sabato 10 novembre 2012
Ingredienti:per il ripieno:800 gr di prugne rosse 50 gr zucchero
di canna 1 limone
non trattato.Per la pasta:150 gr burro 300
gr farina
oo 130 gr zucchero di canna 50 gr di mandorle
in polvere 1 cucchiaino di cannella 1 uovo 1 bustina vaniglina 1 bustina lievito
Preparazione:Lavare, asciugare e snocciolare le
prugne, metterle in una ciotola con lo zucchero e la scorza
grattugiata di 1 limone non trattato. Lasciare riposare 1 ora
mescolando di tanto in tanto.Nel frattempo
preparare la pasta.In una ciotola mettere la farina, lo
zucchero, la cannella le mandorle in polvere e il burro ammorbidito:
lavorare gli ingredienti con la punta delle dita fino ad ottenere
delle briciole di media, grossa dimensione.Imburrare
una pirofila
da forno non troppo bassa, cospargere con 2-3 cucchiai di zucchero,
versare dentro le prugne e ricoprire con la pasta frolla.Infornare per circa 40 minuti a 180 .Il crumble é
pronto quando la superficie diventa dorata e croccante. Servire il
crumble tiepido.http://incucinaconmonica.blogspot.it/
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cucina ebraico - israeliana e non solo
Torta-Mousse al Cioccolato
Ingredienti per 4 persone:360 gr di cioccolato fondente acqua qb 3 cucchiai di caffè solubile 100 gr di burro 4 uova sale. per la glassa
40 gr di cioccolato fondente acqua qb Procedimento:Sciogliere il cioccolato in un
pentolino con il caffè solubile stemperato in un goccio d'acqua.Quando il cioccolato è fuso,
aggiungere il burro e scioglierlo.Fuori fuoco aggiungere 4 tuorli
alla crema di cioccolato, mescolando bene.Trasferire la crema in una ciotola
a raffreddare.Montare a parte gli albumi con un
pizzico di sale, poi incorporarli alla crema di cioccolato
mescolando delicatamente dal basso verso l'alto.Trasferire il composto in uno
stampo da plumcake rivestito di carta forno.Mettere a riposare per una notte
in frigorifero a solidificare.Per la glassa fondere il
cioccolato con un po' d'acqua.Sformare la torta-mousse e
ricoprirla con la glassa la cioccolato.Completare con una spolverata di cacao.http://imenudibenedetta.blogspot.com/
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Curiosità
Incursori della Marina per rafforzare i legami con Israele
MESSINA - Blitz in Israele dei
reparti d’élite della Marina militare italiana. Dal 3 all’8 novembre,
nelle acque prospicienti la città di Haifa, si è tenuta la prima
edizione dell’esercitazione bilaterale Rising Star 2012 a cui hanno
partecipato i palombari artificieri del Gruppo operativo subacquei del
COMSUBIN (Comando Subacquei ed Incursori) di La Spezia e i Divers
(specialisti sommozzatori) della Marina israeliana.Obiettivo dell’addestramento, il
“contrasto della minaccia costituita dagli ordigni esplosivi
improvvisati (Improvised Explosive Devices)”, attraverso la “bonifica a
bordo delle unità navali e subacquee”.“Le minacce terroristiche o i
fenomeni di pirateria stanno portando le Forze di sicurezza ed in
particolare le Marine militari dei paesi occidentali a studiare assetti e
procedure efficaci”, ha spiegato il Comando italiano nel comunicato di
presentazione della missione in Israele. “L’intervento sugli IED a bordo
delle unità navali, necessita di un continuo addestramento, materiali
specifici e tecnologicamente moderni, ma soprattutto operatori altamente
specializzati”. Come i sub italiani e gli omologhi israeliani,
operativi da tempo nei principali teatri di guerra internazionali. A
partire dagli anni ’90, ad esempio, i reparti del COMSUBIN di La Spezia
sono intervenuti nei Balcani e in Albania, in Corno d’Africa, Rwanda,
Libano e Golfo persico.Prima dell’esercitazione navale ad Haifa, a
fine 2011 le forze aeree di Italia ed Israele avevano dato vita a due
importanti attività addestrative, la prima in Sardegna (nome in codice
Vega) e la seconda nel deserto del Negev (Desert Dusk). Durante i war
games furono simulati combattimenti aerei tra cacciabombardieri F-15 ed
F-16 israeliani ed “Eurofighter” e “Tornado” dell’Aeronautica italiana e
bombardati bersagli fissi e mobili nei poligoni militari.Rising Star 2012 ha preso il via una
decina di giorni dopo il terzo vertice intergovernativo
italo-israeliano di Gerusalemme, a cui hanno partecipato, tra gli altri,
il primo ministro Mario Monti e ben sei ministri del suo esecutivo.
“L’Italia e Israele sono unite da un legame speciale ed oggi stiamo
ponendo le basi per intensificare ulteriormente questa collaborazione e,
allo stesso tempo, per avviarla in nuovi settori”, ha spiegato il
professore Monti al termine del colloquio con il premier israeliano
Benjamin Netanyahu. Diversi gli accordi commerciali sottoscritti; tra i
più importanti quelli in vista del “rafforzamento e la promozione della
collaborazione sul fronte delle imprese innovative start-up e, più in
generale, dell’hi-tech”, come si legge nel memorandum finale.
All’orizzonte ci sono poi gli investimenti finanziari nel settore delle
grandi infrastrutture (come ad esempio il collegamento ferroviario dal
Mar Rosso al Mediterraneo) e, immancabilmente, per la cooperazione, la
ricerca, lo sviluppo e la produzione nel settore militare.Il 2012 è stato un anno chiave nelle
relazioni tra i complessi militari industriali dei due paesi. A
febbraio, il governo di Israele ha ufficializzato l’accordo preliminare
per l’acquisto di 30 caccia-addestratori M-346 “Master” di Alenia
Aermacchi (Finmeccanica). I velivoli saranno assegnati alle Tigri
volanti del 102° squadrone dell’aeronautica militare; oltre alla
formazione dei piloti e al supporto alla guerra elettronica, essi
potranno essere utilizzati per attacchi al suolo con bombe e missili
aria-terra o antinave. Il giro di affari della commessa si attesta
intorno al miliardo di dollari ma comporterà per l’Italia una
contropartita altrettanto onerosa. Tel Aviv, infatti, ha imposto che le
forze armate italiane si dotino di un satellite elettro-ottico di
seconda generazione “Ofeq”, prodotte dalle industrie israeliane IAI ed
Elbit (costo 200 milioni di dollari) e di due velivoli di pronto allarme
(Early warning and control - AEW&C) “Gulfstream 550” con relativi
centri di comando, controllo e sistemi elettronici avanzati delle
aziende IAI ed Elta Systems (800 milioni circa).Nel corso dell’anno,
l’Aeronautica italiana ha pure deciso di dotare i propri elicotteri
EH101 e gli aerei da trasporto C27J “Spartan” e C130 “Hercules” con un
nuovo sistema di contromisure a raggi infrarossi, denominato “Dircm -
Directional infrared countermeasures”, che sarà co-prodotto da
Elettronica Spa di Roma e dall’israeliana Elbit. “Con il Dircm,
l’Aeronautica militare sarà la prima forza armata europea a dotarsi di
un sistema con tecnologia non americana per la difesa dai missili che
possono essere lanciati con sistemi a spalla e che rappresentano una
delle minacce più pericolose in fase di decollo ed atterraggio”,
spiegano al Ministero della difesa. Venticinque milioni e mezzo di euro
la spesa, con consegne che saranno fatte entro la fine del 2013. E
sempre dal prossimo anno, i missili israeliani aria-terra a corto raggio
“Spike” armeranno gli elicotteri d’attacco AW-129 “Mangusta” di
AugustaWestland, altra azienda di punta del gruppo Finmeccanica. Tel
Aviv farà la guerra con il made in Italy, noi la faremo con le armi
d’Israele.http://www.dazebaonews.it/
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Israele: ambasciatore Talo' da italiani citta' colpite razzi
(ANSAmed) - TEL AVIV, 9 NOV - La solidarieta' ai civili
italiani ed israeliani esposti al lancio di razzi dalla Striscia
di Gaza e' stata portata dall'ambasciatore italiano in Israele
Francesco Maria Talo' in visita in alcune citta' del sud di
Israele.Talo' ha incontrato i rappresentanti delle comunita' italiane
di Sderot, Beer Sheva, del Kibbutz Ruhama, di Ashkelon ed
Ashdod: a loro ha manifestato l'attenzione del governo italiano
per le sfide alla sicurezza che affrontano "a causa dell'azione
di milizie estremiste operanti a Gaza".Dopo l'incontro con il sindaco di Sderot, la citta' piu'
colpita da razzi e colpi di mortaio in arrivo da Gaza, Talo' ha
discusso con il sindaco di Beer Sheva "possibili iniziative" di
cooperazione tra la "capitale del Neghev" e l'Italia, in
particolare nel settore scientifico, delle start-up, e della
promozione della lingua e della cultura italiane.La visita si e' conclusa con un sopralluogo alle nuove aree
agricole create dal Keren Kayemeth, Fondo Nazionale Ebraico,
anche con finanziamenti di cittadini italiani.
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Golan: l''ultimatum di Israele ad Assad, "ci difenderemo"
(AGI) - Roma, 9 nov. - Il conflitto siriano, che da tempo sta
gia' generando tensioni con la Turchia, rischia di accendere
una pericolosa scintilla anche con Israele. Per la prima volta
il governo dello Stato ebraico ha lanciato un avvertimento a
Bashar al-Assad a causa dei proiettili esplosi nelle battaglie
con i ribelli, che per errore cadono sulle alture del Golan, la
regione montuosa strappata da Israele proprio alla Siria nella
guerra dei Sei giorni, nel 1967. "Il regime siriano e'
responsabile di cio' che sta avvenendo lungo il confine", ha
detto il vicepremier Moshe Yaalon in un comunicato. "Sapremo
come difendere i cittadini dello Stato di Israele e la nostra
sovranita'", ha aggiunto minaccioso.Intanto prosegue l'esodo di massa verso la Turchia, che
ospita ormai 120mila siriani. E si registra anche la piu'
ingente diserzione di massa avvenuta da molti mesi: la notte
scorsa hanno varcato il confine 8mila persone, tra le quali 26
ufficiali dell'Esercito, due generali, undici colonnelli, due
tenenti colonnelli, altrettanti maggiori, quattro capitani e
cinque tenenti. Hanno attraversato il confine con la provincia
turca di Hatay, nell'Anatolia meridionale, insieme alle
rispettive famiglie e a decine di soldati di fanteria, per un
totale di 71 persone.In una intervista in tv Bashar al-Assad ha affermato che
"se un presidente deve restare o andarsene e' una questione che
riguarda il popolo, e l'unico modo in cui la si puo' decidere
e' per mezzo delle urne elettorali". Il presidente siriano ha
anche sparato a zero contro il primo ministro turco Recep
Tayyip Erdogan, uno degli statisti piu' ostili al suo regime,
liquidandolo come un megalomane che si crede "il nuovo sultano
ottomano" e "un califfo", ansioso di dominare l'intero Vicino
Oriente e disposto a favorire i Fratelli Musulmani pur di
rimanere in sella, lui che guida un partito flo-islamico."Erdogan di se' pensa di essere il nuovo sultano dell'Impero
Ottomano", afferma il presidente siriano, "e di poter
controllare la regione come avveniva appunto nell'Impero
Ottomano, ma sotto un nuovo ombrello. Dentro di se'", rincara
la dose Assad, "si sente un califfo".
Una manciata di chilometri a sud di Damasco un'autobomba ha
ucciso almeno quattro persone, mentre nel nord al confine con
la Turchia almeno 25 membri delle forze di sicurezza di Assad
sono morti in un attacco dei ribelli.http://www.agi.it/
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La provocazione di bambini palestinesi a soldati israeliani:
VIDEO: http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=5sxqsmv0T1A
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venerdì 9 novembre 2012
Israele, pozzo neolitico del mistero
È stato un incidente o si è trattato forse di un omicidio? Questo il "mistero" - datato al neolitico - che appassiona gli archeologi israeliani da quando hanno scoperto nella Valle di Jezrel (nella Galilea del sud) un pozzo risalente a circa 8.500 anni fa che, nel fondo, cela gli scheletri di una ragazza di 19 anni e un uomo più anziano, anche loro dell'epoca. Come ci siani arrivati e perché, se sono rimasti intrappolati o buttati dentro e per quale ragione, è quanto si domandano gli esperti, forse più attratti da questo risvolto che dalla scoperta stessa del pozzo.Per ora domande rimaste senza risposta: "L'unica cosa certa è che per molto tempo dopo la caduta dei due sconosciuti - racconta Yotam Tepper, direttore degli scavi per conto della Direzione delle Antichità israeliane - il pozzo è stato fuori uso a causa della contaminazione dell'acqua. I cadaveri nel fondo l'avevano resa non potabile".Al di là del "giallo", il pozzo rappresenta di per sè una scoperta di grande rilievo per l'archeologia israeliana e probabilmente in generale per la conoscenza del mondo preistorico. Ora sarà messo in esposizione, così come i diversi reperti trovatinel corso delle ricerche. http://www.cdt.ch/
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Cultura
A Moretta, Israele incontra l’Italia dei formaggi

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Curiosità
Israele:Livni,Peres fermi Netanyahu
(ANSA) - TEL AVIV, 9 NOV - Pressioni insistenti vengono esercitate nei confronti di Shimon Peres (89 anni) da esponenti di forze centriste affinche' si dimetta dalla carica di Capo dello Stato e si presenti alle elezioni politiche del gennaio 2013 alla guida di una coalizione che sbarri la strada al Likud di Benyamin Netanyahu e all'estrema destra. La notizia viene confermata oggi da Haaretz secondo cui fra quanti premono su Peres affinche' torni alla politica attiva c'e' la ex-leader di Kadima Tzipi Livni.
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Dialogo ebraico-cristiano, l’ombra dei lefebvriani
PORTE aperte ai lefebvriani, ma nessun avallo alle loro
posizioni antisemite. La Santa sede prova a driblare i timori di
un cammino a ritroso sul viale del dialogo ebraico-cristiano dopo
il ritorno di fiamma tra il Vaticano e la Fraternità di San Pio X. Per
la verità, la tanto attesa risposta dei tradizionalisti al preambolo
dottrinale, stilato da Roma come conditio sine qua non per il rientro nella Chiesa, tarda ancora ad arrivare. E le esternazioni del neo prefetto di Doctrina fidei, monsignor Gerhard Mueller,
fanno salire la bile a chi spinge per la fine dello scisma. Eppure,
qualche giorno fa, una nota della commissione Ecclesia dei, la stessa
incaricata di condurre il dialogo a destra, ha rimesso in carreggiata il
faccia a faccia: la Chiesa non incalza la Fraternità, che, a settembre,
ha chiesto ancora tempo per rispondere, e invoca pazienza e fiducia nel
buon esito del confronto.Come a dire che la pace si farà, non si sa quando, ma si farà. La vuole
il papa che sulla ricomposizione della frattura, almeno in parte, si
gioca la riuscita del suo regno. Benedetto XVI ci ha messo la faccia,
liberalizzando la messa tridentina, revocando la scomunica ai vescovi
lefebvriani e riannodando i fili del dialogo dottrinale con i
tradizionalisti. Tante, troppe, discusse concessioni che per ora
hanno alimentato solo uno snervante tira e molla tra Roma ed Econe.I nodi del dibattito sono al pettine già tempo, dal dialogo
interreligioso al rapporto con l'ebraismo, dall'ecumenismo alla libertà
religiosa. In sostanza, in discussione c'è l'autorità del Concilio
Vaticano II. Ma è soprattutto sul legame con il popolo di Israele che la
Santa Sede sente l'urgenza di rassicurare chi, nel rientro dei
lefebvriani, scorge il rischio di una pesante marcia indietro.Nostra aetate
- la Magna carta per i cattolici del dialogo con il popolo di Israele, ndr
- non è minimamente rimessa in discussione dal magistero della Chiesa,
come il papa stesso ha più volte dimostrato, con i suoi discorsi, i suoi
scritti ed i suoi gesti personali nei confronti dell'ebraismo; un
riavvicinamento con la Fraternità sacerdotale San Pio X non significa
assolutamente che le posizioni di detta Fraternità vengano accettate o
appoggiate>. Ad affermarlo è il cardinale Kurt Koch,
presidente del Pontificio consiglio per l'unità dei cristiani,
intervenendo alla plenaria della Commissione per i rapporti religiosi
con l'ebraismo - organismo dello stesso dicastero -, svoltasi nei giorni
scorsi in Vaticano.Il pericolo che, una volta ricucito lo strappo, nella Chiesa si
riaffacci un certo antisemitismo è tutt'altro che remoto. Lo sanno bene
anche in Santa Sede, dove, come negli episcopati dell'Europa centrale,
non mancano le voci critiche su un'intesa con i tradizionalisti. A fine
ottobre ha fatto notizia l'espulsione dalla Fraternità del vescovo
negazionista, monsignor Richard Williamson. Poteva essere un segnale di svolta per l'avvio di una nuova fase con i fratelli maggiore nella fede.E, invece, ci ha pensato un comunicato del distretto italiano dei
lefebvriani a dare il giusto peso alla vicenda: . Più chiaro di così... La Chiesa cattolica
può ancora permettersi il lusso di illudersi?Giovanni Panettiere, http://blog.quotidiano.net/
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Designer, architetto, artista, filmaker. È difficile definire il talento
creativo dell'israeliano Arik Levy, che a 27 anni (oggi ne ha 49)
lascia a Tel Aviv un ufficio di design grafico e un negozio di surf per
trasferirsi in Svizzera, poi in Giappone e infine a Parigi, dove oggi
vive e ha il suo studio. Caratterizzati da una forte componente
sperimentale, i suoi lavori trovano in prestigiosi musei come nelle case
borghesi, attraverso oggetti e mobili realizzati per marchi come Vitra,
Baccarat, Molteni&C, Zanotta, Ligne-Roset.............
http://www.casa24.ilsole24ore.com/art/arredamento-casa/2012-11-06/basta-feste-design-duro-200135.php?uuid=Ab5Asg0G
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Curiosità
Cronaca di un’intervista poco ordinaria. Per il protagonista, Tomer
Hemed, israeliano di Haifa, e per le circostanze: ci siamo parlati e
guardati via Skype, e non eravamo soli. Nel salone di casa Hemed c’era
una donna, che non si è fatta vedere ma ha partecipato attivamente.
Madre, sorella, fidanzata, amica? Non c’è stato rivelato ma poco
importa. La donna interveniva, in ebraico o in inglese, quando Tomer
tentennava. Che si trattasse di questioni sociopolitiche, calcistiche o
di un termine in inglese che non arrivava, lei aveva le idee chiare e la
parola pronta.Cominciamo dalla famiglia. Come mai ha anche il passaporto polacco?“Perché i genitori di mia madre da li sono arrivati in Israele. Il
nonno ha combattuto contro la Germania, è stato ferito e in ospedale ha
conosciuto la nonna. Mia madre è nata in Polonia, poi tutti insieme si
sono trasferiti in Israele”.Lei è di Haifa.“Una città tranquilla nella quale convivono arabi ed ebrei, dove non
senti quasi le tensioni che caratterizzano la vita in altre città
israeliane. Si vive bene”.Quando da ragazzino ha cominciato a giocare, lo faceva solo
con ebrei o per strada, al parco, o dove giocava c’erano anche arabi?“Chiaro. Nella squadra dove sono cresciuto c’erano diversi arabi, ed
erano amici miei. E lo stesso è avvenuto poi al Maccabi Haifa: ci sono
sempre stati giocatori arabi, e ora di più. In generale, dico due cose: i
problemi sono nelle zone di confine, il resto d’Israele vive una realtà
più distesa; e in Israele il calcio può essere considerato una specie
d’isola felice all’interno della situazione di conflitto. Ci sono
squadre arabe in campionato, abbiamo arabi in nazionale. Il calcio è
sempre stato un veicolo d’integrazione e di distensione, col calcio
nascono amicizie e ci si conosce meglio”.
E cosa ha pensato leggendo le grandi polemiche sorte intorno
alla presenza di Gilad Shalit, il soldato israeliano, all’ultimo
Clasico?“Personalmente vedere Gilad Shalit alla partita mi ha fatto piacere, è
stata una bella cosa. Perché è stato 5 anni imprigionato fuori da
Israele, senza la famiglia, senza nessuno. È stato male, a lungo. Gli
piace lo sport, gli piace il calcio, mi è sembrato un bel gesto portarlo
a vedere la partita”.La cosa però nel mondo palestinese non è piaciuta, ne è nato un caso politico.“Sinceramente non vedo perché la cosa sia diventata un problema.
Questa è una persona che ha passato 5 anni molto brutti, perché non
dargli qualcosa di speciale? Non penso fosse necessario aggiungere
altro, appiccicare alla cosa un significato politico. È stato un bel
gesto e basta”.
Non tutti sono contenti del fatto che Israele ospiterà il prossimo Europeo Under 21.
“In Israele c’è grande attesa, è la prima volta che ci danno un
grande torneo e vedrete, sarà una bella manifestazione. È importante per
il nostro Paese”.Sarà pericoloso?“Io penso che in Europa si tenda a guardare verso Israele con timore
eccessivo, distorcendo la realtà. È chiaro che vicino al confine ci sono
problemi, tensioni e conflitti, è pericoloso. Però nel resto del Paese
non ti accorgi di nulla, pensi che tutto sia normale come nel resto del
mondo. Non è che noi israeliani ci svegliamo ogni giorno pensando che
succederà qualcosa di brutto. Si, ci sono città che sfortunatamente
vivono con la sensazione del pericolo costante, dove la gente è
preoccupata ma la gran parte del Paese vive diversamente, è tranquilla e
sicura. Io sono cresciuto ad Haifa e non l’ho fatto con paura, ho
vissuto una vita normale anche se è chiaro che ogni tanto qualcosa è
successo, come nel 2006, però non era una questione di tutti i giorni.
Io mi sentivo al sicuro. Gli Europei in Israele sono un bel segnale, e
sono sicuro che chi verrà se ne andrà con un’opinione diversa del nostro
Paese: un posto dove si può vivere, fare turismo e, ovviamente, giocare
a calcio”.Torniamo a lei, ha giocato il Viareggio.“Si, due volte col Maccabi Haifa. Nel 2005 siamo arrivati terzi,
battendo l’Inter nella finalina, ai rigori. Nel 2007 fuori subito”.Poi ha impiegato un po’ ad emergere.“Quando sono arrivato in prima squadra al Maccabi Haifa abbiamo vinto
il campionato, c’era da fare la Champions e c’erano un sacco di
giocatori buoni, io volevo giocare, fare esperienza così hanno
cominciato a prestarmi”.In tv quando lei era adolescente che campionati facevano vedere? E chi seguiva o tifava?“Facevano vedere tutti i grandi campionati d’Europa. A me piaceva il
Manchester United. E come giocatore Ronaldo, il brasiliano”.Posso dire che assomiglia a Van Nistelrooy?“Me lo dicono in tanti, qui in Europa. In Israele invece mi paragonano a Drogba. Bel complimento, mi piace il suo stile”.In Spagna è arrivato grazie a Dudu Aouate, portiere israeliano del Maiorca.“Cercavano un attaccante, Dudu gli ha suggerito di seguirmi e
provarmi. È andata bene. Prima stagione difficile per la lontananza
dalla famiglia e l’adattamento a un campionato molto più duro di quello
israeliano, ora mi sento meglio, sono più tranquillo e le cose girano
bene”.

FILIPPO MARIA RICCI,http://deportivolagazzetta.gazzetta.it/
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Curiosità
Festival Cinema Israele: Kolirin narra horror della routine
(ANSAmed) - Roma, 7 nov - ''Il mio e' un film horror senza
l'horror''. A parlare e' Eran Kolirin, regista israeliano di
grido, presente in questi giorni a Roma nell'ambito del Festival
del cinema israeliano e di argomento ebraico promosso
dall'Istituto Pitigliani. Il suo lungometraggio 'The Exchange',
proiettato alla Casa del Cinema, affronta il vuoto esistenziale
e la paura di vivere, che quotidianamente viene imbrigliata e
mascherata dalla routine. Ad ANSAmed, Kolirin racconta come e'
nato questo film, la sua seconda prova alla regia, e anche di
come affronta le aspettative di critica e pubblico, altissime
dopo il successo internazionale del suo primo lavoro, 'La Banda'
(2007).
''Dopo aver girato 'La Banda' ho viaggiato molto: promozione,
festival, presentazioni. Mi sono trovato spesso da solo, lontano
da casa e ho avuto parecchio tempo per riflettere sulla mia vita
e su quali siano per me gli elementi basilari del cinema. L'idea
successiva e' stata quella di costruire un film utilizzando
questi elementi. 'The Exchange' e' nato cosi'''.
Il film narra di Oded, un dottorando in fisica all'Universita'
di Tel Aviv, che all'improvviso si rende conto del vuoto della
propria esistenza e inizia a sfidare le convenzioni sociali con
comportamenti stravaganti e grotteschi. La componente ''horror''
di cui il regista parla e' costituita dalla routine che
scandisce la vita di ognuno, e dall'abisso sottostante. ''La
nostra esistenza - aggiunge Kolirin - e' costretta e plasmata
dall'architettura: il modo in cui una casa e' costruita
determina il modo in cui vive chi la abita. Allo stesso modo, se
una strada e' dritta, chi la percorre andra' dritto. Ma se si fa
un passo indietro e si osserva tutto cio', come fa il mio
protagonista, quello che emerge e' la paura di vivere''.
Il tono e' molto lontano da quello commovente e un po' buffo di
'La Banda': eppure, ''questi film si assomigliano molto'',
assicura Kolirin. ''Io sono la stessa persona, parlo delle
stesse cose. I paragoni tra i miei due lavori mi infastidiscono,
perche' spesso sono superficiali''. La reazione di pubblico e
critica nei confronti di 'The exchange' e' stata duplice. Lo
scorso anno, a Venezia il film e' stato accolto da molti
applausi, ma anche qualche fischio. Malgrado gli sporadici
'buu', tuttavia, questa seconda opera di Kolirin si iscrive
senz'altro in quel filone fortunato del cinema israeliano
contemporaneo che negli ultimi tempi sta spopolando in tutte le
principali rassegne internazionali. Un fenomeno che il regista,
premiato a Cannes e in molti altri festival, spiega come ''una
combinazione di due fattori. Da una parte, i film stessi: negli
ultimi anni in Israele ne sono stati girati di piu' e inoltre
nell'industria cinematografica e' in corso un ricambio
generazionale che porta una ventata di freschezza. Dall'altra
parte, in Europa il cinema israeliano e' diventato l'ultima
moda. Ma questo aspetto e' insidioso: le mode prima o poi
passano''.
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L'angolo del cinema
Voci a confronto
Commenti antisemiti sul blog di Beppe Grillo. La denuncia è di Gad
Lerner, preso di mira da alcuni frequentatori del sito con ripetuti
incresciosi epiteti a sfondo razziale. “Grillo – scrive Lerner su
Twitter – mi dedica nuovamente le sue attenzioni sul blog. Liberissimo,
per carità. Gli chiederei solo di cancellare il commento verme ebreo”. I
post vengono cancellati, ma restano le polemiche (Messaggero, Mattino).Decisamente superficiale la scelta della redazione di Repubblica che,
per titolare l’intervista all’attrice israeliana Hadas Yaron,
protagonista dell’attesissimo Fill the Void, inquadra il mondo
dell’ortodossia ebraica nella categoria “integralismi”. Intervista sul Foglio
a Naor Gilon, ambasciatore dello Stato di Israele a Roma. Vari i punti
sollevati dal diplomatico: dai rapporti “eccellenti” con l’Italia ai
nuovi rigurgiti di antisemitismo in Europa fino alla minaccia incombente
del nucleare iraniano. Di notevole interesse, sul Financial Times,
l’analisi di Geoff Dyer sul voto ebraico americano. Un voto che ha
registrato un lieve travaso repubblicano ma che, pur con meno slancio di
quattro anni fa, resta ancora saldamente democratico. Politica
mediorientale, infine: il dittatore siriano Assad rifiuta il
salvacondotto, ipotesi ventilata dal premier inglese Cameron, e annuncia
di essere pronto a morire a Damasco (Sole 24 Ore). http://moked.it/blog/
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Un
nuovo museo ebraico a Mosca

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Cultura
Poche parole nella vita
di tutti
Le Poste Italiane
emetteranno il 10 novembre un francobollo da 75 centesimi dedicato a
Primo Levi. Chissà quanti tra coloro che lo useranno (il francobollo
sarà commercializzato in quasi tre milioni di esemplari) faranno caso
alle parole iniziali di Se questo è un uomo che si leggono dietro il
ritratto dello scrittore, ma comunque quelle parole entrano
simbolicamente a far parte della vita di tutti. Il rapporto tra
dimensione individuale e collettiva della memoria è stato uno dei
numerosi temi trattati ieri da Mario Barenghi, docente di Letteratura
italiana contemporanea presso l'Università di Milano-Bicocca,
nell’annuale lezione organizzata dal Centro Internazionale di Studi
Primo Levi, dal titolo Perché crediamo a Primo Levi? Da ogni Lezione
Primo Levi (da questa come dalle tre degli anni precedenti) sono uscita
con la gioia stupita di aver scoperto qualcosa di nuovo in testi che
credevo di conoscere perfettamente. Una lezione così ricca di idee,
suggestioni e spunti per ulteriori riflessioni non può essere riassunta
in poche righe. In questo contesto vale la pena di notare, comunque,
che alcune di queste suggestioni potrebbero essere sviluppate
ulteriormente in ambito ebraico: per esempio, quando il prof Barenghi
ha sottolineato la concretezza determinata dall’uso di “questo”
(Considerate se questo è un uomo, Considerate se questa è una donna,
Meditate che questo è stato, Vi comando queste parole) mi è venuta in
mente l’Haggadà di Pesach: “Io faccio questo per quello che il Signore
fece a me quando io uscii dall’Egitto”.Anna
Segre, insegnante, http://www.moked.it/
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La vittoria di Barack Obama
alle presidenziali americane è alquanto imbarazzante per quanti in
Israele e nella diaspora ebraica hanno svolto un'accanita, amara e
perdente campagna di opinione a favore di Mitt Romney. Fra questi, Bibi
Netanyahu, il suo grande sostenitore Sheldon Adelson, e una certa parte
dalla stampa che si autoproclama filo-ebraica e filo-israeliana.
Nonostante l'indubbia erosione nel sostegno elettorale nei confronti di
Obama, 69 per cento degli elettori ebrei lo hanno votato (erano il 78
per cento nel 2008). Forse questi ebrei non capiscono nulla del loro
paese, gli Stati Uniti, o non capiscono nulla del proprio interesse di
ebrei. C'è solo da sperare che il rieletto presidente non sia un tipo
vendicativo, altrimenti potrebbe essere grave il danno politico e
d'immagine prodotto ai danni d'Israele da chi ha speso una fortuna e
non ha risparmiato basse e retoriche analogie a sostegno del rivale
repubblicano. A parziale consolazione di costoro: ancora solo quattro
anni, e poi Obama se ne andrà a casa. Sergio Della Pergola, univ Gerusalemme,http://www.moked.it/
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I giornali quotidiani danno ancora molto spazio all’esito delle elezioni
americane. Occhi puntati sulle reazioni del mondo alla riconferma del
presidente Barack Obama. Pochi sembrano i leader mondiali delusi dalla
sconfitta di Romney; tra questi viene annoverato il primo ministro
israeliano Benjamin Netanyahu (Alessandro Farruggia, Giorno-Carlino-Nazione).
Nonostante il pronto messaggio di congratulazioni inviato da Netanyahu a
Obama, circolano voci secondo cui il premier avrebbe imposto a ministri
e parlamentari dei partiti di governo di non rilasciare dichiarazioni
negative sulla rielezione di Obama (breve sulla Stampa). L’International Herald Tribune
pubblica un breve commento del professor Shlomo Avineri della Hebrew
University, secondo cui nonostante i disaccordi tra Netanyahu e Obama,
la cooperazione tra i due paesi sul fronte della sicurezza non è mai
stata così salda e Obama potrà raggiungere risultati importanti sullo
scacchiere mediorientale in questo secondo mandato. Che il dossier Medio
Oriente risulti il più incandescente tra quelli che si troverà sul
tavolo Obama sul fronte della politica estera è quanto spiegato anche da
Gilles Kepel su Repubblica.
Siria e Iran i fronti più complessi secondo l’analista, il quale
auspica che Obama, trattandosi del secondo mandato, possa “affrancarsi
dall’influenza delle lobby pro-israeliane”.“La mafia è un reato e chi venisse in piazza a celebrare la mafia
sarebbe prontamente fermato. Perché il fascismo invece viene scambiato
con un ideale, tollerato e permesso?” A domandarlo è un lettore del Fatto Quotidiano.
Furio Colombo ripercorre in risposta gli avvenimenti del funerale di
Pino Rauti e auspica una maggiore vigilanzacontro i fenomeni di nuovo
fascismo. http://moked.it/blog/
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Al via la
missione in Israele dei parlamentari italiani
È partita questa mattina
alla volta di Israele una delegazione composta da 18 deputati e
senatori di diversi schieramenti. La missione, al quarto appuntamento
nel corso dell'attuale legislatura, rientra nel quadro delle attività
dell'Associazione Parlamentare di Amicizia Italia-Israele e seguirà un
intenso programma di incontri e visite dal grande significato. Ad
accogliere la delegazione, questa sera a Tel Aviv, l'ambasciatore
d'Italia in Israele Francesco Talò.http://www.moked.it/
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Le Stazioni di Vertlib e il suo
treno della libertà
“Carissimi, vi scrivo questa
lettera, ma spero che quando vi giungerà avrete già ricevuto la notizia
della scomparsa di Rahil Solomonovna. Vi esprimiamo le condoglianze
nostre e di tutti i parenti e amici, di cui ormai ben pochi sono
rimasti... La nonna aveva ottantaquattro anni. Morì nell’autunno del
1993 dopo una lunga malattia e fra grandi sofferenze. La rividi
un’ultima volta prima che morisse, in occasione del primo viaggio nella
mia città natale, che avevo lasciato da piccolissimo”. Si apre così
Stazioni intermedie (La Giuntina, 282 pp.) dello scrittore austriaco di
origine russa Vladimir Vertlib: con il racconto del ritorno del
protagonista, da adulto, nel luogo che aveva lasciato a cinque anni
insieme ai genitori in cerca di una vita lontana dalle persecuzioni. È
proprio questo bambino, perennemente in viaggio e intrappolato fra
mondi, culture e lingue diverse, il protagonista del libro che ha
conquistato la XII edizione del Premio letterario Adelina Della
Pergola. Un libro dal forte sapore autobiografico in cui vengono
ripercorse le tappe della vita di Vertlib: dalla sua città di nascita,
Leningrado, nell’Ex Unione Sovietica, fino a Tel Aviv, passando per
Roma, Amsterdam, New York, Boston, fino ad approdare definitivamente in
Austria, dove lo scrittore vive ancora oggi dividendosi tra Vienna e
Salisburgo. “Il mio libro vuole raccontare come, attraverso l’ironia,
sia possibile superare situazioni di grande difficoltà e arrivare a
trovare se stessi – spiega Vertlib – Stazioni intermedie è anche
un’opera sull’identità ebraica: al centro vi è il destino da perseguire
nel microcosmo di una famiglia che fa di tutto per cercare un posto nel
mondo, sempre condizionata dal proprio ebraismo”. Tuttavia, nelle varie
stazioni intermedie (a ciascuna è dedicato un capitolo), la ricerca di
un paese in cui sentirsi a casa, di una patria, è vana, perché ciascun
luogo presenta un lato oscuro, in cui trovarsi bene è molto difficile.
E tuttavia, lo scrittore tiene a specificare che pur ritraendo
situazioni cupe, il suo libro non vuole trasmettere un messaggio
pessimista, “anzi l’ironia e l’autoironia diventano un modo attraverso
cui è possibile non soltanto sopravvivere, ma anche trovare il proprio
posto nel mondo, a dispetto del fato gravante sul popolo ebraico che
sembra essere quello di vagabondaggio e persecuzione, almeno fino alla
nascita di Israele. Penso che il libro sia ottimista perché nonostante
il tocco malinconico e il finale triste che hanno talvolta le storie,
ciascuna di esse, ciascuna tappa, insegna al bambino a crescere e ad
andare avanti”. Tanti i temi che Vertlib affronta nel volume, che è
stato pubblicato per la prima volta a Vienna nel 1999: la difficoltà
del viaggio e dell’emigrazione, la separazione dagli affetti, la
crudeltà delle burocrazie, le speranze così sistematicamente deluse.
Tanti e tali gli intrecci con quella che è stata la vita dell’autore,
da rendere inevitabile la domanda su quanto ci sia di autobiografico.
“Anche se la storia del protagonista assomiglia innegabilmente alla
mia, Stazioni intermedie rimane un romanzo – sottolinea Vertlib – Non
tutto quello che racconto è autentico, non tutto quello che racconto mi
accadde. Ciò che senz’altro non ho inventato è l’atmosfera di quegli
anni e, soprattutto, le mie emozioni di bambino, che rimangono scolpite
in modo indelebile nella memoria anche quando ho dimenticato i fatti. E
perciò, per quelle situazioni, ho ricreato episodi che ben si accordino
con i sentimenti che ricordo perfettamente di aver provato. Perché
talvolta un romanzo può essere più reale della verità”. r.t.
twitter @rtercatinmoked, http://www.moked.it/
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L'angolo della lettura
giovedì 8 novembre 2012

Gerusalemme,
la "città tre volte santa", offre sempre un panorama
antropologico e folcloristico di rara varietà, che include ebrei
ortodossi appartenenti ai più vari movimenti, religiosi cristiani di
ogni confessione e musulmani di diverso orientamento. L'occidentale
medio, ambasciatore o pellegrino, professionista o cooperante,
studente in visita o turista, ha un'innata attrazione per le fogge
dei preti, è quindi vittima di un'insolita attrazione per chi
indossa i vestiti tradizionali arabi e non manca mai di esprimere la
soverchia antipatia per pastrani, peyes (cernecchi) e shtreymel
(cappelli di pelo). Perché?Una
risposta plausibile risiede nell'inconscia influenza del romanticismo
orientalista, per cui il mito del "buon selvaggio" e della
frugale vita dell'indigeno attraggono chi ha ormai a noia i comodi e
artefatti costumi occidentali; così la cultura araba e in
particolare quella beduina accendono la passione dei sognatori
occidentali che vedono nelle ancestrali tradizioni sociali dei valori
che considerano persi in un occidente degenerato (solidarietà
sociale, legami famigliari, lavori tradizionali, culinaria tipica).
La seconda ragionevole risposta risiede in un mai placato
"antisemitismo occidentalista", che ha in particolare odio
l'ebreo che si veste come nella Polonia, Lituania o Ucraina del XVIII
secolo, perché l'immagine di barba, cernecchi e zucchetto evoca
atavici richiami antigiudaici.Nella
maggior parte delle persone le reazioni sono spontanee. L'occidentale
medio che va a Gerusalemme si indispettisce per il passo veloce degli
ortodossi, compiange le donne coperte da gonnoni, parrucche e
cappelli, si contorce in smorfie quando deve rispettare la loro
sensibilità sociale legata a una percezione molto castigata della
modestia. E' inutile spiegare che gli ortodossi corrono per non
sottrarre tempo allo studio, che la struttura sociale ortodossa è
complessa e opprimente ma non violenta e comunque in trasformazione,
che Meah Shearim è un quartiere a sé. Fioccano battute sui vestiti
e le barbe; si pronunciano sermoni di condanna contro la
sottomissione delle signore di cui si vede solo la parrucca; si
deridono le regole dello shabbath e quelle alimentari, ritenute
antiquate, vetuste ed eccessive; seccati si guardano uomini passare
in un giorno di festa con un cappello di pelo (lo shtreymel) sotto il
sole cocente, accrescendo l'astioso sospetto per un popolo di cui si
deve un po' diffidare. Pochi metri più in là, dove gli shtreymel
sono meno frequenti e lasciano il posto alle galabiye e le parrucche
camminano a testa bassa e passo svelto tra i veli delle donne arabe,
un trionfo di sorrisi compiaciuti ammira l'esotico spettacolo della
donna dal velo bianco e il vestitone nero ricamato di rosso al petto
che vende spinacette e menta seduta su uno straccio, degli uomini che
urlano dietro e davanti i banchi del mercato, dei bambini dalla pelle
ambrata che si ammassano a chiedere soldi e vendere cianfrusaglie.Tuttavia,
il disprezzo per l'ebreo ortodosso non è amore per la modernità,
poiché non si capirebbe il fascino per l'arabo tradizionale. La
compassione per l'oppressione delle donne ebree ortodosse non spiega
la condiscendenza quasi nostalgica verso il velo islamico. Le ragioni
sono più profonde, sono lontane, e ben rappresentate da
quell'orientalismo novecentesco che ha lasciato due maggiori eredità:
le simpatie romanticiste per gli arabi e il disprezzo occidentalista
per gli ebrei.Le
figure di Lawrence e Glubb Pascià sono ben ritratte in "Gerusalemme,
Gerusalemme", ma per capire la relazione con gli arabi e con gli
ebrei degli orientalisti di allora bisogna leggere Freya Stark, la
nobildonna inglese che aveva scelto Asolo, sui colli trevigiani, come
sua residenza. Affascinata dall'oriente arabo quando tutti i nobili
inglesi partivano per l'India, Freya Stark aveva iniziato la sua
brillante carriera di narratrice di viaggi negli anni '20. I suoi
libri, in particolare "Effendi", descrivono il Vicino
Oriente come un angolo di terra disastrato dagli ottomani, abitato da
pochi raffinati arabi educati in Europa e residenti perlopiù a
Damasco o Beirut, attraversato da molti fieri beduini e oggetto delle
"ridicole mire" dei sionisti. I suoi diari e le sue lettere
dimostrano come gli arabi la seducessero e come gli ebrei la
ripugnassero. Gli arabi vivevano in case con un giardino rinfrescato
da una fontana e da verdi piante; con gli arabi si sorseggiava il tè
alla menta o alla salvia recitando poesie; con i beduini si
attraversavano deserti e terre ostili sul dorso di un asino o di un
cammello mangiando zampe di capra bollite. Con "gli amici di
nazionalità ebraica" sembrava invece di stare in Europa, benché
fossero ancora attaccati a un antico oriente che non hanno mai
lasciato e in cui già erano "invisi alle popolazioni
circostanti".Nessuno
potrebbe ora scrivere qualcosa di così palesemente antisemita, ed è
per questo che leggere gli orientalisti del primo Novecento aiuta a
capire ciò che in molti pensano oggi, ma che preferiscono esprimere
con articolati artifizi retorici. In questo risiede l'antisemitismo
occidentalista, che esprime bene anche Singer nei suoi romanzi in cui
compaiono sempre figure di assimilazionisti anti-religiosi che
lamentano "l'attaccamento all'Oriente biblico". Così come
l'antisemita ritiene che la presunta estraneità dell'ebreo in
Occidente sia l'attaccamento all'oriente, così lo stesso antisemita
ritiene che la presunta estraneità dell'ebreo in Israele sia
l'attaccamento all'occidente, per ragioni di origine, politica,
cultura o società. E' così che si esprime l'antisemitismo nel
disprezzo dello shtreymel e nel fascino per la galabiya. Del resto
non deve stupire questo tipo di antisemitismo, quando in Europa si è
affermata la moda dello yiddishismo e della musica klezmer. Il mondo
dello shtetl, annientato dalla Shoah, esercita un fascino romantico
irresistibile: violinisti sul tetto, raccontastorie coi cernecchi,
barzellettieri con il pastrano, immagini che fanno svanire miseria,
paura, pogrom, violenza antisemita , discriminazione e emarginazione.Allo
stesso modo, le figure dell'arabo e del beduino costituiscono la vera
arma di seduzione che attrae i sogni romantici di chi vede
nell'indigeno il sopravvivere ostinato di una purezza tradizionale
che si contrappone alla modernità insopportabilmente occidentale,
sempre un po' americaneggiante, e fastidiosamente ebraica.Giovanni Quer,http://www.informazionecorretta.com/
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Cultura
di Khaled Abu Toameh http://www.israele.net/
Perfino il Presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas non
sembrava rendersi conto che stava aprendo un vaso di Pandora quando ha
detto giovedì scorso che non vuole tornare alla sua città natale di
Safed e che uno stato palestinese sarebbe costituito solo nella West
Bank, nella striscia di Gaza e a Gerusalemme est.I commenti di Abbas, fatti durante un’intervista con Channel 2, hanno
scatenato un’ondata di critiche senza precedenti da parte di molti
palestinesi ed arabi.Egli è accusato di “rinunciare al diritto al ritorno” per milioni di
profughi palestinesi e alcuni dei suoi rivali politici hanno addirittura
richiesto la sua esecuzione per “alto tradimento.”Quello che ha sorpreso Abbas è stato il fatto che le dure condanne non
venivano solo da Hamas e dai gruppi radicali palestinesi, ma anche da
altri palestinesi, tra cui alcuni dei suoi alleati politici dell’OLP.Semmai, le molteplici denunce mostrano che i palestinesi rimangono
fortemente opposti a qualunque tipo di concessioni ad Israele,
specialmente per quanto riguarda il “diritto al ritorno” dei profughi
alle case che avevano in Israele.Ma Abbas stesso è parzialmente responsabile del fatto che i palestinesi
sono stati radicalizzati fino al punto che vedono qualsiasi discorso
di compromesso con Israele come un atto di “alto tradimento.”Nel corso degli anni, Abbas ha ripetutamente dichiarato che il “diritto
al ritorno” è sacro ed è una “linea rossa ” che nessun palestinese
dovrebbe osare attraversare.In varie occasioni, lui ed altri alti funzionari PA hanno rassicurato i
profughi che la leadership palestinese non avrebbe mai abbandonato il
loro “sacro” diritto.Nonostante le rassicurazioni, gli oppositori di Abbas hanno continuato a
mettere in dubbio la sua vera posizione riguardo al “diritto al
ritorno." Il presidente PA è già stato criticato per essersi opposto ad
una terza intifada e per aver trasformato la sua organizzazione in un
“appaltatore” per lo stabilimento della sicurezza israeliana nella West
Bank.I suoi commenti a proposito dei profughi hanno ora fornito ai suoi
nemici palestinesi ed arabi ulteriori munizioni che saranno usate contro
di lui.Un Abbas sprezzante si è ora spostato in una posizione di controllo dei
danni di fronte alle crescenti proteste contro di lui e le sue
politiche.In una serie di dichiarazioni negli ultimi tre giorni, Abbas ha negato
con veemenza le accuse di aver abbandonato il “diritto al ritorno” dei
profughi.Giudicando dalla sua reazione, rimane l’impressione che Abbas rimpianga
di aver anche solo rilasciato un’intervista ad un organo dei media
israeliani.Il suo portavoce Nabil Abu Rudaineh, ha cercato di spiegare che
l’intervista con Channel 2 era volta soprattutto a “colpire l’opinione
pubblica israeliana.”In altre parole, il portavoce sta dicendo a palestinesi ed arabi che
Abbas dice agli israeliani quello che vogliono sentire –cioè che i
profughi palestinesi non ritorneranno alle loro vecchie abitazioni in
Israele.Abbas sta ora accusando Hamas di incitamento contro di lui sul problema dei profughi.Egli si vede come la vittima di una “cospirazione” escogitata insieme a
Hamas e al governo israeliano per vanificare il suo sforzo per
migliorare lo status di uno stato palestinese questo mese all’ONU.Eppure le spiegazioni di Abbas e i tentativi di chiarire la sua
posizione riguardo ai profughi sembrano fino ad oggi non essere state
recepite.I leader e i politici israeliani che si sono precipitati ad accettare i
commenti di Abbas probabilmente non si rendono conto di avergli causato
anche più danni tra i palestinesi e gli arabi.Molti palestinesi stanno ora dicendo apertamente che Abbas non ha un
mandato del suo popolo per fare concessioni ad Israele, particolarmente
sull’esplosivo caso dei profughi.Come ha spiegato un articolista palestinese, “Abbas non parla a nome dei
6.000.000 di profughi” quando dice che non vuole ritornare a Safed.La controversia sui commenti di Abbas significa che molti palestinesi
sono contrari alla richiesta di statalità che Abbas farà all’ONU alla
fine di questo mese. Egli cerca il riconoscimento dell’ONU di uno stato
palestinese “solo” entro le linee pre-1967 – un’idea cui molti
palestinesi ed arabi si oppongono perché vogliono “liberare tutta la
Palestina.”La richiesta di Abbas per uno stato potrebbe quindi tornare indietro
come un boomerang e rendere ancora più profonde le differenze tra i
palestinesi.Lo scandalo pubblico sui suoi commenti è una prova ulteriore che nessun
leader palestinese ha un mandato dal suo popolo per fare alcuna
concessione a Israele.(Da: Jerusalem Post, 04.11.12)
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Xbox arriva in Israele
Forse non lo sapevate, ma fino ad ora in Israele non era possibile comprare una Xbox 360, almeno non ufficialmente. Tuttavia, oggi Microsoft ha annunciato il lancio di Xbox 360 in Israele, a distanza di sette anni dal lancio originale dalla console. La notizia fa il paio con quella del via libera recentemente concesso dal governo cinese a PlayStation 3. La console Microsoft verrà lanciata il 21 novembre, come annunciato da una conferenza stampa tenutasi a Tel Aviv, completa del supporto locale per lingua, valuta, Xbox live e Kinect.L'annuncio è stato accompagnato da una bizzarra comparsa di Master Chief, che con una voce abbastanza grottesca ha esortato la platea a giocare Halo 4 "lasciando perdere i giochi da femminucce".http://www.key4biz.it/
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Curiosità
E' Haifa la nuova città santa di Israele?
Uno dei principali motivi per visitare Israele è sempre stato quello
religioso. Ma se pensate che sia solo Gerusalemme la città santa,
probabilmente non avete ancora visitato Haifa. Infatti,
se da un lato ebrei ortodossi, musulmani e cristiani si contendono, in
una difficile convivenza, i luoghi sacri all’interno delle vecchie mura
di Gerusalemme ad Haifa sorge il Centro mondiale degli adepti Bahá’í.Siamo a nord di Israele verso il Libano e Haifa sorge ai piedi del Monte Carmelo,
dove religione e storia si intrecciano di nuovo. E’ qui che, secondo la
Bibbia, il profeta Elia sconfisse un gruppo di profeti del dio Baal.
Oggi invece è il luogo santo dove i meravigliosi Giardini Bahá’í, inaugurati nel 2001, includono il maestoso Mausoleo del Bàb con una cupola alta 40 metri interamente ricoperta di oro 14 carati. Accanto a questa tomba, sorgono altri edifici: un centro studi in cui vengono tradotti nelle varie lingue i testi originali scritti dal fondatore Baha ‘u ‘llah conservati nell’archivio e la Casa Universale di Giustizia che ospita i 9 principali membri dell’alto consiglio dei Bahá’í.Per capire come ha avuto origine la religione Bahai ho incontrato a Milano due membri dell’assemblea locale, Shervin Setareh e Carla Castello. La fede Bahai è nata in Iran dove il suo fondatore, Baha ‘u ‘llah
(1817-1892) accettò la rivelazione del Bàb che nel 1844 affermò di
essere l’atteso Mahdi dell’Islam, una sorta di figura messianica già
presente nell’ebraismo. Fucilato nel 1850 e proclamato eretico, nella
maggior parte dei suoi scritti il Bàb accennò all’arrivo imminente di Colui che Dio renderà manifesto, promesso dalle sacre scritture e che avrebbe instaurato sulla Terra il regno di Dio. Baha ‘u ‘llah quindi si proclamò il promesso dal Babismo ed il Messaggero di Dio, l’educatore tanto atteso dall’umanità
per la realizzazione delle promesse escatologiche delle principali
religioni mondiali che prevedevano il sorgere di un salvatore come il
Cristianesimo, l’Islam, il Buddismo e altre ancora. Perseguitato dagli
Ottomani, ha trascorso l’ultima parte della sua vita imprigionato ad Akko
e successivamente al suo rilascio ad Haifa. Fu proprio qui che
impressionato dalla bellezza del Monte Carmelo, espresse il desiderio
che il Bab, il precursore della fede, fosse sepolto lì.Tra le tante curiosità, il numero 9 contraddistingue
molti punti chiave di questa religione. Nove sono i messaggeri di Dio
inviati nel corso di tutta l’umanità per rivelare progressivamente il
suo piano: Adamo, Abramo, Mosè, Zarathustra (tanto caro a Nietzsche), Krishna, Buddha, Gesù, Maometto e Bàb. Nella struttura spirituale e amministrativa, nove sono le persone che vengono elette come responsabili nelle varie assemblee. In quelle locali (come quella di Milano) e quelle nazionali vengono eletti annualmente. A loro volta questi 9 responsabili di tutte le assemblee nazionali ogni 5 anni si ritrovano ad Haifa per eleggere i nove principali membri dell’alto consiglio.
Anche nell’architettura questo numero assume caratteri quasi mistici.
Il tempio di Haifa ha nove porte al fine di rappresentare le maggiori
nove religioni del mondo e i giardini sono stati progettati in nove
cerchi concentrici. Il pellegrinaggio in questi luoghi, che ogni Bahá’í
sogna di poter fare almeno una volta dura nove giorni e ripercorre le
tappe fondamentali della predicazione e della vita di Baha ‘u ‘llah.I responsabili ci tengono a sottolineare che non sono una setta, che
non fanno proselitismo e accettano ogni altra forma religiosa, in quanto
ognuna è preziosa per la rivelazione dell’unico Dio avvenuta nei
secoli. La persona che si accosta alla fede Bahá’í ha così piena libertà
di accettare queste verità oppure di rifiutarle. Non c’è nessuna
scomunica, nessuna imposizione e nessun potere di controllo sulla vita
altrui. L’obiettivo è un processo di trasformazione dell’individuo,
tramite la preghiera, per poter aspirare all’unità spirituale con tutti
gli uomini. Senza annullare le diversità tipiche di ogni cultura
nazionale ma al contario risaltarle per arrivare ad apprezzarci come
cittadini dello stesso mondo. I Bahá’í sono benvisti anche per il loro
impatto positivo nel sociale. Cercare di far progredire l’umanità verso
la piena unità e armonia significa anche opporsi a tutti i sopprusi, le
violenze e le discriminazioni sostenendo la parità dei diritti fra
uomini e donne.
A dispetto di molte persecuzioni musulmane, in aperto contrasto con le teorie dei testi Bahá’í, in Israele il governo ha favorito lo sviluppo di questa religione.
Il comune di Haifa per creare simmetria con i giardini in costruzione
sul Monte Carmelo ha spostato una sezione della Ben Gurion Avenue di
1,86 metri per allinearla con le scale centrali delle Terrazze.
Dall’apertura dei giardini del 2001, tutto questo ha fatto lievitare il
numero di turisti diretti al Monte Carmelo. Negli ultimi anni Haifa
risulta così la sesta meta più visitata nello stato ebraico.Dubitare, rifiutare o accettare questo “nuovo” credo dipende dalla
sensibilità di ogni persona. Innegabile però è che questa religione
proclama la bellezza in tutte le sue sfumature. Basta aprire gli occhi
su questi giardini che si incastonano in un paesaggio sospeso tra la
montagna e il mare del porto di Haifa. Del resto il Baha ‘u ‘llah diceva
che la bellezza è il canale materiale per esprimere la gioia per se stessi e gli altri.L’ennesima meraviglia in Israele. Da scoprire.
http://www.linkiesta.it/
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