sabato 19 marzo 2011



il caporale Haim Levin e Jude, la neonata palestinese

Madre e neonata palestinesi salvate dai paramedici di un insediamento

Forze di Difesa israeliane e paramedici del posto hanno contribuito a salvare la vita di una donna palestinese e della sua neonata, mercoledì, nell’insediamento dove si trovavano anche dei parenti della famiglia Fogel in lutto per i cinque membri della famiglia ferocemente assassinati la scorsa settimana. Poprio nelle ore in cui il capo di stato maggiore israeliano Benny Gantz arrivava a Neve Tzuf per porgere le sue condoglianze, un taxista palestinese sopraggiungeva di corsa all’ingresso della comunità. All’interno, soldati e paramedici trovavano una palestinese poco più che ventenne in avanzato travaglio: il cordone ombelicale era avvolto attorno al collo della piccola nascitura mettendo a rischio la vita sia della madre che della figlia. Il rapido intervento dei paramedici dell’insediamento e dei militari in servizio nella zona hanno salvato la vita di entrambe, suscitando grande emozione in un luogo dove la gente è ancora prostrata per il massacro a sangue freddo della famiglia Fogel. Il caporale Haim Levin, di 19 anni, paramedico in servizio nelle Forze di Difesa israeliane, è stato il primo membro della squadra medica ad arrivare sul posto, e racconta la scena: “Quando sono arrivato ho visto una donna coperta da una coperta, dentro a un minivan giallo palestinese. Mi sono avvicinato e ho visto la testa e la parte alta del corpo della bambina. Il cordone ombelicale era attorno al collo della piccola, che era grigia e non si muoveva. Ho rimosso il cordone dal collo e allo stesso tempo ho chiesto ai paramedici di preparare il kit di rianimazione per neonati. Ho pizzicato la piccola per vedere se reagiva e lei ha iniziato a strillare”. La squadra di paramedici si è presa cura anche della madre che a quel punto, dice Levin, era in buone condizioni generali. Nel frattempo accorreva la conducente d’ambulanza Orly Shlomo. “Abbiamo affiancato il paramedico militare – racconta – e lo abbiamo aiutato a recidere il cordone ombelicale. Senza il trattamento medico, il feto e la madre avrebbero corso un serio pericolo. È stato toccante, ma non ho potuto fare a meno di pensare che a pochi metri da lì c’erano persone in lutto per un altro bambino, che è stato assassinato. Ero commossa nel vedere il viso della neonata, ma pensavo anche al viso del bambini ucciso”. Gadi Amitun, che guida la squadra del Magen David Adom (Stella Rossa di Davide) di Neve Tzuf, spiega che non è la prima volta che gli abitanti dell’insediamento aiutano palestinesi in difficoltà. “Sanno che abbiamo un team medico ben preparato – dice – e quando capita un incidente o un infortunio arrivano, e noi li aiutiamo”. Il paramedico ricorda che il giorno del massacro della famiglia Fogel gli abitanti dell’insediamento hanno visto festeggiamenti e fuochi d’artificio nei vicini villaggi palestinesi, ma aggiunge che, indipendentemente da tutto, la squadra medica locale è impegnata ad aiutare chiunque abbia bisogno. “Due anni fa – racconta – ci siamo dati da fare per curare un terrorista che aveva cercato di piazzare un ordigno ed era stato ferito dai soldati”. Palestinesi del vicino villaggio di Nabi Salah, insieme alla neo nonna, si sono riuniti attorno alla squadra paramedica e non potevano nascondere la loro gioia. “Ci hanno ringraziato e ci hanno detto che hanno chiamato la bambina Jude – dice il caporale Levin – Sono volontario del Magen David Adom da quando avevo 15 anni e questa è la prima volta che assisto un parto. È stata una sensazione incredibile tenere fra le braccia quella bambina appena nata, e sapere che in questo posto così complicato abbiamo fatto qualcosa di buono”. (Da: YnetNews, 17.3.11)http://www.israele.net/


"Il folle cabaret del professor Fabrikant" di Yirmi Pinkus

Cargo, 354 pp., 20 euro
I giorni degli artisti del teatro yiddish sono ora romanzati ne “Il folle cabaret del professor Fabrikant”, di Yirmi Pinkus, disegnatore e grafico israeliano, che vive nomadicamente tra la Germania e Israele. Il libro è una storia fantastica che però ha un nitido valore documentale quanto a luoghi, stile di vita e persino quanto alla gastronomia, con le gelatine di ali, i ventrigli di pollo, e “i grossi ravioli di pasta bianca ripieni di grano saraceno ripassati in un soffritto di cipolla”. Vicenda inscritta in Romania, tra il 1876 e il 1939, che si arresta davanti ai discorsi impauriti su Hitler e alle vana illusione ebraica di andare avanti con la vita. Il romanzo prende le mosse dalla morte del fondatore di questa compagnia femminile di cabaret yiddish, il professor Markus Fabrikant, che non è affatto un professore ma si lascia chiamare così. All’inizio Fabrikant è un giovane di buona famiglia allegramente senza prospettive in una cittadina della provincia romena; amante della vita notturna, passa dall’esistenza di mancato studente al rutilante mondo del teatro. Si spenderà nella regia, la scelta del repertorio, la distribuzione delle parti e amministrando bene il botteghino. Poi la fondazione del gruppo di cabaret yiddish corrisponde al fatto che il professore entra negli orfanotrofi e affilia bambine abbandonate che senza il teatro avrebbero una vita di miseria, in attesa di qualcosa di peggiore. Invece corrono una vita avventurosa: nomadi, con trionfi di una sera, interiormente ricche. Del resto, va detto che è l’eterna storia dell’arte della commedia, basta leggere la vita di Molière, romanzata da Bulgakov. Fabrikant sa tutelare questa compagnia di teatro femminile ebraico, fragilità dentro alla fragilità. Debitamente istruite su come si recita, si fa ridere, si canta, le bambine crescono e diventano leggendarie attrici ebree: amate da piccoli gruppi di culto teatrale dalla provincia romena a Varsavia, custodi di una antica cultura spirituale e vernacolare, allegra e malinconica. Alla morte del professore, il teatro passa a un nipote e inizia la lotta senza quartiere per l’ambita eredità, che non è affatto la direzione artistica, ma un sacchetto di diamanti. Una vera fortuna acquistata a suo tempo dal professor Fabrikant come tutela del teatro e delle sue attrici. Per decenni, i diamanti sono concupiti con testarda disonestà e un cinismo di acciaio da Zofia Fabrikant, la vedova astiosa del fratello di Markus, scornata dal fatto che la gestione dei beni materiali del teatro siano andati al proprio figlio minore, il quale non ha alcuna intenzione di sottrarre i diamanti alla compagnia e passarli alla madre, come avrebbe fatto il figlio maggiore. La storia del cabaret e del suo repertorio, copioni improbabili come Artemide e Adone, le canzoni, i numeri comici, le orchestrine kletzmer, ha una conclusione drammatica nel 1939, quando la cocciuta cognata del professore fa scoppiare una rissa per bloccare lo spettacolo, tenuto da attrici ormai anziane e ancora adorate. Scoppia un incendio che distrugge le quinte i costumi, tutto. La tesoriera della compagnia fugge in Svizzera coi diamanti, stanca di una vita di oscuri sacrifici non apprezzati da nessuno. La ritroviamo alla fine della guerra, in una decorosa casa svizzera, designificata, angosciata dall’essersi salvata nel deserto. Più niente del suo mondo. Valeva la pena rubare e vivere nel fallimento? In uno scambio di battute avvenuto nel ’38, qualcuno di questo mondo completamente espulso dalla vita dice: “Basta con la poesia! Siamo ebrei, signori, non dimenticatelo. Quando riusciamo ed eccelliamo, ci accusano di avidità; se non riusciamo e non eccelliamo, ci chiamano parassiti”.17 marzo 2011 http://www.ilfoglio.it/


"Libia: quel silenzio insopportabile dell'occidente" - il mio intervento oggi su l'Unità

«Occidente, vergogna». È la reazione durissima di Ali Tarhouni, esponente degli insorti e membro del Consiglio costituito nell'est della Libia, di fronte all’avanzata militare di Gheddafi. Come non fare nostra la sua indignazione? In oltre due settimane di conflitto, mentre le milizie mercenarie del despota si scaraventavano sulla popolazione, da gran parte della comunità internazionale si è sentito solo il rumore di un silenzio imbarazzato. Ieri, Saif al Islam, figlio del colonnello, ha annunciato: «Qualsiasi decisione prendiate è troppo tardi. Entro 48 ore tutto sarà finito». Se la ribellione verrà davvero schiacciata in tempi brevissimi, ricominceremo tutto come prima? La semplice ipotesi è inaccettabile. Come l’idea che si sta facendo strada, di una sorta di “chirurgia plastica”, magari con uno dei figli di Gheddafi che detronizza il padre per dare al regime un volto accettabile. Per ricominciare come prima. I presupposti per un intervento della comunità internazionale, invece, c’erano e ci sono tutti. Il 12 marzo, con una decisione storica che andava aiutata e incoraggiata proprio in sede Onu, la Lega Araba ha chiesto al Consiglio di Sicurezza di imporre una “no-fly zone”, ma non ha trovato il sostegno di cui aveva bisogno. A inizio settimana, i leader del G8 hanno affossato il progetto di una chiusura dello spazio aereo in nome di preoccupazioni che avevano più a che fare con la politica interna nei loro rispettivi paesi che con il diritto a vivere in pace del popolo libico. Si è dovuto aspettare ieri perché nella bozza di risoluzione delle Nazioni Unite si parlasse di una “no fly zone” necessaria «per proteggere la popolazione civile». Disposizione in esame che, anche se approvata in tutta fretta, rischia ormai di arrivare troppo tardi. Il ministro Franco Frattini, in un’audizione alle commissioni Esteri di Camera e Senato, ha giustificato l’attendismo del nostro paese, parlando di «una migliore comprensione della situazione araba». Ma quale sarebbe la «situazione araba»? Il conflitto in Libia, non sembra una classica guerra civile ed è molto diversa da quella degli altri paesi della regione. C’è un dittatore che, grazie al denaro accumulato con i contratti energetici stipulati soprattutto con l’Occidente, può rifornirsi di armi e arruolare milizie e mercenari che gli permettono di tenere in pugno il paese, emarginando altri soggetti come l’esercito regolare, che in Tunisia e in Egitto sta contribuendo al processo democratico. Il nostro ministro degli Esteri, poi, ha auspicato un intervento della diplomazia. E sorge l'ovvia domanda: perché l’Italia non si è messa da subito alla testa di un’iniziativa nell’ambito della legalità internazionale? Lasciar correre, in una situazione drammatica come questa, ci espone a responsabilità gravissime. E ci coinvolge nel sospetto di aver favorito passivamente una restaurazione barbara del potere. In questa vicenda, si consuma un paradosso drammatico : i paesi arabi chiedono alla comunità internazionale una forma di intervento, con la no fly zone, nella loro area. E l’Occidente , l’Europa si perdono nei loro interminabili conciliaboli, nei loro rinvii. Nella loro ormai disarmante debolezza. Poi non ci si lamenti se nelle popolazioni del mondo dell’Islam cresce diffidenza verso di noi e l’idea che ci si muova solo se attaccati, o con il terrorismo o per gli interessi economici diretti. Che comunque sono in gioco. L’esito della vicenda libica avrà conseguenze di non poco conto su di noi e sull’Europa : immigrazione, petrolio, radicalizzazione integralista. Gheddafi prima ha denunciato un complotto contro di lui ordito da Al Queda poi ha annunciato l’alleanza con i terroristi. La vicenda della Cirenaica ha messo in rilievo ancora una volta la fragilità di una Europa nel limbo. Senza comune politica estera e di difesa, senza istituzioni forti non basterà una moneta unica a reggere le nuove tensioni del mondo globalizzato che sposta altrove il suo baricentro. Ce la si può prendere con la forza e la determinazione della politica estera della Cina solo se si ha, specie nelle aree più rilevanti per gli interesse del vecchio Continente, una capacità di reazione adeguata. Invece nulla, parole vecchie come i rituali che le producono. Assumere la più presto le proprie responsabilità in Libia, perciò, non significa derogare alla legalità internazionale o prender parte in una guerra civile, ma attivarsi prima che sia troppo tardi per garantire la popolazione civile e mettere fine a un'oppressione resa possibile da complicità, dirette o indirette, comunque inaccettabili. Anche nostre. E allora, perché dopo averle a lungo auspicate, le rivolte per la libertà non hanno trovato l’appoggio incondizionato dei democratici europei? Dov’è l’Europa, dove sono le forze riformiste, dove sono i movimenti pacifisti? A Sarajevo la comunità internazionale non ho voltato le spalle, sia pure tardivamente, e a Bengasi dovrebbe farlo? La democrazia, anche la nostra, può prosperare soltanto se diventa una prospettiva inclusiva nel mondo della globalizzazione. Se pensiamo di chiudere gli occhi sull’oppressione di un popolo per garantirci la nostra fetta di ricchezza, cioè, sbagliamo di grosso. Non si tratta di facile idealismo, ma di una politica che si misura con la realtà che ha cambiato i connotati del pianeta. Non possiamo più essere spettatori passivi. O peggio, custodi e cultori della caricatura cinica di una Realpolitik che ormai appartiene al passato.
pubblicata da Walter Veltroni il giorno venerdì 18 marzo 2011


Il premier Netanyahu e Abu Mazen al Cremlino

Il premier israeliano Benyamin Netanyahu e il presidente dell'Autorità nazionale palestinese (Anp), Abu Mazen (Mahmud Abbas), compiranno la settimana prossima una missione a Mosca, a pochi giorni l'uno dall'altro, per discutere con le leadership russa delle non facili prospettive di ripresa del processo di pace e più in generale dei sommovimenti in atto in Medio Oriente. Abu Mazen sarà all'ombra del Cremlino dal 22 marzo per una visita di due giorni e mezzo durante la quale non mancherà un faccia a faccia con il presidente Dmitri Medvedev. Netanyahu arriverà invece nella capitale russa il 24, a poche ore dalla prevista partenza del leader palestinese, e vedrà a sua volta sia Medvedev sia il premier Vladimir Putin. Il doppio appuntamento segnala l'ambizione di Mosca di riproporre il proprio ruolo in Medio Oriente, ma anche la rinnovata attenzione degli attori della regione nei confronti dell'influenza diplomatica russa.


Israele: per leggere non serve vedere

La parte di cervello dedicata alla lettura visiva non richiede la visione: è questo il risultato di una ricerca finanziata dall'Unione Europea e presentata sulla rivista Current Biology. Gli scienziati si sono a lungo occupati di brain imaging in soggetti non vedenti mentre "leggono" le parole in caratteri Braille: le analisi compiute mostrano come ci sia attività cerebrale nella medesima porzione del cervello che si attiva quando leggono le persone vedenti. Per usare le parole del dottor Amedi, docente presso l'Università ebraica di Gerusalemme che ha condotto lo studio «Il cervello non è una macchina sensoriale, anche se spesso sembra esserlo; è una macchina dei compiti. Un'area del cervello può svolgere una funzione unica, in questo caso la lettura, indipendentemente dalla forma che assume l'input sensoriale». Le più importanti caratteristiche del VWFA (l'area visiva del modulo parola) individuate nei vedenti sono presenti anche nelle persone non vedenti e, di conseguenza, sono indipendenti dalle modalità sensoriali della lettura e, del tutto sorprendentemente, non richiedono alcuna esperienza visiva. (Famiglia Cristiana) http://fuoridalghetto.blogosfere.it/



Gerusalemme - museo del Libro
Svergognare i supercritici di Israele

Da un articolo di Manfred Gerstenfeld ,http://www.israele.net/
Il comportamento omicida di Muammar Gheddafi contro i cittadini del suo stesso paese è probabilmente l’esempio attuale più vicino a ciò che i paesi arabi invasori e i loro alleati palestinesi avrebbero fatto agli ebrei, in terra d’Israele, se l’avessero avuta vinta nella guerra che scatenarono contro Israele subito dopo la sua dichiarazione d’indipendenza. Sarà anche poco politicamente corretto da dire, ma ciò non lo rende meno vero. A riprova della cosa, basta ricordare le dichiarazioni delle più eminenti personalità arabe nel 1947-48 e i racconti dei testimoni israeliani di quella guerra. I recenti caotici eventi in molti paesi arabi offrono l’occasione unica di svergognare totalmente molti di coloro che fanno del male a Israele, a cominciare da coloro che da anni condannano e demonizzano pesantemente Israele chiudendo sempre e costantemente gli occhi davanti ai crimini di massa perpetrati nel mondo arabo. Sono parecchie le categorie che rispondono a questa descrizione. Si potrebbe cominciare con un lungo elenco di Ong per i diritti umani. Recentemente l’organizzazione Ong Monitor ha già accusato Human Rights Watch d’aver taciuto violazioni dei diritti umani in Libia. Quante Ong per i diritti umani hanno protestato, se mai lo hanno fatto, contro il fatto che la Libia fosse membro a pieno titolo del Consiglio Onu per i Diritti Umani? Possono forse sostenere, oggi, che non sapevano che la Libia di Gheddafi era una nazione che avrebbe dovuto sedere regolarmente sul banco degli imputati del Consiglio Onu per i Diritti Umani, e non certo nel suo comitato di gestione? E questa non è che la prima di una lunga lista di domande che permetterebbero di squalificare giustamente una porzione sostanziale della comunità internazionale per i diritti umani come composta da impostori. Senza dimenticare, in questa categoria, tutti coloro che votarono a sostegno della risoluzione anti-israeliana alla Conferenza di Durban del 2001. Una seconda categoria potrebbe essere un vasto assortimento di politici occidentali. In alcuni casi non occorre nemmeno porre domande in merito alla politica del loro paese. Il primo ministro britannico David Cameron ha ammesso, durante un visita nel Kuwait pochi giorni fa, che le rivolte popolari in Medio Oriente dimostrano che l’occidente sbagliava a sostenere dittatori e regimi non democratici. E ha aggiunto che la politica estera britannica aveva messo il proprio interesse economico al di sopra della promozione dei valori democratici occidentali. Dopo di che, parlando agli studenti del Qatar Cameron ha detto che alcuni governanti mediorientali usano il conflitto israelo-palestinese per distogliere l’attenzione dai loro regimi oppressivi. In questo contesto sarebbe assai utile indagare, ad esempio, che cosa ha saputo dire l’Alto rappresentante della politica estera e di sicurezza dell’Unione Europea, Catherine Ashton, circa gli stati arabi, da quando è entrata in carica nel dicembre 2009, e confrontarlo con le sue dichiarazioni su Israele.
Ma tutto è relativo. Il presidente francese Nicolas Sarkozy è ben lungi dall’essere uno dei maggiori critici di Israele, ed è stato il primo a riconoscere l’opposizione libica, anche se questa, nel prossimo futuro, potrebbe non aver più alcun territorio su cui governare. Ma Sarkozy aveva ricevuto Gheddafi in visita di stato nel dicembre 2007 annunciando, allora, che il capo libico avrebbe firmato un accordo da dieci miliardi di euro per apparecchiature militari e un reattore nucleare. Aveva anche detto d’aver chiesto al dittatore libico di fare passi avanti sulla strada dei diritti umani. Un’altra categoria suscettibile d’essere svergognata comprende un certo numero di autorevoli organismi cristiani, soprattutto – ma non solo – protestanti liberal e terzomondisti, che hanno costantemente chiuso gli occhi su come molte denominazioni cristiane venivano oppresse in una varietà di paesi arabi musulmani. Le aggressioni omicide contro i copti in Egitto degli ultimi decenni non sono che un esempio, a cui si sono aggiunte diverse uccisioni di copti durante la rivoluzione egiziana delle scorse settimane. Non sarebbe un lavoro troppo lungo scorrere i siti web di alcune di queste organizzazioni cristiane caparbiamente anti-israeliane per esaminare se e come si siano mai occupate di questi crimini e di queste violazioni nei paesi arabo-musulmani. Nel mondo accademico, la prestigiosa London School of Economic offre un eccellente esempio di ipocrisia. All’inizio di questo mese il suo direttore Sit Howard Davies ha rassegnato le dimissioni perché la sua università aveva accettato (molto) denaro dalla Fondazione Gheddafi, diretta da uno dei figli del dittatore libico. Davies si era anche recato in Libia ad offrire consulenze al regime su riforme finanziarie. Ma ciò che infastidiva l’associazione studentesca della London School of Economic, nel 2008, era solo Israele, tanto da approvare a grande maggioranza una campagna per il “disinvestimento” dalle aziende che supportano il “regime da apartheid” israeliano. Un’altra categoria ancora che merita d’essere pubblicamente svergognata è quella dei cosiddetti giornalisti medio-orientalisti, molti dei quali sono degnissime persone, ma molti altri invece si son tenuti per sé, in linea con la politica delle loro testate, fondamentali informazioni negative sul mondo arabo. C’è qualcuno disposto a credere a questi mass-media quando sostengono che, in confronto a Israele, c’era poco o nulla da riferire circa quel che di brutto avveniva nei paesi arabi negli anni scorsi? Ora la menzogna appare evidente, ma fino a poco fa non era facile dimostrare che un consistente numero di inviati e corrispondenti da Israele erano per lo più dei manipolatori dell’informazione. Solo occasionalmente accadeva un caso lampante come quello di Riccardo Cristiano, quando era corrispondente dai territori palestinesi per la rete di stato italiana RAI. Nell’ottobre 2000 due riservisti israeliani entrati per errore nella città palestinese di Ramallah vennero selvaggiamente linciati da una folla di palestinesi esaltati, e i loro corpi gettati da una finestra e martoriati. Il network italiano Mediaset filmò il linciaggio e riuscì a far trapelare le immagini fuori dal territorio dell’Autorità Palestinese. A quel punto Cristiano si affrettò a scrivere una lettera – fortuitamente pubblicata il 16 ottobre dal quotidiano palestinese Al Hayat al Jedida – in cui rivelava che era stata Mediaset a filmare quelle immagini (per inciso, mettendone in grave pericolo il personale che dovette letteralmente fuggire dal paese) e garantiva che lui, quand’anche le avesse avute, non le avrebbe mai rese pubbliche giacché si era sempre attenuto alle “regole giornalistiche dell’Autorità Palestinese”. “Non facciamo e non faremo cose del genere” concludeva Cristiano, che condiva la sua lettera inviando “congratulazioni” e “i migliori auguri” ai “miei cari amici in Palestina”. Questo non è che un abbozzo dell’elenco di ipocriti occidentali che meriterebbero di venir svergognati per aver sistematicamente insabbiato i crimini arabi. Ben presto gli sviluppi in corso nel mondo arabo offriranno altre drammatiche prove di quanto fossero impostori i tanti individui e gruppi occidentali che concentravano tutta la loro indignazione morale sempre e solo su Israele.
(Da: YnetNews, 16.3.11)


L’indottrinamento da cui nascono carnefici come quelli all’opera a Itamar

Su molta stampa araba e palestinese gli israeliani vengono tuttora comunemente raffigurati con caricature del tutto simili a quelle delle campagne antisemite contro gli ebrei d’Europa del giornale di propaganda nazista Der Stürmer, col risultato di farne obiettivi che sembra del tutto “giustificato” attaccare. Da questo genere di martellante istigazione all’odio, il massacro gli ebrei risulta una cosa “legittima”. È quanto afferma Yossi Kuperwasser, direttore del ministero per gli affari strategici israeliano, chiamato domenica a riferire davanti al governo israeliano dopo la strage della famiglia Fogel avvenuta venerdì sera nel villaggio di Itamar (Cisgiordania settentrionale). Aggrediti nel sonno, sono stati sgozzati uno dopo l’altro Udi Fogel (36 anni), sua moglie Ruth (35) e tre loro figli Yoav (11 anni), Elad (4 anni) e Hadas (3 mesi). Miracolosamente sopravvissuti la figlia dodicenne Tamar (che ha scoperto la strage rientrando a casa più tardi) e altri due fratelli di 8 e 2 anni (probabilmente perché si trovavano in una stanza più defilata). Secondo Kuperwasser, è da più di un anno che l’istigazione dell’Autorità Palestinese contro Israele è ripresa in grande stile. “I fatti di venerdì sera – dice – sono in certo modo espressione del modo in cui l’Autorità Palestinese presenta un atteggiamento di odio e di demonizzazione verso gli israeliani in generale, e i coloni in particolare: processi che creano una situazione in cui poi accade che qualcuno perpetri aggressioni orrende come quella a Itamar”. Ancora oggi, spiega Kuperwasser, l’Autorità Palestinese afferma esplicitamente che la “lotta armata” è il metodo preferito per “liberare la Palestina”, un concetto che venne ufficialmente ribadito e approvato anche all’ultima convention di Fatah tenutasi a Betlemme (e dedicata ad Amin al-Hindi, il terrorista di Settembre Nero che pianificò la strage delle Olimpiadi di Monaco del 1972 in cui persero la vita 11 atleti israeliani), “e da allora non ci sono stati cambiamenti in materia”. Kuperwasser cita diversi casi di istigazione. “Nei mesi scorsi, ad esempio, i media palestinesi hanno ripetutamente trasmesso la canzone di un cantante egiziano che fa appello al popolo perché compia attentati terroristici. La canzone giustifica gli atti di jihad (guerra santa). Lo stesso concetto vien fuori nelle canzoni fatte imparare nelle scuole, agli alunni dell’ottavo anno (13enni). Le ragazzine palestinesi cantano canzoni colme di promesse di dare dure percosse a Israele. Tutte cose elogiate e glorificate dall’Autorità Palestinese”. Solo la settimana scorsa un centro giovanile palestinese affiliato a Fatah ha organizzato ad Am’ari, a sud di Ramallah, un torneo sportivo intitolato al nome di Wafa Idris, la prima donna terrorista palestinese che, approfittando della sua qualità di infermiera della Mezzaluna Rossa, si fece esplodere nel gennaio 2002 in via Jaffa, a Gerusalemme. “Il fenomeno – continua Kuperwasser – si vede anche nel modo in cui i rappresentanti palestinesi hanno reagito a quest’ultimo scioccante attentato: non c’è stata una sola parola di autentico orrore e profonda indignazione. Anche quando, talvolta, condannano attacchi terroristici come questo, lo fanno solo dicendo che ostacolano la causa palestinese. Col sangue delle vittime ancora caldo, il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) ha incontrato un ragazzino palestinese che aveva partecipato a un concorso: il suo unico titolo di merito è di intonare canzoni sui palestinesi tutt’altro che pacifiche, incentrate su martiri e attentati suicidi”. Un’altra area da analizzare è l’attitudine verso la pace. “Continuano a sostenere che gli ebrei non hanno alcun diritto di vivere in questa regione – dice Kuperwasser – che gli ebrei non hanno alcun diritto di essere qui. Cosa che emerge in modo particolarmente evidente dai libri di testo usati nelle scuole palestinesi, dove la presenza di Israele spesso non viene nemmeno menzionata, e Israele non compare nemmeno sulle carte geografiche”. Kuperwasser ricorda un caso recente, quando il ministero dell’informazione dell’Autorità Palestinese ha pubblicato un articolo, firmato da uno dei suoi vice ministri, in cui si sosteneva che non c’è alcun legame storico fra il Muro Occidentale (“del pianto”) e gli ebrei. “Il punto – spiega Kuperwasser – è che i palestinesi, con la loro costante opera di istigazione e delegittimazione, diffondono il concetto che il terrorismo e la lotta armata sono del tutto legittimi, anche se magari ora non ce n’è bisogno perché, al momento, non sono vantaggiosi. In questo senso, ebrei e israeliani, specialmente se coloni ma non solo i coloni, non sono esseri umani”. Aggiunge Kuperwasser: “Abbiamo ripetutamente chiesto ai palestinesi di porre fine a questo fenomeno. Ma la macchina propagandistica palestinese è finanziata dalla comunità internazionale. I testi scolastici sono finanziati dagli europei, i mass-media da altre fonti internazionali. È un punto essenziale se si vuole promuovere davvero la pace in questa regione. Il mondo deve chiedere ai palestinesi di farla finita con l’istigazione all’odio. Quando Abu Mazen sceglie, per suonare nei festival, una band che invoca l’annientamento degli ebrei, come si può anche solo sognare di arrivare a un accordo di pace? Io non credo che l’Autorità Palestinese sia il mandante dei terroristi che hanno fatto la strage di Itamar, ma non è questo il punto. Creando un’atmosfera che sollecita continuamente i palestinesi a insorgere contro il diritto degli ebrei a vivere qui, presentando continuamente gli ebrei come creature crudeli e spietate prive di alcun titolo di legittimità, si dà corda al terrorismo palestinese. L’Autorità Palestinese non ha interesse a compiere attentati, ma allo stesso tempo non fa nulla per fermare istigazione e indottrinamento. Così non mancano mai persone che, pensando d’aver ben colto il messaggio, decidono di compiere attentati. Il fatto che qualcuno possa pararsi davanti a un bambino di tre mesi e tagliargli la gola con le sue mani rasenta l’inimmaginabile. Ma il lavaggio del cervello del pubblico palestinesi va avanti sin dai tempi degli accordi di Oslo, ed è davvero ora che cessi”. (Da: Ynet News, 13.3.11)http://www.israele.net/


navi.....

Israele "rilascia" la nave Victoria


Questa mattina le autorità israeliane hanno rilasciato la nave Victoria, fermata due giorni fa in alto mare e dirottata nel porto di Ashdod con a bordo un carico di armi, apparentemente destinate alla striscia di Gaza. La Victoria, batte bandiera liberiana ma è di proprietà tedesca, ma le autorità israeliane si sono convinte che il comandante e l' equipaggio erano ignari della presenza del carico di armi, nascosto in alcuni container. Tra le armi sequestrate c'erano per la prima volta missili antinave, le rampe per lanciarli e radar di puntamento, oltre a bombe di mortaio di diverso calibro e proiettili per fucili Kalashnikov. Israele afferma che le armi sono state fornite dall' Iran e caricate sulla Victoria nel porto siriano di Latakia con la complicità delle autorità siriane. L' Iran ha risposto accusando Israele di diffondere "menzogne" nei suoi confronti. http://www.moked.it/


Fanatismo

In questi giorni ha tenuto banco la notizia della pornostar israeliana, morsa al seno da un boa conscrictor durante una serie di scatti fotografici effettuati al silicone della ragazza - i serpenti non usano silicone. Tra gli animalisti di tutto il mondo c'è grande preoccupazione per la sorte del boa che è sparito. La notizia ha rischiato di essere oscurata con la scusa che a Itamar erano stati sgozzati nel sonno un padre, una madre, due bambini e un neonato colono. Per fortuna ha prevalso il buonsenso e la stampa mondiale si è occupata solo del serpente. Il Tizio della Sera http://www.moked.it/


Villa d'Este
L'Aspen Institute Italia, presieduto da Giulio Tremonti, ha organizzato giorni fa a Villa d'Este sul Lago di Como la terza conferenza del ciclo I protagonisti italiani nel mondo. Erano presenti oltre 80 italiani noti che operano fuori dall'Italia ad alto livello nei campi della ricerca scientifica, della cultura e delle arti, dell'imprenditoria, e delle orgnizzazioni internazionali. L'Italia è un paese esportatore di talenti e condivide con molte altre nazioni sviluppate o in via di sviluppo il problema della "fuga dei cervelli". D'altra parte gli italiani all'estero, specialmente quando si tratta di quadri d'élite, molto contribuiscono ad elevare il prestigio e l'immagine dell'Italia agli occhi dei locali. Al convegno ci siamo interrogati su come la diaspora italiana possa meglio contribuire allo sviluppo dell'Italia, e su quali siano le vie per aiutare il rientro e la re-integrazione dei talenti espatriati. Il problema non è semplice perché dal confronto fra le esperienze accumulate altrove e le possibilità di lavoro esistenti in Italia emerge che certe abitudini culturali profondamente radicate nella penisola rappresentano un ostacolo insormontabile. Troppo spesso i meriti reali vengono subordinati a considerazioni, vincoli e protezionismi di altro genere, mentre si preferisce il successo nello stretto ambito locale a una internazionalizzazione delle idee e delle carriere che è essenziale per riuscire nella sfida con altre società contemporanee. E questo ha ridotto la competitività del sistema Italia sul piano globale. Questo nuovo progetto Aspen di interesse nazionale apre un nuovo serio discorso sul futuro dei rapporti fra l'Italia e la sua diaspora che ricorda da vicino e attualizza l'antico e tutto sommato simile discorso sulla diaspora ebraica. Sergio Della Pergola, Università Ebraica di Gerusalemme http://www.moked.it/


Amos Oz regala a Barghuti un libro con dedica. Ma la destra nazionalista attacca lo scrittore

Il romanziere israeliano Amos Oz nell’occhio del ciclone. Molti esponenti della destra nazionalista l’hanno attaccato per aver inviato una copia del suo libro “Storia di amore e di tenebre”, nella sua traduzione in lingua araba, a Marwan Barghuti, il dirigente di al-Fatah condannato da Israele all’ergastolo per aver ispirato attentati terroristici. «Questa storia – scrive Oz, nella sua dedica – è la nostra storia. Spero che tu la legga e ci comprenda meglio, così come noi ci sforziamo di comprendere voi». Quindi il saluto: «Nella speranza che ci possiamo incontrare presto, in pace e libertà». Nel romanzo, di carattere autobiografico, Oz descrive con grande partecipazione emotiva il difficile inserimento dei genitori (Fania Mussman, di origine ucraina, e Yehuda Arie Klausner, di origine lituana) in una Gerusalemme ancora non separata da divisioni fisiche, e per certi versi cosmopolita. La traduzione in arabo del suo libro è stata finanziata dal padre di un palestinese ucciso anni fa per errore a Gerusalemme in un attentato palestinese, perchè scambiato a prima vista per un ebreo. Oz – precisa il quotidiano Yediot Ahronot – ha chiesto al leader del partito di sinistra Meretz, Haim Oron, di consegnare nei prossimi giorni il libro a Barghuti. Ma già ora giungono le proteste di esponenti di destra. Secondo il deputato Dany Danon Oz dovrebbe adesso restituire il “Premio Israele” di cui è stato insignito. «Non è ammissibile – ha attaccato Danon – che chi sostiene un terrorista con le mani intrise di sangue si fregi di quella onorificenza». Danon ha chiesto una riunione urgente della commissione parlamentare per la istruzione, per discutere la vicenda. 16 marzo http://falafelcafe.wordpress.com/



Umorismo ebraico!

President Shimon Peres has invited Mubarak for Pessah to celebrate together the exodus from Egypt

da Barbara


Gaza, la violenza di Hamas si abbatte sui manifestanti per il terzo giorno consecutivo

Tre su tre. La mano dura delle milizie di Hamas, la fazione islamico-radicale palestinese al potere nella Striscia di Gaza, s’è fatta sentire in tutte e tre le manifestazioni pubbliche degli ultimi giorni. Oggi è toccato anche a un raduno indipendente di giovani (tra cui molte ragazze) che manifestavano a favore dell’unità nazionale. La polizia del gruppo estremista ha disperso la folla a manganellate. Lo riferiscono testimoni oculari, tra cui noti blogger palestinesi presenti alle manifestazioni di questa settimana. Secondo le ricostruzioni più attendibili alcuni dimostranti sono stati fermati e altri sono rimasti contusi. Il tutto è avvenuto vicino alla sede dell’Unrwa, l’agenzia dell’Onu che assiste i profughi palestinesi, dove si erano raccolti poco meno di cento studenti universitari su iniziativa del cosiddetto “Coordinamento del 15 marzo”. Si tratta di una sigla autonoma che ha fatto il suo esordio pubblico proprio martedì, dopo aver raccolto migliaia di adesioni attraverso Facebook e Twitter. E che ieri era di nuovo scesa in piazza con qualche centinaio di giovani di fronte all’università Al-Anzhar di Gaza City, dispersi anch’essi con violenza dai miliziani. Il “Coordinamento del 15 marzo” ha preso spunto dai venti di rivolta nel mondo arabo per promuovere, soprattutto attraverso il web, iniziative spontanee di protesta contro le divisioni interne fra le varie fazioni palestinesi rivali. E per invocare in particolare «una riconciliazione nazionale» tra le forze “laiche” dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), rimaste al potere sotto la guida di Fatah in Cisgiordania, e quelle oltranziste raccolte nella Striscia di Gaza attorno a Hamas. La pressione della piazza – nonostante le violenze – ha già portato qualche risultato: il rilancio delle trattative, annunciato ieri con toni insolitamente concilianti da entrambe le parti, per un incontro fra il presidente dell’Anp, Abu Mazen, e il capo del governo di fatto di Hamas a Gaza, Ismail Haniyeh. Obiettivo? Superare i contrasti, formare un esecutivo transitorio di «personalità neutrali» e giungere a una convocazione unitaria di nuove elezioni entro sei mesi. Sarebbe la prima volta del presidente dell’Anp nella Striscia dopo la guerra civile del 2007 vinta da Hamas.17 marzo http://falafelcafe.wordpress.com/


Essere ebrei oggi, alla luce dell'Unità d'Italia

Essere ebrei, spesso e volentieri, ci ha portato ad affrontare le realtà storiche più svariate, a prendere una posizione tra i radicali cambiamenti sociali e storici cui numerose nazioni si sono sottoposte nel passare dei secoli. E’ senza il dubbio il caso dell’Unità d’Italia, e in particolare del periodo risorgimentale ove la presenza ebraica nella penisola era all’incirca uguale a quella attuale. Il 16 marzo nella serata “Gli ebrei e l’Unità d’Italia. Ebrei per caso, per necessità o per scelta?” organizzata dalla Comunità ebraica di Milano e dal Dipartimento Educazione e Cultura dell’Ucei, si è così discusso di quale fosse il ruolo ed il significato che può assumere tale ricorrenza per ciascun ebreo italiano. Con la partecipazione del direttore del Dec, Rav Roberto Della Rocca, di Dario Calimani, professore di Letteratura inglese all’Università di Venezia, e di Ugo Volli, professore di Semiotica all’Università di Torino, si è aperto un dibattito, moderato dal direttore del Dipartimento informazione e cultura dell’Ucei, Guido Vitale. Rav Della Rocca partendo da una riflessione sull’imminente festa di Purim, ha spiegato l’importanza del ruolo degli ebrei della diaspora all’interno della storia di uno Stato; attraverso il racconto della storia di Mordechai ha sottolineato in particolare il ruolo politico dell’ebreo. La storia cambia, e gli ebrei con essa. Ed è così che arriviamo al Risorgimento, all’epoca dell’emancipazione degli ebrei, ovvero all’epoca di un modernismo che tramuta e affascina persino gli ebrei. Oggi, a 150 anni di distanza, abbiamo la testimonianza di come noi ebrei italiani abbiamo avuto l’occasione di confonderci in un popolo diverso dal nostro, ha concluso Rav Della Rocca. Ugo Volli ci ricorda che gli ebrei risorgimentali furono fedeli politici, militari, scienziati. Convinti nei valori unitari, alcuni liberali, irredentisti e garibaldini. Cittadini di una neonata nazione. Una continuità che non si è però mai interrotta, nonostante i noti disastri della Seconda Guerra mondiale. “E’ stato grazie all’Unità d’Italia che si è formato il primo congresso delle Comunità Ebraiche Italiane, nel 1863″ racconta Guido Vitale.
Dario Calimani infine, si è interrogato a fondo su cosa significasse essere ebrei italiani, nel particolare della Shoah. La storia, non deve portare all’esistenza di un’ambiguità tra l’essere ebreo e l’essere cittadino di un Stato. Abbiamo il dovere di essere “buoni cittadini e di contribuire al benessere del paese in cui viviamo” sottolinea Rav Della Rocca, senza però dimenticare e difendere il nostro ebraismo. http://www.mosaico-cem.it/Di: Francesca Olga Hasbani 18/03/2011 Milano




Un duo d’eccezione


“Kotzim” è il titolo del nuovo singolo di Idan Raichel che questa volta canta accompagnato da Aviv Geffen, musicista e cantautore di primo piano della scena musicale israeliana.
http://www.mosaico-cem.it/

venerdì 18 marzo 2011


Vasilij Grossman racconta l'inferno

Di: Maria Eleonora Tanchis edAdelphi 18/03/2011 http://www.mosaico-cem.it/
“Oggi i testimoni cominciano a parlare, la terra e i sassi a levare, alte, le proprie grida. E di fronte alla coscienza collettiva del mondo, davanti agli occhi dell’umanità tutta possiamo ripercorrere, passo dopo passo, i gironi di un inferno, quello di Treblinka, in confronto al quale quello di Dante è uno scherzo innocente di Satana”. Vasilij Grossman, corrispondente di guerra per il quotidiano dell’esercito sovietico “Stella Rossa”, arriva a Treblinka insieme all’Armata. Vi trovarono una piccola fattoria, costruita in fretta e furia dai nazisti per tentare di occultare gli orrori seppelliti sotto quel terreno impregnato di morte. Treblinka fu uno dei tre campi di concentramento realizzati nell’ambito dell’Operazione Rehinard (insieme a Sobibor e Belzec), che prevedeva la “soluzione finale” di tutti gli ebrei polacchi. Composto da due settori diversi, uno per i dissidenti politici (Treblinka I, adibito a campo di lavoro forzato) e l’altro, appositamente creato per eliminare il maggior numero di deportati ebrei. Fu infatti il primo campo nazista che collaudò l’utilizzo dei gas come metodo di sterminio (ideato per rendere meno “odioso” alle le guardie tedesche il compito di uccidere uomini, donne e bambini, dato l’effetto di instabilità mentale che provocava in molti di loro l’uso delle mitragliatrici), secondo solo ad Auschwitz per numero di vittime . Il giornalista russo, nel reportage commissionatogli dal governo comunista, ci racconta la (non) vita condotta nel campo, attraverso le testimonianze dirette dei pochissimi sopravvissuti, che ebbero il coraggio, l’ingegno e la forza fisica per organizzare una grande rivolta, che ebbe come risultato l’incendio di Treblinka, nonché la morte di quasi tutti i prigionieri (eccetto dodici) e di qualche decina di SS. Tutto questo viene narrato da Grossman, nei minimi e più atroci particolari, con uno stile che mescola elementi narrativi differenti. Il dovere di scrivere un’inchiesta giornalistica ( che lo porta a fornirci dettagliatamente dati, numeri, informazioni di cronaca) non raffredda i toni del suo racconto. L’orrore, la compassione, il pathos, trasudano dalle parole e investono prepotentemente il lettore, che a fatica riesce a sfogliare le pagine. Lo fanno entrare nei vagoni dei treni diretti al campo, nelle fila di individui che attendono di essere smistati, nelle sale “d’aspetto” antecedenti alle camere a gas, negli occhi e nei pensieri delle mamme a cui vennero sottratti dalle mani i propri figli. Ci racconta anche del gesto eroico compiuto dal gruppo di detenuti che diede vita alla grande ribellione del 1943 (nata grazie alle notizie della rivolta nel ghetto di Varsavia e seguita poco tempo dopo dalla sommossa di Sobibor), e del sacrificio di molti di loro, che si fecero uccidere piuttosto che rivelare alle guardie la motivazione dei movimenti sospetti. Ci racconta di quando, arrivato nei pressi del lager, egli si accorge di camminare sopra un’infinita distesa di capelli dalle sfumature più diverse. Da subito capisce di trovarsi davanti ad un inferno che poco ha a che fare con quello dantesco. E’ l’inferno di Treblinka.

giovedì 17 marzo 2011


Risorgimento italiano ed Ebrei Note poco conosciute sul Risorgimento

Vigo di Cadore 1959 - Seminario dell'Associazione degli Insegnanti ebrei d'Italia pubblicato nel 1961 dall'Histadruth Hamorim, libro ormai esaurito, di cui un caro amico ha trovato due capitoli emblematici:
"Il Risorgimento italiano non è soltanto un movimento di riscatto nazionale, ma anche e soprattutto un grandioso movimento sociale, che entra nel quadro di un più vasto movimento europeo; e per gli ebrei, Risorgimento non significava solo l'unità d'Italia, ma anche e soprattutto emancipazione (cioè estensione alla minoranza ebraica della cittadinanza e di pari diritti civili e politici con gli altri cittadini).Tutti gli ebrei partecipano a questa lotta; fanno parte di società segrete; a Firenze i fratelli Paggi stampano opuscoli e manifesti clandestini per incitare alla lotta; a Vercelli il Collegio Foà diventa una vera fucina di patriottismo. Tutti gli ebrei che viaggiano normalmente per i loro affari diventano i naturali intermediari fra le diverse società segrete; essi offrono continuamente armi e denaro. Fra i primi combattenti ebrei del Risorgimento italiano dobbiamo ricordare: Abramo Fortis, Israel Latis e Angelo Levi… A Modena Angelo Usiglio e suo fratello Enrico sono collaboratori di Ciro Menotti; si può dire che tutto il movimento dei patrioti modenesi è finanziato da banchieri ebrei. Ora la causa degli ebrei è più che mai legata a quella dei patrioti italiani: se un governo reazionario crolla, le leggi antiebraiche vengono abrogate. Così avvenne a Roma e a Ferrara, dove i governi provvisori abrogarono tali leggi: se pure parte della popolazione continuasse a nutrire sentimenti ostili nei riguardi degli ebrei. Ma i moti del 1831, soffocati dall'immediato intervento delle truppe austriache falliscono e nella città di Ciro Menotti sono rimesse in vigore tutte le restrizioni antiebraiche, compreso il "segno giudaico" ( che pertanto non fu un'invenzione nazista, come spesso si vuol far credere, ma un simbolo che distingueva queste persone, da secoli, n.d.r.); anzi, il duca di Modena dimostrò un tal furore contro contro gli ebrei, che persino il comandante austriaco intervenne per consigliargli un po' di moderazione. Nella dura repressione che seguì i moti di Modena, patrioti ed ebrei furono accomunati… Le instabili condizioni politiche caratterizzate in questo tempo da moti rivoluzionari destinati a fallire per immatura organizzazione (questo non è proprio vero: a subire la pena capitale furono solo Ciro Menotti e Vincenzo Borelli, mentre la gran parte dei congiurati israeliti prese il largo grazie alla rete internazionale della comunità, n.d.r.) seguiti da rigide repressioni, si ripercuotono nelle condizioni degli ebrei: a Ferrara le porte del ghetto vengono rimesse e poi ritolte; a Lugo ed Ancona i portoni del ghetto non vengono rimessi sui cardini, ma gli ebrei sono costretti ad abitare entro le cinta… Intanto il movimento di liberazione va affermandosi nella coscienza degli italiani. Giuseppe Mazzini fonda la Giovine Italia. Il Mazzini, da principio non ha molta simpatia per gli ebrei, forse per l'influenza di Guerrazzi, come apprendiamo da una sua lettera inviata da Londra a sua madre. Ma poi si ricrede e conta tra i suoi migliori amici degli ebrei. Nell'esilio di Londra egli ha come compagno Angelo Usiglio; il passaporto l'ha avuto dal rabbino di Livorno; a Londra egli stringe saldi vincoli di amicizia con la famiglia del banchiere Nathan, la cui casa era aperta a tutti gli esuli italiani. Sarina Nathan diverrà la sua più fida consigliera, ed egli chiuderà la sua travagliata esistenza a Pisa in casa di Jeannette Nathan Rosselli, figlia di Sarina ( con ogni probabilità il figlio di Sarina, Ernesto Nathan, iniziato alla loggia Propaganda Massonica, 33 del Rito Scozzese, cittadino britannico e tuttavia sindaco di Roma nel 1907 era seme di Mazzini e fu sindaco straniero, massone ed ebreo, eloquente messaggio delle logge al Papa! n.d.r.). A Torino il movimento mazziniano è finanziato dalla famiglia Todros. David Levi di Chieri, il banchiere poeta, scrive un'ode in memoria dei fratelli Bandiera, la cui nonna pare fosse un'ebrea di Ancona… Tutti gli ebrei anelano al conseguimento di quelle libertà civili cui sanno di avere diritto. Nel 1842 all'imperatore Ferdinando (d'Asburgo, n.d.r.) in visita a Milano, una deputazione delle comunità israelitiche del Lombardo-Veneto chiede l'abolizione delle restrizioni, tra cui l'esclusione dal notariato, dalla professione di farmacisti, la proibizione di domicilio stabile di nuove famiglie ebree, la proibizione a maestri israeliti di istruire discepoli non israeliti, le inabilità testimoniali ecc… Ma essi non ottennero che vane promesse…
Ma se tutti gli ebrei lottavano per l'unità e l'indipendenza d'Italia, anche tutti i patrioti, dal canto loro, erano favorevoli agli ebrei: l'emancipazione ebraica è considerata un atto di giustizia che fa parte del programma delle rivendicazioni italiane; lo studio della storia ebraica può far comprendere la storia di tutti i popoli se si esamina l'atteggiamento da questi tenuto verso gli ebrei. Nel 1830 Gabriele Pepe scrive un articolo su questo argomento sulla "Antologia"; nel 1836 Carlo Cattaneo pubblica uno studio dal titolo: "Ricerche economiche sulle interdizioni imposte agli israeliti". Vincenzo Gioberti nel suo Primato civile degli italiani sostiene che gli ebrei devono essere emancipati; Niccolò Tommaseo, Angelo Brofferio, Cesare Balbo, tutti sono ardenti fautori dell'emancipazione ebraica; i due fratelli D'Azeglio esplicano la loro attività in favore degli ebrei, il primo con scritti ("Della emancipazione civile degli israeliti", dedicato al Papa) il secondo adoperandosi con fervore per l'emancipazione degli acattolici. Fra gli amici degli ebrei non dobbiamo dimenticare Ugo Foscolo, di cui si narra questo episodio significativo: quand'egli era ragazzo, la popolazione di Zante voleva un giorno dare l'assalto al ghetto. Già le porte del piccolo ghetto stavano per cedere, quand'egli balzò sul muro di cinta e gridò alla folla: "Vigliacchi, indietro vigliacchi!". La rampogna del ragazzo Foscolo fece rinsavire la folla inferocita. (A tanta sollecitudine per i diritti degli ebrei non corrispose una pari sensibilità nei patrioti italiani per i diritti degli italiani del Sud. L'esercito italiano sabaudo liberatore delle Due Sicilie, si abbandonò ad un pogrom di cittadini meridionali:"9860 fucilati, 918 case arse, 6 paesi bruciati, 12 chiese depredate, 40 donne e 60 bambini uccisi, 13629 prigionieri", ha ricordato Carlo Alianiello. L'esercito italiano occupò per decenni il sud liberato con 120 mila soldati. Non a caso, tra il 1876 e il 1914 ben 14 milioni di meridionali migrarono, a causa della miseria prodotta da questa occupazione e dalle angherie [dei fratelli d'Italia!]. C'è stato un esodo, c'è stato un esilio - e quasi un genocidio - di cui non è consentito coltivare la memoria! n.d.r.). Ma nel 1846 salì al soglio pontificio Pio IX, che seppe mantenere e coltivare il vero spirito cattolico, ma che un'efficace propaganda tramutò in Papa reazionario per eccellenza, bestia nera della comunità israelitica, che s'é opposta con furia alla sua recente beatificazione. Oggi, dopo la riabilitazione dei giudei avvenuta col Concilio Vaticano II, non si contano gli atti di meaculpismo da parte della Gerarchia Ecclesiastica. Cardinali e vescovi, addirittura il Papa, pregano nelle sinagoghe a fianco di coloro che la teologia cattolica ha sempre definito "deicidi" ma che adesso vengono singolarmente chiamati "fratelli maggiori"; un grande Pontefice come Pio XII ha suscitato imbarazzo al Card. Kasper perchè volle mantenere nella comunità cristiana i bimbi ebrei battezzati, dopo la guerra. ....................Ecco che nell'arco di un secolo e mezzo, nonostante un paio di clamorosi stop, si sta realizzando a livello Europeo il progetto di coloro che pianificarono il Risorgimento italiano: La necessità di un Mercato Unico Europeo ben si coniuga con il verbo unificatore di Mazzini: La banca, infatti, oggi come allora, ha bisogno di una maggiore libertà ed unificazione politica che consenta sempre nuovi mercati e nuovi risparmiatori da spremere. Ma è risaputo che il Risorgimento fece l'Italia e non gli italiani, così come Maastricht fece l'Europa delle banche, ma non degli europei. Matteo Castagna Verona http://www.salpan.org/


Quel legame profondo tra Risorgimento e Sionismo di Vito Kahlun

Quando alle 20.00 del 19 Aprile 2010 cala il buio, si passa da Yom Ha’Azikaron, ovvero il giorno dedicato alla memoria delle vittime di guerra e del terrorismo, alla festa di Yom Ha’Azmaut. Ogni anno il 5 di Iyar, ottavo mese del calendario ebraico, israeliani ed ebrei di tutto il mondo festeggiano la proclamazione dell’indipendenza dello Stato di Israele. Un’indipendenza che in un certo senso ha dei legami con il nostro bel paese. Israele e Italia oltre che a succedersi nell’elenco alfabetico delle nazioni (Islanda, Israele, Italia..), ad avere delle repubbliche democratiche anagraficamente coetanee, a disporre di un patrimonio storico ed artistico di incredibile valore e ad avere al loro interno forti organismi religiosi, sono anche congiunte da un legame ideale ben più profondo: quello tra Risorgimento e Sionismo. Nella prefazione al libro di Maurizio Molinari Ebrei in Italia: un problema di identità(1870-1938) Giovanni Spadolini, politico, giornalista e primo docente universitario di storia contemporanea del nostro paese, afferma che «Una cosa è certa. Il sionismo sta al Risorgimento ebraico così come il mazzinianesimo sta al Risorgimento nazionale italiano». A partire dal primo Risorgimento infatti «il grande profeta del sionismo – Theodor Herzl – ha sempre guardato all’esempio e all’insegnamento di Giuseppe Mazzini». Se il padre del sionismo ebbe un occhio di riguardo verso il nostro paese fu anche perché «l’Italia – secondo lo storico Arnaldo Momigliano – è forse stato l’unico paese in Europa in cui gli ebrei sono stati bene accetti dall’Esercito e dalla Marina e hanno potuto raggiungere i gradi più alti senza alcuna difficoltà»”. In tal senso basti pensare che nel 1907 Ernesto Nathan divenne sindaco di Roma e che basterà attendere il 1910 perché l’Italia abbia il suo primo Presidente del Consiglio di religione ebraica: Luigi Luzzatti. Un legame che traspare anche nel libro Roma e Gerusalemme(1861) di Moses Hess, che oltre ad essere colui che convertì Engels al Comunismo, introdusse Marx ai problemi sociali ed economici e in buona parte fu uno “dei più diretti maestri di Herzl”, ripetendo i ritmi e le cadenze della terza Roma di Mazzini elabora un parallelismo fra la ricostruzione del popolo italiano in unità e il ritorno del popolo ebraico alla “terra promessa”. Un sionismo – come ricordava giustamente Spadolini – che nonostante le sue vibrazioni messianiche era comunque destinato ad «emanciparsi, nella sua complessa esperienza politica, da ogni residuo teocratico». «Un processo di trasformazione – prosegue Spadolini – che non mancò nelle stesse file del mazzinianesimo e della democrazia repubblicana italiana senza mai annullare quel valore di fermento profetico e quasi millenaristico che la speranza mazziniana aveva suscitato agli albori in un paese frantumato, proprio nella intuizione di un legame indissolubile fra valori politici e valori di coscienza, fra morale religiosa e morale civile». Un apporto quello dell’ebraismo italiano alla costituzione dello Stato d’Israele più qualitativo che quantitativo. Dei quasi quattromila ebrei italiani che contribuirono alla costruzione dello Stato di Israele – scrive Spadolini - molti ebbero ruoli di grande prestigio nel campo dell’università e della cultura «nel nesso profondo fra civiltà ebraica e civiltà italiana, complementari e mai contrapposte, intrecciate e non divise nel corse dei secoli». Un apporto quello dello Stato e della politica italiana al sionismo che fu innanzitutto di carattere politico. Vittorio Emanuele III – lo stesso Re che promulgò le leggi razziali – definì la Palestina come «un paese essenzialmente ebraico» anche se poi quando si trattò di muoversi presso Costantinopoli si tirò indietro non andando oltre espressioni di simpatia e di stima verso gli ebrei. Politico perché – come scrisse Spadolini – il movimento democratico italiano, fra primo e secondo Risorgimento, fu sempre dalla parte degli ebrei. Per i democratici integrali infatti «sionismo è sempre stato sinonimo di patriottismo e di fedeltà al diritto di nazionalità». A 62 anni dalla nascita di Israele e a 150 anni dall’Unità di Italia il popolo senza terra ha uno Stato e il territorio senza popolo ha una sua identità. Tuttavia troppo spesso si mettono in discussione entrambe le conquiste. Parte del mondo arabo e diverse organizzazioni terroristiche si ostinano a non riconoscere il diritto all’esistenza di Israele senza però rendersi conto che l’ideale che lega un popolo prescinde dall’esistenza su carta di uno Stato. Da noi invece la situazione è un’altra. Negli ultimi anni è infatti in atto un processo di delegittimazione del processo politico e culturale che ci ha portato all’Unità. C’è chi senza pudore alcuno, ma soprattutto ingigantendo singoli episodi, osa degli accostamenti tra Risorgimento e medioevo. Larghi settori del Parlamento, e del Governo, sembrano disinteressarsi alle celebrazioni dei 150 anni dall’Unità di Italia che rischiano di trasformarsi in simboli non riconoscibili. Se di fatto gli ideali mazziniani furono in grado di ispirare un popolo senza stato oggi, in occasione del 62esimo anniversario dello Stato di Israele, dovremmo riflettere su quella che è la nostra condizione attuale. Quali sono gli ideali e la visione in cui si riconoscono i cittadini e i politici? Quanto investiamo nella formazione di un sentimento patriottico fondato su una visione storica condivisa? Quanto crediamo in noi stessi come italiani e agli ideali alla base della nostra Costituzione? Personalmente non ho una visione molto positiva in tal senso. Ciò non toglie che se davvero si vuole riformare un paese, che troppo spesso si sente estraneo a se stesso, è il caso di lavorare prima ai valori che dovrebbero ispirare il cambiamento e poi ai titoli, capi, sezioni, articoli e commi che lo materializzano. Il presente può dare sicuramente delle ottime indicazioni sulle esigenze attuali ma se non si ha una visione del futuro condivisa, o se peggio ancora si rinnega e non si riconosce l’importanza storica del nostro passato, si rischia di costruire un cambiamento fondato sulla pasta frolla. 19 aprile 2010 http://www.ffwebmagazine.it/ffw/


Nathan Levi Sara Pesaro 1819 dic 07 - 1882

Sara Nathan Levi nacque a Pesaro il 7 dicembre 1819 da famiglia di modeste condizioni economiche. Rimasta orfana di madra all'età di tre anni, visse prima a Modena e quindi a Livorno, presso la famiglia Rosselli, parenti del ramo materno. Nel 1836 sposò Meyer Moses Nathan, gentiluomo tedesco con il quale l'anno successivo si trasferì a Londra. Qui conobbe Giuseppe Mazzini ed entrò in contatto con numerosi esuli italiani, spesso acogliendoli in casa e partecipando a sottoscrizioni a favore della causa italiana. Dopo il 1849, caduta la Repubblica romana, Mazzini tornò a Londra, rifugiandosi dai Nathan, la cui casa divenne il punto di riferimento dei mazzininai ed più in generale dei democratici in Inghilterra. Tra coloro che furono accolti vi era Maurizio Quadrio, che divenne l'istruttore dei figli dei Nathan e che rimase sempre molto legato ad essi. Dopo il 1859, rimasta vedova Sara Levi Nathan tornò in Italia, prima a Firenze poi a Milano, sempre restando un punto di riferimento per i mazziniani. Nel 1862 dovette trasferirsi a Lugano, per sfuggire all'arresto per il suo appoggio al Partito d'azione; nella villa a Lugano di nuovo Mazzini ebbe spesso accoglienza. Nel marzo del 1872 Sara levi Nathan accorse a Pisa, nella casa dei Rosselli, ove si trovava Mazzini, ormai morente, assistendolo fine alla fine assiene ad altri famigliari. Nei mesi successivi essa si occupò della pubblicazione delle opere e di tutti gli scritti del patriota repubblicano, acquistando tutti i manoscritti e tutti i diritti su scritti ed opere, affidandone la cura editoriale a diversi esponenti repubblicani, tra i quali il Quadrio. http://siusa.archivi.beniculturali.it/



Adelaide Cairoli

Nicola Terracciano, L'Ebraismo del Risorgimento

Il Risorgimento fu vissuto dal millenario ebraismo italiano (gli ebrei sono i più antichi cittadini italiani) non solo come liberazione politica, indipendenza dallo straniero, unificazione del paese, regime costituzionale liberale, moderno, ma come l’attesa, sperata liberazione civile, come uscita dai ghetti secolari, non solo fisici, per divenire finalmente cittadini con tutti i doveri e i diritti degli altri, per professare più liberamente la fede dei padri, per potere esprimere le particolari qualità intellettuali, morali, civili, economiche di questa commovente minoranza, che da secoli viveva sul suolo italiano e sentì l’attaccamento alla Patria in un modo più intenso di altri. Perciò il l’ethos risorgimentale e l’italianità furono connotati essenziali dell’ebraismo otto-novecentesco ed era riconosciuto anche all’estero questo tenace e diffuso patriottismo (che li rendeva anche un po’ lontani dal sionismo, dalla prospettiva cioè di uno stato nazionale ebraico, profeticamente indicato dal grande Herzl, quasi premonitore delle tragedie novecentesche della sua gente), che solo la sciagurata politica antisemita del fascismo (maggiormente collaborato dalla chiesa concordataria) delle leggi razziali e dell’alleanza servile con il nazismo di Auschwitz hanno profondamente intaccato e che, dopo la Shoà, ha spinto tanti a sentire come nuova patria Israele. Tra i tanti tragici effetti dello sprofondamento storico fascista, questo della persecuzione degli ebrei, cioè dei più intensi promotori del Risorgimento, più rivela di quel fenomeno storico (il fascismo) il connotato, così efficacemente indicato da uno dei più avveduti storici risorgimentali, il Salvatorelli, di ‘Antirisorgimento’. Già con le Repubbliche liberaldemocratiche di fine Settecento, nate sotto la memorabile onda d’urto storica della grande Rivoluzione francese, dei suoi principi di libertà e di eguaglianza, si ebbe il primo processo di liberazione storica dell’ebraismo e questo avvenne in modo più indimenticabile durante la straordinaria Repubblica Romana del 1798-1799, durata 20 mesi, da sempre rimossa dalla memoria collettiva italiana (egemonizzata da antirisorgimentali vari, in primis i cattolici), perché implicò, già prima del 20 settembre 1870, la fine del potere della chiesa cattolica, la fine del ghetto e il godimento alfine dei diritti civili e politici degli ebrei come i cittadini professanti altra religione (con odio degli ambienti più fanatici e retrivi cattolici della Roma papalina, come gli abitanti di Trastevere, più vicini al ghetto). Quando, dopo i memorabili anni francesi e napoleonici (1796-1815), tornò in Italia la Restaurazione, l’alleanza stretta tra monarchie assolute e la chiesa cattolica più oltranzista e reazionaria, che giunse a far rinascere quella compagnia di Gesù che essa stessa aveva sciolto anche prima della Rivoluzione francese, sotto la spinta illuminata dell’Europa riformatrice del Settecento, le condizioni civili degli ebrei ritornarono pesanti e ad essi si aprì soltanto l’opposizione segreta, come per gli ambienti liberali e nazionali italiani. Tra gli aderenti della Carboneria o della Giovane Italia vanno ricordati i fratelli Paggi di Firenze, tanti ebrei di Livorno, Giocoso Levi di Venezia con altri 15 correligionari (che pagarono col carcere e l’esilio la loro opposizione), Lodovico Mondolfi di Ancona, prima carbonaro, poi mazziniano (con Mazzini condivise poi l’esilio di Londra), Alessandro Franchetti, creatore della Biblioteca Dantesca, che donò poi allo Stato unitario, e rinnovatore della pedagogia. A Vercelli operava nel 1830 la setta carbonara ”I veri italiani”, alla quale erano iscritti diversi ebrei, come un Olivetti di Ivrea, Giuseppe Vitalevi, che fu condannato all’ergastolo e dovette rifugiarsi in Francia. Un suo figlio si distinse tra i garibaldini nella battaglia del Volturno del 1 ottobre 1860. Tra i protagonisti rimasti nella memoria collettiva delle Cinque Giornate di Milano vi fu il quindicenne ebreo, di origini mantovane, Ciro Finzi, che trascinò alla lotta. Morirà l’anno dopo per la difesa della Repubblica Romana. Un suo parente, Giuseppe Finzi, amico di Mazzini, assunse anche comandi militari, fu poi tra gli incarcerati del processo dei Martiri di Belfiore e, condannato a morte, ebbe tramutata la pena nelle carceri austriache. Uscito, godette dell’amicizia di Garibaldi e Cavour, appoggiò la spedizione dei Mille e fu il primo deputato ebreo ad entrare nel 1861 nel Parlamento italiano.
A Torino (dove Carlo Alberto con lo Statuto prima e precise disposizioni legislative, quale quella del 29 marzo 1848, emancipò civilmente gli ebrei e i valdesi) il rabbino incoraggiò i giovani ebrei ad arruolarsi nei battaglioni di volontari per combattere contro gli austriaci nel 1848 ed essi andarono a formare la settima compagnia dei bersaglieri, battendosi con valore. Gli ebrei furono devotissimi a Cavour liberale e si ricorda la figura a lui vicinissima di Isacco Artom di Asti. A 18 anni fu volontario nel battaglione universitario che si battè a Curtatone e Montanara. Laureato in legge entrò nel 1858 nel Ministero degli Affari Esteri e divenne segretario particolare di Cavour. La sera prima di morire, Cavour disse “Domani voglio che Artom sia qui alle cinque…Non c’è tempo da perdere.” Artom fu ambasciatore e il primo tra gli ebrei d’Europa con questo alto incarico. Protagonista notissimo della Repubblica Veneta del 1848-1849 fu Daniele Manin (figlio di ebrei) ed ebbe accanto i rabbini Abramo Lattes e Samuele Salomone Olper. Altri collaboratori di Manin furono Cesare della Vida, Abramo Errera, Leone Pincherle (ministro dell’Agricoltura e del Commercio), prozio di Amelia Pincherle Rosselli (la veneziana madre di Aldo, Carlo e Nello Rosselli), Giacomo Treves. Il cantore di quelle eroiche giornate veneziane, il patriota Arnaldo Fucinato, aveva per moglie una ebrea, con lui cospiratrice coraggiosa, nonchè poetessa ed educatrice, Erminia Fuà Fucinato. Donne ebree veneziane si prodigarono aiutando il governo provvisorio: Enrichetta Levi, Giuditta Ventura Lattes, Allegrina Curiel Sacerdoti, Letizia Pesaro Maurogonato. Durante la Repubblica Romana mazziniana del 1849 operarono diversi ebrei: il poeta Giuseppe Revere, di origine triestina, membro dell’Assemblea con Abramo Pesaro e Salvatore Anau. Grande patriota ebreo fu il modenese Cesare Rovighi, anche scrittore insigne e storico, che, nella battaglia di San Martino e Solferino della II guerra di indipendenza del 1859, meritò la medaglia d’argento e partecipò a tutte le altre battaglie risorgimentali, destando ammirazione in Garibaldi e Cialdini. L’Eroe dei Due Mondi gli disse”Rovighi, voi avere combattuto da vero Cavaliere, con la penna e con la spada.” Essendo anche medico, dopo l’Unità fu in primo piano durante le epidemie di colera. Sposò Amalia Pincherle (dama di compagnia della regina d’Italia Margherita). Fedelissimo di Garibaldi, e già discepolo di Mazzini, fu il colonnello Enrico Guastalla, che combattè a Roma nel 1849, direttore a Genova del periodico ’Libertà ed azione’, organizzatore della spedizione Medici in appoggio al primo sbarco dei Mille e che fu presente anche alle altre iniziative garibaldine, come nel 1866, quando fu catturato dagli austriaci e sottoposto a tortura. In età matura riordinò il Museo del Risorgimento di Milano.
Tra i Mille di Garibaldi occorre ricordare anche Eugenio Ravà di Reggio Emilia, che già aveva combattuto nel 1859 nella battaglia di San Martino. Nota figura di ebreo garibaldino fu il genovese capitano Giuseppe Uziel, che lo aveva seguito in Lombardia, nel Trentino, in Sicilia e anche nella spedizione del 1867, dove morì nello scontro con francesi e i pontifici a Monterotondo, per conquistare Roma e completare l’unità. La fiorentina Famiglia D’Ancona fu tutta in primo piano nella vicenda risorgimentale coi cinque fratelli: Sansone, diplomatico e patriota, Giacomo, medico, Vito, pittore, Cesare, scienziato, Alessandro, letterato insigne, poi senatore e rettore dell’Università di Pisa, che si adoperò moltissimo per l’annessione della Toscana al Piemonte. La famiglia D’Ancona aveva ospitato nella sua casa esuli di altre parti d’Italia. Tra gli editori, giornalisti, pubblicisti ebrei risorgimentali vanno ricordato Giacomo Dina, che fu direttore del torinese ‘L’Opinione’ e fedele collaboratore di Cavour, il triestino Emilio Treves, fondatore dell’omonima casa editrice, Eldorado Arbib, uno dei Mille (promosso sul campo ufficiale a Milazzo), direttore di tre giornali, romanziere e storico. Tra le ebree che furono vicine alla vicenda risorgimentale e particolarmente a Mazzini, anche per la sua affascinante proposta di rinnovamento religioso, civile, oltre che politico, del Risorgimento, furono non solo Sarina Levi Natahan, la cui famiglia tutta, con tutti i suoi larghi mezzi, fu vicina all’apostolo a Londra, in Svizzera, in Italia, ma anche Fanny Luzzatto. Ella, che era stata amica dei Fratelli Bandiera e di Adelaide Cairoli, nel maggio 1860, accompagnò il figlio Riccardo, diciottenne, alla Scoglio di Quarto, dove si imbarcavano i Mille votati alla morte. Riccardo col fratello Attilio fondarono poi il periodico “La Ragione”. La sorella Adele fu confortatrice dei soldati italiani feriti nella II guerra mondiale, crocerossina sempre e durante la guerra del 1915-1918, esempio alle giovani, morì, assistendo malati, nel 1917. Molte idee riferibili al mazzinianesimo, ’Pensiero e Azione’, ‘Religione del Dovere’, ‘Dio e Popolo’, Doveri anteposti ai Diritti’, ‘L’Umanità profeta di Dio’, risentono fortemente di influssi ebraici. Giuseppe Mazzini è morto a Pisa nel 1872, sotto il falso cognome inglese israelitico di ‘Brown’, nella ospitale casa ebraica di Pellegrino Rosselli e Janet Nathan, una delle figlie di Sarina (casa poi donata allo Stato come monumento nazionale, come è ancora oggi, pur dopo la distruzione dell’ultima guerra). Il fratello di Pellegrino, Sabatino sposerà un’altra Nathan, la sorella di Janet, Henriette (quindi due fratelli per due sorelle), il cui figlio, di nome non a caso Giuseppe ( ma anche Emanuele), nato a Livorno il 10 agosto 1867, è stato il padre di Aldo, Carlo e Nello Rosselli. Su quelle profonde basi etico-religiose-civili risorgimentali, italiane ed ebraiche, fiorirono dopo l’Unità straordinarie individualità tra le quali quella di Lugi Luzzatti (nato nel 1841), di famiglia veneziana, che era stata patriottica della Repubblica del 1849. Fondò a Lodi la prima Banca Popolare, poi seguirono quelle notissime di Milano (di cui fu presidente a lungo, dal 1865 al 1927, anno della sua morte a Roma), Novara. Nel 1866 ebbe la cattedra di Diritto Costituzionale all’Università di Padova che tenne fino al 1895. Era un oratore formidabile e trascinante. Fu deputato dal 1871, ministro del Tesoro nel 1891-1892 nel primo Ministero Giolitti e poi in quello del 19013-1906 e in quello del primo Ministero Sonnino (anche lui con origini ebraiche). Fu il ‘Restauratore delle Finanze italiane’, fino al punto che la lira faceva aggio sull’oro (cioè si raggiunse una situazione nella quale vi era quasi lo stesso valore tra la moneta italiana, risanata e resa prestigiosa, e l’oro). Promosse, oltre le banche popolari, le cooperative, anzitutto di credito e consumo, la legislazione a tutela di donne e bambini, lo sviluppo della previdenza. Nel 1910 fu Presidente del Consiglio con un voto di fiducia tra i più alti della storia parlamentare italiana. Questi i pochi più noti nomi dei tanti patrioti ebrei, che aderirono al poliedrico Risorgimento, di cui furono parte non secondaria e che rendono quell’evento il più profondo nella trasformazione storica che ha avuto il nostro paese, benché sia stato poi combattuto, tradito, travolto dall’Antirisorgimento, operante dall’Unità fino ad oggi, di cui occorre scoprire sempre i volti proteiformi e spesso inimmaginabili (a partire dal cattolicesimo illiberale al fascismo-postfascismo, al filoborbonismo e filobrigantismo, all’antisemitismo, all’estremismo marxista) e sempre, come sentinelle vigilanti, combattere decisamente.
(Una fonte. Gina Formiggini, Stella d’Italia, stella di David. Gli ebrei dal Risorgimento alla Resistenza, Mursia, Milano, 1970, I ed., 1988, II, pp. 466 ) http://www.liberalsocialisti.org/


Stiamo entrando in una settimana in cui tutti parleranno dell'unità nazionale, dei propri sogni, di una realtà che avrebbero voluto e che non c'è. Altri diranno di aver subito e che sarebbe stato meglio se quell'evento non fosse avvenuto. Vorrei che tutti noi avessimo presente un dato: all'alba del 17 marzo 1861 la realtà del paese era 78 per cento di analfabeti con punte del 90 per cento in Calabria. Il dato presente tra gli ebrei era conforme. Bisognerebbe avere uno sguardo più comprensivo, ma anche umile, sulla lunga storia, tormentata, sanguinaria, anche discriminativa che ci precede e domandarsi se, visto il punto di partenza, si poteva produrre una qualità migliore di quella che abbiamo davanti a noi tutti i giorni. Senza dimenticare che in Italia oggi, marzo 2011, ci sono ancora sei milioni di analfabeti. David
Bidussa, storico sociale delle ideehttp://moked.it/


Quali analfabeti

David Bidussa, nella newsletter di domenica, scrive: "Vorrei che tutti noi avessimo presente un dato: all'alba del 17 marzo 1861 la realtà del paese era 78 per cento di analfabeti con punte del 90 per cento in Calabria. Il dato presente tra gli ebrei era conforme". Immagino che l'amico David voglia dire che il 78 per cento degli ebrei, in media, era analfabeta. Sarà vero per l'italiano, non certo per l'ebraico, che sono sicuro gli ebrei dell'Ottocento conoscevano (almeno l'alfabeto) con punte del 90 per cento o superiori. Peccato che oggi la situazione si sia ribaltata. Il 100 per cento o quasi degli ebrei sa leggere l'italiano, ma quanti sanno leggere l'ebraico? E' "grasso che cola" se è il 20-25 cento (e non parliamo della sua comprensione). rav Gianfranco Di Segni, coordinatore del Collegio rabbinico italiano http://moked.it/


I legami fra Risorgimento italiano ed ebraico

In questi giorni di doverose celebrazioni dell'unità italiana non deve mancare una riflessione sui legami storici e culturali tra il Risorgimento italiano e quello ebraico, che sono stati intrecciati in vari modi, anche strani e imprevedibili. I patrioti italiani si ispiravano alle storie dell'esilio ebraico e alla patria perduta d'Israele. Più tardi i sionisti presero il Risorgimento italiano come modello politico. Benedetto Musolino, patriota calabrese e combattente risorgimentale, scrisse mezzo secolo prima di Herzl un progetto per la ricostruzione dello Stato ebraico. Si riparlerà molto nei prossimi giorni del Va' pensiero, che si è prestato recentemente a molti usi impropri, dall'inno dei leghisti alla reclame di un ferro da stiro. Ma le parole, scritte da Temistocle Solera, si ispiravano alla Bibbia: "Arpa d'or dei fatidici vati,/Perché muta dal salice pendi? /Le memorie nel petto riaccendi, /Ci favella del tempo che fu! " Il Salmo 137, 'al naharot Bavel, che quotidianamente recitiamo nelle nostre preghiere, dice: Lungo i fiumi di Babilonia, sedemmo e piangemmo, ricordandoci Sion; sui suoi salici appendemmo le nostre cetre... rav Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma http://moked.it/


Gli Ebrei e il Risorgimento

Sulla attiva e appassionata partecipazione ebraica al movimento risorgimentale, i documenti storiografici sono numerosi, ne segnalo alcuni:
"Stella d'Italia stella di David. Gli ebrei dal Risorgimento alla Resistenza"
Formiggini Gina, 1998, Mursia (Gruppo Editoriale)
€ 12,00
"Isacco Artom e gli ebrei italiani dai risorgimenti al fascismo"
2002, Bastogi Editrice Italiana
€ 12,50
"Gli ebrei italiani dal Risorgimento alla scelta sionista"
Capuzzo Ester, 2004, Edumond Le Monnier
€ 13,50
Il volume ricostruisce il processo di integrazione ebraica in Italia avviatosi nell'età rivoluzionaria e napoleonica e continuato in forma sempre più intensa nelle età risorgimentale e liberale. Elevata fu la partecipazione degli ebrei al movimento nazionale e grande il loro impegno nella costruzione dello Stato liberale, nella politica, nelle amministrazioni civili e militari e nella vita culturale della Nazione. La promulgazione delle leggi razziali, violando il principio d'eguaglianza sancito sin dal 1848, determinarono un "vulnus" non facilmente sanabile nei rapporti fra lo Stato italiano e gli ebrei, inducendo alcuni di loro a cercare nell'Israele risorto la loro nuova patria.
http://blog.libero.it/Betmidrash/


Risorgimento ed ebrei italiani : un legame indissolubile sintetizzato nel "Va pensiero"

E' un legame indissolubile quello che lega il Risorgimento, completatosi finalmente nell'Unità d'Italia nel 1870, ed il mondo ebraico italiano : assai numerosa , diffusa ed entusiasta fu infatti l'adesione degli ebrei a questo movimento nelle sue diverse espressioni ,dalle formazioni garibaldine alla stretta collaborazione con i gruppi di ispirazione mazziniana senza dimenticare l'apporto all'opera stessa di Cavour e dei "cavouriani" (fidato e prezioso segretario del Conte era un ebreo, Isacco Artom). Se lo "Statuto Albertino" del marzo 1848 aveva sancito l'emancipazione giuridica per gli ebrei del Piemonte, sarà appunto nel 1870 che questi diritti verranno estesi a tutti gli "israeliti" italiani, nell'anno del perfezionamento dell'Unità italiana con Roma capitale (1871), quando la breccia di Porta Pia significò per gli ebrei la fine del Ghetto imposto dal papato alla comunità romana . Un doppio legame ci unisce, pertanto, come italiani ed ebrei, alle celebrazioni che in questi giorni rendono maggiormente evidente il 150° compleanno dell'Italia unita, un legame che Giuseppe Verdi ha reso eterno ed emozionante nel "Va pensiero" del Nabucco sin dalla prima al Teatro alla Scala,il 9 marzo 1842. Auguri Italia. Gadi Polacco
www.livornoebraica.org
Nella foto : Cimitero Ebraico di Livorno, tomba di Fortunato Finzi, "garibaldino del 1859-60 e 66 tutta la sua lunga vita fu palpito d'amore alla patria" "La figlia pose". Scomparso nel 1923, Fortunato fu in qualche modo tale,evitando di vivere il "tradimento" delle leggi razziali (razziste) emanate dalla dittatura fascista con la complicità della monarchia erede diretta del Risorgimento.


Condizioni degli Ebrei italiani dopo l’emancipazione - loro contributo alla cultura nazionale - Assimilazione - Sionismo

Abbiamo visto quanto tristi fossero le condizioni degli Ebrei italiani fino al 1848; dalla bolla di papa Paolo IV del 1555 (Cum nimis absurdum) all’Editto sopra gli Ebrei di papa Pio VI del 1775, vi era stato un crescendo di umiliazioni e di continui inasprimenti delle interdizioni imposte agli Ebrei; dopo la parentesi dell’occupazione francese, la reazione era stata immediata, e sugli Ebrei gravarono ancora le dolorose e umilianti condizioni di vita di prima della Rivoluzione francese: condizioni tanto più pesanti, in quanto la mentalità dei perseguitati era mutata. Ma dopo la liberazione di Roma (1870), in Italia le condizioni degli Israeliti (così chiamati ora da tutti) sono le migliori: durante il Risorgimento essi hanno lottato per ottenere parità di diritti, e nelle lotte risorgimentali Ebrei e Italiani, come abbiamo già detto, si sono fusi nelle comuni aspirazioni di libertà: gli Ebrei italiani si sono gettati nella mischia come Ebrei, e ne sono usciti come Italiani. Entrambi popoli mediterranei, non hanno differenze somatiche tali da far distinguere l’italiano dall’ebreo. Gli Ebrei risiedono in Italia da 2 mila anni, parlano ed hanno sempre parlato l’italiano, anche se i dotti scrivevano i loro trattati in ebraico, e se in qualche Comunità si usava come lingua ufficiale lo spagnolo; soggetti a espulsioni, come tutti gli Ebrei d’Europa, essendo l’Italia divisa in staterelli, essi passavano dall’uno all’altro Stato continuando a parlare l’italiano, a differenza degli Ebrei di altri paesi, che avevano un governo unitario e che se venivano espulsi, erano costretti a emigrare verso un paese di altra lingua. Dopo l’emancipazione, gli ebrei italiani si sono dedicati con fervore, con l’entusiasmo dei nuovi venuti, a quegli studi da cui prima di allora erano esclusi, raggiungendo in brevissimo tempo posizioni eminenti nella vita culturale della nazione. R bastata una sola generazione di ebrei emancipati, perché in quelle Università dove prima gli ebrei non potevano mettere piede (tranne l’Università di Padova, per secoli l’unica ad accettare ebrei) le cattedre fossero ricoperte, e con onore, da professori ebrei. Gli Italiani sono per natura un popolo tollerante, nel complesso; l’Italia è il paese dove le calunnie dell’omicidio rituale e dell’ostia sconsacrata hanno trovato minor credito; e la propaganda antisemita (9) d’oltre Alpe non trova, in questo tempo, seguaci in Italia. Il popolo italiano, provato da tristi esperienze politiche, non nutre pregiudizi contro gli ebrei, che sono accolti e trattati ovunque come fratelli. Si può asserire che dopo il 1870 le condizioni degli Ebrei ìtaliani e olandesi sono le migliori degli Ebrei di Europa; anche di quei paesi, dove l’emancipazione era stata raggiunta prima, ma dove il conseguimento della parità di diritti non era valso ad abbattere le barriere di pregiudizi che, invisibili, dividevano ancora nei liberi paesi dell’Europa occidentale gli ebrei dagli altri cittadini. (9) Parola che ha avuto fortuna, entrata nell’uso comune sin da quando fu coniata e usata per la prima volta, nel 1879, dall’ebreo convertito Wilhelm Marr. Gli antichi ghetti italiani, le cui strade sono spesso intestate al nome di ebrei illustri (così a Gorizia, Carpi, Pesaro, Asti), un po’ alla volta perdono la loro popolazione ebraica, tranne che a Venezia e a Roma, dove forti nuclei ebraici continuano a vivere in ghetto; antiche Comunità storiche si vanno assottigliando, perché gli ebrei, attratti dai grandi centri, pulsanti di vita, vi prendono dimora (Milano, Torino, Trieste). Gli ebrei italiani esercitano con onore tutte le professioni, pur continuando molti a dedicarsi al commercio, soprattutto quello tradizionale di tessuti e confezioni: sono i discendenti dei venditori di vestiti usati, che oggi vendono vestiti nuovi. Altro nuovo campo di lavoro degli ebrei emancipati è quello delle assicurazioni (le Assicurazioni Generali di Trieste, società che ha filiali in tutto il mondo, sono state fondate da tre ebrei). Nell’Emilia, regione particolarmente fertile, dove l’agricoltura è esercitata con criteri e metodi razionali, gli ebrei fanno investimenti in terre coltivate e ne promuovono lo sviluppo; è questa, degli ebrei emiliani, un’attività assolutamente nuova nel campo delle professioni esercitate dopo l’emancipazione. Nel Veneto e nel Piemonte vi sono famiglie ebree che portano titoli nobiliari e un blasone: nel Veneto, esse li hanno conseguiti per lo più all’epoca napoleonica, e sono stati riconosciuti dall’Austria; nel Piemonte, e stata Casa Savoia a insignirle di tale titolo, per i meriti acquistati, come già ricordato, durante l’occupazione francese, in favore di quella classe che, vivendo al servizio dei nobili e del clero, scappati questi, era rimasta senza possibilità di sussistenza. Gli ebrei tutti prendono parte alla vita politica, militando in tutti i partiti; negli altri paesi invece (tranne l’Olanda, dove tradizionalmente gli askenazhiti sono socialisti e i sefarditi liberali), gli ebrei appartengono di solito ai soli partiti di sinistra. Questa particolare posizione degli ebrei italiani nel panorama politico nazionale è dovuta soprattutto alla tradizione risorgimentale: il Risorgimento italiano e movimento sociale e nazionale insieme. In Italia ci sono in quest’epoca (specialmente in Piemonte) anche ebrei monarchici, e la cosa si spiega: Casa Savoia è sempre stata relativamente ai tempi, si capisce, benevola con gli Ebrei, e per prima ha concesso l’emancipazione. Ci sono degli ebrei che abbracciano la carriera militare e raggiungono alti gradi; il generale Ottolenghi, che fu Ministro della Guerra negli anni 1902-1903 e riformò l’esercito, era un ebreo osservante. Costante è la partecipazione degli ebrei al Governo: dal patriota e cospiratore Giuseppe Finzi (1815-1886), che fu nel 1861 deputato al primo Parlamento italiano, a Isacco Artom (1829-1890) astigiano segretario di Cavour, nel 1862 ministro plenipotenziario a Copenhaghen, primo ebreo d’Europa a ricoprire una carica di diplomatico all’estero, dal 1876 senatore insieme allo scrittore Tullo Massarani; dal veneziano Luigi Luzzatti (18411927), professore di diritto costituzionale, che fu presidente del Consiglio dopo essere stato Ministro delle Finanze, al triestino Salvatore Barzilai (1860-1939) detto "il deputato di Trieste al Parlamento italiano" . Nel 1861 al Parlamento italiano c’erano 6 deputati ebrei; dieci anni dopo erano 11 nel 1874 se ne contavano 15. Abbiamo visto che anche nella schiavitù dei ghetti gli Ebrei hanno sempre coltivato gli studi; divenuti cittadini italiani con parità di diritti, il loro livello intellettuale si è dimostrato superiore a quello degli altri. Nel 1861 in Italia si aveva il 64,5 % di analfabeti; fra gli ebrei, gli analfabeti erano il 5,8 %. La maggior parte degli ebrei leggeva anche l’ebraico. In nessun paese d’Europa il contributo dato dagli Ebrei alla cultura nazionale è così grande come in Italia; è difficile tracciare in poche parole un quadro di tale contributo. Ci limiteremo a ricordare alcuni nomi. Il patriota triestino Giuseppe Revere (1812-1889), che partecipò alle lotte risorgimentali a Milano, Venezia e Roma, fu giornalista, poeta e scrittore. Oltre alle sue opere: "Bozzetti alpini" e "Marine e paesi", eleganti descrizioni di viaggi, scrisse drammi storici, che infiammarono gli italiani di passione patriottica. Morto a Roma, è ora sepolto nel cimitero ebraico di Trieste. Il poeta e patriota David Levi (1821-1898) da Chieri, scrisse, tra l’altro, la sua "Autobiografia" , purtroppo inedita, che ora si trova al Museo del Risorgimento di Torino, e che è fonte di notizie sul Risorgimento. Il mantovano Tullo Massarani (1826-1905), ardente patriota e cospiratore nelle lotte risorgimentali, fu scrittore e poeta. Il fiorentino Enrico Castelnuovo (1839-1915), vissuto quasi sempre a Venezia, fu apprezzato romanziere: il suo capolavoro, "I Moncalvo" , è un romanzo psicologico di ambiente ebraico italiano, che meriterebbe di essere conosciuto anche dalla giovane generazione. L’anconetano Eugenio Camerini (1811-1875), dantista, diresse e curò la Collana di classici dell’editore Sonzogno, nelle diffusissime edizioni economiche. Giglio Padovan (1836-1896), triestino, fu poeta vernacolo e traduttore di Shakespeare. Fra i cultori di scienze letterarie ricorderemo per primo il goriziano Graziadio Isaia Ascoli (1829-1907), glottologo illustre, cui si deve la pubblicazione dell’"Archivio glottologico italiano" . Fu lui a proporre il nome di Venezia Giulia alla regione, ancora irredenta, in cui nacque. Altri irredenti famosi cultori di scienze letterarie furono Adolfo Mussafia (18341905), dalmata, per quasi mezzo secolo professore all’Università di Vienna, maestro di quanti, nel periodo dell’attesa, nelle scuole di Trieste infiammarono i giovani all’amore per l’Italia, e che al Parlamento austriaco difese sempre i diritti delle mínoranza italiane dell’Austria; e il triestino Salomone Morpurgo (1859-1942), bibliotecario della Nazionale di Firenze. Il pisano Alessandro D’Ancona (1835-1914) fu il fondatore del metodo storico letterario; il triestino Samuele Romanin (1808-1861) scrisse la "Storia documentata di Venezia" , ancor oggi consultata dagli studiosi. Fra gli scienziati ebrei di quella generazione faremo anzitutto menzione del veronese Cesare Lombroso (1835-1909), pioniere della moderna criminologia; ricorderemo gli economisti Isacco Pesaro Maurogònato, che fu il primo deputato della sua città eletto al Parlamento italiano, e Leone Carpi, già ricordato quale patriota; i matematici Vito Volterra, Corrado Segre, Salvatore Pincherle, Federico Enriques. Davide Supino fu cultore di scienze giuridiche, e suo fratello Iginio Benvenuto di storia dell’arte. A Sansone Valobra si attribuisce l’invenzione dei fiammiferi. Fra i giornalisti, ricorderemo il già menzionato Giacomo Dina, torinese, direttore de "L’Opinione" , giornale liberale sostenitore della politica cavouriana, e Amilcare Zamorani, fondatore del giornale "Il Resto del Carlino" di Bologna. In questa città visse il bibliofilo Lionello Modena; altro grande bibliofilo è Giuseppe Almansi, la cui biblioteca è passata al British Museum di Londra, nel quale si trova un "reparto ebraico" . Importanti opere ebraiche si conservano nella Biblioteca di Parma e nella Vaticana. I fratelli Treves, triestini, fondarono l’omonima Casa editrice, per qualche decennio la più importante d’Italia. Fra gli artisti di chiara fama figurano pure degli ebrei. Prima dell’emancipazione gli Ebrei italiani si dedicavano quasi esclusivamente a studi ebraici; in questi eccellevano fra gli Ebrei d’Europa. Dopo la emancipazione questi studi furono trascurati dai più. tuttavia ebbero una schiera, sia pure esigua, d’illustri cultori. Il triestino Samuel David Luzzatto (Shaddal, 1800-1865) direttore del Collegio Rabbinico di Padova (fondato nel 1829), esegeta e traduttore della Bibbia, può considerarsi un pioniere della moderna scienza del giudaismo. Interessante anche il suo Epistolario, dove si trova, tra l’altro, una lettera che Shaddal indirizzò ad Alessandro Manzoni sul processo per omicidio rituale di Trento, e che rimase senza risposta. Fra ì suoi discepoli che continuarono l’opera di traduzione e ne tramandarono il pensiero, sono da annoverare i goriziani Isacco Samuele Reggio ed Eude Lolli e il piemontese Lelio Della Torre. Cugina di Sbaddal è la poetessa triestina Rachele Morpurgo (Poetò in ebraico). Fra gli studiosi di lettere ebraiche ricorderemo ancora il livornese David Castelli (1836-1901), Giuseppe Levi di Vercelli, fondatore de "L’Educatore Israelita" , e i traduttori Beniamino Consolo e David Jacob Maroni. Ma fra tutti primeggia il livornese Elia Benamozegh (1822-1900), grande pensatore, autore dell’opera "Morale juive et morale chrétienne" , che insegnò nel Collegio Rabbinico di Livorno, da cui uscirono i migliori rabbini italiani dei tempi moderni. Fra i discepoli diretti del Benamozegh, sono da ricordare i rabbini A.S. Toaff, da molti anni venerato Capo spirituale della Comunità livornese, dottissimo nelle discipline ebraiche, e Samuele Colombo. Altri dotti rabbini uscirono dalla scuola di Samuel Hirsch Margulies (1858-1922), un galiziano che insegnò a Firenze nei primi anni del Novecento. Ricorderemo fra questi il fiorentino Umberto Cassuto (1883-1953), che insegnò a Firenze e Roma, e poi all’Università di Gerusalemme, autore tra l’altro della esauritissima "Storia degli Ebrei a Firenze nell’età del Rinascimento", e che è da considerarsi l’esponente più autorevole fra gli italiani della scienza del giudaismo; e Dante Lattes da Pitigliano, scrittore di toscana eleganza e forbito traduttore dall’ebraico e dall’inglese, uno dei primi sionisti attivi italiani, già, direttore del "Corriere Israelitico di Trieste" e direttore da molti anni della Rassegna mensile di "Israel" . Al Collegio Rabbinico di Firenze (trasferito da Roma per opera di Margulies) insegnò H.P. Chajes, studioso di chiara fama, che fu rabbino a Trieste e Vienna, animatore del movimento sionistico. È il periodo delle grandi esplorazioni; l’Africa, questo continente in parte ancora sconosciuto, è percorso da arditi esploratori che si spingono fin nell’interno; fra questi vi sono pure gli ebrei: barone Raimondo Franchetti di Venezia (1891-1935), che intraprese viaggi di esplorazione in Dancalia ed Etiopia; e Lamberto Loria (1855-1913) che compi a scopo scientifico viaggi in Asia ed Africa. Dopo una generazione di ebrei emancipati, anche l’aspetto fisico dell’ebreo è migliorato; il tipo caratteristico dell’ebreo del ghetto curvo, dall’atteggiamento umile e sospettoso, è scomparso. Ma con le libertà civili avanza l’assimilazione: frequenti sono i matrimoni misti, specialmente a Trieste (città che ha la più alta percentuale di matrimoni misti di tutto il mondo); le Comunità, non più centri di vita ebraica e di studi, diventano un po’ alla volta delle semplici istituzioni di beneficenza. Circola un motto di spirito, che però rispecchia una triste realtà: "Israelita è un italiano che non va a messa la domenica" . Dice Cecil Roth: "È triste incontrare uomini che portano illustri nomi ebraici e sono completamente digiuni di cultura ebraica" . Ed è anche a causa dell’indifferenza religiosa seguita all’emancipazione, oltre che al fatto che in Italia non c’è mai stata la rigida e fanatica ortodossia di altri paesi, che il "giudaismo riformato" non trova seguaci in Italia; come non ha incontrato approvazione la proposta del rabbino Samuele Olper (a noi già noto) di abolire il secondo giorno delle festività religiose. Si nota un certo risveglio e un ritorno agli studi ebraici, per lo meno in qualche ambiente, col sorgere in Italia del movimento sionistico. Sebbene Teodoro Herzl abbia trovato comprensione e aiuto per la sua missione in Italia in un ferrarese (avvocato Ravenna) ed il primo Gruppo sionistico sia stato fondato a Modena (1901); sebbene anche Ancona abbia in quel tempo una società ebraica di leggera tendenza sionista, e Trieste, sotto l’influenza di Vienna, costituisca un Gruppo sionistico nel 1903, che però viene disertato o addirittura ignorato del tutto dai patrioti triestini, si può ritenere che i primi sionisti italiani siano toscani, perché Firenze diventa il centro del nuovo movimento. Abbiamo già visto che gli ebrei triestini eccellono non solo nel campo delle lettere e delle scienze, ma si distinguono anche come patrioti (la scuola ebraica di Trieste è la prima scuola italiana della città); e questo loro atteggiamento si accentua quando, dopo il 566, entrato il Veneto a far parte dell’Italia, rimasta Trieste isolata e senza un’Università italiana e gli Ebrei di Trieste divisi dagli Ebrei del Regno, la lotta irredentistica entra nella sua fase epica. L’irredentismo triestino è l’ultima fase del Risorgimento e ne ha tutte le caratteristiche; e per le stesse ragioni per cui gli Ebrei italiani hanno preso parte alle lotte risorgimentali, gli Ebrei triestini, che a cavallo dei due secoli XIX e XX sono oltre 5 mila, pur essendo in gran parte di origine straniera, militano in prima linea nella lotta irredentistica. Dopo la prima guerra mondiale, le Comunità della Venezia Giulia si aggiungono alle altre del Regno d’Italia. Quella di Trieste è per popolazione la terza d’Italia. Continua a mantenere un posto importante fra le Comunità israelitiche italiane quella di Livorno, sebbene molti ebrei livornesi emigrino a Tunisi e ad Alessandria d’Egitto. Dopo la parentesi della guerra, nel 1920, su 350 deputati, 19 sono ebrei. http://www.morasha.it/