sabato 6 aprile 2013
Ahmed al-Jaafari, 43 anni, residente nel campo palestinese di Deheishe,
si ferma davanti alla lista di ebrei mandati al campo di sterminio di
Sobibor. A un certo punto si rivolge alla guida, Roee Hanani, e chiede:
“Perché tenevano un elenco così preciso se avevano in programma di
ucciderli comunque tutti?”. Hanani gli risponde in arabo: “I nazisti
erano molto ben organizzati. Erano convinti che stavano risolvendo un
problema mondiale e intendevano andar fieri di quello che facevano”.Nel quadro di una inusuale escursione a Yad VaShem organizzata da
“Combattenti per la pace”, otto abitanti dell’Autorità Palestinese hanno
visitato il museo della Shoà di Gerusalemme per apprendere quale fu il
destino degli ebrei in Europa durante l’Olocausto.“Questa per me è stata un’esperienza sconvolgente – dice al-Jaafari – Ho
ascoltato e letto sulla Shoà, e ho visto film, ma niente si avvicina a
una visita in cui puoi vedere con i tuoi occhi. Non capisco come il
mondo possa aver macchinato un crimine come questo”. Al-Jaafari prosegue
facendo alcune considerazioni che gli ebrei possono capire bene, ma che
potrebbero irritare molti palestinesi. “Quando guardi il retroterra
della nazione ebraica puoi cercare di capire ansie e paure. Una nazione
che ha vissuto una cosa come questa non può vivere senza cicatrici. Non
sono d’accordo con il paragone fra Shoà e situazione nei territori, e
chi fa questo paragone può farlo solo spinto dal dolore e dalla rabbia”.“Combattenti per la pace” è stata creata da un gruppo di israeliani e
palestinesi che hanno partecipato in prima persona a ciò che essi
definiscono “il cerchio della violenza” e poi hanno optato per una
scelta non-violenta a favore di pace e coesistenza.Quando sono arrivati alla sezione dedicata ai Giusti fra le Nazioni (i
non ebrei onorati da Yad VaShem perché rischiarono la vita per salvare
anche un solo ebreo dalla Shoà), Hanani racconta di una coppia di devoti
musulmani che nascose la famiglia ebraica Habilio nella propria casa a
Sarajevo. La coppia prese con sé anche il padre, che era riuscito a
scappare da un campo di lavoro. La famiglia Habilio si stabilì in
Israele nel 1984 e si rivolse allo Yad VaShem, portando al
riconoscimento della famiglia musulmana Hardega come Giusti fra le
Nazioni. La storia non finisce qui. Una decina di anni dopo, durante la
guerra civile degli anni ’90 che vide il crollo della Jugoslavia,
Sarajevo fu pesantemente attaccata. Allora lo Yad VaShem e il Joint
Distribution Committee si adoperarono finché riuscirono a portare in
salvo in Israele Zaynba Hardega con la figlia, il genero e una nipote.
Oggi Zayba non c’è più, ma il resto della famiglia vive ancora a
Gerusalemme.Hanani spiega al gruppo che non vi sono ancora degli arabi ufficialmente
riconosciuti Giusti fra le Nazioni, ma il Comitato competente sta
attualmente esaminando alcuni casi di arabi del Nord Africa che
salvarono degli ebrei durante la seconda guerra mondiale.“Ho iniziato a interessarmi alla Shoà vent’anni fa quando vidi il film
Schindler's List – dice Bassam Aramin, che ha organizzato la visita
dalla parte palestinese – Da allora l’ho visto quattro volte. Meno di un
mese fa ero all’Holocaust Memorial Museum degli Stati Uniti, a
Washington. Quando arrivi in un posto come quello, dimentichi chi sei.
Questa è una tragedia che non può essere descritta a parole”. Circa
cinque anni fa, la figlia di dieci anni di Aramin restò uccisa da un
proiettile di plastica delle forze israeliane. Quando sente paragoni fra
i territori e la Shoà in Europa, Aramin si indigna: “E’ un grave errore
– dice – sono cose completamente diverse. In quanto persona che vive
sotto occupazione, certamente posso identificarmi coi sentimenti di un
profugo: umiliato, debole, smarrito. Ma la tragedia della Shoà è
completamente diversa”.Nabil, un altro dei visitatori palestinesi, dice che non ci ha pensato
due volte a unirsi al gruppo: “Appena mi hanno chiamato, ho aderito.
Avevo sentito tanto sulla Shoà e volevo vedere Yad VaShem coi miei
occhi. Non ho paura delle reazioni da parte palestinese. Penso che tutti
dovrebbero venire qui e vedere coi propri occhi”.(Da: YnetNews, 4.4.13) http://www.israele.net
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In Israele un nuovo servizio di soggiorni in liberta'
(PRIMAPRESS) MILANO - Tellavista.com è
il nuovissimo sito che permette di prenotare online un appartamento per
le tue vacanze in Israele, disponibile in 8 lingue, tale da offrire ai
turisti, agli uomini d’affari e alle famiglie la possibilità di cercare,
confrontare e prenotare on-line gli affitti a breve termine grazie ad
un database composto da oltre 1200 appartamenti per soggiorni vacanza in
tutta Israele.Il sito web, che copre interamente il territorio israeliano, rende il
processo di prenotazione di un appartamento per le vacanze semplice,
affidabile e sicuro utilizzando il medesimo sistema di una piattaforma
di prenotazione alberghiera consentendo agli utenti di prenotare la loro
vacanza in Israele in linea con il proprio budget e il proprio stile di
vita ed evitando il bisogno di negoziare direttamente con i proprietari
privati e diversi intermediari.I visitatori del sito possono perfezionare la ricerca in base a:
data, prezzo (USA, dollari canadesi o australiani, sterline, euro o
shekel), numero di camere, servizi e differenti località. Le
caratteristiche speciali includono anche un nuovo tasto di ricerca,
chiamato “kosher”, che è di particolare interesse sia per il
proprietario dell'appartamento sia per la famiglia che vuole mantenere
uno stile di vita kosher, e il "io voglio essere vicino a ..." funzione
che permette agli utenti di cercare gli appartamenti vicino a siti o
indirizzi che sono importanti per loro. Per molti appartamenti, non vi è
nessun soggiorno minimo o massimo e il sito calcola automaticamente
sconti per soggiorni più lunghi.Le informazioni sul sito vengono controllate per verificarne la
credibilità, le foto sul sito web non sono intatti ritoccate e una
recensione sull’appartamento può essere data solo dopo che un cliente
Tellavista.com ha alloggiato nell’abitazione.Le transazioni finanziarie sono sicure, i clienti pagano il 15-25% di
deposito con carta di credito a Tellavista.com. Il resto può essere
pagato direttamente al proprietario dell'appartamento o con carta di
credito tramite Tellavista.com. Ci sono poi tre gradi di politica di
cancellazione a seconda della proprietà. In aggiunta alla sicurezza e
alla comodità di prenotazione vi è inoltre la possibilità di chiamare o
visitare l'ufficio Tellavista a Tel Aviv.
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Curiosità
Tel Aviv (Israele) – Mille miglia con una carica, ovvero sette-otto volte tanto la percorrenza attuale. Solo che è usa e getta. O, meglio: usa e ricicla.Phinenergy, società con sede in Israele, come riporta il magazine online gizmag, ha sviluppato un nuovo modello di batteria metallo-aria in grado di garantire un'autonomia elettrica di 1.600 chilometri. Il sistema si basa su 50 lastre di alluminio,
ciascuna capace di assicurare una percorrenza di 32 chilometri. Per il
momento, riferisce il sito, anziché fermarsi spesso per fare il pieno di
energia, chi sta al volante deve preoccuparsi ogni 300 chilometri di avere acqua a sufficienza.L'abbinamento aria- alluminio è considerato tra quelli potenzialmente più interessanti e, grazie all'elevata densità energetica,
è già impiegato (in via sperimentale) anche per rispondere
temporaneamente a picchi di consumo. Finora, il problema era la resa, ma
Phinenergy sembrerebbe averlo risolto con un particolare elettrodo di “lunga vita”. Tuttavia, la batteria della società israeliana non è ricaricabile e andrebbe sostituita una volta esaurita. Lo scambio di batteria sarebbe più veloce dei tempi di ricarica.
Inoltre, l'alluminio è un metallo facilmente riciclabile. La società
israeliana suggerisce anche un altro impiego della propria batteria e
cioè per aumentare l'autonomia di quelle esistenti. Secondo Phinenergy il dispositivo potrebbe debuttare sul mercato già nel 2017.
http://www.hubcomunicazione.it/
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Curiosità
Israele blinda giacimento, 4 navi con sistemi antimissile
(AGI) - Gerusalemme, 4 apr. - Israele e' pronto difendere con la forza il proprio Eldorado energetico, rappresentato dal giacimento di gas off-shore di Tamar, 90 chilometri a ovest di Haifa. La Marina militare dello Stato ebraico investira' 760 milioni di dollari per acquistare, tra l'altro, quattro navi da pattugliamento del peso di 1.200 tonnellate ciascuna ed equipaggiate con un sistema antimissile in grado di intercettare i missili balistici diretti contro di loro o contro le piattaforme. A Tamar-1, scoperto nel 2009, giacciono circa 238 miliardi di metri cubi di gas naturale, snodo per l'avvio dell'indipendenza energetica di Israele, che potrebbe cosi' risparmiare 274 milioni di dollari al mese per la gran parte attualmente pagati all'Egitto, il suo fornitore principale. "La protezione di questi asset strategici richiede un aumento di risorse e di organizzazione", ha affermato in una nota il ministero della Difesa. Entro il 2016 allo sfruttamento del giacimento di Tamar dovrebbe aggiungersi, spiega Israelenationalnews.com, quello di Leviathan, scoperto nel 2010 in quello che i geologi definisco Bacino del Levante o Levantino, nella acque tra Cipro, le coste libanesi e siriane e quelle dello Stato ebraico. Un'area gia' oggi esplosiva per i destini politici del Medio Oriente.
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“Il risarcimento di Israele? Lo devolverò ad Hamas”
http://www.lastampa.it/ Marta ottaviani
Vuole i soldi di Israele per darli in beneficenza ad Hamas e alla
Jihad islamica. È l’annuncio shock di Mehmet Tunc, attivista che si
trovava sulla Mavi marmara, la nave assaltata in acque internazionali
dalla marina israeliana nel 2010, mentre cercava di forzare il blocco e
raggiungere la Striscia di Gaza. Nello scontro morirono 9 persone di
nazionalità turca e vi furono parecchi feriti, fra cui Tunc. Stando al suo avvocato, anche lui, come le famiglie delle vittime,
avrà diritto alla compensazione economica da parte di Israele. E Tunc
sembra non avere alcun dubbio su come spenderla. “Se riceverò una
compensazione economica da Israele, non tratterrò nelle mie mani nemmeno
una lira turca – ha detto in conferenza stampa ai giornalisti –. Darò
il denaro in beneficenza ad Hamas e alla Jihad islamica”. L’attivista ha detto che quella sera di maggio ha visto morire nove
amici innocenti, sottolineando che si trattava di una missione di pace e
che l’attacco di Israele è avvenuto “contro le leggi internazionali”. Le dichiarazioni di Tunc potrebbero imbarazzare non poco il governo
islamico-moderato guidato da Recep Tayyip Erdogan e che proprio in
questi giorni è impegnato in un difficile tentativo di ricomposizione
dei rapporti con Gerusalemme, fortemente spinto dagli Stati Uniti. Due sere fa il ministro degli Esteri turco, Ahmet Davutoglu ha
invitato a cena i familiari delle nove vittime dell’assalto, che, a
differenza di Tunc, non hanno ancora deciso se accettare la
compensazione economica israeliana. A loro ha spiegato i dettagli della
riappacificazione. La decisione sulla compensazione dev’essere unanime,
basta il no di un nucleo familiare per bloccare tutto.Lo scorso 22 marzo, il premier israeliano Benjamin Netanyahu, su
impulso del presidente Barack Obama, ha telefonato all’omologo turco
Recep Tayyip Erdogan per porgere le scuse ufficiali per l’assalto alla
Mavi Marmara, avviando così un lento e lungo cammino per la
normalizzazione fra i due Paesi, un tempo alleati strategici.
La seconda fase del processo dovrebbe essere la compensazione alle famiglie delle vittime, che Israele si è sempre detto disponibile a voler pagare.La terza fase, almeno nelle speranze turche, dovrebbe essere l’abolizione del blocco a Gaza, ma proprio su questo punto potrebbero sorgere dei problemi e non solo con Gerusalemme. Un rapporto stilato dalle Nazioni Unite sull’attacco alla Mavi Marmara, infatti, evidenziò che l’uso della forza da parte di Israele fu sproporzionato, ma dall’altre parte definì legittimo il blocco alla Striscia. Un particolare, questo, che fece infuriare il governo di Ankara, che definì il documento “senza valore”.Gaza è un pensiero fisso per Erdogan, che nel 2009 durante il World Economic Forum, durante un dibattito, attaccò violentemente il presidente israeliano Simon Peres proprio su questo argomento, avviando ufficialmente la crisi dei rapporti, incrinati già dal 2006, e che ha raggiunto l’apice nei fatti del 2010.
La seconda fase del processo dovrebbe essere la compensazione alle famiglie delle vittime, che Israele si è sempre detto disponibile a voler pagare.La terza fase, almeno nelle speranze turche, dovrebbe essere l’abolizione del blocco a Gaza, ma proprio su questo punto potrebbero sorgere dei problemi e non solo con Gerusalemme. Un rapporto stilato dalle Nazioni Unite sull’attacco alla Mavi Marmara, infatti, evidenziò che l’uso della forza da parte di Israele fu sproporzionato, ma dall’altre parte definì legittimo il blocco alla Striscia. Un particolare, questo, che fece infuriare il governo di Ankara, che definì il documento “senza valore”.Gaza è un pensiero fisso per Erdogan, che nel 2009 durante il World Economic Forum, durante un dibattito, attaccò violentemente il presidente israeliano Simon Peres proprio su questo argomento, avviando ufficialmente la crisi dei rapporti, incrinati già dal 2006, e che ha raggiunto l’apice nei fatti del 2010.
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Al liceo artistico Caravillani un brutto episodio, raccontato oggi da La Repubblica
sia sulle pagine nazionali che sulla cronaca di Roma sembra essere
stato bene assorbito dalla scuola: la battuta razzista fatta da
un’insegnante a una ragazza ebrea per incitarla a stare più attenta ha
suscitato immediate reazioni fra gli studenti, che, ricevuti ieri al
Museo ebraico dal presidente della Comunità ebraica romana sono stati da
Pacifici definiti dei “veri eroi”. La preside,
invece, sostiene che sono dei ragazzi normali, che hanno giustamente
reagito alle parole di un’insegnante che “Non voleva offendere nessuno, e
infatti non è stata punita”. Sempre a Roma, come segnala Il Tempo,
nelle sue pagine locali, il 7 aprile una video installazione – che
ricorderà la bambina dal cappottino rosso di Schindler’s List – sarà
parte delle celebrazioni che si svolgono in tutta Italia per Yom Ha
Shoah.Su Il Fatto Quotidiano
Salvatore Cannavò approfondisce il tema della battaglia – in
svolgimento alla Camera – sul tema della raccolta dell’8 per mille, in
cui il neo parlamentare di Sel Giulio Marcon ha chiesto di destinare i
soldi destinati allo Stato solo a progetti che effettivamente rispondano
agli scopi previsti dalla legge – che suggerisce di aggiornare per
rispondere meglio alla situazione attuali – e non a ripianare il
bilancio, aggiungendo anche una casua esplicita secondo cui non possano
essere usati per finanziare le missioni militari. Altro elemento di
novità è la proposta di destinare le quote non attribuite allo stato,
non effettuando una ulteriore ripartizione, seguendo la scelta già
compiuta dai Valdesi, che ritirano solo quello che è stato
esplicitamente loro destinato.La marina militare di Israele si prepara a difendere le proprie
piattaforme di gas off shore, e ha appena ordinato delle navi da
pattugliamento dotate di sistema di difesa antimissile, per proteggere
le piattaforme di Tamar e Leviathan (Il Tempo), mentre, come riferisce tra gli altri l’Osservatore Romano,
la situazione resta tesa, e ieri, dopo una giornata di proteste, ci
sono stati degli scontri in Cisgiordania, ma anche i due razzi partiti
dalla striscia di Gaza – che sono arrivati vicino a Sderot ma senza
conseguenze di sorta – e le salve di mortaio esplose al confine con la
Siria contribuiscono a far aumentare la tensione, mentre John Kerry è in
procinto di tornare in Medio Oriente.La comunità ebraica francese è “atterrée”, come titola Le monde, da
quello che già viene chiamato “Affaire Bernheim”: dopo un primo
comunicato in cui si difendeva dall’accusa di plagio dichiarando di aver
utilizzato materiale proveniente da corsi tenuti negli anni ottanta (e
suggerendo quindi di essere vittima, e non autore di plagio), rav Gilles Bernheim,
Gran Rabbino di Francia, ha ammesso ieri di aver utilizzato un
ghostwriter per la stesura del suo ultimo libro, e si assume la piena
responsabilità dei numerosi plagi, chiedendo inoltre di ritirare
“Quarante méditation juives” dal commercio e ribadendo comunque che il
libro incriminato è l’unico di cui non sia l’unico autore.(5 aprile 2013)http://moked.it/blog/
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Negli scorsi giorni in Israele, a rompere la situazione di relativa
stabilità degli ultimi mesi, erano stati sparati da Gaza diversi razzi e
proiettili (il primo durante la visita del presidente degli Stati Uniti
Barack Obama, altri durante questa settimana, costringendo diverse
volte gli abitanti di Sderot a correre nei rifugi). Nel frattempo lo
Stato ebraico si prepara a respingere una minaccia di diverso genere. La
sera di domenica 7 aprile (in parziale coincidenza dunque con le
celebrazioni per Yom HaShoah), organizzazioni internazionali di hacker
hanno previsto di lanciare un attacco cibernetico di massa ai sistemi
informatici israeliani. Gli esperti sono al lavoro già da diversi giorni
per rinforzare le difese web dei siti di banche, istituzioni
governative, università e imprese, e hanno invitato i cittadini a
cambiare le proprie password, scegliendo codici complicati. Istituita
anche un’apposita linea telefonica per segnalare intrusioni sospette.
Non è la prima volta che gli hacker prendono di mira il world wide web
israeliano. Attacchi sono stati condotti già negli scorsi anni. Al punto
che gli studenti della Habezefer School of Art, insieme all’agenzia
pubblicitaria McCann Digital Israel, avevano promosso un progetto per
ridisegnare le pagine pirata e renderle più artistiche, prima di postare
il loro auspicio su tutti i forum frequentati dai pirati di internet
“Vorremmo che tutte le guerre informatiche avessero fine. Nel frattempo,
se dovete bloccare qualche sito, lasciate almeno qualcosa di bello”
(nell’immagine una delle loro creazioni). (5 aprile 2013) http://moked.it/blog/
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L’idea
troppo spesso propagandata per cui in guerra, e in genere quando si
veste una divisa, l’eroismo sia sinonimo di azione brillante svolta per
il bene, mi è sempre sembrata una grave stortura. Con queste premesse,
demolire la figura di Gilad Shalit sulla base della sua testimonianza e
del suo comportamento non efficiente sul piano militare in occasione
della sua cattura (com’è stato fatto da Ben Caspit sul Jerusalem Post) mi sembra un
esercizio giornalistico ingeneroso, con cui si sminuiscono sia la
vicenda tragica di un ragazzino rimasto prigioniero per cinque anni,
sia la morte altrettanto tragica dei suoi compagni di tank. Chi veste
la divisa di Zahal entra in un mondo a parte, che lo trasforma come
essere umano e lo conduce a compiere azioni quasi sempre “in
automatico”. Per questi ragazzi e queste ragazze che diventano
prestissimo adulti penso ci voglia prima di tutto rispetto, e penso che
nessuno possa giudicare del maggiore o minore eroismo nel loro
comportamento in situazioni estreme (cosa che lo stesso Caspit ammette,
da ex comandante di tank). Traggo da un bel racconto autobiografico di Gabriele Levy alcuni brevissimi
esempi di quel che accade a questi ragazzi quando entrano in servizio.
Ne esce rafforzata una sensazione forte che spinge a lavorare con
serietà a una prospettiva di pace stabile nella regione. “Ad un certo
punto, mentre ancora sono in abiti civili, una bellissima soldatessa mi
chiede, sorridendo: ‘Chi vuoi che sia avvisato per primo nel caso tu
dovessi morire?’.” “I nostri comandanti cominciano a gridare ordini,
per lo più incompresi, dato che siamo quasi tutti nuovi immigrati.
Mentre cerchiamo di abituarci alle grezze e rozze divise che ci
accompagneranno per questi due lunghi anni, già le orecchie sentono lo
stridore delle urla del sergente.” “Sul bordo superiore dello scarpone
c’è una fessura nel cuoio. Lì bisogna inserire la propria piastrina di
riconoscimento: una targhetta di metallo con inciso in altorilievo il
nome ed il numero di matricola del soldato. Servirà nel caso si
trovasse solo il piede, per riconoscere il morto a cui esso
appartiene.” “Mercoledì notte ci siamo fatti una marcia di sette
chilometri con le barelle sulle spalle, sulle quali c’era il ‘ferito’:
tutto il percorso era su un terreno sabbioso. Poi ben quattro ore di
sonno, seguite da esercitazioni a fuoco vivo tutto il giorno, e quindi
partenza verso sera, di corsa, verso la Base 80. Venti chilometri
attraversando una cittadina, girando attorno ad un lago e poi il resto
in mezzo agli agrumeti. Sempre di corsa.” “Piango molto e dopo il
pianto mi sento meglio, più leggero.”“Per poter fare di un uomo un soldato, è necessario prima distruggerlo
psicologicamente, per poi inculcargli quelle quattro fondamentali
regole di comportamento in battaglia: buttati a terra, riparati, punta
e rispondi al fuoco. Per distruggerci psicologicamente usano una
tecnica molto semplice: ci tolgono il sonno. Prima o poi si crolla. E
sulle ceneri di quel disastro si costruisce il soldato-robot. Così è
stato per tutti.” “Alcuni minuti dopo il sorgere del sole, ho sentito
degli spari e visto schegge di proiettili che hanno colpito le pietre
attorno a me. Come da copione, ben imparato al corso addestramento
reclute, mi sono ritrovato per terra prima ancora di capire cosa stava
succedendo, ho cercato un riparo dietro cui nascondermi e iniziato a
rispondere al fuoco. In pochi istanti ho capito a cosa erano serviti i
lunghi mesi di addestramento. Eravamo diventati dei soldati-robot ed
agivamo tutti in maniera automatica e sincronizzata. Lo scopo primario
era salvare la propria vita e possibilmente anche quella dei propri
compagni. Nessuno era lì per fare l’eroe.”http://www.moked.it
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Sì inaugurerà
domenica 14 aprile all'Isola di San Servolo a Venezia una grande mostra di
illustratori israeliani, la prima del suo genere in Italia.
In Italia negli ultimi venticinque anni vi è stata una progressiva
scoperta della letteratura israeliana per l’infanzia. Nomi di
assoluto prestigio quali David Grossmann, Amos Oz, Uri Orlev, Yoram
Kaniuk e Nava Semel, sono stati capaci di passare dal libro per
adulti alla narrazione per ragazzi con uguale forza, senza stabilire
confini o stilare graduatorie di merito, riconoscendo alla produzione
rivolta all’infanzia una pari dignità letteraria e culturale.Assai meno noto il mondo dell’illustrazione israeliana, mancanza
alla quale supplisce ora questa mostra organizzata dall’associazione
culturale veneziana Teatrio. Una ventina di artisti, quasi tutti
giovani, in un proliferare virtuoso di segni, stili, tecniche ed
esperienze diverse raccontano con abilità e acutezza la vita in
Israele oggi. Le loro tavole sono state pubblicate in libri per
l'infanzia, su quotidiani e riviste e in pubblicità commerciali, e
rivelano un gusto assai marcato e un felice uso del colore e della
luce, nonché una propensione al contrappunto ironico e al
surreale.
Sito di illustratori israeliani:
http://www.illustrators.co.il/
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eventi
Shlomi Goldenberg, Michale Rosen e Gabriele Coen portano sul Tramjazz di Roma le sonorità di tre continenti 12, 13 e 14 aprile
Shlomi Goldenberg, nato a Jaffa, compositore, arrangiatore e
sassofonista, è l'autore di numerosi cd a suo nome, incluso il
recente Jazz Voices of Israel. Sta attualmente completando
un'opera in cui mette in musica i versi di alcuni salmi ebraici –
Shirei HaMaalot,
per sassofono, contrabbasso e oud. A Jaffa Goldenberg dirige la
rassegna jazz al Teatro Hasimta, mentre con Michael Rosen
dirige il Roma-Tel Aviv Jazz Festival, nato due anni fa. Goldenberg
suonerà accompagnato da Rinat Mesika, cantante jazz dalle
affascinanti proprietà vocali.
Michael Rosen: New Yorkese, risiede in Italia da 25 anni, dove
è da decenni un nome di spicco sia nel campo del jazz che nel pop:
circa 200 cd alle spalle di cui 7 al nome suo e gli altri come
“special guest”, con artisti del calibro di Mina, Sarah
Jane Morris, Fabio Concato e Rossana Casale, e
collaborazioni con L’Orchestra della Scala, Bobby
McFerrin, Enrico Rava, Stefano Bollani, Fabrizio
Bosso. Dal 2009, per 4 anni di seguito c Rosen viene votato tra i
primi dieci sopranisti del mondo, dai lettore della rivista “Jazzit”
Gabriele Coen: Sassofonista,
clarinettista, compositore romano, è fondatore e
leader dei “Klezroym“,
ad oggi la più importante formazione italiana di musica
klezmer con la quale è tra i massimi divulgatori in
Europa della tradizione musicale popolare ebraica reinterpetata in
chiave jazzistica. Gabriele raggiunge una nuova maturità
espressiva nel proporre il materiale musicale ebraico in chiave
jazzistica fino al folgorante incontro con John Zorn a New York
nell’estate del 2010 e l’ingresso nella scuderia della “Tzadik”
la prestigiosa etichetta indipendente di Zorn che produce l’album
“Awakening”
(2010).Ufficio culturale – Ambasciata di Israele
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eventi
Pubblicato da Neri Pozza il romanzo di Sayed
Kashua Due in uno, traduzione di Elena Loewenthal
Beit Safafa è il quartiere più ricco di Gerusalemme est. Prediletto
dagli arabi israeliani provenienti dal nord, il quartiere ha prezzi
di case, carne e altri generi di prima necessità così alti che
nelle panetterie vi sono due tariffari, uno per i locali e un altro
per gli immigrati. A Beit Safafa vive l'avvocato protagonista di
queste pagine, un giovane procuratore con una promettente carriera da
principe del foro gerosolimitano davanti a sé. Vive in una villetta,
due piani con salotto spazioso, cucina ultramoderna e due ampie
stanze da letto. E ogni giorno raggiunge il centro a bordo della sua
elegante Mercedes nera. Insomma, l'avvocato è, come si usa dire, un
uomo che ne ha fatta di strada, un bravo ragazzo che ha di certo
realizzato il sogno di sua madre, comune a tutte le madri arabe in
Israele: avere un figlio medico o avvocato di successo. Tuttavia, ha
anche un cruccio che l'affligge non poco. Si vergogna delle sue
lacune in fatto di musica, letteratura, teatro e cinema. Lacune
rilevanti, visto che suoi colleghi israeliani parlano disinvoltamente
di tali argomenti. Perciò, di tanto in tanto fa una capatina in una
vecchia libreria a dare una sbirciata ai titoli di narrativa
raccomandati da Ha'aretz, il giornale cui è opportunamente abbonato.
Un giorno, nel settore dei libri usati della libreria, scopre, e
decide di comprare all'istante, una copia gualcita di "Sonata a
Kreutzer", celebre racconto di Tolstoj, che sua moglie gli ha
una volta stranamente menzionato...Ufficio culturale – Ambasciata
di Israele
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L'angolo della lettura
Film
israeliani al Torino GLBT Film Festival
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