lunedì 19 aprile 2010


Sessantasette anni fa, il 19 aprile del 1943, vigilia di Pesah, i nazisti entrarono nel ghetto di Varsavia per deportare gli ebrei, circa sessantamila, che vi erano rimasti dopo le grandi deportazioni del 1942, quando oltre trecentomila ebrei erano stati deportati, per esservi subito assassinati, nel campo di sterminio di Treblinka. Iniziava la rivolta del ghetto, con le scarsissime armi fornite dalla Resistenza polacca e impugnate da un pugno di ragazzi, poco più di duecento. Il 16 maggio, il rogo della Sinagoga segnava la fine della rivolta, non restava più nulla del ghetto e dei suoi ebrei. Pochissimi i sopravvissuti, e fra loro Marek Edelman, fra i comandanti della rivolta, spentosi nell'ottobre 2009 in Polonia, straordinario narratore della vita del ghetto e della sua morte. Ma questo episodio di resistenza ebraica non fu l'unico: gruppi armati di resistenza agirono in sette dei grandi ghetti polacchi e in moltissimi di quelli minori. Rivolte armate furono tentate anche nei campi di sterminio: a Birkenau, a Chelmno, a Treblinka e a Sobibor. In questi ultimi campi, la rivolta riuscì a inceppare e a fermare la macchina della morte. Nulla è più lontano dal vero dell'immagine, tanto diffusa, degli ebrei portati come pecore al macello. Anna Foa,storica,http://www.moked.it/


Israele commemora le 23.000 vittime civili e militari

Gerusalemme,19-04-2010, http://www.rainews24.rai.it/
Israele commemora oggi le circa 23.000 vittime militari e civili degli attacchi compiut contro il suo stato. Il presidente israeliano Shimon Peres, nell'occasione, ha lanciato un appello alla comunita' internazionale affinche' non sottovaluti la potenziale minaccia del programma nucleare iraniano.Le cerimonie in Israele hanno avuto inizio ieri sera e continueranno fino a questa notte. Le sirene di avvertimento israeliane segneranno l'inizio delle celebrazioni odierne, che precedono di qualche ora le numerose cerimonie per il 62esimo Giorno dell'Indipendenza. In questa occasione, il segretario di Stato Usa, Hillary Clinton, ha detto che gli Stati Uniti "non avranno tentennamenti nella protezione della sicurezza di Israele".


Pesca in crisi nel lago di Tiberiade

Il governo israeliano ha deciso ieri di vietare per due anni la pesca nel lago di Tiberiade (dove secondo il Vangelo Gesù fece fare agli Apostoli una straordinariamente abbondante pesca miracolosa) al fine di ricostituirne il patrimonio ittico sul punto di esaurirsi. "E' importante - dice Netanyau - assicurare al Paese ottimi pesci e acqua di qualità" Nazione-Carlino-Giorno, 19 aprile 2010



Tel Aviv


Obiettivo sul pregiudizio

“Pregiudizi sugli ebrei pregiudizi degli ebrei”, l'incontro dibattito che si è svolto al Teatro comunale di Ferrara ha rappresentato il momento più significativo della prima giornata della Festa del Libro Ebraico in Italia in scena nella città estense fino a mercoledì 21 aprile e organizzata dal Museo dell'ebraismo italiano e della Shoah che sorgerà nel comprensorio di via Piangipane. “Quando abbiamo deciso di dedicare il dibattito ai pregiudizi ho pensato che forse il tema era superato - ha detto lo storico Riccardo Calimani presidente del Meis nell'aprire il dibattito cui sono intervenuti il giornalista Enrico Mentana, Gian Arturo Ferrari, presidente del Centro per il Libro e la Letteratura e Renato Manheimer presidente dell' Istituto sulla pubblica opinione (Ispo) - ma invece alcuni fatti di questi ultimi giorni, come alcuni interventi di autorevoli personaggi della Chiesa, ci hanno aiutato a far diventare rovente questo argomento”.A precedere il confronto di opinioni fra Mentana, Ferrari e Manheimer, un video in cui l'attore e regista Moni Ovadia ha stigmatizzato quelli che ritiene siano i peggiori pregiudizi sugli ebrei e degli ebrei, passando a raccontare come nell'attentato delle Torri gemelle si sia sostenuto che il Mossad avesse avvisato tutti gli ebrei di New York di non recarsi in quel giorno nelle torri, mentre in quell'attentato perirono 480 ebrei ossia il 20 per cento del numero totale. Secondo l'attore, infatti, il peggior pregiudizio sugli ebrei è quello che li ritiene 'potenti' mentre lamenta negli ebrei l'incondizionato appoggio alla politica di Israele e conseguentemente l'accusa di antisemitismo verso chiunque osi criticare lo Stato ebraico. “Il pregiudizio è universale e come tale va combattuto, i primi che lo devono fare sono gli ebrei che ne sono stati vittime nel corso della storia, usando la forza del pensiero - ha concluso Ovadia - La più grande risorsa degli ebrei è il pensiero critico occorre ritrovare un pensiero critico che non ci ha mai fatto difetto". “Chi è l'ebreo italiano, di che popolo fa parte?” si è domandato subito dopo Enrico Mentana, ritenendo che il pregiudizio nei confronti degli ebrei sia speculare a quello degli ebrei e che non ci sia in Italia un pregiudizio antisemita più di quanto sia presente il pregiudizio nei confronti di altre minoranze. Secondo Mentana è difficilissimo commisurarsi con le idee degli ebrei sugli ebrei “Perché gli ebrei richiedono di essere riconosciuti come uguali ma diversi, poiché questo fa parte dell'identità ebraica il vero pericolo è invece il pericolo "di una sovraesposizione degli ebrei e della tematica. Una 'troppezza' dell'essere ebreo che può, come reazione sbagliata, alimentare il pregiudizio", ma secondo il giornalista, in Italia non esiste un forte sentimento antisemita e neanche un forte sentimento antisraeliano. “Bisognerebbe invece esaltare la cultura ebraica, una cultura che fa parte del patrimonio italiano” ha concluso Mentana.“Riflettevo sulle cose che ha detto Mentana” ha osservato subito dopo Gian Arturo Ferrari “e c'è qualcosa che non mi convince nella specularità fra il pregiudizio nei confronti degli ebrei e quello degli ebrei "Sono - ha detto - due cose molto diverse. In tutta la società italiana non si ha la percezione chiara di quanto sia stato esteso e profondo il pregiudizio antiebraico. Auschwitz e la Shoah ancora non sono conosciuti bene. Ma quello che colpisce nella persecuzione rispetto ad altri popoli - e lo fanno pensare anche le parole del presidente dell'Iran, Ahmadinejad - è il binomio pregiudizio e annientamento".Secondo Ferrari non si può paragonare la Shoah a nessun altro genocidio, l'idea dell'eliminazione degli ebrei era presente già all'inizio del '900, il problema che angustiò queste menti era come farlo basti riflettere su un fatto “il culmine dello sterminio ebraico avviene nell'agosto del'1944, la Guerra allora era già persa perché allora accentuare il fenomeno? - si è domandato Ferrari – perché erano convinti che in questo modo avrebbero vinto la Guerra. Quello che ha caratterizzato queste pagine della Storia è l'assoluta incomparabilità con ogni altro avvenimento storico. Il desiderio di eliminazione totale del popolo ebraico è lo stesso che ha oggi Ahmadinejad”, ha concluso Ferrari, “per questo non lo si può sottovalutare”. Mannheimer ha individuato invece tre tipi di antisemitismo in Italia: uno "classico", e due "moderni". "Il primo è l'accusa agli ebrei di essere deicidi; gli altri due riguardano da una parte il fatto di essere potenti (11 per cento della popolazione) e dall'altra (il 12 per cento) invece di utilizzare la Shoah e le persecuzioni per difendere ad ogni costo la politica di Israele". Il sociologo ha così riassunto la questione: "Diciamo, come ha calcolato un giovane ricercatore, Leone Hassan, che c'è un 12 per cento della popolazione italiana che condivide i tre pregiudizi. Un dato 'ragionevole' ma nulla rispetto i pregiudizi verso altre etnie presenti in Italia e soprattutto a ciò che si muove in centro Europa. Possiamo sostenere che in Italia gli ebrei sono al centro della scala del pregiudizio: in testa ci sono altri". Manheimer ha poi sostenuto che il pregiudizio è più forte sia nelle parti estreme della politica nell'estrema destra e nell'estrema sinistra, con una prevalenza di quest'ultima che si attesta al 25 per cento del campione.Lucilla Efrati,http://www.moked.it/


Sette fratelli pieni di «fuego»

H anno tutti e sette nomi biblici e ognuno di loro la medesima passione: il flamenco moderno. Eccoli Elias, Judah, Joshua, Cristo, Israel, Aaron e Josue Vivancos, i sette fratelli spagnoli della danza, che si esibiranno al Teatro Smeraldo in uno show pirotecnico intitolato proprio 7 Hermanos, (dal 20 aprile al 2 maggio), tappa di una tournée che da tre anni li sta portando in giro per l'Italia e per il mondo, da Israele al Canada, dall'Olanda agli Stati Uniti.Novanta minuti senza intervallo e ritmati a colpi di punta e di tacco, di musica, di acrobazie e di fuego latino, per trascinare anche gli spettatori milanesi meno calienti in uno spettacolo che ha trasformato questa compagnia di famiglia in un fenomeno unico delle scene internazionali. «Facciamo gruppo dal 2004, ma in realtà balliamo insieme da quando siamo nati», racconta Cristo Vivancos che è stato uno dei finalisti nell'edizione televisiva di Amici di tre anni fa. «Nostro padre Pedro, che era un grande danzatore di flamenco, ha trasmesso a tutti i suoi trentanove figli, avuti da sette mogli diverse, la passione e la tecnica di questa danza: al mattino la nostra giornata cominciava proprio a colpi di tacco. Per questo è stato naturale per noi decidere, ad un certo punto della vita, di unire le forze e dar spazio al nostro dna».Non c'è soltanto flamenco in 7 Hermanos, ci sono sette ritmi per sette fratelli: ritmi urbani come break dance, funky, hip hop, rock, ma anche danza classica, tango e flamenco naturalmente, in un'esplosione di movimenti, di note e di suoni, visto che ad accompagnarli è una voce solista femminile, una band dal vivo e che anche loro suonano durante lo spettacolo strumenti in gran varietà. «Noi definiamo il nostro stile extreme flamenco fusion», spiega Elias Vivancos. «Un esempio? In una coreografia che abbiamo chiamato Amarte ci ispiriamo alla Toccata e fuga in re minore di Bach, in un'altra, Hombres, danziamo contemporaneamente tango e buleria, che è un altro genere del flamenco». I numeri nascono un po' per tecnica e un po' per caso. «Abbiamo due miti: nostro padre e Roberto Bolle», racconta Cristo Vivancos. «Ma anche osservando la persone che camminano per strada copiano alcuni movimenti, certi ritmi che finiscono dritti nei nostri spettacoli». Il resto è tutto made Vivancos, ovvero fanno tutto loro, dalla musica alla coreografica al disegno delle luci, unendo esperienze professionali opposte e complementari: c'è chi, per esempio, come Israel ha danzato per molti anni accanto a Joaquin Cortes, chi come Aaron è stato a lungo il primo ballerino dello Scottish Royal Ballet, e chi come Joshua è considerato uno dei ballerini di flamenco più bravi al mondo. Tutti, comunque, suonano almeno due strumenti e parlano quattro lingue. Ma è ovvio che le emozioni più grandi, su e giù dal palco, le trasmettono battendo i piedi. Non per capriccio, ma per innato amore della danza. 18 aprile 2010, http://www.ilgiornale.it/


Museo delle luci

2 PALESTINESI UCCISI DA LORO STESSO ORDIGNO A GAZA

(AGI) - Gaza, 18 apr. - Due palestinesi di circa 20 anni sono stati uccisi dall'esplosione accidentale di un ordigno che stavano tentando di piazzare vicino al confine con Israele. Lo riferisce il capo dei servizi medici di emergenza di Gaza, Muawiya Hassanein che ha individuato i due in Ayman Abu Khawsa e Naji al-Nabahin. La deflagrazione e' avvenuta nel campo profughi di Bureij .


Alta Galilea: ponte "Figlie di Giacobbe" 1913

Dal Libano l’ultima beffa per l’Occidente

Tutti col numero sulla maglietta, il primo ministro Saad Hariri tutto sudato nello sforzo di fare gol mentre invece andava a rete solo Naim Gemayel, figlio di Bashir, il capo maronita assassinato, che si è detto tuttavia contento di giocare insieme agli Hezbollah che ha sempre criticato: questa è stata la scena idilliaca che martedì a stadio chiuso i politici libanesi hanno rappresentato per commemorare il 35º anniversario della terribile guerra civile che ha contrapposto le numerose fazioni, e la pretesa riconciliazione. Ma già venerdì, a una sessione del “dialogo nazionale”, di fronte alle altre fazioni gli Hezbollah (13 eletti e tre ministri nel governo Hariri) rivendicavano il possesso del loro esercito privato sostenendo che «il Libano non ha alternativa se non la resistenza» ovvero la guerra contro Israele, ormai ritiratosi dal 2000. Il segnale più immediato di pericolo per il Libano oggi si chiama Scud, un tipo di missile che porta una tonnellata di esplosivo e può raggiungere ogni parte di Israele, missile che, secondo fonti arabe e israeliane ha raggiunto per iniziativa siriana le mani degli Hezbollah. Gli americani hanno cercato ieri di gettare acqua sul fuoco di questa notizia, dicendo che si sa che i missili si erano mossi ma non si sa se sono arrivati, o arrivati tutti, nelle mani degli Hezbollah. Ma non si vede davvero quale altra destinazione avrebbero potuto raggiungere, anche se gli americani, pur cercando di tenere bassi i toni, stanno prendendo contromisure.Lo Scud è minaccioso per l’attuale situazione libanese, almeno quanto lo è per Israele. Oltre ai circa 40mila missili e alle altre armi ormai disseminate in tutto il sud del Libano, gli Hezbollah possiedono adesso, per iniziativa iraniana e con l’aiuto indispensabile dei siriani, il missile che Saddam Hussein usò per colpire Tel Aviv. Hezbollah oggi è parte del governo Hariri, e il ministro della Difesa Ehud Barak ha dichiarato che un attacco dentro i confini di Israele renderebbe necessaria una risposta israeliana che coinvolgerebbe le infrastrutture di tutto il Libano. Il riarmo massiccio degli Hezbollah è prima di tutto un insuccesso per la politica mediorientale degli Usa e dell’Europa, che si erano proposte con visite e accordi, di strappare la Siria all’asse iraniano. Mercoledì, prima della marcia indietro di ieri, il Dipartimento di Stato, tramite il portavoce P.J. Crowley, ha detto che la consegna degli Scud da parte della Siria «mette il Libano in serio pericolo». Il giornale kuwaitiano Al Rai Al Aam, riferisce che i siriani hanno anche allenato gli hezbollah nell’uso degli Scud. E si sa anche che un gruppo di senatori americani mette in forse la partenza dell’ambasciatore Robert Ford che avrebbe dovuto riaprire la sede diplomatica di Damasco, chiusa da cinque anni. L’amministrazione Obama è così costretta a tornare sui suoi passi, e a mettere in forse la politica di apertura alla Siria. Gli Hezbollah dapprima hanno ammesso la consegna pur dicendo che si tratta di inutilizzabili ferri vecchi, mentre la Siria ha seguitato a negare tutto. Poi il vice di Nasrallah, Naim Qassem, ha solo detto che sono fatti degli hezbollah, che ha tutto il diritto di essere armato. Il tono belligerante conferma le preoccupazioni degli analisti che prevedono che la Siria e gli Hezbollah, oltre ad Hamas, su input iraniano stiano organizzandosi per una guerra che potrebbe coinvolgere tutta l’area mediorientale.Assad ha respinto in questi mesi il reiterato tentativo israeliano di incontri trilaterali tramite l’Undolf, la forza di pace dell’Onu in Golan, sulle questioni del confine. A febbraio durante un vertice a Damasco fra Ahmadinejad, Assad e Nasrallah, il rais siriano ha irriso l’intenzione dell’amministrazione americana di strappare la Siria dall’alleanza con l’Iran. Nel 2006 la Siria affiancò gli Hezbollah nella guerra contro Israele, il supporto di Damasco per la “resistenza” è stato ripetuto all’incontro della Lega Araba in Libia alla fine del mese scorso: Assad vi ha esortato Abu Mazen a «prendere le armi contro Israele», e tutto il mondo arabo a rompere. In febbraio, dopo l’incontro strategico di Damasco, nella ricorrenza della celebrazione del suo pantheon di eroi (Ragheb Harb, Abbas Mussawi e Imad Mughnyye) Nasrallah ha disegnato la sua nuova strategia mettendo in mostra la nuova potenza missilistica dell’organizzazione: «Se bombarderete l’aeroporto Rafi Hariri, noi bombarderemo il Ben Gurion; se bombarderete i porti, noi bombarderemo i porti; se bombarderete le fabbriche, le raffinerie, gli impianti generatori di energia... noi faremo altrettanto». La promessa iraniana di distruggere Israele insomma non consta solo della costruzione della bomba atomica, che ormai gli esperti giudicano imminente, ma anche di un fronte ben armato e coordinato legato a Teheran.
di Fiamma Nirenstein, 18 aprile 2010,http://www.ilgiornale.it/


L'Olp nega negoziati segreti con Israele

Lo ha detto Erekat dopo un incontro con Moussa (Lega araba)
ANSA) - IL CAIRO, 17 APR - L'Olp smentisce l'esistenza di negoziati segreti fra Israele e palestinesi in sostituzione di quelli indiretti proposti da Washington. ''Vi invito a non prestare attenzione alle voci israeliane che non sono vere'' ha detto Saeb Erekat, capo del dipartimento per i negoziati dell'Olp, al termine di un incontro con il segretario della Lega araba, Moussa. Erekat ha aggiunto che il 95% dei colloqui israeliani si svolge all'esterno dell'aula per i negoziati e arrivano poi all'opinione pubblica.


Milano: scritte anti-Israele

Riportano slogan ''Via Israele'' e ''Palestina libera''
(ANSA) - MILANO, 17 APR - Diverse scritte e volantini anti-Israele sono comparse questa mattina in via Tadino a Milano. Una scritta, ''Palestina libera'', e' stata fatta con una vernice rossa sul marciapiede, mentre diversi volantini con le frasi ''via Israele'' e ''Israele assassina'' sono stati affissi su alcuni pali della luce. Sul posto sono intervenuti i carabinieri del Nucleo informativo di Milano.

domenica 18 aprile 2010


Simon Wisenthal
I dieci nazisti più ricercati del mondo

18 aprile 2010 Roberto Scarcella, http://ilsecoloxix.ilsole24ore.com/
LI CHIAMANO “Most Wanted”, come i fuorilegge introvabili del Far West, eppure molti di loro sono già stati scovati, identificati e processati per i loro crimini vecchi più di sessant’anni. Sono persone ormai anziane, anzi - nessuno si offenda - sono vecchi: novantenni, centenari. In alcuni casi la data di nascita va talmente indietro nel tempo che si pensa siano morti. Ma finché non c’è certezza, il centro Simon Wiesenthal continuerà a inseguirli, stanarli, portarli davanti a un giudice. Loro sono i criminali nazisti ancora in vita che non hanno pagato le loro colpe. Vecchie e nuove fughe più o meno rocambolesche, cambi di nome, cittadinanza e residenza grazie all’aiuto di burocrati compiacenti, ottusi o molto più facilmente corrotti. E poi giudici compassionevoli convinti dall’età avanzata degli imputati o avvocati difensori senza scrupoli che speculano su ogni cavillo. Anche se il cliente ha ucciso o fatto uccidere, dieci, centi, diecimila civili che in tempo di guerra avevano avuto la sfortuna di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. Punire chi ha incarnato più di ogni altro il Male nel XX secolo e per decenni l’ha passata liscia: è questo il senso della lista dei ricercati diramata e aggiornata - ad aprile, come ogni anno - dal Centro Wiesenthal.Un nome, Wiesenthal, che è una garanzia. Simon Wiesenthal, morto nel 2005, era un sopravvissuto all’Olocausto che dedicò il resto della sua vita a raccogliere informazioni sui criminali nazisti. Era un “cacciatore di nazisti”: una definizione che lui amava fino a un certo punto, ma che gli calzava a pennello.Ora a continuare il suo lavoro sono i suoi discepoli: gente che magari all’epoca del nazismo nemmeno era nata, ma che è animata dallo stesso sentimento di rivalsa, o meglio di giustizia, del vecchio Simon. Tra questi c’è Efraim Zuroff, newyorchese, 60 anni. È lui il direttore del Centro, è lui che mette la firma sul “Report”, depennando chi è morto e chi finalmente ha pagato su questa terra, messo dietro alle sbarre nonostante l’età, perché finalmente “colpevole”.La lista dei criminali nazisti non ancora colpevoli per la giustizia degli uomini è ancora lunga. Dal 2009 a oggi ne sono morti due nella Top Ten dei “Most wanted”, ma al Centro Wiesenthal non si arrendono, li rimpiazzano con altri nazisti. Dicono sia un buon modo per tenere viva la memoria, ma loro agiscono come veri detective. Non si arrendono, ad esempio, all’idea che Alois Brunner, braccio destro di Adolf Eichmann, sia morto. Non hanno le prove, e allora vale sempre la pena di cercarlo, anche se oggi, se fosse vivo, avrebbe 98 anni. Lo stesso alone di mistero circonda uno dei tanti Dottor Morte dei campi di concentramento: Aribert Heim. Non si sa dove sia, ma ci sono documenti relativamente recenti che fanno credere possa essere ancora nascosto in Egitto.Poi c’è Adolf Storms, sfuggito ai cacciatori di nazisti e trovato l’anno scorso da uno studente che - molto semplicemente - ha cercato il suo nome in un elenco telefonico. C’è il poliziotto che sterminava le spie, quello che non sopportava gli zingari e quello che ammazzava senza fare distinzioni. Gente che ha sulla coscienza massacri che si sono portati via città intere, come Peter Egner, responsabile dell’eccidio di 17.444 civili. È ancora vivo, e gli Usa, a cui chiese la cittadinanza, non hanno detto no. È “solo” il numero otto della lista.Il numero uno è Sandor Kepiro, 96 anni: un ufficiale ungherese che organizzava omicidi di massa in Serbia. Era il lontano 1942: condannato nel 1946, scappò; quando lo ritrovarono , l’Ungheria non volle considerare la pena di allora adatta ai tempi di oggi. Il nuovo processo, iniziato nel 2007, non è ancora finito, disperso tra i faldoni dei giudici. Ecco a che serve la lista Wiesenthal: non dimenticare.


Quei libri del «popolo del Libro» valgono milioni

Talmud, Torah e antichi incunaboli: a Ferrara una mostra con i testi più preziosi della cultura ebraica
Bibliofilia: poteva non cascarci il «popolo del Libro», gli ebrei? La prima edizione della «Festa del libro ebraico in Italia» - a Ferrara da oggi fino al 21 aprile - è l’occasione giusta per toccare con mano (e per quanto riguarda i due incunaboli esposti, solo con gli occhi) la millenaria corrispondenza di amorosi sensi tra i discendenti di Abramo e la pagina scritta, quella stampata in particolare. È una storia colma di passioni, di episodi romanzeschi (l’acerrima lotta tra gli editori Giustiniani e Bragadini intorno a un’edizione low cost di Maimonide) e di eventi tragici (diversi roghi del Talmud).«Il primo libro a stampa in ebraico - ci racconta Gadi Luzzatto Voghera, curatore della Mostra del libro antico all’interno della rassegna - vide la luce a Roma nel 1460, ma purtroppo non se ne è conservata nessuna copia, solo la notizia. A Reggio Calabria, invece, nel 1475, ne venne stampato un altro di cui ancora oggi esiste un esemplare. Fino al Seicento l’Italia è stata il luogo elettivo dell’editoria israelita, nonostante agli ebrei fosse interdetta qualsiasi attività artigiana: nelle tipografie potevano mettere capitali e cultura, ma non il proprio nome. Ad ogni modo, di incunaboli in ebraico se ne conservano oggi una quarantina di esemplari, mentre abbiamo migliaia di copie di centinaia di titoli stampati nel Cinquecento».Tutto questo accadeva in un secolo e mezzo tra i più difficili nella storia degli ebrei: dopo la loro espulsione dalla Spagna, nel 1492, dovettero abbandonare prima la Sicilia, che era aragonese, e poi il resto della penisola. Concilio di Trento e Controriforma aggravarono il clima. Quando, a Venezia a metà del Cinquecento, Giustiniani e Bragadini si accusarono a vicenda di concorrenza sleale per l’edizione del Mishnè Torà di Maimonide, la Commissione Pontificia a cui i due si erano rivolti per dirimere la questione non trovò di meglio che ordinare il rogo per i libri in questione e per diversi altri ritenuti «offensivi della tradizione cristiana». Nel 1553 più di diecimila tomi stampati in ebraico furono dati alle fiamme dai cristiani e contestualmente veniva proibita la pubblicazione del Talmud. Gli ebrei italiani, pur di continuare a studiarlo, vennero incontro alla censura cattolica espungendo alcuni brani «sensibili» e definendo così una tradizione di testi ben diversa da quella che si continuò a studiare in Germania e nell’Europa orientale.Alla Mostra è esposta anche la prima traduzione in spagnolo della Bibbia (Ferrara, 1553), eseguita non per i cristiani ma per i «marrani», gli ebrei spagnoli convertiti a forza al cristianesimo ma che nel loro intimo restavano ancora fedeli alla loro religione d’origine. Emigrati a Ferrara, Venezia, Ancona o in Toscana, avevano perso la conoscenza dell’ebraico e non gli rimaneva che questa «Biblia en lengua espanola, traduzida palabra por palabra... vista y examinada por el officio dela Inquisicion». L’approvazione dell’Inquisizione, però, fu un artificio per permetterne la circolazione: si tratta a tutti gli effetti di una Bibbia ebraica dove il nome di Dio, come da comandamento, non viene mai nominato (vi si legge, per esempio, «Dio» anziché «Dios» che è il castigliano corretto). Altro libro in esposizione è il primo Talmud stampato a Venezia (1520) da Daniel Bomberg, un protestante, che senza volerlo fissò il canone di questo testo che fino ad allora era meditato solo in manoscritto: ancora oggi le versioni digitali su Internet seguono l’impaginazione e i paragrafi di questa prima edizione.Sono solo pochi esempi (alla Mostra ne troverete un’altra ventina) di quanto vivo sia il mondo bibliofilo ebraico. L’anno scorso, per fare un altro esempio, quando il mercante di diamanti Jack V. Lunzer mise all’asta da Sotheby’s il suo «Valmadonna Trust» (13mila libri ebraici, a stampa o in manoscritto, da vendersi solo nella sua interezza oppure niente), molti cuori e portafogli di investitori entrarono in fibrillazione. Il prezzo: tra i quaranta e i cinquanta milioni dollari. Ma la rivalutazione, nei secoli, è certa. di Tommy Cappellini, 18 aprile 2010, http://www.ilgiornale.it/


Vigilia d'Indipendenza

Come si formano gli Stati? Nella maggior parte dei casi per via di guerre di conquista. E' il caso dell'Italia, della Germania, più anticamente della Francia e della Gran Bretagna, della Russia e della Spagna, unificati da dinastie che badavano per lo più al loro interesse dinastico, anche se magari non erano "indifferenti al grido di dolore" del paese oppresso dagli stranieri, come disse Carlo Alberto. Le eccezioni a questa nascita giustificata esclusivamente dalla forza sono rare: stati che proclamano la loro indipendenza sulla base di principi, che giustificano la loro istituzione con una dichiarazione approvata democraticamente. E' il caso degli Stati Uniti con la grande prosa di Thomas Jefferson : "Noi riteniamo che sono per se stesse evidenti queste verità: che tutti gli uomini sono creati eguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti sono la Vita, la Libertà, e il perseguimento della Felicità; che per garantire questi diritti sono istituiti tra gli uomini governi che derivano i loro giusti poteri dal consenso dei governati; che ogni qualvolta una qualsiasi forma di governo tende a negare questi fini, il popolo ha diritto di mutarla o abolirla e di istituire un nuovo governo fondato su tali principi e di organizzarne i poteri nella forma che sembri al popolo meglio atta a procurare la sua Sicurezza e la sua Felicità". Ed è il caso del testo più sobrio letto sessantadue anni fa, il 5 di Iyar del 5708, da Ben Gurion: "In Eretz Israel è nato il popolo ebraico, qui si è formata la sua identità spirituale, religiosa e politica, qui ha vissuto una vita indipendente, qui ha creato valori culturali con portata nazionale e universale e ha dato al mondo l'eterno Libro dei Libri. Dopo essere stato forzatamente esiliato dalla sua terra, il popolo le rimase fedele attraverso tutte le dispersioni e non cessò mai di pregare e di sperare nel ritorno alla sua terra e nel ripristino in essa della libertà politica. Spinti da questo attaccamento storico e tradizionale, gli ebrei aspirarono in ogni successiva generazione a tornare e stabilirsi nella loro antica patria; e nelle ultime generazioni ritornarono in massa. Pionieri, ma'apilim e difensori fecero fiorire i deserti, rivivere la loro lingua ebraica, costruirono villaggi e città e crearono una comunità in crescita, che controllava la propria economia e la propria cultura, amante della pace e in grado di difendersi, portando i vantaggi del progresso a tutti gli abitanti del paese e aspirando all'indipendenza nazionale". E' un testo importantissimo e che merita di essere studiato nei dettagli. Nei paragrafi successivi ci si richiama al sionismo e ai suoi programmi congressuali, si citano come fonti legittimanti la dichiarazione Balfour e forse per l'unica volta al mondo, una decisione dell'assemblea dell'Onu: "L'Assemblea Generale chiedeva che gli abitanti di Eretz Israel compissero loro stessi i passi necessari da parte loro alla messa in atto della risoluzione. Questo riconoscimento delle Nazioni Unite del diritto del popolo ebraico a fondare il proprio Stato è irrevocabile. Questo diritto è il diritto naturale del popolo ebraico a essere, come tutti gli altri popoli, indipendente nel proprio Stato sovrano". Si proclamano i principi politici democratici (“Lo Stato d'Israele sarà aperto per l'immigrazione ebraica e per la riunione degli esuli, incrementerà lo sviluppo del paese per il bene di tutti i suoi abitanti, sarà fondato sulla libertà, sulla giustizia e sulla pace come predetto dai profeti d'Israele, assicurerà completa uguaglianza di diritti sociali e politici a tutti i suoi abitanti senza distinzione di religione, razza o sesso, garantirà libertà di religione, di coscienza, di lingua, di istruzione e di cultura, preserverà i luoghi santi di tutte le religioni e sarà fedele ai principi della Carta delle Nazioni Unite"). Si propone, nonostante l'aggressione in corso, la pace ai nemici che cercavano di distruggere Israele alla nascita e ancora lo fanno ("Facciamo appello - nel mezzo dell'attacco che ci viene sferrato contro da mesi - ai cittadini arabi dello Stato di Israele affinché mantengano la pace e partecipino alla costruzione dello Stato sulla base della piena e uguale cittadinanza e della rappresentanza appropriata in tutte le sue istituzioni provvisorie e permanenti. Tendiamo una mano di pace e di buon vicinato a tutti gli Stati vicini e ai loro popoli, e facciamo loro appello affinché stabiliscano legami di collaborazione e di aiuto reciproco col sovrano popolo ebraico stabilito nella sua terra. Lo Stato d'Israele è pronto a compiere la sua parte in uno sforzo comune per il progresso del Medio Oriente intero").Con tutte le difficoltà di una storia tormentata e tutte le oscillazioni di una politica democratica, soprattutto nonostante i costi umani di un'aggressione subita ininterrottamente da allora e che ci obbliga a tenere nella giornata di oggi il lutto delle vittime, prima di poter festeggiare l'indipendenza, Israele ha tenuto fede alla sua dichiarazione, si regge ancora oggi sui valori di allora e conduce in sostanza la stessa grande politica disegnata dalle parole di Ben Gurion. Purtroppo l'appello al buon vicinato non è mai stato veramente raccolto, perché esso presuppone l'accettazione del "sovrano popolo ebraico stabilito sulla sua terra", che gli arabi rifiutano e una volontà di "collaborazione e aiuto reciproco" che è negata anche nell'odio da coloro che hanno firmato accordi di pace con Israele. Da parte nostra, di ebrei della Diaspora, non ci resta che continuare ad adempiere alla nostra parte del compito, com'è descritta nell'ultima frase del documento: "Facciamo appello al popolo ebraico dovunque nella Diaspora affinché si raccolga intorno alla comunità ebraica di Eretz Israel e la sostenga nello sforzo dell'immigrazione e della costruzione e la assista nella grande impresa per la realizzazione dell'antica aspirazione: la redenzione di Israele". E di essere fieri di una formazione politica che nella sua essenza, è la più democratica e motivata nei principi che ci sia oggi al mondo.Ugo Volli, http://www.moked.it/


Lech Kaczynski

Varsavia, l'omaggio a Lech Kaczynski

La popolarità di Lech Kaczynski, il presidente della Polonia scomparso insieme ad alcuni tra i principali esponenti del governo nella tragedia aerea di Smolensk, era in calo costante. Lo rivelano recenti sondaggi che evidenziano come fosse sempre meno apprezzato il suo modo autoritario e poco disposto al compromesso di esercitare il potere. Ma adesso che Kaczynski è morto, i sondaggi indigesti hanno lasciato spazio al dolore di un paese sotto choc e dal futuro politico incerto. Le piazze si sono riempite di gente commossa, piccoli e grandi memoriali improvvisati sono sorti agli angoli delle strade. Il tutto mentre è partito il countdown per i funerali di stato che si celebreranno nel pomeriggio di oggi nella basilica di Cracovia. Tra i più scossi dai luttuosi accadimenti il premier liberale Donald Tusk, che ha parlato della “più grande sciagura per il nostro paese dalla fine della guerra in poi”.Lech Kaczynski è stato un uomo su cui tanto si è discusso e su cui tanto si continuerà a discutere anche in futuro. Insieme al fratello gemello Jaroslaw era stato il fondatore di Legge e Giustizia, partito ultraconservatore e populista per lungo tempo prima forza politica del paese. Più volte accusato di avere idee omofobe e xenofobe, Lech si definiva un euroscettico convinto. Uno dei suoi cavalli di battaglia era: “Contro l´Unione Europea e se necessario contro lo stesso eroe della rivoluzione Lech Walesa”. Ma aldilà di alcune miopie politiche evidenti (condizionate in particolare dalle pressioni esercitate dal fratello Jaroslaw), gli va riconosciuto un grande merito: quello di aver sempre cercato il dialogo con la comunità ebraica polacca. Un dialogo assolutamente non scontato in un paese che ha più volte cercato di condannare al silenzio quegli scomodi eredi di un passato orrendo.Gli ebrei polacchi consideravano Kaczynski un loro amico. E lui ricambiava questo sentimento con gesti concreti e parole di apertura, anche perché riteneva l’emancipazione della minoranza ebraica tra i simboli più evidenti di una nazione che cercava di lasciarsi alle spalle il capitolo doloroso e mai totalmente rimosso della liberticida dittatura comunista. Kaczynski, per suggellare questo clima di reciproca fiducia, nel dicembre del 2008 si era reso protagonista di un episodio dai mille risvolti simbolici: la visita alla sinagoga Nozyk di Varsavia. Primo presidente nella storia della Polonia a varcarne la soglia, il suo ingresso era stato accolto dagli applausi. In quella stessa sinagoga, una settimana fa, centinaia di persone si sono ritrovate per una cerimonia commemorativa in suo onore. Kaczynski intratteneva ottimi rapporti con i principali leader ebraici polacchi. In particolare con il rabbino capo Michael Schudrich, che nel 2008 lo aveva accompagnato in visita al memoriale di Katyn. In quel luogo maledetto dalla storia il presidente gli aveva mostrato una targa che ricordava Baruch Steinberg, rabbino delle forze armate che vi aveva perso la vita insieme agli altri soldati prigionieri dei russi. Rav Schudrich rimase profondamente colpito dal suo gesto: “Ci teneva moltissimo che io vedessi quella targa. Ci fermammo in raccoglimento e pregammo in silenzio per alcuni minuti”. Il ricordo di Schudrich è affidato ad una lettera pubblicata sul Jewish Chronichle in cui si elencano alcuni meriti di Kaczynski, tra cui quello di essere stato il primo presidente ad aver creato una cerimonia speciale per ricordare i Giusti tra le Nazioni polacchi e quello di aver promosso la costruzione del museo ebraico di Varsavia. La lettera firmata da Schudrich ha un titolo emblematico: “We lost a friend”. Kaczynski era anche un sincero alleato di Israele. La sua vicinanza alle sorti dello stato ebraico l’aveva dimostrata sul campo. Ad esempio recandosi in Israele pochi giorni dopo la fine delle guerra con il Libano e contribuendo alla creazione di solide relazioni strategiche tra i due paesi. In prima fila tra gli oppositori di Ahmadinejad, considerava Ariel Sharon il suo modello di riferimento politico. “È un leader da cui traggo costantemente ispirazione”, era solito ripetere. Recentemente aveva preso posizione contro le conclusioni della Commissione Goldstone definendole “unilaterali” e aveva proposto la creazione di un triangolo commerciale tra Stati Uniti, Israele e Polonia. Scelte coraggiose che gli avevano procurato non pochi problemi in patria.Il primo ministro Netanyahu, appena giunta la notizia della morte di Kaczynski, ha commentato: “Conoscevo il presidente Kaczynski come un polacco patriota, un grande amico di Israele e un leader che cercava di avvicinare i due popoli. Ha aperto una nuova pagina nelle relazioni tra i nostri paesi”. Il presidente Peres si era detto “sconvolto e profondamente turbato”. Adam Smulevich, http://www.moked.it/


Gaza: attentato sventato confine Israele

L'attentatore suicida potrebbe essere rimasto ucciso
(ANSA) - TEL AVIV, 16 APR - Una pattuglia israeliana ha sventato un attentato palestinese ai bordi della striscia di Gaza. Lo riferiscono fonti militari israeliane.Secondo le prime informazioni, un miliziano palestinese e' stato sorpreso mentre cercava di deporre un ordigno accanto ai reticolati. Il miliziano ha anche lanciato una bomba a mano contro la pattuglia, i cui membri sono pero' rimasti incolumi.I militari israeliani hanno reagito sparando. L'attentatore potrebbe essere rimasto ucciso, ma non c'e' conferma.


Comix - Esperanto

Otto Gabos è sulla strada del fumetto da diversi anni realizzando diverse opere di particolare profondità ed effetto. Esordisce nella rivista Tempi supplementari e poi collabora anche con Frigidaire, Dolce Vita, Cyborg; collabora alla fondazione delle rivista Fuego. Ha lavorato con Pino Cacucci, Massimo Semerano e ad ha una ricca attività anche di illustratore, ma soprattutto una costante produzione fumettistica.“Esperanto” è il suo omaggio alla cultura ebraica. Il fumetto è stato pubblicato dalla Black Velvet in occasione di Lucca Comics & Games 2009. Ci troviamo in una città dove si è diffuso un wargames particolarmente competitivo, dove i giocatori usando dei soldatini che ricordano i soldati nazisti, giapponesi o alleati della seconda guerra mondiale. Dietro questo gioco in realtà si nasconde una lotta tra due sopravvissuti del nostro mondo, perché in realtà ci troviamo di fronte a un mondo parallelo dove Isidore, un ebreo esperto di Cabala, studioso dell’Università di Varsavia, che prima della guerra proponeva teorie strane e misteriose.Un ufficiale nazista, Muntzen, lo sfrutta nel lager per cercare un passaggio in un’altra dimensione dove fuggire. In realtà Muntzen appena giunto nella città di Esperentia avvia un piano per prenderne il potere e instaurare un regime del terrore. Sarà Isidore e un gruppo di giovani idealisti a combattere e sconfiggere l’ufficiale nazista.Isidore è mosso da un desiderio profondo, cioè evitare che il nazismo si diffonda anche in altri mondi. Otto Gabos si ispira a una serie di elementi della fantascienza sociologica, prima fra tutti la metropoli, nel suo sviluppo verticale verso il cielo, ma soprattutto nel sottosuolo dove metaforicamente possono vivere tutti i rifiuti sociali o politici. Ma non manca anche una visione distopica dove però emerge sul finire un soffio di utopia. A Muntzen si oppongono un gruppo di eroi giovani che ricordano gli eroici combattenti del Ghetto di Varsavia.Otto Gabos affianca sempre a un’ottima sceneggiatura, articolata e non banale, un disegno molto ricco e colori scuri e delicati che creano un’atmosfera emotiva che ben si accompagna al senso di pericolo, drammaticità che può percepire il lettore. A differenza degli abitanti di Esperantia noi sappiamo cosa ha fatto il nazismo. Ancor più dei giovani ribelli della città, capiamo l’importanza di combattere uomini come Muntzen. Andrea Grilli, http://moked.it/


«The Beetle» di Yishai Orian

Non solo guerra: ciak su Israele

Famiglie arabe ed ebraiche a confronto, documentari e sorprese nel nuovo cinema israeliano
Quattordici titoli per il terzo ciclo di «Nuovo cinema israeliano», all'Oberdan da sabato 17. Partenza con un titolo presentato l'anno scorso al Tribeca, tanto che Hollywood ha già in cantiere il remake americano: «A Matter of Size» di Sharon Maymon e Erez Tadmor (sabato 17, ore 21). Fra i film più interessanti spicca lunedì 19, ore 21, «Jaffa (Kalat hayam - La sposa del mare)» di Keren Yedaya, tragedia di due famiglie a confronto, una araba, l'altra ebraica. Da non perdere i documentari: ad esempio «The Green Dumpster Mystery» (2008) di Tal Haim Yoffe, che racconta in prima persona come abbia trovato in alcune foto di un uomo il filo rosso per raccontare di Shoah (domenica 18, ore 11). E ancora il sorprendente «The Beetle» (2008) di Yishai Orian, protagonista di un episodio della sua vita che l'ha visto difendere un maggiolino giallo da rottamare. Fra gli ospiti, Gad Lerner, in sala giovedì 29, dopo la proiezione delle 16.30, di «The Fire Within» (2008) di Lorry Salcedo Mitrani.


Moshe Yaalon

Ministro Israele: Non bisogna smantellare le colonie

Yaalon: ebrei dovranno poter vivere in futura entità palestinese
16 apr. (Apcom) - Israele non dovrebbe smantellare nessun insediamento in un futuro accordo di pace con i palestinesi. Lo ha detto al Jerusalem Post il ministro israeliano per gli Affari Strategici, Moshe Yaalon, spiegando che così come gli arabi vivono in Israele, anche gli israeliani dovrebbero poter vivere in una futura entità palestinese. "Se parliamo di coesistenza e di pace, perchè i palestinesi insistono sul fatto che il territorio che riceveranno dovrà essere etnicamente ripulito degli ebrei?", ha affermato Yaalon. "Perchè queste zone dovranno essere 'Judenrein'? Non ci sono arabi che vivono qui, nel Negev e in Galilea? Perchè questo non può essere oggetto di dibattito pubblico?". Yaalon ha quindi sottolineato che "nessun insediamento" dovrà essere rimosso, ricordando che i precendenti ritiri israeliani - dal Libano e della Striscia di Gaza - hanno rafforzato rispettivamente l'Hezbollah e Hamas.


Mrs. Pesc e Israele, quando il buongiorno si vede dal mattino

Le recenti frizioni tra Israele e Stati Uniti hanno distolto l’attenzione dai rapporti diplomatici tra lo Stato ebraico e l’Unione Europea (Ue). Eppure il tema è di grande interesse, in quanto con l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona l'Ue intende rafforzare la sua politica estera comune per la quale il conflitto israelo-palestinese costituisce un importante banco di prova. La baronessa Catherine Ashton, nominata Alto Rappresentante per la Politica Estera e di Sicurezza Comune (Pesc), sarà quindi chiamata a favorire la ripresa del processo di pace, dal momento che l'Ue fa parte del cosiddetto Quartetto insieme a Stati Uniti, Onu e Russia.In quest'ottica, il capo della diplomazia europea è stata finora molto attiva, per quanto a senso unico. Nei primi mesi del suo mandato, infatti, la Ashton si è mostrata fortemente critica (solo) nei confronti di Israele. Il 15 dicembre 2009, nel primo discorso di fronte ai parlamentari di Strasburgo, la signora Pesc ha detto che “Gerusalemme Est e il West Bank sono territori occupati”, ha criticato il muro israeliano in Cisgiordania e ha invitato a riaprire il flusso di beni verso Striscia di Gaza. Nessuna critica, invece, nei confronti Hamas, e nessun invito ai palestinesi moderati perché tornino al tavolo delle trattative senza precondizioni. Neanche a dirlo, il discorso della Ashton ha suscitato molte critiche: secondo quanto riportato dal quotidiano “Haaretz”, funzionari governativi di Gerusalemme hanno espresso sorpresa, disappunto e preoccupazione a fronte di critiche “espresse prima ancora di visitare Israele, e di venire direttamente a conoscenza dei fatti”. Non si dimentichi, poi, che le accuse della signora Pesc sono giunte a seguito di un semestre molto burrascoso per i rapporti tra Israele ed Ue, dal momento che la presidenza svedese (luglio-dicembre 2009) aveva proposto di riconoscere unilateralmente lo Stato palestinese con capitale Gerusalemme Est, contro le politiche “discriminatorie” del governo israeliano.L’occasione di toccare con mano la realtà israelo-palestinese è giunta poi a fine marzo, quando la Ashton ha visitato la Striscia di Gaza – e il suo arrivo è stato salutato dal lancio di un razzo che ha colpito un kibbutz nel sud di Israele, uccidendo un agricoltore. Tornata in Europa, la baronessa ha affidato le proprie riflessioni ad un articolo intitolato “Lessons from a Gaza Trip”, pubblicato dal prestigioso “International Herald Tribune” lo scorso 21 marzo. “Spostandosi da Israele a Gaza – scrive la Ashton – si passa da un paese del XXI secolo ad un paesaggio che è stato sfigurato”, una landa desolata in cui “ricostruire è impossibile, dal momento che Israele blocca il traffico di merci”: la Sig.ra Pesc auspica poi una veloce ripresa dei negoziati, in quanto anche per gli israeliani “solo una pace definitiva porterà la sicurezza”. Delle responsabilità di Hamas, però, la Ashton non parla, limitandosi a notare come l’estremismo cresca “tra le macerie e i campi per rifugiati” – e non nell’ideologia terroristica di chi comanda quel fazzoletto di terra.La miglior riflessione sull’articolo della Ashton è firmata David Harris. In un editoriale pubblicato sul quotidiano conservatore israeliano “Jerusalem Post”, Harris si mostra molto sorpreso: “La parola ‘Hamas’ non compare neppure una volta nel suo articolo. Come è possibile scrivere di Gaza oggi e non menzionare la sua forza governativa?”, chiede il direttore esecutivo dell’American Jewish Committee, e come è possibile “sorvolare sulla carta fondativa di Hamas?”. In quel documento, ricorda Harris, è scritto chiaramente che “Israele esisterà e continuerà ad esistere finché l’Islam non lo distruggerà, come ha distrutto altri prima di lui”: prima di scrivere di Gaza, allora, chiunque dovrebbe prima “informarsi sul disconoscimento del diritto all’esistenza di Israele, sulla condizione della donna, sulla centralità della Sharia nella società, e sulle ragioni che hanno portato l’Unione Europea a considerare Hamas un’organizzazione terroristica”. Se la pace deve essere basata sulla coesistenza e il mutuo rispetto, conclude Harris, bisogna prima di tutto riconoscere che Gaza è controllata da un gruppo terroristico che “non ricerca la pace, ma vuole sabotarla”.La signora Pesc è in carica da pochi mesi, e avrà tutto il tempo per sposare una linea più moderata ed equidistante. In caso contrario, il rischio è che i rapporti tra Europa e Israele – rapporti diplomatici, certo, ma anche scientifici e commerciali – finiscano per deteriorarsi ulteriormente. Ad oggi, Catherine Ashton resta un personaggio controverso: quando ha assunto la carica di Alto Rappresentante, più che dei suoi progetti diplomatici si è parlato dei suoi trascorsi politici (il famoso dissidente russo Vladimir Bukovsky, ma non solo, l’accusa di aver incassato fondi dall’Unione Sovietica negli anni ottanta); e il fatto che molti non la considerino una figura di peso – anche alla luce del nuovo assetto europeo – non significa però che le sue dichiarazioni non sortiscano un effetto negativo tanto sui rapporti tra israeliani e palestinesi, quanto tra Israele ed Ue. Le riflessioni di David Harris sarebbero un buon punto di partenza per tutti gli europei: dopo aver riconosciuto i problemi di una parte, è giusto farlo anche con gli altri attori della regione. Solo così sarà possibile trattare onestamente, avendo ben chiara la realtà di cui si discute.17 Aprile 2010,http://www.loccidentale.it/


Bombette dolci parve

Ingredienti: 500 g di farina, 3 uova intere, 70 g zucchero, 70 g margarina, 1 dado di lievito di birra, 1 pizzico di sale. Preparazione: Amalgamare la farina con le uova, sia tuorlo che albume, la margarina, il lievito sciolto in un bicchiere con poca acqua tiepida, un pizzico di sale e per ultimo lo zucchero, perché aiuta la fermentazione. Fare riposare l'impasto per un'ora e mezzo. Una volta lievitato l'impasto, stenderlo molto bene con un matterello infarinato e formare servendosi di un bicchierino da caffè dei dischetti, separarli su un piano, coprirli e lasciarli lievitare per un'altra ora. Riempite di olio una padella, riscaldarlo. Immergere i dischetti lievitati (sulla mano risulteranno leggeri) abbassare la fiamma e cuocerli 6/7 minuti per parte, una volta gonfiate e dorate, le bombette, toglierle dalla padella e immergerle nello zucchero precedentemente messo in una ciotola. Servirle calde oppure riscaldarle in forno per circa 10 minuti a 60 gradi poco prima di servirle. Sono deliziose! N. B. Il burro non va sciolto sul fuoco, ma lavorato con le mani. L'impasto che deve lievitare non deve mai stare a contatto con piani da lavoro freddi, perché il freddo blocca la lievitazione. Per Shabbat si possono riscaldare sulla plata. http://www.kosherlive.com/


MOUSSE AL CIOCCOLATO PARVE

INGREDIENTI: Per sei persone, 250 gr. cioccolato fondente, 4 uova, 25 gr. zucchero semolato, una bustina di zucchero a velo vanigliato, 30 gr. di burro (o margarina),sale PREPARAZIONE: Lasciare ammorbidire il burro a temperatura ambiente. Tritate grossolanamente con un pesante coltello e far fondere a bagno maria tiepido.Togliere il cioccolato dal bagno maria e aggiungere il burro a pezzetti mescolando con un cucchiaio di legno finchè sarà completamente incorporato.Prendere le uova e suddividere tuorli ed albumi. Aggiungere al composto di cioccolato 3 tuorli, uno alla volta, incorporando bene il precedente prima di unire il successivo. Montate a neve ben ferma 4 albumi con un pizzico di sale e i due tipi di zucchero; unitene una piccola parte al composto di cioccolato, in modo da ammorbidirlo, quindi incorporate gli albumi rimasti, a poco a poco e mescolando dal basso verso l'alto per non smontarli. Versate la mousse in una grande coppa di vetro,copritela con pellicola e tenetela in frigo per qualche ora prima di servirla . Sullam n.50


Many Jewish Americans in the United States remember Israel’s Independence Day

In occasione di Yom ha Azmaut pubblichiamo i seguenti versi, tratti dalla poesia Israele che la giovane poetessa israeliana Sigal Harari ha voluto dedicare alla sua amata terra per il 60° anniversario della fondazione.
Israele
Mio eden,La terra che D-o mi ha dato L’unica terra che ho Non ne ho altra al mondo.
Ferma le danze, Israele E ascolta questa mia storia E’ una storia interminabile Antica di quattromila anni.Ma sappi che io Ti ho sempre amato Per me sei stata da sempre Il kodesh hakodashim Dell’eterno desiderio Di rinascere in te.Dopo una lunga diaspora Fatta di persecuzioni,Di teste mozzate Di roghi Di ghetti Di pogrom E di stretti camini Sono voluta tornare
Ed ho visto L’aria del mare soffiare lenta,Avvolta nel mistero.Sembrava un mare nuovo e più vero,Ma era il mio stesso mare, antico,Affogato nella sua sabbia bianca.Sono voluta tornare ai miei fiori,Ai leoni, ai cervi Alle gabbiane Ai coralli nelle tenebre,Agli olivi e ai sicomoriAlla mia lingua antica.
***
Israele Mio eden, La terra che D-o mi ha dato L’unica terra che ho Non ne ho altra al mondo La mia bocca trema Nel chiamarti per nome Troppo lunga è stata l'attesa. Il cuore si sparpaglia al vento La voce si fa schiva Nel chiamarti Eretz,Nel chiamarti Israele.Ti porto nel mio sangue Dolce terra dei gigli,Dei cardi e delle viole. Sullam n.50


Cari amici,
Stiamo cercando un furgone per trasportare il materiale della la festa del 62° Yom Haazmaut a Milano, Domenica 2 Maggio ai Giardini della Guastalla.
Inoltre, sarà benvenuto chi volesse donare oggettistica, abbigliamento, bigiotteria, arredo casa ecc. ecc. per la lotteria che si terrà alle 17.00 con possibilità di anonimato ma anche di pubblicizzare il nome dello sponsor. eyal-m@amicidisraele.org