giovedì 14 maggio 2009

Jaffa 1914

M.O./ Pareggio demografico fra israeliani e palestinesi nel 2016

Secondo i dati dell'Ufficio statistico dell'Anp
Il numero degli abitanti palestinesi nello Stato ebraico e nei Territori raggiungerà quello degli israeliani nel 2016: sono i dati dell'Ufficio centrale palestinese di statistica, riportato dal quotidiano israeliano Ha'aretz. Nel 1948, anno della creazione dello Stato di Israele, nella regione risiedevano 1,4 milioni di palestinesi: oggi nel mondo coloro che si considerano palestinesi sono 10,6 milioni, circa metà dei quali, 5,1 milioni, risiede in Israele o nei Territori contro i 5,6 milioni di israeliani. Il rimanente è costituito dalla diaspora palestinese, un terzo della quale vive nei campi profughi: il 41,8% della popolazione totale risiede in Giordania, il 9,9% in Siria e il 9% in Libano, contro il 16,3% in Cisgiordania e il 23% nella Striscia di Gaza ai quali vanno aggiunti anche gli arabi israeliani. 14 maggio 2009, APACOM

Jaffa: The bazaar in 1896

L'uomo nuovo nei rapporti Usa-Israele è Michael Oren. Politologo americano ed ex paracadutista in Israele, con una sorella morta in un attentato di Hamas a Gerusalemme e i suoi libri sul Medio Oriente in cima alle classifiche dei più venduti in America, Oren è un opinionista molto determinato nei talk show tv e assicura che da ambasciatore di Israele a Washington lo sarà anche con Netanyahu e Obama. C'è chi parla di possibile crisi nei rapporti Usa-Israele e Michael Oren rappresenta la sintesi vivente fra le due nazioni.

Maurizio Molinari,giornalistahttp://www.moked.it/

YEHOSHUA KENAZ PAESAGGIO CON TRE ALBERI

Trad. Elena Loewenthal, Ed. Nottetempo, Febbraio 2009, pp. 108
“Apparentemente i personaggi del libro vivono le loro vite in parallelo e non sono coscienti del fatto che ciascuno di loro svolge un ruolo nelle fantasie di un altro. Ma la fantasia li circonda, svolge il ruolo della realtà, indirizza il loro comportamento”.Queste le riflessioni dello scrittore israeliano Yehoshua Kenaz a proposito del suo romanzo “La grande donna dei sogni”, uscito in Italia da Giuntina (2005) nella collana “Israeliana”, insieme a “Voci di mutuo amore” (il cui originale ebraico suona più o meno così: “La via verso i gatti”).Il 16 maggio, in occasione della XXII Fiera Internazionale del Libro di Torino, nello spazio “Grandi ospiti”, l’Autore presenta la sua ultima opera uscita quest’anno in Italia, “Paesaggio con tre alberi”, edita da “Nottetempo” come la precedente, “Cortocircuito” (2007). Accanto a lui Elena Loewenthal, che ne è pure la traduttrice.“Paesaggio con tre alberi” è un romanzo breve, ma intenso, ambientato a Haifa negli ultimi tempi della Seconda Guerra Mondiale e del Mandato britannico sulla Palestina.L’ambientazione, come in “Cortocircuito” o ne “La grande donna dei sogni”, è un condominio: allegoria della convivenza, della mescolanza tra esistenze, passioni e sentimenti, dove l’estraneità di ciascuno alle vicende degli altri è solo apparente.Protagonisti sono due famiglie, assai diverse tra loro come provenienza, abitudini, esperienze.Da una parte c’è una coppia giovane, della quale l’A. non dice il cognome: Harry (impiegato presso una base militare inglese) e Becky. Hanno un figlio di pochi anni, chiamato per lo più “il bambino”, ma il cui nome, rivelato solo un paio di volte, è emblematico, Salomon. E’ lui il protagonista della storia, una creaturina svelta e sensibile, un grande osservatore, pronto a lasciare l’appartamento in cui vive per esplorare il mondo fatato dell’altra famiglia, i padroni di casa, gli Hazon, originari del Cairo. Qui il capofamiglia -afflitto da seri problemi alla vista (porta infatti perennemente un paio di occhiali scuri) e la moglie -una donna alta e magra, con i capelli raccolti- sono persone di mezza età, occupati nel negozio di alimentari gestito in società con un arabo. Come lingua corrente essi usano l’arabo (il padre) e il francese (la madre), particolare che, insieme all’abitudine dell’uomo di fumare il narghilè, suscita una grande curiosità nel bambino. I pavimenti della loro casa sono coperti da alcuni tappeti in pelliccia d’agnello, dove il piccolo ama sedersi, con grande sollazzo suo, ma con viva contrarietà della madre, convinta che vi si annidino uova di pidocchio (in realtà questo inconveniente è comune ad altri ragazzi frequentanti la stessa scuola di Salomon).La famiglia Hazon è numerosa: a parte tre figlie maggiori sposate che vivono altrove, conosciamo presto Alice, una ragazza taciturna e triste perché non ha ancora trovato marito; mentre i genitori sono al lavoro, si occupa delle faccende domestiche, terminate le quali ella lavora a maglia con una velocità incredibile. Vi sono poi due gemelli, maggiori di sei o sette anni rispetto a Salomon: Rachel, alta e magra come la madre, frequenta la scuola per segretarie; è dolce, sensibile e sinceramente affezionata al bambino; mentre Shlomo, “basso e largo come il padre”, che aiuta nel negozio, sfodera un perenne sorriso di diffidenza; detesta gl’inglesi e non sogna altro che cacciarli via come cani, “finita la guerra”. Il ragazzo eccita la fantasia del giovanissimo vicino di casa, al punto che quando la polizia effettua una perquisizione in casa Hazon, questi sospetta che Shlomo, notorio attaccabrighe, faccia addirittura parte della celebre banda Stern. Il mondo variopinto degli Hazon, nei colori, nei sapori, nelle abitudini è un forte richiamo per il bambino. Che piacere, ad esempio, andare con Rachel al negozio quando lei sostituisce la madre, e sognare di diventare, a sua volta, negoziante: indirizzare, con le parole giuste, i clienti verso una certa merce, ricevere i pagamenti, dare il resto prelevandolo da una cassetta….
Un ambiente assai diverso da quello dei genitori, un po’ asettico, dove l’unica nota di colore è rappresentata dalla pittoresca cugina di Becky, un personaggio sognante immerso in un mondo tutto suo: Tamara, che abita a Gerusalemme in un appartamento arredato in stile orientale, solita far loro visita in occasione delle feste. Appassionata di India (in passato vi ha conosciuto il grande poeta Rabindranath Tagore e ne ha studiato gl’insegnamenti), ha occhi e capelli nerissimi; dita lunghe e sottili, con unghie laccate di rosso. Instancabile lettrice, scrive, a sua volta, libri per bambini, inevitabilmente destinati a Salomon, peraltro suggestionato più da lei, con il suo fascino esotico, che dalle sue novelle. In questo microcosmo, popolato da figure che paiono slegate tra loro, irrompe un personaggio in apparenza del tutto estraneo. Un giovane militare inglese, Franck -di stanza presso la vicina “casa rossa”, sede della polizia militare-, capita per caso nell’appartamento abitato dal bambino con i genitori (verremo però a scoprire che la casualità non c’entra affatto). Di famiglia modesta, si sente triste e solo, catapultato in un mondo ostile, circondato da commilitoni coi quali non riesce a legare. L’unico motivo di consolazione per lui è quello di ricopiare su un foglio, prima a matita poi con inchiostro nero, un’opera del grande pittore fiammingo seicentesco Rembrandt. Si tratta di un’incisione su piastra di metallo, composta nel 1643 e raffigurante un paesaggio di campagna con tre alberi sullo sfondo (ne ho rinvenuto una fotografia sul bel volume di J.Bolten-H. Bolten Rempt “Rembrandt”, Mondadori, 1976, p. 96), riprodotta in una rivista, che egli porta sempre con sé insieme al foglio sul quale prende forma pian piano la sua “rivisitazione”. Harry -più distaccato e diffidente, specie all’inizio- e Becky -serena e più disponibile- lo incoraggiano in questa passione, intravedendovi un notevole talento. “Franck rise. Non l’avevano mai sentito ridere così…e in quel momento si notarono più che mai gl’incisivi all’infuori, con quello spazio in mezzo che gli conferiva un’espressione strana, un po’ animalesca e così contrastante con la parlata sommessa…Continuò a osservare il dipinto e…disse: C’è molto colore ma ci sono pochi dettagli”. La ragione di vita del giovane risiede in quell’opera: egli è affascinato dalla quantità di particolari, tutti significativi, che la caratterizzano, scoperti pian piano sia da lui, sia dagli osservatori: “Voi parlate molto di particolari, continuò Harry, è la cosa che conta di più, per voi?.....Lui ci pensò…..rispose: I particolari sono come la nostra vita, no?”.Quando il lavoro è terminato, il militare, trasferito ad altra unità come da sua richiesta, lo regala ai nuovi amici. Mentre osservano il disegno, essi si rendono conto che è carico di una cupezza e di un’angoscia che mancano nell’artista fiammingo: ad es. la scena pastorale, nella riproduzione, ricorda una regione desertica con i tre alberi in cima alla collina “simili a sentinelle armate”. E il cielo: il cielo di Franck “in effetti era più opprimente, la vita sulla terra lì sembrava quasi schiacciata….” La tragedia che si sta consumando in Europa, per vie misteriose, giunge fino a loro.Tuttavia, per ragioni altrettanto misteriose, è questo disegno ad avvicinare, in qualche modo, le due famiglie. Proprio nel momento in cui Franck si congeda, Kenaz, con sorprendente suggestione, tratteggia da par suo l’aspetto dei due giovani coniugi (tra l’altro l’esperienza lavorativa di Harry ricalca quella del padre dello scrittore) e conclude: “Quelli furono i giorni più belli della loro vita”. In uno stile di forte coinvolgimento, con descrizioni minuziose e parlanti, mai ridondanti o banali, che rendono questo breve, densissimo romanzo -semplice nel linguaggio, complesso nell’intreccio dei sentimenti- paragonabile all’opera nella quale il giovane inglese ha riversato tutto se stesso, l’A. rende molto bene l’ambiente modesto, ma multiforme e carico di contrasti in cui si muovono i protagonisti, a cominciare dal bambino, posto di fronte ai problemi del mondo adulto, con i quali comincia a fare i conti. La morte, la vita, la politica -il riscatto nazionale contro le forze occupanti britanniche-, la sessualità, scoperta in un certo particolare della riproduzione, che c’è e non c’è.E, nell’ultima pagina, per bocca di una figura, dal significativo nome di Herzl, appena tratteggiata perché rimasta sullo sfondo della narrazione, ecco la verità su quanto è accaduto in Europa agli ebrei. Espressa, “quasi sottovoce”, in una breve, terribile frase. Mara Marantonio, 13 maggio 2009

mercoledì 13 maggio 2009

Mar Morto

Italia Spot pro-Israele col volto di Ratzinger

«Segui il cammino del Santo Padre, vieni anche tu in Israele»: in coincidenza con la visita di Benedetto XVI in Terra Santa, sugli autobus e sui tram di Roma, Milano e Napoli, sono comparsi manifesti giganti che invitano turisti e pellegrini a fare altrettanto, sulle orme di un Ratzinger in marcia verso la sagoma di Gerusalemme. Il Papa può essere - anche inconsapevolmente - un buon testimonial, dicono al ministero del Turismo israeliano. «Israele ha il sole, le spiagge e le belle ragazze in bikini, ma tutte queste cose sono reperibili anche altrove, ad un prezzo minore. Noi abbiamo qualcosa che gli altri non hanno: la Terra Santa», ha spiegato il ministro del Turismo, Stas Misezhnikov. 13 maggio 2009 http://www.ilgiornale.it/

N.r. Più persone mi hanno detto che davanti al loro desiderio di devolvere l'otto per mille alle Comunità ebraiche, i loro commercialisti hanno fatto di tutto per dissuaderli dal farlo. Sembra una cosa impossibile, ma ho avuto testimonianze di ciò che scrivo!

Le firme di tutti i contribuenti hanno lo stesso peso e valore, indipendentemente dal loro reddito
L’otto per mille è il meccanismo con cui lo Stato italiano, attraverso la scelta dei contribuenti, devolve l’8‰ dell’intero gettito fiscale IRPEF allo Stato Italiano, alla Chiesa cattolica o alle confessioni religiose riconosciute e firmatarie d’intesa. Ogni cittadino che presenta la dichiarazione dei redditi può scegliere la destinazione dell’8‰ del gettito IRPEF tra sette opzioni. La scelta si compie mettendo la propria firma sul modello in corrispondenza della destinazione prescelta e non comporta alcun onere per il contribuente. La scelta espressa con la propria firma non determina direttamente la destinazione della propria quota di gettito fiscale, ma quella di una quota media uguale per tutti i cittadini. Lo Stato calcola l’importo totale delle entrate dovute all’IRPEF e da questo importo totale scorpora l’otto per mille; poi calcola il numero totale di firme; infine ripartisce l’otto per mille tra gli enti in base alle percentuali delle firme espresse.

I doni della vita


di Irène Némirovsky Traduzione di Laura Frausin Guarino, Adelphi Euro 18
I lettori italiani che hanno imparato ad apprezzare la straordinaria capacità narrativa di Irène Némirosvsky, dopo la pubblicazione cinque anni fa del suo capolavoro Suite francese, non rimarranno delusi dall’ultimo romanzo che Adelphi manda in libreria in questi giorni, I doni della vita; un’altra intensa storia uscita dalla penna della scrittrice ebrea che si riconferma una delle voci più suggestive del panorama letterario francese.Le vicende che hanno segnato la vita della Némirovsky sono ormai note: nata a Kiev nel 1903, figlia di un banchiere ebreo ucraino, fuggì con la sua famiglia durante la rivoluzione d’ottobre, arrivando a Parigi, la città dove iniziò la sua attività di scrittrice, dopo un’infanzia e un’adolescenza turbolente e segnate dall’assenza della madre, dedita alla vita mondana e al lusso.Acuta osservatrice del proprio ambiente borghese al quale non ha mai lesinato critiche, in quanto ebrea capace di cogliere i difetti della sua gente, è stata erroneamente tacciata di antisemitismo pur ricevendo numerosi apprezzamenti per la sua arte compositiva matura nello stile e nei contenuti.Nonostante il tentativo di trovare rifugio in una Francia che nel momento del bisogno l’aveva accolta, l’evolversi degli eventi che avrebbero portato allo scoppio della seconda guerra mondiale, la gettarono in pasto alla ferocia nazista: morirà infatti ad Auschwitz nel 1942 insieme al marito mentre le due figlie piccole affidate alla governante riusciranno a salvarsi dall’orrore dei campi di sterminio.Scritto negli ultimi mesi del 1940 quando ormai il disastro era alle porte, I doni della vita può essere considerato il romanzo preparatorio del suo capolavoro Suite francese, in quanto simili sono i fatti storici, l’ambientazione, seppur questa volta non ebraica, e l’attenzione al mondo della borghesia al quale lei stessa apparteneva.Lo scenario che l’autrice delinea è una piccola cittadina della Francia settentrionale, Saint-Elme, vicino al confine con il Belgio dove si muovono i personaggi del romanzo tratteggiati con grande abilità e maestria.Fra questi spiccano i componenti della famiglia Hardelot; proprietari di una cartiera, ricchi e borghesi sono molto attenti alle consuetudini e alle leggi che regolano le suddivisioni di classe. Per questo la decisione di Pierre, nipote del vecchio e coriaceo Julien Hardelot, il padrone a tutti gli effetti della fabbrica, di sposare la donna che ama, Agnès, getta la piccola comunità nello scompiglio. Un colpo di testa che gli procurerà l’ostracismo della famiglia e l’inevitabile allontanamento da parte del nonno che deciderà di diseredarlo.Il romanzo che si snoda dalla prima guerra mondiale dove Pierre verrà ferito fino alla secondo conflitto che vede il figlio Guy rivivere le medesime situazioni di pericolo, accompagna le vicende quotidiane dei protagonisti in un crescendo di tensioni fino alla parte conclusiva che si rivela una sorprendente anticipazione della tragedia della quale sarà vittima la stessa autrice.Attorno a Pierre e Agnès si muovono personaggi indimenticabili: Simone Renaudin, la donna che il giovane Pierre avrebbe dovuto sposare, ricca e grassa, di indole malvagia ma capace di gestire con oculatezza gli affari subentrando nella cartiera alla morte di Julien Hardelot; Charles, il padre di Pierre, succube del vecchio genitore e incapace di opporsi alle sue tiranniche volontà; Marthe, la madre, che vive nell’ossequio della sua intonsa rispettabilità e alla quale non potrebbe rinunciare per nessun motivo; la signora Florent, la madre di Agnès che vede nel matrimonio della figlia un riscatto alla sua origine modesta ed infine la giovane Rose: indomita e coraggiosa la figlia di Simone sposerà l’affascinante Guy, nonostante la strenua opposizione della madre che avrebbe voluto per la figlia un matrimonio prestigioso.
Capaci di adattarsi senza lasciarsi destabilizzare dalla furia degli eventi, riuscendo a reagire anche agli attacchi più duri, Pierre e Agnès rimarranno insieme per tutta la vita e nella solidità della loro unione troveranno la forza di difendere quei valori, i doni della vita, per i quali si sono sempre battuti.E’ l’amore quindi il più bel dono della vita e questa straordinaria vicenda ce lo dimostra: una storia che vive nella Storia e nella Società pur non potendo sfuggire ai disegni imprevedibili del destino. Giorgia Greco

martedì 12 maggio 2009

Jaffa: Carpentry class at the Government Secondary Boys' School, 1924

Israele: Gerusalemme avra' parco biblico

(ANSA) - GERUSALEMME, 10 MAG - Il governo israeliano progetta attorno alla Citta' Vecchia di Gerusalemme la creazione di una catena di parchi di carattere biblico.Obiettivo rafforzare il carattere prevalentemente ebraico della citta'. Lo sostiene una Ong israeliana che dice di aver visto i piani ufficiali non ancora divulgati. La catena partira' nella vallata di Hinnom (la 'Geenna'), proseguira' sul Monte Sion e nel rione di Silwan (Citta' di Davide), lambira' il Monte degli Ulivi e finira'nella zona del Monte Scopus.

Il Neghev

RIFLESSIONI FINALI SUL VIAGGIO IN ISRAELE 22 FEBBRAIO / 3 MARZO

Questo viaggio ha significato per me l’immersione piena in una realtà complessa, multiforme, le cui eco restano a lungo dell’anima; o meglio non ti abbandonano mai.Oz, Grossman, Yehoshua, Appelfeld, Shifra Horn, passando per Keret, così razionale nel suo essere paradossale…….tutti li ho incontrati; materializzati ad ogni angolo di strada. Un Paese all’avanguardia in molti campi, dalla letteratura, alle scienze, all’alta tecnologia, ai diritti umani (checché ne dicano i suoi odiatori di professione). Certo non perfetto, con difficili nodi da sciogliere, ma in grado di dare un contributo essenziale alla crescita civile del mondo. Questo accade in barba ai vari boicottaggi, inventati in primo luogo da associazioni o istituzioni occidentali, i governi delle quali, magari con la collaborazione di altre istituzioni, operano spesso in modo fattivo con Israele, in diversi settori.
Un rompicapo, se ci si pensa bene, che spesso e volentieri ha effetti comici.Un caso, fra i numerosi che si potrebbero citare: un anno dopo che il partito norvegese della sinistra socialista ha lanciato la sua campagna per il boicottaggio di Israele, l’importazione in Norvegia di merci israeliane è aumentata del 15% , l’incremento più alto da molti anni a questa parte (fonte: Statistics Norway).Il maggiore paradosso sta comunque nell’essere l’unico Stato al mondo minacciato di distruzione, senza che ciò susciti particolare sdegno negli organismi internazionali, ONU in testa; l’unico in ordine al quale ci si chieda ancora, dopo ormai 61 anni, se abbia diritto all’esistenza; ritenendolo, come disse un giorno un mio amico, quasi un “Paese di seconde case”.
Regolarmente oggetto di violenta esecrazione da parte dell’ONU e addirittura imputato n. 1 nelle Conferenze di Durban I e Durban II, le due vergognose kermesse del razzismo antisemita, tuttavia esso è nato grazie ad una Risoluzione ONU -preparata beninteso dal movimento sionista di circa un secolo prima e da una bimillenaria aspirazione al “ritorno”- e non dai capricci (chiamiamoli esigenze strategiche) delle grandi potenze, contrariamente ai Paesi limitrofi, la cui “artificialità”, quella sì, è riscontrabile solo osservandone, carta geografica alla mano, i confini, tracciati con riga e squadra.Vorrei che i politici, in primo luogo di casa nostra, quando si esprimono in merito al conflitto mediorientale, lo facessero a ragion veduta, senza quello sterile distacco, quella freddezza, accompagnata da superficialità e mancanza di senso della realtà, esprimentesi nel chiedere le rinunce, più o meno (più “più” che “meno”) dolorose sempre ed esclusivamente ad una parte sola.A questo proposito mi piacerebbe, è un esempio (ma se ne potrebbero scegliere altri), che, prima di usare in modo improprio o sbagliato, brandendoli come clave, termini quali “restituzione” o “occupazione”, a proposito del Golan, essi compissero un viaggio sull’altopiano: si rendessero conto dell’importanza strategica del luogo per Israele e di quanto esso sia stato amorevolmente curato e fatto prosperare in questi quarant’anni, dopo i venti di totale disamore e incuria siriani. In una recente intervista il grande architetto, di origine polacca e cittadino israeliano, Daniel Libeskind afferma, da una parte, che il combattere per l’identità ebraica ha sempre fatto parte della sensibilità del popolo di Israele perché significa battersi per una società libera e aperta, e, dall’altra, che i nemici delle democrazie occidentali e degli ebrei vedono in costoro e nelle suddette democrazie un nemico da contrastare con ogni mezzo, proprio perché rappresentanti di una società moderna, illuminista, matura.Ciò che mi ha impressionato, sopra ogni altro aspetto, in questo Paese è la sua contagiosa, traboccante gioia di vivere. Non sai se è l’entusiasmo di chi si spreme fino in fondo perché sa di essere a rischio, oppure c’è, in tutto ciò, una sorta di fede (religiosa o laica poco importa) nella propria capacità di durare, al di là del drammatico scenario mondiale e dei gravi pericoli. Forse entrambi gli aspetti.
Questa è la grande forza di Israele, sempre diverso, nuovo, con le sorprese ad ogni momento della Storia.
Spero che un giorno, mi auguro, non lontano, i popoli i cui governi sono suoi nemici, lo comprendano appieno. La Speranza e l’impegno per darle concretezza non costano nulla in confronto al valore della posta in gioco.
25 aprile 2009, Festa della Liberazione Mara Marantonio Bernardini

L'attrice israeliana a Roma per girare un film
Moran Atias: "La Capitale è un set a cielo aperto"

Tra due giorni parteciperà a un concerto nel suo Paese alla presenza di Benedetto XVI. L'attrice israeliana arriverà presto a Roma per girare il film: "Città bellissima, vita notturna carente".
Nel mondo ha sfilato da top model sulle passerelle più prestigiose, in Israele condotto la versione locale di «Affari tuoi», in Italia, appena arrivata, ha trovato spazio in programmi tv da prime time come «I raccomandati» e «Carramba», oltre a presentare una trasmissione su RTL 102.5. Poi il cinema: in Inghilterra, Spagna, e da noi con Monicelli (Le rose del deserto) e Argento (La terza madre). Da aprile la vediamo su Cult tv (canale 131 di Sky) accanto a Dennis Hopper nella serie Usa Crash, dall'omonimo film premio Oscar. Dopo sei anni vissuti qui, Moran Atias, israeliana ormai residente a Los Angeles e davvero sulla rampa di lancio del successo internazionale, è tornata a Roma per girare un film: «Oggi sposi» di Luca Lucini, con Luca Argentero e Michele Placido.Tra tante possibilità di carriera, ha definitivamente scelto di recitare? «Dopo tv e radio, esperienze dal riscontro emozionale forte, ma che finisce con la trasmissione, volevo dare sviluppo al mio lavoro. Mi arrivavano proposte dal cinema, ma dovevo prima sapermi capace di affrontare un mestiere che è arte e richiede preparazione. Così ho frequentato dei seminari di recitazione e mi sono trasferita in Usa. Fin da piccola amo Anna Magnani: coraggiosa, capace di rischiare con i ruoli. Il suo cinema raccontava le donne in modo più completo, ma credo sia possibile seguirne il percorso. Costruire personaggi con una dimensione che superi i dialoghi, far nascere una persona recitando. Per Crash ho sostenuto un provino duro, interpretando un incidente stradale in studio, ma il mio personaggio, una donna di origine zingara che cerca di realizzare a L.A. il suo sogno americano, mi aveva conquistato. Dopo 13 puntate da protagonista farò la seconda edizione. In "Oggi sposi", commedia sul matrimonio anche come incontro tra culture, sono una nobile indiana che deve lottare per l'amore contro i pregiudizi. Luca Argentero è un ottimo partner, ha grande voglia di creare. E poi si gira a Roma».
Com'è Roma, per una donna con una cultura, anche religiosa, così diversa dalla nostra? «Fantastica. Cultura, storia e religione mi fanno godere ogni giorno qui. Unico neo la vita notturna. L'animazione di Tel Aviv, la libertà di mangiare ovunque nel cuore della notte, mi manca».Posto che lei rappresenta un caso particolare, Roma come accoglie gli stranieri? «I turisti bene. Poi ci sono persone che arrivano per trovare lavoro, e cominciano con i più umili. È successo anche alla mia famiglia: appena trasferiti a L. A., quando ero bambina, mia madre faceva le pulizie. Ma se sei capace, disponibile, studi cultura e lingua di un Paese, le porte possono aprirsi. Nella Kaballah il termine fortuna - mazal - unisce tre concetti: luogo, tempo e atteggiamento giusto».Secondo lei come centro della Cristianità, Roma può fattivamente favorire il ritorno della pace nei luoghi caldi del mondo? «Il 13 maggio il Papa parteciperà in Israele a un evento che io stessa condurrò: un concerto nell'anfiteatro romano di Beit She'an sul tema della riconciliazione (diretta tv su Sat2000, 21.30, n.d.r.), con Dalla, Safina, Francesco D'Orazio e artisti di ogni etnia, credo e settore della società israeliana: ebrei, arabi, musulmani, drusi, cristiani, laici e religiosi. Il Pontefice focalizzerà così l'attenzione sul problema della pace. E Beit She'an sarà un invito a qualcosa di più grande».Come vede il ruolo della donna in questa città e in questo Paese? «Nelle nostre mani: se lo vogliamo importante, noi donne lo renderemo tale. Non credo alle colpe di un sistema. Il destino si crea con determinazione e dignità, così arrivano le occasioni».11/05/2009, http://iltempo.ilsole24ore.com/

Lula in visita alla Congregazione israelita di São Paulo

Culinaria Ebraica/1

Espulsi dalla penisola iberica cinque secoli or sono gli ebrei si trasferirono anche in Brasile. Viaggio in due puntate nelle loro tradizioni gastronomiche che hanno influenzato quelle verdeoro.
Espulsi dalla penisola iberica cinque secoli or sono, gli ebrei cominciarono da quella data a trasferirsi anche in Brasile, dando vita a una delle loro innumerevoli diaspore. Cresciuti e moltiplicatisi, influenzarono profondamente il modo di essere dei brasiliani. I quali, spesso involontariamente, hanno fatto propri detti e peculiari atteggiamenti di origine ebraica. A tavola, l'assimilazione ebbe luogo in modo più consapevole. Senza dubbio, fu un processo appetitoso. Questo mese e il prossimo, senza la pretesa di ricostruire interamente la storia della presenza giudaica nel paese, daremo cenni sulle tradizioni gastronomiche ebraiche e su come le stesse hanno influenzato quelle verdeoro.
Nel 1492, 250mila ebrei furono cacciati dalla Spagna dopo la conquista dell'Andalusia e del regno di Granada. In 100mila cercarono rifugio nel paese più vicino, il Portogallo, aggiungendosi alla già nutrita comunità ebrea lusitana. Quattro anni dopo l'arrivo di questa ondata migratoria, composta da persone professionalmente qualificate (medici, astronomi, traduttori, artigiani esperti di pelle e metalli), il numero di ebrei nel paese oltrepassava la soglia del 20 per cento della popolazione. Dom Manuel, re del Portogallo, nel 1496 chiese la mano della figlia del re di Spagna, Isabel de Aragón y Castilla. La principessa chiese consiglio al suo confessore, il temibile Torquemada, che le vietò tassativamente di trasferirsi in terra portoghese fino a quando gli ebrei avessero abitato nel paese. Oltre a una moglie e alla continuità della sua stirpe, con il matrimonio Dom Manuel intendeva garantirsi la manovalanza marittima necessaria per le grandi traversate oceaniche. Nonché il momentaneo allontanamento della minaccia di annessione del Portogallo alla Spagna, potenza fortemente militarizzata e cattolica. La domenica delle Palme del 1497, il re invitò tutti gli ebrei della capitale portoghese a un grande incontro nella Praça do comércio di Lisbona, ubicata davanti al fiume Tejo. Li attrasse con la promessa di essere imbarcati su navi che li avrebbero riportati in Terra Santa, sogno della stragrande maggioranza degli ebrei iberici. Allo stesso tempo, convocò in segreto il maggior numero di preti disponibili ai quali fece distribuire acqua santa a profusione, con l'intento di realizzare un inatteso e forzato battesimo di massa.Mentre i sacerdoti spargevano acqua come se piovesse sulla folla che nel cais veniva contenuta dai soldati, il re inviava un suo emissario alla corte spagnola. Con un preciso messaggio: quello che in Portogallo non vi erano più ebrei bensì "nuovi cristiani". L'episodio è conosciuto come il "battesimo in piedi". A partire da quella data, in tutto il regno fu vietato praticare la religione ebraica. Gli ebrei che non si fossero convertiti al cristianesimo cambiando il proprio cognome (dall'originale in Alves, Carvalho, Duarte, Silva, Oliveira, fra gli altri) sarebbero stati immediatamente espulsi e costretti ad abbandonare famiglia, averi e diritti. Dieci anni dopo, l'armata spagnola unitasi a quella portoghese e a risoluti frati dominicani, fece strage di circa quattromila ebrei. Il tragico episodio rappresentò un atto di totale mancanza di rispetto verso le libertà religiose di una parte significativa della popolazione, durante i famigerati anni dell'Inquisizione. Le sue conseguenze lasceranno un marchio indelebile e inequivocabile della presenza giudaica nella formazione della coscienza collettiva dei portoghesi. Più ancora in quella dei brasiliani, che nei secoli successivi verranno in contatto con ebrei che migrano, si stabiliscono e prosperano in Brasile.Oltre a quanti oggi nel paese praticano la religione ebraica consapevolmente, centinaia di migliaia di brasiliani conservano nel proprio bagaglio culturale origini e influenze giudaiche più o meno prossime. Ciò è riscontrabile, ad esempio, in diffusissimi proverbi, superstizioni, usanze e abitudini presenti nel nostro modo di essere. La tipica espressione "ficar a ver navios", che significa venire ingannati dopo essere idealmente "rimasti ad attendere" inesistenti "navi", fa parte del vocabolario di saggezza popolare verdeoro. Ovviamente, deriva dal citato episodio storico di Praça do comércio.Nei bar e nei botequim brasiliani, da nord a sud, è comune veder versare per terra il primo sorso di cachaça in segno di rispetto verso un fantomatico "santo". Il santo in questione, in realtà, è Eliyahu Hanavi, cioè il profeta Elia della tradizione giudaica, che è commemorato durante i festeggiamenti per la Pessach, che coincidono con quelli della Pasqua cattolica. Pochi brasiliani lo sanno. Giunti in Brasile a partire dal XVI secolo, negli anni della colonizzazione gli ebrei parteciparono a tutti i cicli dell'economia brasiliana, soprattutto a quello dell'oro e delle pietre preziose del Minas Gerais. A quei tempi, anche in quella lontana regione le minacce dell'Inquisizione li costringevano all'assoluto anonimato. Allo stesso tempo, c'era la preoccupazione di seguire le ferree regole imposte dalla Kashrut, la legge alimentare che prevede l'uso esclusivo di ingredienti kosher (puri) o kasher (più usato in Brasile) nella preparazione dei piatti. Gli ebrei, pertanto, crearono un mobile che ancor oggi fa parte della tradizione mineira, cioè la mesa com gavetas. Si trattava di un tavolo con cassetti messi strategicamente in corrispondenza dei vari commensali. A ogni pasto venivano preparate due portate, una "vera" e una "finta". La prima era cucinata con alimenti kasher. Nel caso si presentasse alla porta un visitatore inaspettato e sconosciuto, i piatti venivano velocemente nascosti nei cassetti e sostituiti in tavola da una seconda portata di cibi taref (impuri), di solito a base di maiale, come i fagioli cotti con pancetta oppure la couve con il torresmo, cavolo nero con ciccioli fritti di grasso suino.Come accadde in altre aree del mondo, anche la maggioranza degli ebrei arrivati in Brasile era distinta in due gruppi, portatori di due cucine ben distinte. Entrambe le comunità erano di origine europea, ma ciascuna possedeva parametri culturali e parlava dialetti diversi. La prima era costituita dagli ashkenazim o ashkenazi (il cui nome deriva da Ashkenaz, cioè l'attuale Germania), che popolavano l'Europa centro-orientale e parlavano l'iddish. La seconda erano i sepharadim o sefarditi (da Sephard, vale a dire la penisola iberica) che vivevano tra Spagna e Portogallo, parlando prima il ladino e in seguito l'hakitia, un dialetto giudeo-spagnolo che prese forma quando gli stessi si stabilirono in Sudamerica. La culinária judaica è una delle più variate e saporite che esistano in Brasile ed è nata dall'incrocio tra le tradizioni dei due ceppi etnici appena ricordati. Per entrambi, originariamente, gli ingredienti principali erano i sette elementi biblici: orzo, frumento, olive, fichi, datteri, melograno ed erbe. Le regole religiose prescrivevano il consumo di verdura, frutta e cereali in maggiore quantità rispetto alla carne o al pesce. Gran parte della vita comune e familiare ebraica in Brasile si svolgeva attorno alla tavola. Nella preparazione dei piatti, ogni mossa era studiata, essendo intimamente legata alla religione e a Dio. Gli ebrei credono che i cibi preparati attraverso l'utilizzo di diversi simbolismi propizino, a seconda dell'occasione, la fertilità, la prosperità, la fortuna o l'immortalità. Gli ashkenazi, stabilitisi inizialmente nelle regioni più fresche del paese, utilizzavano il fondamentale schmaltz (grasso di gallina), le cipolle, l'aglio, i crauti, le carote, le barbabietole e le patate. Queste ultime erano ampiamente usate nella preparazione dei piatti più importanti come i kreplach (ravioli di carne) e il kugel (uno sformato di patate al quale poteva essere aggiunta della pasta oppure, durante la Pessach, della farina matzah, fatta di pane azzimo sbriciolato), oltre che in quella di deliziosi pesci affumicati come carpe e aringhe.La combinazione di aceto, succo di limone, sale e zucchero o miele creava sapori piacevolmente agrodolci. Comune era l'uso del rafano per accompagnare portate di carne o di pesce, come il famoso guefilt fish, un piatto servito durante lo Shabat, la festa del sabato. Sono polpette di pesce cotte in brodo servite con carote e chrain (un condimento di colore porpora, a base di rafano e barbabietole). Oltre alle verdure e al pesce, la cucina ashkenazi prevedeva variazioni dei piatti principali realizzate con cereali reperibili in loco, tra quelli più diffusi in Brasile. Ad esempio le lenticchie e il grano saraceno. Si ricreò anche l'abitudine di preparare conserve di frutta e di porre le verdure sotto aceto.
I sefarditi, che in Brasile inizialmente cercano aree climaticamente analoghe a quelle del Mediterraneo da essi abbandonate, crearono piatti più elaborati e al tempo stesso delicati, il cui sapore era dato sopratutto dalle erbe aromatiche e da spezie come zafferano, cannella, coriandolo, noce moscata, zenzero, cardamono e cumino. Preferivano l'olio di oliva al grasso di gallina e in Brasile approfittarono dell'abbondanza di melanzane, carciofi, sedani, spinaci, asparagi, lattuga, cetrioli, olive, peperoni, fagioli, fave, mandorle, meloni e tamarindo per creare zuppe, creme, pane e arrosti. Nella preparazione dei dolci impiegavano essenze di rosa, uova e yogurt. Il risultato era una cucina più colorata e creativa.Alcuni piatti di origine ebraica hanno influenzato le culinarie europee tradizionali, in un certo senso legittimandosi. Come tali, cioè con un'aura di intoccabilità quasi sacrale, sono arrivati in Brasile. È il caso dello cholent o adafina, un piatto caldo di carne e verdure in umido servito durante lo Shabat, cotto per dieci ore a fuoco basso nella notte fra venerdì e sabato all'interno di un recipiente chiuso dallo stesso impasto usato per il pane. L'etimologia del suo nome trova corrispondenze nel cassoulet francese. Il suo modo e i suoi tempi di preparazione nel cocido madrileño spagnolo, oppure ancora nel barreado del Paraná brasiliano. Le due comunità, molto diverse fra loro per lingua, cultura e per il differente passato, si organizzano in gruppi con identità propria anche in Brasile, creando sinagoghe, circoli e gruppi di accoglienza destinati ai nuovi immigrati che, via via, arrivavano dall'Europa. Circa dieci milioni di brasiliani, oggi, hanno origini ebraiche dirette. Tra loro, i pochi adepti della culinaria kasher in senso stretto sono soprattutto di origine ashkenazita. Alcune delicatessen o rosticcerie ebraiche della città di São Paulo, simili ai deli newyorkesi applicano i precetti della Kashrut per confezionare i piatti, ma altri manicaretti della gastronomia ebraica non kasher sono più facilmente disponibili e altrettanto deliziosi. Il più famoso tra questi locali è "AK Delicatessen" della chef Andrea Kaufmann, un ristorantino minuscolo situato nel quartiere ebraico di Higienópolis. Costantemente affollato, il suo successo è giustificato dal fatto che la Kaufmann ha un talento non comune nell'unire i più tipici ingredienti brasiliani alle tradizionali preparazioni ebraiche. È il caso dei varenique o varenikes (ravioli) di patate americane, fatti con sugo di hadoque (stretto parente del baccalà norvegese) brasato. Oppure della rilettura ebraica della cotoletta alla milanese, con spezie. O ancora del robalo (spigola) in crosta di zatar (un mix di erbe, sesamo e sale) e salsa cremosa di limone. Tra i dolci, impedibile il pain perdu, mistura di pane challah (pane morbido e poco dolce) e frutta, cotta al forno con crema all'inglese. (fine della prima parte) 10.5.2009, www.musibrasil.net/

Tel Aviv

I kibbutzim raccontano la storia d’Israele

Viaggio in Israele 27 dicembre 2009 – 6 gennaio 2010

27 dicembre domenica: arrivo a Tel Aviv. Cena e pernottamento al Metropolitan Hotel
28 dicembre lunedì: visita di Tel Aviv e Yaffo. Indipendence Hall. Museo dell’Haganà. Museo della Diaspora. Nevè Shalom e Nevè Zedec (i primi quartieri di Tel Aviv). Cena e pernottamento al Metropolitan Hotel
29 dicembre martedì: Zichron Yaakov (1° alyà (immigrazione anche se in significato letterale è salita e casa di Aaron Aaronson capo dell’organizzazione segreta NILI attiva tra il 1915 e il 1917). Campo di Atlit (immigrazione clandestina). Kibbutz Degania che è stato il primo ad essere fondato nel 1909. Cena e pernottamento al kibbutz Lavi.
30 dicembre mercoledì: visita kibbutz Lavi ed incontro con Guido Sasson. Monte Bental (confine con la Siria) e visita del kibbutz El Rom (fondato dopo la guerra dei 6 giorni del 1967) situato di fronte a Kunetra (Siria). Luoghi santi intorno al lago di Tiberiade (Kinnereth). Cena e pernottamento al kibbutz Lavi.
31 dicembre giovedì : valle del Giordano, Beth Shean (visita scavi Schitopoli). Kibbutz Nir David fondato negli anni 30-40 contro il Mandato Britannico). Kibbutz Beith Alfa (fondato nel 1922 e contenente antica Sinagoga). Arrivo a Gerusalemme. Capodanno con la Comunità ebraica italiana, con canti israeliani (David Greco). Cena e pernottamento al King Salomon Hotel.
1° gennaio venerdì: visita del Museo Yad Vashem (Memoriale della Shoa'), Monte e Museo Herzl**,Cena casa delle famiglie delle comunità ebraica italiana e pernottamento al King Salomon Hotel.
2 gennaio sabato: città vecchia a piedi (Santo Sepolcro, Muro del Pianto, quartieri islamico, cristiano, ebraico e armeno). Pomeriggio libero. Cena e pernottamento al King Salomon Hotel.
3 gennaio domenica: visita al Keren Hayesod. Incontro con l’ambasciatore Avi Panzer (se in Israele) e con Yosh Amishav. Davidson center* , Monte degli Ulivi (vista panoramica della città).Si parte per il deserto. Visita, cena e pernottamento al kibbutz Qallia (costruito dopo il 1967 oltre la linea verde).
4 gennaio lunedì: visita della fortezza di Masada. Pranzo in corso di viaggio in zona Ein Bokek (mar Morto). Kibbutz Moshabei Sade (1947): visita, incontro con i suoi abitanti, cena e pernottamento.
5 gennaio martedì: kibbutz Sde Boker. Incontro con Aaron Fait (senior lecturer at the Ben Gurion University Institute of Dryland Biotechnology and Agriculture). Tomba di Ben Gurion. Kibbutz Ruhama (fondato ai primi del ‘900). Incontro con Israel Debenedetti***. Visita al kibbutz Yad Mordechai****. Cena e pernottamento all’Hotel Metropolitan di Tel Aviv.
6 gennaio mercoledì: si torna in Italia
chi fosse interssato può scrivere a: lucia.scarabello@tele2.it

Viaggio in Israele 14 – 25 marzo 2010

14 marzo domenica: arrivo a Tel Aviv. Cena e pernottamento al Metropolitan Hotel
15 marzo lunedì: visita di Tel Aviv e Yaffo. Indipendence Hall. Museo dell’Haganà. Nevè Shalom e Nevè Zedec (i primi quartieri di Tel Aviv). Cena e pernottamento al Metropolitan Hotel
16 marzo martedì: Zichron Yaakov (1° alyà (immigrazione anche se in significato letterale è salita e casa di Aaron Aaronson capo dell’organizzazione segreta NILI attiva tra il 1915 e il 1917). Campo di Atlit (immigrazione clandestina). Kibbutz Degania che è stato il primo ad essere fondato nel 1909. Cena e pernottamento al kibbutz Lavi.
17 marzo mercoledì: visita kibbutz Lavi ed incontro con Guido Sasson. Monte Bental (confine con la Siria) e visita del kibbutz El Rom (fondato dopo la guerra dei 6 giorni del 1967) situato di fronte a Kunetra (Siria). Luoghi santi intorno al lago di Tiberiade (Kinnereth). Cena e pernottamento al kibbutz Lavi.
18 marzo giovedì : valle del Giordano, Beth Shean (visita scavi Schitopoli). Kibbutz Nir David fondato negli anni 30-40 contro il Mandato Britannico). Kibbutz Beith Alfa (fondato nel 1922 e contenente antica Sinagoga). Arrivo a Gerusalemme. Cena e pernottamento al King Salomon Hotel.
19 marzo venerdì: visita al Keren Hayesod. Incontro con l’ambasciatore Avi Panzer (se in Israele) e con Yosh Amishav. Davidson center* , Monte degli Ulivi (vista panoramica della città). Cena casa delle famiglie delle comunità ebraica italiana e pernottamento al King Salomon Hotel.
20 marzo sabato: città vecchia a piedi (Santo Sepolcro, Muro del Pianto, quartieri islamico, cristiano, ebraico e armeno). Pomeriggio libero. Cena e pernottamento al King Salomon Hotel.
21 marzo domenica: visita del Musero Yad Vashem (dell’Olocausto), Monte e Museo Herzl. Pomeriggio libero.
22 marzo lunedì: visita a Ein Karem, deserto della Giudea. Qumran e Kallia
23 marzo martedì: visita della fortezza di Masada. Pranzo in corso di viaggio in zona Ein Bokek (mar Morto). Kibbutz Moshabei Sade (1947): visita, incontro con i suoi abitanti, cena e pernottamento.
24 marzo mercoledì: kibbutz Sde Boker. Incontro con Aaron Fait (senior lecturer at the Ben Gurion University Institute of Dryland Biotechnology and Agriculture). Tomba di Ben Gurion. Kibbutz Ruhama (fondato ai primi del ‘900). Incontro con Israel Debenedetti***. Visita al kibbutz Yad Mordechai****. Cena e pernottamento all’Hotel Metropolitan di Tel Aviv.
25 marzo giovedì: si torna in Italia

lunedì 11 maggio 2009

Il sito del viaggio del papa

Israele inaugura un sito web dedicato alla visita del Papa Offrirà anche trasmissioni in diretta di eventi nel corso del pellegrinaggio

Il governo israeliano ha appena inaugurato un nuovo sito web dedicato all'imminente pellegrinaggio di Sua Santità Papa Benedetto XVI che sarà compiuto in Israele tra l'11 e il 15 maggio 2009. Presentato in nove lingue (inglese, francese, spagnolo, portoghese, polacco, italiano, tedesco, arabo ed ebraico), il sito contiene testi e audiovisivi informativi sul pellegrinaggio papale, le relazioni Israele-Vaticano, le comunità cristiane in Israele e i luoghi santi cristiani del paese. GLI APPUNTAMENTI - Regolari aggiornamenti saranno pubblicati sul sito durante la visita. Il nuovo sito offrirà anche trasmissioni in diretta di eventi nel corso del pellegrinaggio del Papa, tra cui: la visita a Yad VaShem, il memoriale dei martiri e degli eroi dell'olocausto (11 maggio), messe nel Giardino del Getsemani (Gerusalemme, 12 maggio), le visite al Monte del Precipizio (Nazaret, 14 maggio), al sito dell'ultima cena (12 maggio) e alla chiesa del Santo Sepolcro (15 maggio). 08 maggio 2009, corriere.it

PAPA/M.O.: PERES REGALERA' A PONTEFICE BIBBIA IN MINIATURA

(ASCA-AFP) - Gerusalemme, 8 mag - Il presidente israeliano Shimon Peres consegnera' la prossima settimana a Papa Benedetto XVI un Vecchio Testamento che gli scienziati locali hanno ridotto a un chip di silicone della grandezza di una capocchia di spillo. Lo ha reso noto il suo ufficio.La Bibbia, scritta in ebraico, e' stata incisa su un chip della grandenzza di 0,5 millimetri quadrati dagli scienziati del Technion, l'Istituto di Tecnologia di Israele.Peres, si legge in un comunicato, consegnera' il testo di 308.428 parole al pontefice quando quest'ultimo arrivera' in Israele lunedi' nell'ambito di una visita di otto giorni in Terra Santa.Il chip e' stato collocato in una custodia di vetro che ha una lente di ingradimento con spiegazioni tecniche della Bibbia in miniatura in ebraico e inglese e i primi 13 versi del Libro della Genesi ingranditi 10.000 volte.L'86enne presidente e' un noto sostenitore della nanotecnologia, che a suo parere e' la chiave per risolvere i problemi di sicurezza dello Stato ebraico.

Crostata di ricotta

INGREDIENTI: Per la pasta: 2 uova, 400 gr. di farina, 200 gr. di zucchero, pizzico di sale, raschiatura di limone Per il ripieno: 500 gr. di ricotta, 100 gr. di zucchero, marmellata di visciole quanto un velo, burro e farina.PREPARAZIONE: Intridere il burro con l’uovo e lo zucchero,unire tutta la farina. Lavorare poco questa pasta e formarne una palla che dovrò riposare in luogo fresco per mezz’ora. Battere la ricotta con lo zucchero; imburrare ed infarinare la teglia, mettere al fondo metà della pasta, sopra questa un leggero strato di visciola e ricoprirla con la ricotta. Finire mettendo il bordo intorno e le striscioline come una normale crostata ed infornare a forno leggero.Sullam n. 30

Shizifiadah - Carne cotta con prugne


INGREDIENTI (per 6 persone): 600 gr. di manzo, 200 gr. di prugne rosse e gialle, 1 cipolla, 1/2 bicchiere di olioextravergine di oliva, 2 tazze di brodo vegetale, 100 gr. di zucchero, 1 pizzico di noce moscata, 1 pizzico di cannella, 1cucchiaino di semi di sesamo, 200 gr. di mandorle pelate, Sale e pepe.PREPARAZIONE: Tagliare la carne a cubetti e metterla in padella con abbondante olio caldo. Aggiungervi, poi, la cipolla, il sale ed il pepe e cuocere a fuoco lento fino a doratura della carne.Aggiungere il brodo e lasciar cuocere con il coperchio. Lasciar sobbollire per un’altra mezz’ora. Circa 10 minuti prima della fine della cottura aggiungere le prugne tagliate a tocchetti, le mandorle, i semi di sesamo, lo zucchero, la cannella e la noce moscata.Servito con un piatto di riso, con la purea di patate o con l’hummus, rappresenta un piatto unico.Sullam n.30

BORIS ZAIDMAN HEMINGWAY E LA PIOGGIA DI UCCELLI MORTI

Trad. Elena Loewenthal, Ed. Il Saggiatore, 2008, pp. 193
“E l’immenso impero che si chiamava Urss si è frantumato nella betoniera della storia…..Nulla di ciò che lui aveva conosciuto esiste più, a parte il piccolo Tolik-Tolka….che sarà l’unica conoscenza in tutta questa estraneità qui, loro due si riconosceranno subito di sicuro….”Nel variegato universo della letteratura israeliana non mancano gli autori immigrati dai Paesi dell’ex blocco sovietico, con il bagaglio di cultura, amarezze ed ironia, tipici di chi ha lasciato un contesto ancora carico di sogni di grandezza, ma forse già consapevole della propria imminente caduta. Uno di questi è Boris Zaidman. Nato nel 1963 a Kishinev in Moldavia (allora Unione Sovietica), a dodici anni è immigrato in Israele insieme alla famiglia. Diplomatosi in “Comunicazione visuale” presso l’Accademia Bezalel di Arte e Design di Gerusalemme, Zaidman ha lavorato per molti anni nel campo della pubblicità e della comunicazione di marketing come grafico, art director e copy writer e insegna Comunicazione presso alcune istituzioni accademiche.
“Hemingway e la pioggia di uccelli morti”, il suo primo romanzo, compone la terzina di finalisti del Premio ADEI WIZO 2009 (insieme a “Perché non sei venuta prima della guerra?” di Lizzie Doron e “A un cerbiatto somiglia il mio amore” di David Grossman) che ogni anno gratifica il miglior romanzo di argomento ebraico pubblicato in Italia.
Il protagonista -alter ego dell’A.- è Tal Shani, uno scrittore israeliano -immigrato con la famiglia dall’Ucraina all’età di tredici anni- invitato dall’Agenzia ebraica, con una sbrigativa telefonata, a partecipare, nel suo Paese d’origine, anzi nella città in cui è nato -Dniestrograd-, ad una sorta di “fiera della cultura israeliana” nella quale tenere incontri e conferenze sul suo primo romanzo pubblicato in ebraico (“con nostro grande orgoglio”). Tal è un tipo difficile, dal carattere scontroso: all’inizio, complice il fatto di aver appena terminato un mese da riservista al valico di Karni, è sul punto di rifiutare, poi accetta di aderire all’iniziativa, il cui vero scopo principale, ça va sans dire, è persuadere quante più persone possibili a compiere l’aliah in Israele. Ovviamente, lo avverte il suo interlocutore telefonico, “acqua in bocca” sul mese al check point di Karni: “I posti di blocco” conclude “avranno modo di conoscerli da soli, se solo riusciamo a spingerli qui con la tua propaganda”. Ciò che induce Tal a ritornare nella patria di origine non è tanto l’intento, per così dire, patriottico del viaggio, quanto il desiderio, sulle prime forse non del tutto consapevole, di ritrovare il se stesso della propria infanzia; e ricomporre le sue diverse identità. Dunque: dall’israeliano adulto Tal Shani al piccolo ucraino Anatolij Schneidermann, detto Tolik –o Tolka o Tolinka o Tolijaga- che vive con i genitori in un modestissimo appartamento, dove teme che i tedeschi (i “Fritzi”) lo vengano a prelevare come era accaduto tanti anni prima, durante la guerra, al nonno, che portava il suo stesso nome, sparito ahimé nel nulla.Riprende così vita Tolik, dedicatario del romanzo, la cui difficile vita in Unione Sovietica ha un sovrappiù nel fatto di essere ebreo. Tolik assume via via i diversi caratteri: c’è Tolik-Frank, nascosto come Anna in un piccolo ambiente, angosciato di essere scovato dai nemici. Le situazioni di ogni giorno vengono trasfigurate. Ad esempio leggiamo la descrizione minuziosa ed efficacissima, improntata a comicità paradossale, del terrore provato dal piccolo, solo in casa (il padre, chissà come mai, ritarda oltre ogni dire il ritorno dal lavoro) quando vede, proprio diretti verso casa, sua due militari tedeschi su motocicletta fornita di sidecar…. Solo all’ultimo egli comprende che in realtà si tratta dello stesso padre, cui un conoscente militare aveva dato un passaggio su una moto, quella sì “bottino preso all’esercito tedesco”!Tolik-Venerdì, invece, trascorre memorabili estati nel giardino di Rosa-Robinson. Costei, detta “zia” Rosa, è un’amica della madre del ragazzo: una donna prosperosa, “in piena quarantina”, spesso vestita con una lunga vestaglia a fiori e grembiule, indaffarata in cucina fin dal primo mattino. Il giardino di Rosa è un’isola ricca di suggestione, un Mar dei Sargassi, dov’è aleggia, anche in pieno agosto, una frescura deliziosa, mescolata ad odore di muffa e ortiche, nonché ad un costante tanfo di urina di gatto….Vi sono altri due abitanti, sull’isola: appunto un gatto, ancora pimpante, di nome Vaška e un pastore tedesco enorme quanto stanco, Šarik (”…Riservava a ciò che aveva intorno uno sguardo schifato e stigmatizzante: ormai non mi stupisce più niente in questo vostro mondo fottuto e dicendolo mostrava a Tolik e a Vaška indistintamente una lingua rosa in movimento”). C’è un segreto affascinante nella vita di Rosa, dalla “risata eterea intrisa di un densa tristezza”. Il segreto è “lui”, Njuma, lo”zio”Njuma” (corruzione russa di Nahum): il compagno di Rosa, la cui fotografia il ragazzo guarda e riguarda, finendo per animarla e adottando l’uomo come una specie di nonno segreto. Egli era stato un eroe di guerra; tuttavia, in seguito, per una banale vicenda di corruzione, era finito al fresco, da dove non era ben chiaro se o quando sarebbe tornato.
Ovunque i misteri e i tabu con i quali ogni ragazzino deve convivere, quelle porte chiuse davanti alle quali sta scritto, inesorabile: “Lascia stare, è ancora troppo presto per te”. Tolik sogna il ritorno di Njuma, ora in una prigione lontana, in un luogo freddo al punto che dal cielo piovono uccelli morti. Altro ambiente fatato nella casa di Rosa è la biblioteca, pur in uno stato negletto dopo che “lui” è stato incarcerato. Stiamo a bocca aperta, col piccolo Tolik, che ha imparato a leggere da poco, davanti ai tomi color verde bottiglia delle opere di Čechov, ritti in fila come soldati, appoggiati, sul lato sinistro, alla truppa grigia dei Gogol’, mentre d’un tratto ammicca con il suo sorrisino Mark Twain, in caratteri arancione…..Zaidman ci conduce nel mondo sognante del bambino, che pian piano fa la conoscenza, all’inizio leggendone solo titolo e autore sulla costola, dei classici della letteratura, fino a quel nome nuovo, straniero, che “ispirava suoni acuti e duri, che tirava le labbra in imprevedibili direzioni”: Hemingway. Il preferito di Njuma. Questo Hemingway –Ernest!- ha un valore sacrale per Rosa; e finisce per acquistarlo anche agli occhi di Tolik.Il romanzo è tutto giocato sull’ironia e la disillusione per un mondo sospeso tra sogni di grandezza -dei quali si avvertono i gravi limiti- e misera esistenza quotidiana (un romanzo del proibitissimo Šolženicyn nascosto da un’opera dell’eterna gloria nazionale Puškin); una realtà trasfigurata dalla sensibilità di un ragazzino, pronto a vedere il tram come un grande tritacarne, dove gli individui entrano “…belli freschi, rosa, ordinati…ma quando vengono fuori sono sudati, nervosi e tutti schiacciati…” O i pensieri che gli ispirano quei monumenti in cui si imbatte un giorno, quando, Tolik-Cristoforo Colombo, fa ritorno da solo a casa, dopo la scuola…..
Il padre di Tolik si ribella sia al fanatismo comunista con battute fulminanti che però, si raccomanda la madre, “non debbono uscire da questa stanza; sia all’antisemitismo dilagante, di cui fa le spese pure il figlio in varie circostanze, narrate sempre in uno stile pungente ed umoristico, spesso ai limiti dell’assurdo, con la percezione svelta dei bambini nel percepire lo scorrere degli eventi. Per sfuggire all’antisemitismo, al dover sempre render conto di essere ebrei, anche nelle circostanze in apparenza favorevoli, insomma la goccia di catrame nel barile di miele -ma quale soddisfazione per l’esito della Guerra del Giugno 1967!-, la famiglia si trasferisce nella Terra Promessa; quel Paese dove si deve pensare e parlare “a costo di un perenne raschiamento delle vie respiratorie”!La Partenza è desiderata e temuta al tempo stesso, oltre che popolata di incubi, alla vigilia.Alla frontiera tra Oriente e Occidente, alla fortezza di Schönau, appena fuori Vienna, Tolik assiste inorridito alla trasformazione dei suoi genitori da persone onnipotenti a piccoli esseri spaventati (in fondo essi avevano tradito la grande Patria Sovietica). Egli attende che padre e madre riacquistino quell’onnipotenza, invano. Ma questa presa di coscienza, pur dolorosa, rappresenta un gradino nella crescita, no?
Tutto giocato sulla sorpresa è l’episodio finale del romanzo: l’incontro tra il protagonista e un personaggio imprevedibile, un altro “ritorno a casa” carico di umanità e simpatia.
3 maggio 2009 Mara Marantonio

domenica 10 maggio 2009

Anna Momigliano

Una start up israeliana risolve il rompicapo dell'influenza suina

Di maiali in Israele se ne vedono pochi. Eppure la risposta all'influenza suina, che a torto o a ragione sta terrorizzando il Messico e molti altri Paesi, potrebbe arrivare da una piccola start-up israeliana. Anzi, forse è già arrivata. Fino a pochi giorni fa quasi nessuno conosceva il nome di CartaSense, un'azienda nell'area di Tel Aviv con appena 10 dipendenti. Ma nelle ultime settimane gli uffici di della piccola compagnia sono stati letteralmente bombardati da telefonate provenienti da tutto il mondo, e il suo nome è rimbalzato sulla stampa internazionale.Il perché è presto detto: la start-up, specializzata nell'applicazione dell'alta tecnologia all'agricoltura e all'allevamento, ha recentemente sviluppato un meccanismo per comunicare in tempo reale le variazioni nello stato di salute di ogni singolo capo di bestiame, anche in grandi mandrie o altri gruppi. Cioè esattamente quello di cui i grandi allevatori (soprattutto in Paesi come Usa, Messico e Argentina) hanno bisogno adesso che gli allarmi sulle malattie di origine animale, dall'aviaria in poi, si stanno intensificando.Il problema, sostiene il vicedirettore Sharon Soustiel, è che una piccola start-up non è in grado di sobbarcarsi da sola i costi di una produzione su scala industriale: “Ma siamo già in contatto con una serie di grandi aziende americane ed europee per avviare la produzione”, ha detto Soustiel alle agenzie di stampa.A essere onesti, racconta Soustiel, il progetto era nato pensando ai bovini: l'obiettivo era monitorare le grandi mandrie, composte anche da decine di migliaia di capi, che si spostano negli spazi aperti. “Ma adesso senz'ombra di dubbio la nostra priorità sono i maiali”.Anna Momigliano, www.moked.it/

Leone Ginzburg
Leone, allora e oggi. Un ritratto di Leone Ginsburg

Non può passare inosservato il centenario della nascita di Leone Ginzburg, venuto alla luce a Odessa il 4 aprile del 1909 e prematuramente scomparso a Roma, nel febbraio del 1944, nel carcere di Regina Coeli, dov’era detenuto dai nazifascisti e dove morì a causa delle terribili torture da loro impartitegli. La sua esistenza, tanto intensa quanto breve, non più di trentacinque anni di vita, rappresenta il crocevia delle aspirazioni di quanti, ebrei e non, intendevano il Novecento non solo come il secolo di una generica e ambivalente «modernità» bensì come l’epoca che portava in sé i caratteri di una emancipazione umana, sia culturale che materiale, nel medesimo tempo possibile ma anche e soprattutto definitiva. 'Se non ora, quando?', sembravano chiedersi uomini della sua tempra, già allora cittadini di una Europa che partiva dall’Atlantico per raggiungere gli Urali. La riflessione di Ginzburg, peraltro, era debitrice di due esperienze esistenziali, per più aspetti dirimenti nella sua traiettoria morale: la nascita in Russia e, dopo l’espatrio in Italia nel 1910, quand’era ancora in fasce, la maturazione culturale e civile in un paese posto sotto il tallone di Mussolini e del fascismo; laddove, detto per inciso, entrambe le parti, duce e movimento politico, costituivano non solo la radice di una insopportabile dittatura ma anche e soprattutto di un brutale regime, fondato sul consenso diffuso, ancorché passivo, di molti italiani. Le idee che il giovane Leone e gli intellettuali e politici (molto spesso le due funzioni si sommavano nelle stesse persone) antifascisti della sua sofferta generazione andavano maturando, nascevano dalla consapevolezza, condivisa con altre eminenti figure della cultura d’opposizione, come Antonio Gramsci, i fratelli Rosselli, Gaetano Salvemini e Piero Gobetti (tutti esuli o imprigionati e quindi destinati a morire, se non già morti, per mano assassina), che il fascismo non fosse un fenomeno transitorio e congiunturale bensì una delle espressioni, ancorché patologica nella sua enfatica manifestazione, di una sotterranea vocazione che era propria al paese. Questo tanto più nei momenti di crisi, quando le fragilità già evidenziatesi nel processo di unificazione nazionale, durante gli anni del Risorgimento, riemergevano prepotentemente, in tutta la loro dirompenza, trasformandosi in una disposizione d’animo, sospesa tra il cinismo e l’ineluttabilità, ad abbandonarsi ad esperienze autoritarie. Non a caso Gobetti aveva parlato del fascismo come di una « autobiografia della nazione». Lungi dal volere declinare ciò nei termini di una antropologia negativa, altrimenti ispirabile ad una tanto perentoria quanto elitaria condanna della società nostrana in toto, Leone Ginzburg, del pari a coetanei e sodali che si erano raccolti intorno alla Casa editrice Einaudi, nata nel novembre del 1933, si adoperò quindi per cogliere i caratteri non transitori di quel fenomeno chiamato per l’appunto fascismo, che in quegli anni si stava affermando in tutta l’Europa, avendo però ad epicentro Roma. Non è un caso, peraltro, se il motto dell’Einaudi era ed è rimasto spiritus durissima coquit, ossia lo spirito digerisce tutto. Fu quindi una generazione di “dura cervice”, che annoverava al suo interno figure come quella del futuro musicologo Massimo Mila, del filosofo e politologo Norberto Bobbio, di uno scrittore del tenore di Cesare Pavese, del sindacalista e politico Vittorio Foa, del filologo e letterato Carlo Dionisotti, del politico e dirigente d’impresa Giorgio Agosti e dello stesso editore Giulio Einaudi, a chiedersi quale fosse il segno dello spirito dei tempi. A capitanare l’intero gruppo, da Mila definito come una «confraternita», raccoltosi nella quasi sua totalità intorno al liceo Massimo D’Azeglio di Torino, era Augusto Monti, che fino al 1934 aveva occupato, proprio in quella scuola, fucina di futuri quadri dell’antifascismo, gli insegnamenti di lingua e letteratura latina e italiana, nella sezione B, passata poi alla storia come un piccolo allevamento di intelligenze antimussoliniane. La formazione di Ginzburg, non diversamente dai suoi compagni di studi, seguì quindi l’orientamento laico e risorgimentale che Monti, tributario del magistero di Benedetto Croce, seppe offrire loro. Il viatico antifascista fu offerto dalle letture montiane del Breviario di estetica, redatto nel 1912 dal filosofo partenopeo, e adottato come strumento di azione culturale dal gruppo torinese. Leone, in questa congerie (il presagio di una catastrofe prossima ventura, la guerra, andava intanto sinistramente maturando, percependo d’essa il fatto che costituisse lo sbocco inevitabile della pulsioni regressive dei fascismi europei) espresse la sua lucida precocità. Sulla scia del dettato crociano Ginzburg, in un primo tempo, evitò l’impegno politico diretto preferendo invece l’adesione a quanto il filosofo andava professando, ovvero l’«aperta cospirazione della cultura». Pesava nella scelta di questo percorso, con tutta probabilità, anche la condizione di apolide nella quale ancora si trovava (otterrà la cittadinanza solo l’8 ottobre 1931), pur essendo considerato, dai suoi pari, come un intellettuale «russo-piemontese», a volere dire che in lui si coniugavano radici lontane e un radicamento pervicace nella realtà locale. In cuor suo, tutto ciò si traduceva nella passione per la storia e la letteratura italiane e per gli studi di «slavistica», proiettati verso la lontana terra d’origine. Agli anni del liceo seguirono così quelli dell’Università, a fare dal 1927, sempre a Torino, dove poi si laureò in lettere, con la fine del 1931, ottenendo poco dopo la libera docenza in letteratura russa. La frequentazione in Francia, degli ambienti dei fuoriusciti antifascisti accese in lui la volontà di gettarsi nella lotta politica. Tornato a Torino, dove la polizia fascista aveva colpito duramente e con efficacia il nucleo locale di Giustizia e Libertà, il movimento che cercava di dare anima e corpo ad una opposizione di nuova specie al regime, si adoperò con altri per ricostruire le file dell’organizzazione. Il suo diniego a prestare il giuramento di fedeltà al fascismo, imposto a tutta la docenza universitaria, comportò infine l’estromissione dall’Accademia, nel 1934, alla quale fece seguire, per parte sua, l’insegnamento presso l’Istituto magistrale Berti. È di quell’anno, per l’esattezza l’11 marzo, il “fattaccio” di Ponte Tresa, al confine italo-svizzero, quando due giovani ebrei torinesi, Mario Levi e Sion Segre Amar, vennero fermati dalla polizia di frontiera che trovò sulla loro macchina una ingente quantità di materiale clandestino di contenuto antifascista. Il cerchio si strinse così anche su Ginzburg che il 13 marzo venne arrestato insieme ad altre sessanta persone. Il regime, quasi a volere dare un anticipo a quanto sarebbe successo con le leggi razziali del 1938, colse la palla al volo: l’agenzia Stefani, incaricata di fornire alla stampa e al pubblico le versioni ufficiali dei fatti, in sintonia con i voleri del fascismo, mise da subito in evidenza la matrice “giudaica” della “cospirazione”. A seguito di ciò Ginzburg, insieme a Segre Amar, fu condannato dal Tribunale speciale a quattro anni di detenzione. Uscito dal carcere nel 1936, si poté dedicare solamente alle collaborazioni editoriali, isolato com’era in ragione della sua condizione di vigilato speciale. Il 12 febbraio 1938 sposò quindi Natalia Levi, sorella di Mario. Dopo di che, con l’entrata in vigore delle leggi razziali, fu privato della cittadinanza italiana. I primi anni della guerra lo videro costretto a fare i conti con il cappio che andava stringendosi intorno al collo di tutti gli ebrei italiani. Confinato negli Abruzzi come «internato civile di guerra» vi rimase anche dopo il 25 luglio 1943, alla caduta del regime di Mussolini, in quanto apolide. Liberato in agosto, si attivò subito nell’intensa attività politica che animava i circoli antifascisti, dividendosi tra Milano, Torino e Roma. Mentre sul piano professionale continuò a lavorare per l’Einaudi, sul versante politico si riconobbe nel ricostituito Partito d’Azione, condividendo la militanza con Ferruccio Parri, Ugo La Malfa, Manlio Rossi Doria, Riccardo Lombardi, Carlo Muscetta, Riccardo Bauer, Carlo Ludovico Ragghianti, Enzo Enriques Agnoletti e tanti altri ancora. In questo breve elenco c’era già quasi tutto il nucleo fondatore della futura Repubblica italiana. Per Leone Ginzburg i tempi si fecero però sempre più duri. Nella Roma occupata dai tedeschi diresse l’«Italia libera», giornale clandestino degli azionisti. Si muoveva usando un nome di comodo, Leonida Granturco, sapendo di essere nel mirino nazifascista, sia come oppositore politico che come ebreo. Il 20 novembre 1943, dopo l’arresto di alcuni suoi compagni di militanza, venne quindi catturato dalla polizia fascista e tradotto a Regina Coeli. Gli fu fatale il fatto che quasi dieci anni prima avesse già soggiornato in quel carcere poiché la sua vera identità venne ben presto scoperta. Trasferito nella sezione controllata dai tedeschi, iniziò per lui il terribile periodo delle torture. Dopo alcune settimane di tormenti, oramai stremato, fu mandato all’infermeria del carcere dove, nella notte tra il 4 e il 5 febbraio del 1944 morì. Leone Ginzburg fu e rimane figura di difficile definizione poiché, ponendosi al crocevia di due mondi, quello d’origine odessita e quello di acquisizione torinese, assommava all’acribia del letterato e del filologo la passione per la ricerca. A questa indole, che mai gli venne meno, e che coltivò anche a contatto con alcuni membri della vivace comunità israelitica di Torino, dai quali trasse motivi di autonoma riflessione su una ebraicità che però mai visse come elemento di alterità rispetto al suo essere italiano di acquisizione, si sommò ben presto la radice antifascista. Questa era ben lontana dall’esaurirsi in una banale precettistica avversa al regime, indagando piuttosto sulla necessità di originare una “Italia nuova” che avrebbe dovuto fare i conti non solo con la notte mussoliniana ma anche con le gravi carenze, se non gli inauditi cedimenti, che avevano caratterizzato l’azione delle élite liberali, aprendo la porta alle camicie nere. In questo Leone Ginzburg recuperava la lezione del giovane Piero Gobetti, ispirandosi ad un rigore che era prima di tutto morale e civile. Così lo ricorda, tra i tanti pensieri, Norberto Bobbio quando della sua figura umana dice che: "Leone, il grande mediatore: mi mise in pace con me stesso, con gli altri, con le cose che non comprendevo, cui recalcitravo. Mi iniziò al «lungo viaggio», che si sarebbe concluso nel «sangue d’Europa», e che abbiamo terminato, dolorosamente, senza di lui".Torino ricorderà, nei mesi a venire, in più occasioni e circostanze, questo suo conterraneo d’acquisizione che tanto ha dato al Paese come alla stessa città. Per informazioni si può consultare il sito www.comitatopassatopresente.it. Claudio Vercelli http://www.moked.it/

Curiosità scientifiche


Il ministro degli esteri israeliano Avigdor Lieberman è arrivato in Italia e non ha dilaniato nessuno. Il Tizio della Sera

Safed

Israele: in vendita i primi francobolli dedicati alla visita papale

Con immagini dei Luoghi Santi e riferimenti biblici
TEL AVIV, giovedì, 7 maggio 2009 (ZENIT.org).- La Società Postale di Israele vende da questa settimana fino al 15 maggio sulla sua pagina web la prima delle due serie speciali di dodici francobolli ciascuna, emessa dal Servizio Filatelico di Israele in occasione dell'imminente visita di Papa Benedetto XVI in Terra Santa. La prima serie, in diecimila copie, mostra immagini dei Luoghi Santi e riferimenti biblici.E' realizzata dal giornalista e scrittore cattolico Peter Jennings, membro della Società Filatelica Reale di Londra.La seconda serie verrà emessa subito dopo la visita e si realizzerà con fotografie scattate durante il soggiorno del Papa in Terra Santa e la frase “Israele dà il benvenuto a Benedetto XVI”.Ogni foglio della serie chiamata “Il mio francobollo della visita papale” viene venduto in un pacchetto ricordo speciale che include i francobolli e un opuscolo informativo. L'opuscolo segnala che “Benedetto XVI ha dato un nuovo impulso alla speranza, alla comprensione, alla riconciliazione e alla pace tra le popolazioni e le religioni in Terra Santa. La sua visita promuoverà i pellegrinaggi e il turismo in Israele”.
Viene venduto anche un francobollo commemorativo in tre serie di cinque cartoline postali ciascuna. Ogni cartolina ha il francobollo adesivo già attaccato.I francobolli adesivi della visita del Papa verranno diffusi dai distribuiti automatici di Nazareth e Gerusalemme fino al 17 maggio.
Ci sono infine quattro emissioni speciali: una di Nazareth, per lunedì scorso, 4 maggio; un'altra del primo giorno di visita a Gerusalemme, l'11 maggio; la terza di Gerusalemme il giorno successivo e l'ultima di Nazareth, il 14 maggio.