sabato 10 maggio 2008

kibbutz Mashabim - deserto del Neghev

Buon compleanno Israele!

Sto immaginando di essere a Tel Aviv nella "palestra" dove e' nato lo Stato indipendente di Ben Gurion, Golda Meier e tutti gli Altri componenti di quello storico momento. Sento dentro di me l'Inno Nazionale dell'amata Terra e ho ancora l'emozione e sono ancora commosso al ricordo di quei momenti cosi' intensi, cosi' amati! Buon sessantesimo cara Terra dei nostri Padri e che la Pace sia con Voi e con Noi. Renzo Barison

Rehovot - istituto Weizmann


Il primo giorno a Torino

E' stata una gran giornata.
Il luogo,il Lingotto,è enorme, davvero impressionante. Dopo la cerimonia d'apertura a cui abbiamo partecipato, Francesca e io ci siamo perse ad un certo punto e siamo riuscite a tornare allo stand Israele accodandoci all'ambasciatore e alla sua scorta che casualmente avevamo intercettato; nel frattempo Napolitano faceva il suo giro in una ressa incredibile di giornalisti e fotografi che travolgeva tutto. Più diecine di poliziotti e polliziotte in borghese che facevano delle catene umane laterali per aprire la strada. Mai vista una cosa del genere! Io sono potuta entrare alle 9 di mattina perché Linda, unico autorizzato ad entrare quale presidente con moglie, ha insistito per farmi entrare con lui quale senatrice anziana delle associazioni!!!! Altrimenti avrei dovuto restare fuori fino alle 11 quando sono entrati tutti, compresi i 200 splendidi romani giunti con treni e aerei,caciaroni come non mai, con bandiere, in alto, addosso magliette, cappellini e tanto entusiasmo.
Cosicchè quando Napolitano è arrivato allo stand Israele non ti dico: prima con Fiam-ma Fiam-ma che ha dovuto farsi fotografare con tutti, poi Pre-si-den-te Pre-si-den-te: insomma una grandissima festosa accoglienza.
E' stato bello anche perchè c'erano moltissimi ragazzi e anche bambini portati dalle scuole, che giravano tranquillamente e liberamente fra gli stand.
C'era anche un enorme servizio di sicurezza e mi spiace per loro che è annunciato un brutto sabato.
Io ho dovuto partire alle 4 , cosicchè non ho potuto seguire nulla,salvo l'inizio dell'intervento di Paganoni. Il programma è fittissimo specie quello sulla cultura israeliana. Dai grandi scrittori agli storici, a Dan Bahat, Massimo della Pergola, gruppi musicali ecc. ecc. C'è il meglio di Israele in vetrina ed è tanto.
Bello anche il Riformista che, oltre alla copertina choc ha ottimi articoli:
uno dolce di Peppino Caldarola fra gli altri.
Che bello in treno leggere il giornale con tutta la copertina spiegata!
Ciao e un abbraccio
Lucia

Gerusalemme

AUGURI, ISRAELE!
The Faces and Places of Israel in the 21st Century

08-05-2008 Israele
Oggi Oggi lo Stato di Israele del 2008 assomiglia poco al piccolo paese agricolo che dichiarò l’indipendenza 60 anni fa. Oggi Israele è un paese di punta in campi come l’high-tech, il biotech, l’ecologia, la cultura e le arti. In occasione del 60esimo anniversario dell’indipendenza ISRAEL21c dedica questo video ai volti e ai luoghi di Israele nel XXI secolo.
Per vedere il video, clicca su:http://it.youtube.com/watch?v=jZX7WKsn5QE

giovedì 8 maggio 2008

Gerusalemme

Una nuova forma di antisemitismo

“The State of the Jews has became the Jew of the nations”.

Così, durante la seconda Intifadah, scriveva Yossi Klein Halevi dalle pagine del Jerusalem Report per definire la condizione di Israele nello scenario internazionale.
Una “condizione” costruita nel tempo grazie ad una poderosa e decennale campagna fatta di deformazione e manipolazione dei fatti, di una progressiva revisione storica, di costruzione di una vulgata e di un immaginario che ha messo insieme luoghi comuni terzomondisti, reazionari, razzisti e panarabisti.
Processo questo scatenato da quando negli anni 50 l’URSS, e quella parte di sinistra a lei legata, hanno abbandonato Israele per una più conveniente alleanza con i nuovi regimi arabi.
Come d’incanto Israele, fino allora considerato “cuneo rosso nel medioevo arabo” divenne un “avamposto dell’imperialismo americano”; così come improvvisamente divennero “progressisti” i nuovi nazionalismi arabi che in realtà avevano perseguitato partiti e leader liberali, socialisti e comunisti.
Da allora, confondendo “cause nazionali” e nazionalismi, leggendo come “lotta di liberazione” qualsiasi conflitto armato nel sud del mondo, si è riusciti a legittimare qualsiasi atto ostile nei confronti di Israele, lo Stato del popolo ebraico.
Ma non sono le politiche dei governi israeliani ad essere criticati, a torto o a ragione, ma la legittimità stessa dello Stato di Israele ad esistere perchè la nascita di Israele sarebbe macchiata da un peccato originale: la sottrazione di terra e la mancata costituzione di uno stato per il popolo palestinese.
Questa la tesi di sempre, questa la tesi di oggi, dei contestatori della presenza di Israele persino al Salone del Libro di Torino.
Costoro, sbadati o incolti che siano, dimenticano che la tragedia del popolo palestinese ha origine nel “rifiuto arabo” di trovare qualsiasi soluzione negli anni quaranta (stato binazionale o spartizione in due stati), nel tentativo arabo di risolvere la questione con le guerre e con lo sterminio degli ebrei in Medio Oriente (’47, ’48, ‘49, ’67), e infine nell’occupazione da parte dei regimi arabi delle terre destinate allo stato arabo palestinese.
Anche la vicenda dei profughi (e no solo quelli palestinesi!) trova origine nelle scellerate scelte sciovinistiche del primo nazionalismo arabo.
La nascita di Israele, secondo costoro, sarebbe una iattura, o avrebbe dovuto essere miracolosamente pacifica e indolore, senza guerre e spargimenti di sangue, senza profughi: ma nessuna nazione al mondo è nata così e il miracolo, forse, si sarebbe realizzato se non fossero stati eliminati e leader arabi favorevoli al raggiungimento di un accordo.
È dalla rimozione di queste verità storiche che trovano fondamento le posizioni antisioniste o quelle pregiudizialmente anti-israeliane, quelle insomma che pongono Israele sempre sul banco degli imputati.
Ma l’antisionismo non è solo questo: è anche la negazione di un diritto che viene (almeno nominalmente) riconosciuto a qualsiasi altro popolo. È quindi una “nuova” forma di antisemitismo, che discrimina gli ebrei non più come individui, ma come nazione.
Il fenomeno, che coinvolge non fasce marginali di società ma significative personalità della politica e della cultura, è così profondo che durante la celebrazione del Giorno della Memoria dello scorso anno, il presidente Giorgio Napolitano dichiarava a chiare lettere che bisognava combattere “ogni rigurgito di antisemitismo, anche quando esso si travesta da antisionismo: perché antisionismo significa negazione della fonte ispiratrice dello Stato ebraico, delle ragioni della sua nascita, ieri, e della sua sicurezza, oggi, al di là dei governi che si alternano nella guida di Israele”
Una dichiarazione così netta che spiega con chiarezza il perché il presidente Napolitano abbia deciso di inaugurare lui stesso il Salone del Libro di Torino: giungere a negare spazio e legittimità alla cultura di un intero popolo, negare diritto di cittadinanza a libri e persone, è già un atto, una pratica politica, di vera discriminazione.
È un trattamento questo che non è stato riservato alla cultura di nessun altro paese, compresi quelli più razzisti, aggressivi, dittatoriali.
Accade solo con Israele.
E la cosa più triste e beffarda è che la discriminazione, che ha sempre bisogno di un paravento di menzogna, si permette anche di manipolare temi per noi sacri, come quello della pace o dei diritti dei popoli.
Chiedo dunque ai contestatori di Torino, agli intellettuali che li guidano, se non sia più consono per degli amanti della cultura, per i paladini della pace, costruire “ponti” fra le due parti in causa, Israele e mondo arabo.
Chiedo loro se non sia proprio la letteratura israeliana uno dei più formidabili strumenti per permettere, per sviluppare, il dialogo e la comprensione fra i popoli del Medio Oriente.
È tempo, per chi voglia dare un contributo alla pace, di assumersi la responsabilità di chiamare le cose con il loro nome: l’antisionismo è antisemitismo; gli ebrei, come nazione, sono Israele, ed Israele, oggi, è l’ebreo fra le nazioni.
Victor Magiar – Europa - 7 maggio 2008

le torri di Tel Aviv

PER ALCUNI GIORNI TERRO' APERTO QUESTO SPAZIO PER CHI VOLESSE INVIARE UN CONTRIBUTO PER I 60 ANNI D'iSRAELE

Shalom, buon compleanno alla Patria del mio cuore, condivido con te la mia gioia per la nascita sessant’anni fa di questa meravigliosa nazione che ha reso il mondo migliore
Maria Pia da Milano

mercoledì 7 maggio 2008

Gerusalemme - Corte Suprema

"L'esistenza e la legittimita' dello Stato di Israele sono un pilastro delle relazioni internazionali e della politica estera italiana. E' certamente legittim ocriticare azioni e decisioni dello Stato di Israele. Ma e' illecito, oltre che illegittimo, bruciare bandiere israeliane nelle piazze, inneggiare all'intolleranza, promuovere boicottaggi anti-israeliani''...''tutto cio' che esula da una costruttiva 'critica politica', induce all'antisemitismo, contro cui Europa ed Italia devono e possono reagire senza ammiccamenti o tolleranza''. On . Franco Frattini

"Non si deve permettere a nessuno di bloccare le occasioni di dialogo, perche' bloccando il dialogo si blocca la pace ... Le scuse andrebbero fatte anche al presidentedella Camera Gianfranco Fini, le cui parole, a favore del dialogo, sono state travisate. Per me, assistere a certe polemiche e' stato uno shock: e' assurdo perdere occasioni di dialogo, ma questo accade anche perche' l'Europa vive la pressione di un certo estremismo che non fa certo bene al confronto, che invece ci deve essere, fra le diverse culture".... " In Marocco, si cerca con impegno il dialogo interculturale tra le diverse religioni". On. Souad Sbai (Pdl)

La Brigata Ebraica

Il 20 settembre 1944, nei giorni del capodanno ebraico, dopo sei anni di pressioni Londra dà finalmente il consenso alla costituzione di una "brigata rinforzata" completamente ebraica, nata dall'originario "Palestine Regiment" a questo punto ristrutturato, formata da un reggimento di artiglieria, da servizi e da unità ausiliarie. Il 29, nel corso di una relazione ai Comuni, Churchill ne dà l'annuncio: "So benissimo che che un gran numero di ebrei nelle nostre Forze Armate ed in quelle americane, ma mi è sembrato opportuno che una unità formata esclusivamente da soldati di questo popolo, che così indescrivibili tormenti ha subito per colpa dei nazisti, fosse presente come formazione a sè stante fra tutte le forze che si sono unite per sconfiggere la Germania".La Brigata, che riceve aiuti finanziari dalle comunità ebraiche di tutto il mondo (a Pasqua 1945, la sola comunità argentina invia 100.000 sterline per l'equipaggiamento e ne stanzia 8.000 per le famiglie dei caduti in azione), viene autorizzata ad usare una propria bandiera: azzurra-bianca-azzurra, con la Stella di Davide tra due bande simboleggianti il Nilo e l'Eufrate, che in seguito diverrà l'emblema dello Stato d'Israele.Gli ufficiali superiori (da maggiore in su) sono inglesi, tuttavia essi sono sottoposti al generale di Brigata ebreo dell'esercito inglese Ernest Frank Benjamin (1900 Toronto). Gli effettivi dello Hayl Hativah Lohemet "unità di combattimento ebraica", ufficialmente denominata Jewish infantry brigade group, raggiungono i previsti 5.000 uomini (circa il 20% provenienti dalla Palestina, il rimanente dal resto del mondo: Inghilterra, Australia, Canada, Sudafrica e, soprattutto, dalle grandi comunità ebraiche polacche e russe), subito dopo inizia un periodo di addestramento in Egitto.Il 10 novembre la formazione sbarca a Taranto e risale la penisola lungo il versante adriatico, si stabilisce e si addestra sulle montagne dell' Irpinia fino al febbraio 1945, inquadrata nel X Corpo dell'Ottava Armata di Montgomery. A fine mese viene trasferita sul fronte di Alfonsine, a nord-ovest di Ravenna, lungo la zona di operazione corrispondente allo sfondamento della "Linea Gotica" nella valle del Senio, nei pressi di Imola. Il 3 marzo 1945, nello schieramento delle truppe alleate a sud del fiume Senio, combatte insieme ai gruppi di combattimento "Friuli" e "Cremona". In quella circostanza, porta a termine uno dei pochi assalti frontali con la baionetta di tutto il fronte italiano. Oggi 33 caduti della Brigata riposano nel Sacrario di Piangipane.La brigata partecipa inoltre alla liberazione delle città di Ravenna, Faenza, Russi, Cotignola, Alfonsine ed Imola.Nel maggio "venute meno le necessità belliche" la Brigata viene dislocata tra l'Alto Adige, il Tirolo e la Carnia, al confine con Austria e Jugoslavia, dove avviene il primo incontro con i sopravvissuti dell'Olocausto e qui inizia ad occuparsi dell'assistenza ai profughi ebrei.Trasferita in Olanda ed in Belgio nella seconda metà dell'estate, la Brigata Ebraica vi soggiorna un anno, svolgendo il duplice ruolo di forza di occupazione e di coordinamento e di centro assistenziale per i connazionali, di cui organizza l'avviamento verso quello che presto sarebbe diventato lo Stato di Israele. Nell'estatedel 1946 la Gran Bretagna scioglie la Brigata.


Cara Chicca, con amara sorpresa, ho scoperto che a Trieste, in edicole di pieno centro come quelle da me interpellate, il Riformista NON ARRIVA !!!! Cercherò ancora, ma sono un po' preoccupata; non dubitate che, se ne vengo in possesso, dalla mia borsa o tasca o dal collo, verrà fuori la bandiera del mio amato Israele. Cordiali saluti. Luisa Fazzini

Gerusalemme


Colloqui di pace

di Uri Savir
Traduzione di Nazzareno Mataldi
Luca Sossella Editore € 15,00

Qual è il più importante diritto per ogni essere umano?
Non possono esserci dubbi sul fatto che il diritto alla vita rappresenti l’anelito e la speranza che albergano nell’animo di ogni genitore, di ogni uomo, di ogni donna.
E la pace è senz’altro l’espressione più immediata di questo desiderio, la pace quale condizione umana naturale in grado di preservarci dai conflitti e dalle sofferenze.
Purtroppo nel mondo globalizzato nel quale viviamo la guerra sembra divenuta una costante nel rapporto fra gli Stati moderni.
A fronte di un mondo sviluppato che grazie alla globalizzazione ha accumulato ulteriore ricchezza vi sono paesi in via di sviluppo che non ne hanno raccolto i frutti, sono ancora in balia della povertà e della malattia e dove mettono radici idee fondamentaliste e si sviluppano armi di distruzione di massa.
“In queste condizioni, creare e mantenere la pace è un compito arduo” e pertanto “l’opera di pacificazione, il peacemaking devono essere riformati”.
Questi i concetti salienti espressi da Shimon Peres nella prefazione al libro di Uri Savir con il quale uno dei più importanti operatori di pace nel mondo, offrendo ai lettori un approccio nuovo, ha accolto una sfida importante: fare la pace.
Nato nel 1953, Uri Savir ha studiato relazioni internazionali alla Hebrew University di Gerusalemme ed è stato il negoziatore capo israeliano degli Accordi di Oslo negli anni fra il 1993 ed il 1996. Attualmente è Direttore del Shimon Peres Center for Peace e Presidente dell’organizzazione Glocal Forum che si occupa di promuovere attività e scambi cooperativi fra le città del mondo.
Per Uri Savir l’empatia con l’ “Altro” è alla base della pacificazione e grazie alla sua esperienza è convinto che raggiungere la pace sia possibile, benché “l’atto pratico di mettere fine a un conflitto sia un difficile processo con alti e bassi”.
Occorre mettere la pace al primo posto dell’agenda internazionale non dimenticando – ribadisce Savir – che “la pace è sostenibile solo se una società la desidera. In poche parole, è più facile democratizzare la pace che democratizzare delle società autocratiche”.
Partendo dal presupposto che gli attuali metodi di pacificazione sono antiquati e che è indispensabile coinvolgere nel peacemaking tutti gli strati della società, Savir mette in luce i difetti del peacemaking tradizionale per poi passare ad analizzare e suggerire gli elementi necessari per creare una pace moderna.
Pone l’accento sull’importanza dei pacificatori, sulla necessità della pianificazione individuando gli obiettivi strategici e le soluzioni creative fino ad analizzare il ruolo dei media nelle fasi di un negoziato.
Dopo aver descritto nel dettaglio le componenti di una pace moderna e i metodi per realizzarla l’autore sostiene che solo il laboratorio della vita può “verificare la validità di questa teoria” e propone il bacino del Mediterraneo – una regione che lotta per mantenere un equilibrio tra la guerra e la pace – come microcosmo per sondare e analizzare la “pace moderna”.
Il terrorismo che ha sconvolto il mondo dopo l’11 settembre 2001 può essere contrastato attraverso la glocalizzazione, la diplomazia creativa e il peacebuilding utilizzando i valori della pace – rispetto dell’altro, libertà di scelta, rifiuto dei pregiudizi ecc. - come arma primaria.
“Senza questi valori – scrive Savir – la pace è semplicemente l’intervallo fra le guerre”.
Consapevole che in molti paesi ancora non esiste una “cultura della pace”, con questo libro Uri Savir ci ha fornito un trattato, un manuale tecnico, un saggio per riflettere sulle innumerevoli possibilità di crescita e sviluppo economico offerte agli Stati che perseguono la pace.
E’ un progetto originale e innovativo al quale l’autore si avvicina con la consapevolezza che mentre la guerra è un fallimento che travolge vite umane e risorse, la pace - un processo ben più lungo della guerra - è soprattutto una “ coalizione di intenti, un’alleanza di volontà oltre che un esercizio di intelligenza” e di sensibilità.

Giorgia Greco

Gerusalemme

I custodi del libro

di Geraldine Brooks
Traduzione di Massimo Ortelio
Neri Pozza € 18,00

Un mosaico finemente cesellato, un’opera di inestimabile valore dove ogni singolo frammento trova la giusta collocazione nel dipanarsi di una storia suggestiva, è l’ultimo straordinario romanzo di Geraldine Brooks, “I custodi del libro”.
Ispirandosi alla storia vera della Haggadah di Sarajevo, un codice miniato ebraico dipinto in Spagna nel XIV secolo (chiamata “di Sarajevo” perché in quella città era ricomparso nel 1894 dopo un periodo di oblio), l’autrice, ex reporter di guerra per le più prestigiose testate americane, ci narra una storia avvincente immaginando personaggi e dialoghi, ricostruendo situazioni e vicende che nella realtà risultano tuttora lacunose.
A Sarajevo, città che un tempo era stata famosa per la sua tolleranza e la pacifica convivenza fra le religioni, Geraldine Brooks che lavorava per il Wall Street Jounal nella Jugoslavia in guerra, sente parlare della Haggadah, un’opera della quale però non si conosceva la sorte.
Solo a guerra finita si scoprì che era stata salvata dai bombardamenti da un bibliotecario musulmano, Enver Imamovic, che l’aveva nascosta nel caveau di una banca.
Ma non era la prima volta che il libro ebraico veniva salvato da mani musulmane. Nel 1941 – scrive Brooks – “Dervis Korkut, celebre studioso di islamistica e capo bibliotecario nel Museo nazionale di Bosnia, era riuscito a farlo uscire dal museo sotto il naso del generale tedesco Johann Hans Fortner, per poi occultarlo in una moschea sulle montagne, dove rimase fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale”.
Inoltre dalla moglie di Korkut, un’arzilla vecchietta di ottant’anni, l’autrice ha scoperto un’altra storia di eroismo: il marito volle nascondere presso la loro abitazione una giovane ebrea, Mira Papo, fino a quando non le trovò un rifugio più sicuro in montagna.
Le avventure rocambolesche che hanno visto la Haggadah sopravvivere attraverso cinque secoli sono raccontate in questo romanzo con uno stile linguistico spedito e coinvolgente e un originale impianto narrativo.
La realtà storica e la finzione del romanzo si mescolano dando vita ad un libro che muovendosi su piani diversi ci conduce alla scoperta di luoghi lontani intrisi di atmosfere che celano segreti che solo con il volgere della trama si riveleranno.
La protagonista Hanna Heath, restauratrice australiana di manoscritti e libri antichi, giunge a Sarajevo nel 1996 dopo che un israeliano le ha comunicato il ritrovamento della Haggadah che si pensava distrutta sotto i bombardamenti del 1992.
Hanna che ha accettato l’incarico di restaurare il manoscritto di pregio inizia ad esaminare con perizia ogni singola traccia, un pelo, una macchia di vino, un cristallo di sale che possa fornirle una qualche spiegazione dei luoghi dove il prezioso manoscritto è passato, delle persone che lo hanno custodito e salvato.
Dalla Siviglia del 1480 dove la giovane schiava Zahra dipinge le preziose miniature per il figlio sordomuto del medico ebreo Netanel ha-Levi, alla Tarragona del 1492 dove Ruti riesce miracolosamente a condurre in salvo non solo il prezioso codice ma anche il nipotino appena nato dopo la cacciata degli ebrei dalla Spagna; dalla Venezia del 1609 dove la Haggadah scampa al rogo dell’Inquisizione grazie al visto di Giovanni Vistorini, censore del Sant’Ufficio, e amico dell’ebreo Yehudah Aryeh, figura controversa ma di grande suggestione, alla Vienna del 1894 dove la Haggadah inviata per una valutazione viene rilegata in modo poco accurato; è un viaggio affascinante a ritroso nel tempo quello che ci racconta Hanna con un sottile filo di ironia che pervade la narrazione anche nei momenti più drammatici. Dopo l’incidente automobilistico nel quale viene coinvolta la madre, primario di neurochirurgia che ha dedicato tutta la vita alla medicina, Hanna apprende la vera identità del padre, morto prima che lei nascesse, e le sue radici ebraiche.
Dedicato a tutti i bibliotecari del mondo, custodi e protettori dei libri “I custodi del libro” non è solo uno splendido romanzo storico ma è anche un richiamo al valore intrinseco di ogni testo depositario della coscienza collettiva di ogni essere umano.
Ogni libro è sacro perché rappresenta la forza della vita che si oppone alle tenebre della morte e perché “là dove si danno alle fiamme i libri, si finisce per bruciare anche gli uomini” (Heinrich Heine)

Giorgia Greco


AUGURI, ISRAELE

Mi sono sempre chiesta da dove nasca il mio amore per lo Stato di Israele, premesso che non sono ebrea e dunque non ci sarebbe di mezzo una questione di appartenenza. Uso il condizionale perché, anche se non sono in ballo la nascita o la famiglia, tuttavia condivido in pieno i valori ebraici e cerco di farli miei: il diritto al dubbio, la continua ricerca, la sete di D-o, ma anche la sacra presunzione di litigare con Lui, se ritengo di farlo. E non c’è barba di prete, o mediatore, o persona di buon senso che mi possa fermare.
Quando, nel giugno 1967, avevo 19 anni…..eh sì, Israele ed io abbiamo la stessa età, tra l’altro siamo nati negli stessi giorni…. Quando, nel giugno 1967, tutti, da noi, davano addosso ad Israele che aveva osato beffare Amalek giocando d’anticipo, fui l’unica, tra i miei amici, a difenderlo; e quanto mi arrabbiavo a sentire i loro discorsi imparati a pappagallo, identici a quelli attuali dei vari Vattimo e sodali! Mi arrabbiavo, ma mi veniva anche da ridere, perché nella crudeltà, nella stupidità e nella malafede c’è una forte vis comica. Pensiamo al Grande Dittatore di Chaplin. Logico che ridi, non mediti subito sull’orrore della Shoah.
E’ un grande amore che dura da allora, con approfondimento costante della storia e della sua realtà.
Una realtà fatta di un ethos nazionale molto forte, di accoglienza nei confronti del diverso che non ci sogniamo neppure; di amore per la natura e gli animali; di progresso scientifico e tecnologico senza uguali….. Quelli che scrivono sul web spazzatura contro lo-Stato-razzista-che-pratica-l’apartheid dovrebbero usare solo carta e penna, se fossero coerenti…
Poi c’è la letteratura: fantastica, con quegli Autori semplicissimi da leggere in apparenza, molto complessi da penetrare nel profondo. Ogni romanzo, una volta terminato, dovrebbe essere riletto: ci troveresti sempre qualcosa di nuovo. A volte me la prendo con gli scrittori perché, nelle loro valutazioni politiche, spesso vedo dei wishful thinking; ma la sfuriata dura poco. Li amo anche per questo. Magari tra me e me ci litigo.
Poi c’è anche…….
Basta! Buon compleanno Fratello Gemello Israele; o Sorella, se preferite

Mara Marantonio (Bologna)

La bandiera Israeliana venne adottata il 28 ottobre 1948. Rappresenta una stella di David blu, su sfondo bianco, posta tra due strisce blu che ricorda il “tallit”, il manto di preghiera ebraico.

Per chi volesse ascoltare l’Hatikvà, l’inno nazionale d’Israele, rimando a:
http://it.encarta.msn.com/encnet/refpages/RefMedia.aspx?refid=221623552&artrefid=761575008&sec=-1&pn=1

La mia proposta agli italiani per i 60 anni di Israele: il 14 maggio esponiamo pubblicamente la bandiera israeliana
Il presidente Giorgio Napolitano dia l'esempio accogliendo simbolicamente la bandiera con la stella di David alla Fiera del Libro di Torino

di Magdi Cristiano Allam

In Italia esporre la bandiera israeliana è di fatto vietato perché considerata di per sé come “provocatoria”, in quanto espressione di uno Stato percepito come illegale e criminale che può essere, per forza maggiore, tollerato ma mai e poi mai pienamente legittimato come qualsiasi altro paese del mondo. Ne abbiamo avuto conferma con la reiterata aggressione, nel corso del corteo romano del 25 aprile, contro i superstiti della “Brigata Ebraica” e i sopravvissuti ad Auschwitz, rei di aver sfilato sventolando la bandiera con la stella a sei punte. Così come si è verificato il giorno prima a Torino quando il questore, Stefano Berrettoni, ha negato ad alcuni esponenti della comunità ebraica l’autorizzazione a sostare pacificamente con la bandiera israeliana accogliendo il presidente Napolitano all’inaugurazione della Fiera del Libro l’8 maggio che, proprio quest’anno, ha Israele quale ospite d’onore nel sessantesimo della sua fondazione.
Il questore ha addotto “motivi di ordine pubblico”, precisando che l’esposizione delle bandiere israeliane davanti all’ingresso della Fiera del Libro “sembrerebbe una provocazione”, che rischierebbe di far esplodere lo scontro con i manifestanti ostili alla presenza di Israele e che il 10 maggio sempre a Torino indiranno una manifestazione nazionale per la “Palestina libera”. Il questore ha quindi disposto che l’accoglienza del capo dello Stato avverrà all’interno della Fiera. Di fatto a Torino da mesi questi manifestanti, appartenenti perlopiù all’area della sinistra radicale, espongono liberamente bandiere palestinesi ovunque e imbrattano impunemente la città di scritte anti-israeliane. Tutto ciò a loro è consentito perché appartiene, piaccia o meno, a una consolidata tradizione politica filo-araba e filo-palestinese che l’Italia ha promosso sin dal dopoguerra. E anche se oggi è una minoranza ad esprimerla pubblicamente, di fatto sono molti di più quelli che condividono il pregiudizio anti-israeliano.Dobbiamo prendere atto del fatto che in Italia è del tutto legittimo sventolare la bandiera di uno Stato inesistente e che non è mai esistito nella storia, la Palestina, mentre si può rischiare il linciaggio se ci si espone pubblicamente con la bandiera di uno Stato esistente e pienamente legittimato dalle Nazioni Unite. Il fatto assume connotati ancor più incresciosi considerando che la Palestina vagheggiata non è uno Stato che dovrebbe convivere pacificamente al fianco di Israele, bensì sostituirsi ad Israele di cui si nega il diritto all’esistenza. Questo paradosso non viene meno anche di fronte all’orientamento della comunità ebraica di assecondare la decisione del questore di Torino all’insegna del quieto vivere e per non creare alcuna tensione che potrebbe portare all’annullamento della presenza di Napolitano.Ebbene proprio il capo dello Stato, che si è già coraggiosamente schierato a difesa del diritto di Israele all’esistenza condannando l’anti-sionismo quale nuova forma di antisemitismo, potrebbe nel sessantesimo della fondazione dello Stato ebraico assumere una decisione altrettanto coraggiosa per legittimare a pieno titolo l’esposizione della bandiera israeliana ovunque in Italia. Napolitano potrebbe dare lui stesso l’esempio accogliendo una bandiera israeliana offertagli dall’ambasciatore Gideon Meir, nel giorno dell’inaugurazione della Fiera del Libro. Il suo esempio potrebbe essere raccolto dalle istituzioni pubbliche e dagli enti locali, esibendo nel giorno dell’indipendenza di Israele, il prossimo 14 maggio, la bandiera israeliana. Sarebbe un gesto simbolico che, oggi più che mai, in una fase storica in cui l’Iran e la Siria rincorrono l’arma atomica per distruggere lo Stato ebraico, corrisponderebbe a una precisa scelta etica a favore del diritto alla vita.
http://www.magdiallam.it/node/4841

domenica 4 maggio 2008


Aeroporti: Fiumicino, inaugurato terminal per Usa e Israele

Per rispondere meglio a incrementi traffico 'voli sensibili'
(ANSA) - FIUMICINO (ROMA), 3 MAG - E' entrato in funzione all'aeroporto di Fiumicino il nuovo terminal riservato ai voli 'sensibili' diretti in Usa e Israele. E' nato per ampliare la capacita' aeroportuale e rispondere adeguatamente agli incrementi di traffico. Ha una superficie di 14.000 metri quadrati, suddivisa in tre aree: una per le attivita' di profiling, una per il check-in e l'ultima per i controlli sicurezza. Positive le prime reazioni dei passeggeri in partenza oggi.