall, Liechtenstein, Lucien Freud, Rauschenberg…) alle scienze (Einstein, Freud, Sabin, Gödel, Bettelheim, von Neumann, Oppenheimer, Durkheim, Lévi-Strauss, Mauss, Levi Montalcini…), dalla filosofia (Rosenzweig, Buber, Scholem, Adorno, Neher, Aron, Levinas, Barth, Marcuse, Sartre, Benjamin, Arendt, Derrida…) alla storiografia (Juster, Lenel, Momigliano, Volterra, Sereni, Finley, Rabello…), dal cinema (fratelli Marx, Eisenstein, Polansky, Allen, Spielberg, Lewis, Brooks, Mathau…), all’architettura (Mendelsohn, Neufeld, Liebeskind…) alla fotografia (Capa, Newton…). Non è certo esagerato affermare che la cultura moderna, nel suo insieme, è figlia dell’ebraismo: basti pensare, al riguardo, alla semplice esistenza della psicanalisi e della teoria della relatività, dell’antropologia e dell’esistenzialismo, della musica dodecafonica, del cinema sperimentale e dell’arte informale.Ma, a voler ripercorrere i tumultuosi e contorti percorsi compiuti, in Europa e in America, dall’intelligenza ebraica (quantunque secolarizzata, deviata, eretica, contaminata ecc. ecc.), si potrà notare che i risultati più prodigiosi si sono registrati, volta per volta, in campi differenti e in tempi diversi, come se la fiaccola del genio fosse passata, in una tacita staffetta, dalle mani degli scienziati a quelle degli artisti, per poi tornare nuovamente sul terreno della scienza, e così via. Non è, certo, qualcosa che si possa misurare con esattezza, ma è innegabile, per esempio, che ci siano stati degli anni in cui i filosofi ebrei hanno rappresentato la punta più avanzata del pensiero mondiale, e altri anni in cui la genialità ebraica ha alimentato nuove forme di espressione nelle arti plastiche e figurative. Ciò, probabilmente, non è dipeso dal caso, ma, almeno in una certa misura, dalle diverse capacità di ascolto maturate, nei vari contesti, in determinati momenti storici. Oggi, per esempio, non sembra essere più il momento di una “filosofia ebraica”, essendosi, forse, esaurita l’investigazione sul “non senso”, o sul “senso perduto”, e non essendo stato ancora trovato un nuovo, possibile orizzonte di significato. O anche perché, forse, la funzione dei filosofi è oggi affidata agli scrittori, le cui pagine, scritte in America (con Foer, Krauss, Roth) e in Israele (Oz, Appelfed, Yehoshua), assolvono, sempre più, quei compiti di ricerca esistenziale e morale (sull’“essere” e il “dover essere”) un tempo tipico appannaggio della filosofia. L’eterna oscillazione dell’anima ebraica, per esempio, tra particolarismo e universalismo, fedeltà a una specifica tradizione e appartenenza all’umanità tutta, è stata espressa, nel secolo passato, da pensatori come Neher e Levinas, con parole che restano ancora insuperate. Ma la stessa rappresentazione emerge oggi, in modo potente, drammatico e doloroso, negli impietosi romanzi (come Pastorale americana o Il teatro di Sabbath) di Philip Roth.Francesco Lucrezi, storico http://www.moked.it/


Con i Giusti a San Zenone
Una straordinaria storia di solidarietà, celebrata questa mattina con cerimonia solenne nel comune veneto di San Zenone degli Ezzelini dove, alla presenza tra gli altri del consigliere dell'ambasciata di Israele in Italia Livia Link, sono stati nominati Giusti tra le Nazioni monsignor Oddo Stocco (nella foto), arciprete di San Zenone degli Ezzelini negli anni del nazifascismo, e due membri della comunità ezzelinese, Idda Mozzachiodi in Colbertaldo e Pierina Gazzola Lessio (quest'ultima ancora in vita), attivi insieme a molte famiglie del luogo nell'opera di protezione di oltre una cinquantina di perseguitati ebrei in fuga dai persecutori. La vicenda, portata recentemente alla luce da Antonio Busatto e da Gildo Pellizzari, racconta di una comunità coesa e solidale nello scegliere coraggiosamente di opporsi alle direttive del regime. Una comunità minacciata che lo stesso don Stocco più volte riuscì a proteggere dalla repressione e che fu protagonista di eroismi individuali e collettivi che sono stati raccolti e documentati da Busatto in una pubblicazione che vedrà presto la luce e i cui proventi serviranno a finanziare l'Orfanotrofio Saint Vincent di Niamey in Niger dove nel 2007 è stata affissa una targa in ricordo dell'eroico sacerdote. «Qualsiasi sbandato, fuorilegge, perseguitato ebreo, la cui vita era in pericolo, si rivolgeva al sacerdote e trovava la Sua pronta e cara protezione. Bastava una sua parola per aprire le porte di ogni contadino dove trovava il profugo la sua nuova casa con la più grande ospitalità» scrivono a don Stocco in una lettera, datata 8 dicembre 1945, tre ebrei di Cracovia che al prete, oggi Giusto, devono la vita.http://www.moked.it/


Il Nobel rende omaggio a Israele e premia Shechtman per la scoperta dei quasicristalli

Assegnato questa mattina il premio Nobel per la Chimica 2011. Vincitore del prestigioso riconoscimento l'israeliano Dan Shechtman, professore di scienze materiali al Technion Institute of Technology e all'Iowa State University. Decisiva per l'attribuzione del premio la scoperta dei quasicristalli, forme strutturali ordinate ma non periodiche individuate grazie a un lavoro di ricerca iniziato nel 1982 e portato a termine nonostante alcune perplessità espresse più volte nel passato da esponenti della comunità scientifica. “Il professor Shechtman - si legge nel comunicato diramato dall'Accademia Reale delle Scienze di Svezia - ha fondamentalmente alterato il modo in cui la chimica considera la materia solida. A differenza di quanto si riteneva ha scoperto che gli atomi possono disporsi in una forma non periodica. Si tratta di una scoperta estremamente controversa ed è per questo motivo che gli venne chiesto di lasciare il suo gruppo di ricerca. Tuttavia la sua battaglia a difesa delle proprie idee ha costretto gli scienziati a riconsiderare le loro concezioni sulla natura stessa della materia”. La notizia della vittoria di Shechtman ha suscitato molte reazioni di entusiasmo in Israele dove i Nobel per la Chimica salgono così a quattro unità complessive (undici se si considerano tutte le discipline) dopo i successi di Ada Yonath (2009), Aaron Ciechanover (2004) e Avram Hershko (2004). Tra gli altri ha espresso la propria soddisfazione il ministro con delega all'educazione Gideon Sa'ar, che ha definito il traguardo raggiunto da Shechtman “un grande motivo d'orgoglio per il sistema educativo e per l'intero Stato d'Israele”. L'assegnazione del Nobel per la Chimica segue di poche ore l'attribuzione del premio Nobel per la Medicina al francese Jules Hoffmann e a due medici ebrei, l'americano Bruce Beutler e il canadese Ralph Steinman. Nel caso di Steinman, deceduto pochi giorni prima del conferimento del premio, la direzione del Nobel ha confermato ieri l'iscrizione nel registro dei vincitori.http://www.moked.it/


Voci a confronto

Tutti i quotidiani di oggi, il GR ed i TG, hanno dedicato un commosso ricordo ad Ida Marcheria: con lei scompare una delle ultime testimoni di Auschwitz, dove venne deportata giovanetta a solo 14 anni. Vide morire subito la mamma e una sorella, più tardi il Padre e tanti altri, mentre lei si aggirava, per selezionarli, tra i vestiti e gli altri oggetti dei tanti trucidati.La notizia che viene riportata oggi da tutti i giornali è quella dell’incendio appiccato da criminali ad una moschea in Israele; la prima moschea che viene incendiata in Israele (senza dimenticare le alcune incendiate in Giudea e Samaria). Netanyahu ha immediatamente condannato l’episodio ed ha invitato la polizia a fare ogni sforzo per identificare ed arrestare i colpevoli. Il presidente Peres si è recato commosso sul posto. Questa è la realtà dei fatti, e non si deve neppure tacere che gli attentatori si sono forse voluti vendicare per un altro crimine rimasto finora impunito: quello della morte del rabbino Palmer e del suo bellissimo bambino (morte dovuta ad una pietra di nove chili che ha colpito alla testa il padre alla guida della propria automobile). Simili rappresaglie non sono ammissibili in uno stato di diritto, ed i governanti israeliani ne sono ben consapevoli, ma è interessante vedere come i quotidiani italiani ne scrivono oggi.Francesco Battistini sul Corriere (che già nel sottotitolo evidenzia la “rappresaglia”) non perde l’occasione di dubitare delle cause della morte dei Palmer, scrivendo che solo “per la polizia” la causa sarebbe appunto dovuta ad una pietra. Per l’incendio Battistini sa già che i colpevoli sono i “coloni”, che per di più sono certi “di restare impuniti”. Procedendo nella lettura, si trova che Battistini parla di un rabbino di Safed che avrebbe spinto alla vendetta. Non saprei se questo rabbino abbia detto ciò (e se lo ha fatto è singolarmente colpevole), ma so che Safed non è una colonia (a meno di considerare colonia tutta la Israele del ‘48, come ha detto Abu Mazen a New York quando ha parlato di occupazione che dura da 63 anni). Dopo aver ancora parlato di “occupazione illegale di più di 100 aree palestinesi” (Battistini avrebbe bisogno di seguire un corso di diritto), inganna ancora il lettore del Corriere, in chiusura, con la trascrizione delle parole del ministro della difesa USA Leon Panetta che ha sì invitato le due parti a riprendere il dialogo, ma lo ha fatto parlando a Ramallah di fronte ad un Abu Mazen che il dialogo non lo vuole, e non quando incontrava Netanyahu e Barak. Non vi è da stupirsi che ancora peggiore sia l’articolo di Mi. Gio. sul manifesto che, parlando della pietra che ha ucciso il rabbino Palmer, scrive che era stata “fatta rotolare”, secondo la ben nota regola che anche la scelta delle parole influenza il lettore. Asettica la breve dell’Osservatore Romano che scrive dell’incendio della moschea “in seguito alla morte di un rabbino”. Il Fatto Quotidiano parla dei governanti israeliani definendoli “una casta”; sarà anche vero, ma il giornalista dimentica di dire che è la regola nel mondo intero. Ancora sulla visita di Panetta in Medio Oriente, un editoriale del Foglio scrive che “il gigante americano ed il bambino israeliano hanno bisogno l’uno dell’altro”; è vero, ma l’autore ha dimenticato l’Europa che, ancora più dell’America, ha, senza rendersene conto, un disperato bisogno di Israele e della sua sopravvivenza.Sempre da Israele, Uri Avnery inizia e termina il suo articolo dedicato alla nuova leader socialista Shelly Yacimovich parlando dell’ammutinamento dell’equipaggio del Titanic mentre il transatlantico stava cavalcando le onde. Una socialista che si preoccupa solo dei problemi sociali e non di quelli nazionali non raccoglie ovviamente i favori del giornalista del manifesto, giornale da sempre attento agli ebrei morti, ma indifferente alla sorte di quelli vivi, che stanno appunto navigando sul Titanic. E per il Manifesto, Michele Giorgio assiste ad una seduta del tribunale che processa i complici, sopravvissuti, degli assassini di Arrigoni; l’attento cronista registra, senza critiche, il fatto che uno degli accusati sia oramai libero cittadino, e parimenti non si scompone per la discrepanza tra testimonianze e documenti agli atti. Egli preferisce “aspettare il momento in cui gli imputati saranno chiamati a spiegare le ragioni che li hanno portati a sequestrare Vic”. Già, parliamo solo di sequestro, ed aspettiamo fiduciosi in una giustizia super partes.A questo punto raccomando ai miei lettori, desiderosi di essere bene informati, di leggere David Harris che, su l’Opinione, fa una attenta disamina del discorso pronunciato da Abu Mazen all’ONU; dice tante sacrosante verità che troppi giornalisti italiani hanno preferito ignorare.Carlo Panella su Libero dedica il suo articolo ai 100.000 copti già costretti dai salafiti ad abbandonare l’Egitto dove i loro antenati vissero da sempre, da prima dell’arrivo dell’islam. Quella popolazione, che conta tra otto e dieci milioni di abitanti, è una grande minoranza mai scesa in politica, e quindi le difficoltà che oggi deve affrontare sono solo dovute all’estremismo religioso. Purtroppo per loro sono ignorati da un Occidente che promette 40 miliardi di dollari di aiuti (20 ai soli Egitto e Tunisia), senza imporre alcuna condizione che assicuri la libertà religiosa. Daniele Raineri sul Foglio descrive le vicende di un egiziano condannato ad 8 anni per il suo pacifismo (che lo porta anche a disconoscere le colpe degli israeliani), e che ora rischia la morte avendo iniziato da tempo un disperato sciopero della fame; intanto un israeliano, andato ingenuamente al Cairo che credeva città davvero amica grazie alla primavera araba, pur riconosciuto innocente dei crimini che lo hanno portato in prigione, deve aspettare che Panetta, in arrivo anche nella capitale egiziana, offra nuovi aiuti per poter ottenere la sua giusta libertà.Parlavo la settimana passata della storia di David Gerbi, tornato nella sua Tripoli; lo abbiamo visto, l’altro giorno, ripreso dai TG mentre pregava nella sinagoga, ma subito il suo progetto è stato bloccato dalla sempre provvidenziale “mancanza dei necessari documenti” che nessuno può, evidentemente, fornire nella Libia attuale.
Su l’Opinione, infine, si può leggere del convegno organizzato dalla instancabile Fiamma Nirenstein che ha riunito a Roma, tra gli altri, il ministro Frattini ed il Presidente Riccardo Pacifici.Emanuel Segre Amar http://www.moked.it/


Aperto il Museo delle cere

E' stato appena inaugurato, nella città israeliana di Eilat, il museo delle cere all’Imax Theater 3D. Agli occhi dei visitatori si apre una galleria di oltre 150 sculture di cera, che ritraggono star internazionali tra cui Robert De Niro e Angelina Jolie, personaggi entrati nel Guinness dei primati, icone della mitologia greca e delle antiche leggende. L’Imax Theater offre oggi anche la possibilità di assistere a proiezioni di film in 3D su uno schermo eight story high con un impianto digital sound da 12 mila watt. Situato nel centro di Eilat, l’Imax è facilmente accessibile e a breve distanza dai principali hotel sulla spiaggia nord di Eilat. Turisti e visitatori possono anche optare per lo speciale biglietto valido tre giorni, che permette di accedere a varie proiezioni di film in 3D e di visitare il Museo delle cere. http://www.moked.it/


ebrei romani e Risorgimento
Gli ebrei e l'orgoglio di essere italiani

Gli ebrei italiani hanno chiaro il significato della loro partecipazione determinante alla formazione dell'identità nazionale. Ma non altrettanto può dirsi per quanto riguarda la consapevolezza della popolazione italiana. Salutando i molti studiosi raccolti a Torino nella prestigiosa sede dell'Archivio di Stato per partecipare al convegno "1848-1914. Gli ebrei e l'orgoglio di essere italiani", il sindaco di Torino Piero Fassino (nell'immagine assieme ai vicepresidenti dell'UCEI Claudia De Benedetti e Anselmo Calò e al presidente della Comunità ebraica Torinese Giuseppe Segre) ha tenuto a ribadire come sia necessario offrire riconoscimento e spazio alla vicenda degli ebrei italiani.Numerosissimi gli spunti storici affrontati dagli intervenuti. Fra gli interventi in agenda, sotto la presidenza di Franco Segre e Tullio Levi, quelli di Maddalena Del Bianco (Nuove figure di rabbino nell’età dell’emancipazione e dell’Italia unita), Giovanni Miccoli (La Chiesa, lo Stato e gli ebrei nell’Italia liberale), Micaela Procaccia (Conservare, ricordare e raccontare: il Bel Paese degli ebrei italiani), Cristiana Facchini (Religione e libertà nella cultura ebraica liberale), Carlotta Ferrara degli Uberti (L’appartenenza alla nazione nell’autorappresentazione della stampa ebraica), Ulrich Wyrwa (Il peso e le forme dell’antisemitismo politico), Tullia Catalan (L’integrazione degli ebrei dopo l’emancipazione: un percorso non lineare).Nel corso del convegno anche la presentazione del volume di studi "Gli ebrei e l'orgoglio di essere italiani" (Zamorani editore) a cura di Fabio Levi che raccoglie le letture commentate di scritti di personaggi ebrei del Risorgimento organizzate dalla Comunità torinese e dall'Archivio Terracini. Fra i tanti saluti, in apertura dei lavori, anche quelo della vicepresidente UCEI De Benedetti, che ha dedicato poche parole per ricordare l'editore Angelo Fortunato Formiggini. All'indomani delle leggi razziste "in una mattina densa di nebbia del 29 novembre 1938 - ha detto - si buttò dalla Ghirlandina, la storica torre della città di Modena, gridando «Italia, Italia, Italia». Era ebreo ma non si uccise per questo, si è tolto la vita perché volevano ridurlo a essere «soltanto» un ebreo. Voleva essere un uomo, un italiano per nazionalità, cultura e radici italiane". http://www.moked.it/

A Taybeh l’Oktoberfest in salsa palestinese

Bevi che ti passa. Tra fiumi di birra, canzoni, balli e tanti falafel serviti caldi lo scorso fine settimana a Taybeh, cittadina cristiana della Cisgiordania, è andata in scena la settima edizione dell’Oktoberfest palestinese. Proprio così: una festa della birra nel cuore del Medio Oriente. Dove viene prodotta e commercializzata la “Taybeh beer”, l’unica variante palestinese.Migliaia di curiosi e appassionati della birra sono arrivati non solo dalla West Bank, ma anche da Israele e dall’Europa. Non sono mancati nemmeno i ragazzi della sinistra di Tel Aviv, sempre presenti nelle occasioni che vedono coinvolte realtà palestinesi.Dalle 11 del mattino alle 10 di sera, di fronte al municipio di Taybeh migliaia di litri di birra l’hanno fatta da padrone sabato e domenica (foto sotto scattate da Mati Milstein). Con tanto di musica brasiliana all’inaugurazione a cura del trio Rodrigo Lessa, con un corpo di ballo arrivato apposta dallo Sri Lanka e la band spagnola dei Metal Cambra. Poi, certo, c’erano pure loro, i ragazzi del gruppo folcloristico della località palestinese. E il circo. Le arti marziali. E altro ancora. C’era anche un sacco di cibo locale, senza distinzioni di bandiera.

Insomma, una festa. Una gran festa. Mentre tutt’intorno le cose erano in subbuglio. Per dire: negli stessi momenti a Ramallah si chiedevano cosa farne delle aperture al dialogo del premier israeliano Netanyahu. Più a nord, poi, andava a fuoco una moschea, la prima in pieno territorio israeliano. Mentre più vicino gl’insediamenti brulicavano di strani personaggi che inneggiavano alla rivolta contro palestinesi e Gerusalemme. Personaggi che così come sono arrivati, poi sono spariti.Certo, non che dentro Taybeh le cose siano andate come speravano gli organizzatori. C’è stato pure qualcuno che ha criticato l’iniziativa. La componente musulmana non ha gradito. Non solo per il fatto che si trattava di una festa in onore di una bevanda alcolica. «Questo Oktoberfest ci scombussola la vita, ma questo non importa ai produttori della Taybeh Beer», ha scritto un lettore sul sito dell’agenzia palestinese Maan News. «Questa cosa non aiuta la nostra economia», ha aggiunto un altro.Solo che poi è stato tempestato di critiche da chi all’iniziativa c’è stato. «Guarda che l’alcool sarà pure vietato dall’Islam, ma a Taybeh sono arrivati un sacco di musulmani solo per bere birra», ha replicato Martha di Beit Ummar. Aggiunge una stoccata: non solo hanno bevuto, «ma hanno anche fatto commenti volgari sulle attiviste con i capelli biondi». Via così, insomma. Fino alla proposta di due israeliani, Elena da Tel Aviv e Aron da Gerusalemme: «La prossima volta, quando Netanyahu e il presidente palestinese Abbas si siederanno al tavolo dei negoziati, sarebbe meglio servire loro la birra Taybeh, magari li aiuterà a mettere da parte le loro divergenze». http://falafelcafe.wordpress.com/ 4 ottobre


martedì 4 ottobre 2011


Netanyahu: negoziati con i palestinesi

Un passo avanti, due indietro: la ripresa di negoziati di pace israelo-palestinesi, perorati con forza ed autorità dal Quartetto il 23 settembre scorso, non sembra avvicinarsi nemmeno dopo l’annuncio di Benyamin Netanyahu di aver ieri ottenuto dal proprio governo il tanto atteso «via libera».Ma se il premier israeliano sperava di sentire da Ramallah espressioni di incoraggiamento, si è presto dovuto ricredere. I dirigenti palestinesi sono invece partiti alla controffensiva esigendo da Israele passi concreti «e non più solo belle parole», aprendo il fuoco anche in direzione del rappresentante regionale del Quartetto: l’ex premier britannico Tony Blair che ormai a Ramallah viene beffardamente definito «un membro di second’ordine del governo israeliano».A coronare il quadro scoraggiante sono sopraggiunte una profonda crisi di fiducia della cancelliera tedesca Angela Merkel nei confronti di Netanyahu («reo» di aver annunciato l’estensione di progetti edili ebraici a Gerusalemme Est proprio mentre la Germania su sua richiesta stava conducendo uno sforzo diplomatico per bloccare la domanda della Palestina di piena adesione all’Onu), e un’altra crisi di fiducia dell’Anp nei confronti degli Stati Uniti dopo aver appreso che il Congresso potrebbe congelare 200 milioni di dollari di aiuti ai Territori per «punire» Abu Mazen della sua iniziativa alle Nazioni Unite. Un ex ministro palestinese, Cadura Fares, ha osservato che la ragion d’essere dell’Anp era di pilotare i palestinesi dei Territori «verso la pace e verso uno Stato indipendente». Se adesso gli Usa vogliono prosciugare le casse dell’Anp, l’intero progetto politico di Oslo verrà messo in dubbio. Forse che Stati Uniti ed Israele hanno nei Territori un’opzione migliore di quella rappresentata da Abu Mazen e dal suo premier Salam Fayad?Dieci giorni fa, quando la questione della Palestina era approdata al Consiglio di Sicurezza, il Quartetto aveva chiesto a israeliani e palestinesi di produrre uno sforzo particolare per rilanciare negoziati senza precondizioni nell’intento di concludere un accordo di pace entro il 2012. Ieri, dunque, forse anche per placare le ire della Merkel, Netanyahu ha dato il suo assenso anche se, ha precisato, Israele ha alcune riserve. Ma i portavoce palestinesi hanno replicato che l’Anp non tornerà a negoziare con lui se non si impegnerà preventivamente a congelare gli insediamenti e a stabilire le linee armistiziali antecedenti il 1967 come punto di partenza per la definizione di futuri confini di pace.Mentre Gerusalemme e Ramallah si palleggiavano queste dichiarazioni, il viceministro israeliano degli Esteri Dany Ayalon era in escursione sulle alture di Ghilo’ da dove si ammira sia il panorama di Gerusalemme (con la Knesset e la Città vecchia) sia, guardando verso Sud, quello di Betlemme. Le sue terre si trovano entro i confini municipali di Gerusalemme, ma anche in territori cisgiordani che erano sotto controllo giordano fino al 1967. A Ghilo’ risiedono 45 mila israeliani e adesso si progetta la costruzione di altri 1100 alloggi. «Questo è un rione di Gerusalemme» ha precisato Ayalon. «Abbiamo costruito qua in passato, costruiamo adesso, costruiremo anche in futuro». Non proprio le parole capaci di acquietare in questi giorni le apprensioni dei dirigenti palestinesi.Nel frattempo l’Anp moltiplica gli attacchi personali (sia in pubblico, sia anonimi) nei confronti di Blair. Secondo Bassam al-Salhi, un dirigente dell’Olp, «quell'uomo ha perso la sua credibilità». Un funzionario palestinese ha sostenuto che Blair ha sperperato 100 mila dollari all’anno per crearsi nell’American Colony di Gerusalemme Est una lussuosa base operativa: non per favorire la pace, «ma per cercare di aggiudicarsi la presidenza dell’Ue, o la guida dell’Onu». Fra così tanti rancori e veleni, la celere ripresa di negoziati di pace appare dunque molto remota. La Stampa 03 ottobre 2011 di Aldo Baquis
Nella foto a alto: "Uno Stato ebraico, che cosa dovrebbe significare ? Chiamatelo come volete, ma non lo accetto e lo dico in pubblico ".Abu Mazen, 27/04/2009
http://www.informazionecorretta.it

Addio a Ida Marcheria

Addio a Ida marcheria testimone della Shoah, deportata nel campo di concentramento di Birkenau, l’11 dicembre 1943 a soli 14 anni. “Lì ho conosciuto il male più assoluto,erano tutti senza alcuna pietà, non ci sono discussioni” aveva dichiarato in un’intervista rilasciata a Repubblica.“Con Marcheria scompare una donna incredibile, una persona coraggiosa che è stata testimone e portavoce dell`orrore della Shoah” ha dichiarato il sindaco di Roma Gianni Alemanno nell’apprendere la notizia. “A Ida è stata rubata la vita, all’età di 14 anni è stata trasportata in vagoni bestiame verso Birkenau, dove con i suoi occhi ha visto il male assoluto”, ricorda ancora Alemanno, che il prossimo 23 ottobre sarà ad Auschwitz-Birkenau con le scolaresche,”impegnati sul tema della memoria, affinché il ricordo di quei anni bui per l’intera umanità sia un patrimonio collettivo e condiviso, un esercizio spirituale ed educativo da trasmettere alle nuove generazioni. Questo viaggio Roma Capitale vuole dedicarlo a una grande donna, Ida Marcheria e a un grande uomo Romeo Salmoni’. Alla famiglia di Ida voglio inviare un caloroso e affettuoso abbraccio a nome di tutta l’amministrazione capitolina”.“E’ una perdita grave non solo per la comunità ebraica romana ma per l’intera città e per quanti hanno a cuore la memoria – ha dichiarato l’ex sindaco Walter Veltroni – mancherà a tutti noi. Mi torna in mente una foto bellissima e commovente di Ida Marcheria, pubblicata sui giornali: questa donna anziana e vivace che mostra il suo braccio con tatuato sopra il numero 70142. Lo fa con l’orgoglio di chi ha subito la persecuzione più orribile e mette il suo impegno e la sua vita da sopravvissuta al servizio della memoria.http://www.moked.it/


Gerusalemme - Ghilo
La responsabilità di Israele

«Kol Israel arevim ze la-ze». Tutti in Israele sono responsabili gli uni per gli altri. È uno dei principi classici dell’etica ebraica. Nel bene e nel male quello che accade in un punto di Israele, riguarda tutto il resto di Israele. Sta qui una differenza decisiva rispetto al mondo circostante dove ciascuno sembra stabile nel proprio ego, separato dagli altri, in una irresponsabilità verso il tutto.Essere l’uno per l’altro vuol dire che tutti devono rispondere per gli altri e davanti agli altri. È questo il senso del patto. Nessuno può sostituirmi nella responsabilità che devo assumermi e che è il luogo stesso della mia esistenza. Ma vuol dire anche che io mi devo prendere sempre una responsabilità in più rispetto all’altro: sono responsabile perfino della sua responsabilità verso di me – «en ladavar sof», cioè all’infinito. Che le comunità ebraiche nel nuovo anno possano perseguire questo ideale.
Chatima tovà a tutti Donatella Di Cesare, filosofa, http://www.moked.it/

lunedì 3 ottobre 2011


Fassino: "Il diritto all'esistenza di Israele è un dovere irrinunciabile"

"La costante riaffermazione del diritto all'esistenza dello Stato d'Israele rappresenta un dovere morale e storico irrinunciabile per ciascuno di noi e per la cultura politica democratica europea''. Lo ha scritto il sindaco di Torino, Piero Fassino, nel messaggio augurale indirizzato alla Comunità ebraica torinese in occasione di Rosh Ha-Shanà e Yom Kippur. "Guardiamo con attenzione allo scenario mediorientale e confidiamo che tutti i protagonisti abbiamo sempre come obiettivi confronto e dialogo che portino alla pace e alla convivenza - aggiunge Fassino - e so bene che anche da Torino e dalla sua comunità, tra le più antiche e radicate d'Italia, possono arrivare parole di sostegno e favore ad una soluzione di pace negoziata e condivisa". "La storia della presenza ebraica a Torino da più di seicento anni, il radicamento della cultura ebraica nel tessuto della nostra città e del paese intero, i tanti momenti drammatici che hanno visto gli ebrei torinesi e italiani perseguitati e oppressi - conclude il sindaco - devono rimanere per tutti noi un patrimonio comune di monito e di insegnamento ancora più necessario oggi in un mondo che ci chiede sempre più convivenza pacifica e confronto tra diverse culture, religioni ed etnie". http://www.moked.it/


QUELLA VITA IN COMUNE ALLA BASE DI UN POPOLO


CORRADO ISRAEL DE BENEDETTI
Tratto da DIARIO DI REPUBBLICA, SABATO 3 APRILE 2004

Israel De Benedetti vive da cinquant'anni nei kibbutz, sul cui argomento ha scritto vari libri. Tra i più significativi: "I sogni non passano in eredità: cinquant'anni di vita in kibbutz" (Giuntina 2001) e "Anni di rabbia e di speranze. 1938-1949" (Giuntina 2003) LE ORIGINI Nel 1911 una dozzina di ragazzi e ragazze arrivati in Palestina dall'Europa Orientale si mettono assieme in una specie di cooperativa, chiedono e ottengono dall'Agenzia Ebraica, all'epoca Ufficio Palestinese, alcune terre vicino al Lago di Tiberiade, per cercare di guadagnarsi da vivere come contadini. Nasce così il primo kibbutz, Degania, in cui questo gruppo di giovani ha deciso di mettere in comune guadagni e spese, con il motto «da ciascuno secondo le sue possibilità, a ciascuno secondo i suoi bisogni»). Essendo tutti poverissimi, i bisogni sono limitati al minimo. Degania tenne duro nei difficili anni della prima guerra mondiale, e subito dopo la fine delle ostilità arrivarono in Palestina ondate di giovani ebrei provenienti dall'Europa Orientale. L'arrivo di questi giovani permetterà la costituzione di altre comunità sul tipo di Degania e nel 1927 una ventina di questi primi kibbutzim creano una organizzazione centrale, anzi secondo la loro colorazione politico-ideologico si formano due organizzazioni parallele, una molto di sinistra e l'altra chiaramente socialdemocratica. Negli anni '30 si forma una terza corrente di kibbutzim, a base religiosa. In ogni caso dal punto di vista organizzativo in questi anni i kibbutzim si comportano nello stesso modo, indifferentemente dalla colorazione politica e dall'appartenenza a questo o a quella organizzazione. L'ORGANIZZAZIONE INTERNA Il kibbutz fornisce a tutti i suoi membri il medesimo trattamento, indipendentemente dal lavoro svolto, tutte le entrate delle varie attività vanno alla società comune che è padrona dei mezzi di produzione e dispone a suo piacimento delle forze di produzione. Il solo organo esecutivo e legislativo è l'assemblea formata da tutti i membri del singolo kibbutz: democrazia diretta. In certi casi, in questi anni, è l'assemblea che decide se fare o non fare figli (a seconda delle condizioni economiche della comunità). [Image] GLI ANNI DELLO SVILUPPO Dopo la creazione dello stato d'Israele, i kibbutzim attraversano un periodo di espansione sociale ed economica, creano il miracolo della agricoltura israeliana, che una volta coperte le necessità del mercato interno, si lancia all'esportazione di prodotti e tecniche. È il movimento kibbutzistico che scopre i pompelmi e li impone all'Europa. Negli anni '70 i kibbutzim sono diventati 250 con una popolazione che supera le 100,000 unità, producono più del 50 % della produzione agricola del paese e negli anni '80 producono il 14 % della produzione industriale, mentre dal punto di vista demografico sono passati dal 4 % della popolazione negli anni '50 al 3 %. Gli anni ’80 portano al culmine la potenza economica dei kibbutzim, l'aumento delle entrate porta di conseguenza un salto nel tenore di vita: si costruiscono case più grandi, arriva il telefono, la televisione, il kibbutz mette disposizione dei suoi membri un parco macchine, sostiene le spese universitarie dei giovani e paga perfino viaggi all'estero a tutti i compagni. LA CADUTA DEGLI IDEALI Tuttavia dagli anni '70 in poi, anno dopo anno aumenta il numero dei giovani nati in kibbutz che dopo il servizio militare, non tornano più a casa. La vita di fuori, le possibilità che sembrano infinite di far carriera e soldi, attirano i giovani che preferiscono alla casa socialista in cui sono nati un mondo esterno capitalista. Il kibbutz cerca di adeguarsi: poco alla volta tutti i kibbutzim abbandonano l'"educazione comunitaria" (i bambini fino ai 18 anni mangiavano e dormivano nelle loro casette, e passavano in famiglia le ore pomeridiane e serali e i giorni di festa) e i figli vengono ad abitare in famiglia, come nel mondo normale. La sera si guarda la televisione e si diserta la assemblea. CRISI E CAMBIAMENTO La crisi economica che travolge Israele nei primi anni '80, quando la Inflazione supera il 400 %, lascia il movimento kibbutzistico con una montagna di debiti, per cui è necessaria una moratoria, che sarà concordata tra Banche Creditrici, Governo e kibbutzim nel giro di una decina d'anni. Nessun kibbutz è fallito, ma molti ne sono usciti con le ossa rotte e i giovani dirigenti si chiedono se la colpa non sia tutta nel metodo (socialista). In ogni caso, decine di kibbutzim in crisi hanno cercato un'ancora di salvezza tra le braccia di consiglieri ed esperti, che hanno indicato nella strada della privatizzazione la via della salvezza economica. Molte mense sono state chiuse, molti servizi comunitari sono stati eliminati e oggi la maggioranza in assoluto dei kibbutzim ha adottato un modello comunitario chiamato con nomi diversi, ma in effetti basato su un medesimo concetto. Ogni membro del kibbutz riceve un salario sulla base delle condizioni del mercato sia se lavora fuori dal kibbutz, sia se lavora nelle attività del kibbutz. Da questo salario vengono detratte le trattenute varie come in città, inoltre ogni singolo passa alla comunità una tassa (uguale per tutti), con cui vengono finanziati i minimi servizi (assistenza medica, istruzione primaria, aiuto a vecchi e invalidi) che la comunità continua a fornire. Inoltre a partire da uno stipendio medio fissato anno per anno, coloro che ricevono salari più alti sono tassati in percentuale per permettere così alla comunità di arrotondare la pensione ai pensionati, dato che in passato la maggioranza dei kibbutzim non aveva pensato di investire soldi in fondi pensioni. Questa forma nuova di status del kibbutz è definito "kibbutz rinnovato". ANCORA EGUALITARI Si calcola che attualmente ci siano una trentina di kibbutzim che rimangono fedeli al modello comunitario originale, un centinaio e più che hanno già scelto la strada del kibbutz "rinnovato", mentre gli altri si dibattono ancora nelle incertezze. [Image]

Villa di lusso in Israele

Herzelia Pituah House è una villa di lusso che si esprime con uno splendido stile moderno. Offre grandi volumi e linee generali pulite e sobrie, per deliziare lo sguardo, invitando all’esplorazione. Questa casa, ideata e progettata dallo studio Pitsou Kedem Architects in collaborazione con il centro stile di Tanju Özelgin, sorge in Israele, dove manifesta al mondo la gradevole alchimia stilistica prodotta dai suoi volumi.Il taglio dialettico elimina le barriere tra interno ed esterno, assicurando però un adeguato livello di privacy. Negli spazi coperti si vive un quadro ambientale ben concepito, dove si sperimenta la gradevole sensazione del relax. Un fatto naturale, se si considera che l’edificio è stato pensato come dimora per le vacanze di una famiglia residente all’estero.La progettazione architettonica si basa su tre blocchi che circondano un ampio cortile interno, con piscina al centro. Il dinamismo dei vani, in termini di rapporto con la tela esterna, produce un quadro di vita dove la magia del paesaggio si abbina al piacere dell’intimità. Il dialogo e la relazione tra gli elementi genera un’atmosfera unica, sorprendentemente drammatica. http://www.deluxeblog.it/