sabato 5 settembre 2009

Mar Morto: il prosciugamento del lago salato sta accelerando


Tel Aviv, 3 sett - Allarme Mar Morto. Negli ultimi due anni il lago salato più famoso al mondo si sta prosciugando ad una velocità maggiore rispetto alla media del decennio scorso. In un rapporto pubblicato questa settimana, dall'agenzia israeliana Water Authority che si occupa dell'acqua, è stato reso noto che nel 2008 il Mar Morto si è ridotto di 138 centimetri. Dato ben più allarmante: quest'anno, ne ha persi già 113. Notizie preoccupanti, considerato che la media per il decennio 1998-2008 era di 98 centimetri annui. L'incremento, ha spiegato la Water Authority, è dovuto ad un aumento dell'utilizzo delle acque che alimentano il Mar Morto. Alcuni giorni fa, questo bacino al confine tra Israele, Giordania e Cisgiordania è stato scelto insieme ad altri 13 siti per partecipare alle selezioni della nuove sette meraviglie naturali del mondo. La competizione, che si svolge tramite voti online, si concluderà nel 2011.


Fumetto - Koren Shadmi e i disallineamenti fra mente e corpo

Koren Shadmi (nell'immagine) è un fumettista israeliano cresciuto nella bottega di Uri Fink in Israele e poi nella School of Visual Arts di New York. In realtà come molti autori israeliani la sua prospettiva lavorativa è internazionale, soprattutto statunitense. Koren infatti lavora per riviste americane come il New York Times, Village Voice e Plenty Magazine. In Italia sono state pubblicate due antologie di racconti, “In carne e ossa” e “Anatomia del desiderio” dalla associazione Double Shot. I due libri sono in realtà molto diversi, così come gli stili con cui Koren Shadmi li ha realizzati. “In carne e ossa” è un percorso sulla fisicità delle nostre identità e relazioni con il prossimo. I personaggi palesano una dissociazione dal loro corpo, dalla percezione che possono avere dello stesso. Nel primo racconto "Il prato felice" un uomo esprime la sua identità corporea solo indossando il costume di scena, un cagnone, della trasmissione televisiva dove lavora; mentre ne “Il paradiso dei dolci” una ragazza, dopo un incidente potenzialmente mortale, diventa bulimica anche se questa parola non viene mai pronunciata. Il suo rapporto con il cibo è devastante per il suo corpo e per le sue relazioni. Alla fine cercherà di mangiare anche il suo miglior amico, totalmente disinteressato al cibo, ma attratto dal trasformarsi in cibo per recuperare l’amicizia. In “Antoinette” una ragazza vive con la testa staccata dal proprio corpo in modo tale che il corpo sia un oggetto di scambio e divertimento per la sua testa. Koren ha disegnato i capelli di biondo giocando su un luogo comune che non muore mai. In “Anatomia del desiderio” la prospettiva cambia. L’autore esamina le strade che può attraversare il desiderio condizionato da un forte “ego” che va quindi a limitare la percezione del reale. In “Conosci te stesso” il personaggio vuole conoscere il suo corpo, estrae così i reni, il cuore ed altri organi da sé stesso, ma è talmente preso dal proprio Io mentale, da dimenticarsi del corpo. Ecco quindi sopraggiungere la morte. Ne “Il pubblicitario” un pubblicitario è così preso dal suo lavoro dal dimenticarsi che esiste un uomo, un essere senziente e un corpo che hanno bisogno di esprimersi. Il modo per reagire sarà di vomitare piccoli esseri con sei gambe che hanno la testa del pubblicitario. La forma di ragno è significativa e sta ad esprimere la mancanza di un rapporto sereno con il proprio corpo e soprattutto con la propria sessualità. Koren Shadmi è sottile, quanto brutale nel raccontare questi disallineamenti tra mente e corpo. Entrambe le antologie giocano proprio su questo nodo. Per molti versi niente di nuovo. Pirandello aveva già esplorato la nostra difficoltà nella emergente società moderna di proporci onestamente, mentre Dick aveva spinto ulteriormente il concetto di mondo reale e finzione. Per arrivare al mostro sacro della lettura britannica James Ballard che con Crash ha svelato le nostre più profonde patologie, i desideri carnali che impattano sul rapporto uomo - tecnologia. Il merito di Shadmi è di percorrere le strade contorte della mente, guardare dentro la scatola grigia con il microscopio e poi offrirci la storia nella sua veste grafica. Una grafica terribilmente in mutazione, che si adatta alla storia. Difficile vedere due racconti costruiti nello stesso modo. Difficile è il percorso della psiche. Tutto in bianco e nero, i colori qui rappresentano i luoghi contrapposti della narrazione. Per tutto questo Koren Shadmi è universale, travalica i confini israeliani e statunitensi, pone temi gustosi per tutti. Ma un conto è mangiare un pezzo di carta, un altro mordere la spalla del proprio amico e non essere licantropi. Non c’è bisogno degli elfi per entrare in un mondo di fantasia. C’è Koren Shadmi. Andrea Grilli, 4 settembre 2009 http://www.moked.it/

Nicholas Winton
Treno ebrei praghesi oggi a Londra dal loro `Schindler`
Sir Winton salvò dai lager 668 bambini, oggi ha 100 anni
Roma, 4 set. (Apcom-Nuova Europa) - Lui sarà sulla banchina della stazione di Liverpool Street ad aspettarli. Nicholas Winton, oggi 100 anni, è lo 'Schindler' inglese che salvò la vita a 668 bambini ebrei cecoslovacchi alla vigilia della Seconda Guerra mondiale, e che oggi verrà ringraziato di persona da quegli stessi praghesi, settantenni e ottantenni, in arrivo per lui con un treno speciale Praga-Londra. Il convoglio della memoria, con la motrice degli anni '30, dipinto di verde e di blu, è partito il primo settembre scorso dalla stazione centrale di Praga. A bordo i sopravvissuti alla Shoah salvati dall' agente di cambio inglese Nicholas Winton. Il lungo tragitto sulle rotaie attraverso l'Europa è stato voluto in ricordo degli 8 convogli organizzati dall'inglese tra marzo e agosto 1939, per mettere in salvo centinaia di piccoli ebrei originari dell'ex Cecoslovacchia e della Slovenia. C'era anche un nono treno, che però non potè mai lasciare la stazione di Praga a causa dell'invasione nazista della Polonia, il 1° settembre del '39 e dello scoppio della guerra. Tutti i passeggeri di quell'ultimo convoglio, 250 bambini, risultano scomparsi. Era stato durante un viaggio sulle Alpi nel 1938 che Winton aveva visitato i campi dei rifugiati cecoslovacchi, in fuga dopo l'occupazione tedesca dei Sudeti, misurando così di persona l'ampiezza della tragedia che minacciava i bambini ebrei in quei mesi. Per questo l'uomo raccolse fondi e organizzò dei convogli dall'Europa centrale verso l'ovest. Per ognuno dei 668 bambini salvati l'inglese si incaricò di trovare una famiglia di accoglienza. La maggior parte sono così cresciuti in Gran Bretagna, qualcuno in Usa, Canada e Israele. Non scoprirono l'identità del loro salvatore che molto più tardi, nel 1988, quando la moglie di Winton trovò nel solaio di casa la lista dei nomi dei bambini e alcune lettere dei loro familiari. Come in molti altri casi simili legati agli eventi della Shoah, anche Winton aveva taciuto di quel passato anche con i propri familiari. La discrezione era stata il suo marchio dall'inizio alla fine dell'operazione, condotta con tutto il riserbo possibile per non destare sospetti tra le forze naziste. Centenario, dal 2002 è sir Nicholas Winton, dopo l'investitura di baronetto da parte di Elisabetta II in omaggio all'audace progetto umanitario realizzato in quei pochi mesi prima del secondo conflitto mondiale. La partenza del treno Praga-Londra, settant'anni dopo l'inizio del conflitto, è stato preceduto dall'inaugurazione di una statua in bronzo in onore di Winton, nella stazione ferroviaria della capitale cèca. L'inglese è ritratto in piedi tra due bambini, uno in braccio e uno per mano. Alcuni di loro, come Hana Franklova, passeggera del treno speciale in arrivo a Londra, su quelle banchine praghesi hanno visto per l'ultima volta i genitori. Oggi, a cento anni, sir Winton non è più in grado di viaggiare e non era potuto essere presente a Praga per la partenza del convoglio. Ma alla stazione di Liverpool Street a Londra ci sarà.


soldatesse israeliane

Palestinese in galera Israele, da analfabeta a laureato

M.O./ Palestinese in galera Israele, da analfabeta a laureato Storia di un ex detenuto oggi leader al Fatah
Roma, 2 set. 2009(Apcom) - "Grazie al carcere israeliano sono un uomo vivo" dice Fahad Abu al Haj. Entrato in carcere "analfabeta", è uscito dopo 10 anni "letterato, autore di tre libri e addirittura dirigente del movimento al Fatah" e a giorni discuterà la tesi di laurea all'Università. E' la storia di questo palestinese , raccontata da lui stesso al quotidiano panarabo al Sharq al Awsat. L'uomo, oggi 47enne, venne arrestato nel 1978 in Cisgiordania dai soldati dello stato ebraico. Quando arrivò nel carcere di Bir al Saba'a "non sapevo leggere nè scrivere perchè fino ad allora avevo passato la mia vita tra le pecore e le terre di mio padre", racconta Abu Jihad. Ma il giovane miliziano del movimento di Resistenza palestinese si sente presto "un peso per i compagni" e prova "vergogna perchè non ero in grado di scrivere una lettera alla mia famiglia". E così decide di "risparmiare i soldi per comprare penne e quaderni" e di frequentare un corso di lingua all'interno del carcere, dedicando agli studi anche "18 ore al giorno". "Piangevo perchè non sapevo scrivere", dice oggi, alla soglia del "sogno". Sposato e padre di 6 figli, Abu Jihad, a giorni discuterà la tesi di laurea sulla "prima esperienza democratica palestinese" con un docente dell'Università Libera d'Olanda venuto in Cisgiordania per lui. Abu Jihad ha conseguito la maturità nella scuola del carcere dove ha scritto il suo primo libro: "i cavalieri dell'Intifada parlano da dietro le sbarre". Ne sono seguiti altri due. Uscito dal carcere nel 1985, ha ottenuto il "Diploma Superiore" all'Università israeliana di Gerusalemme. "Senza porre limiti alle mie ambizioni negli studi", ricorda il suo passato e dice al cronista di al Sharq al Awsat, che "allora ero una nullità, oggi, grazie al carcere, sono un uomo vivo". Il vecchio combattente di un tempo elogia anche indirettamente la democrazia israeliana, quando spiega che "la prima esperienza di elezioni democratiche palestinesi" fu quella delle comunali del 1976, ma "cinque anni prima, il nostro movimento di detenuti aveva eletto già nel 1971 la sua leadership all'interno delle carceri israeliane".

venerdì 4 settembre 2009

Tel Aviv

Israele, allarme per la diffusione dell'eroina tra i giovani

Il rapporto annuale dell'Onu sul consumo delle droghe allarma Israele. Secondo lo studio, presentato come un'«analisi statistica completa sulla realtà attuale degli stupefacenti»,infatti quasi il 2% dei ragazzi israeliani tra i 12 e i 18 anni ha già provato questa droga, almeno una volta. Il documento, riportato oggi dal quotidiano israeliano Haaretz, sottolinea anche che Israele spicca tra gli altri Paesi monitorati per la quantità di pastiglie di ecstasy sequestrate dal 2007. Si parla di una cifra corrispondente al 2% dei sequestri fatti in tutto il mondo, una percentuale molto più alta, ad esempio, rispetto all’Italia, la Spagna o il Regno Unito. http://www.haaretz.com/hasen/spages/1111612.html

giovedì 3 settembre 2009

Avi Mograbi

Avi Mograbi, i dettagli dei tempi

Il cinema documentario è il cinema del nostro tempo. In un mercato delle immagini e della notizia sempre più invasivi e saturi di immagini e informazioni, trovare la pausa, il dettaglio che apra un altro discorso e che faccia riflettere senza imporre una tesi, diventa sempre più raro. È così che il cinema del regista israeliano Avi Mograbi ci permette di pensare al nostro presente. Mograbi usa il cinema in prima persona, da protagonista ironico delle proprie opere, ed è un filmaker che non esita a mettersi in strada per affrontare la realtà del conflitto israelo-palestinese e dell'identità politica di Israele. Dal suo esordio con How I learned to overcome my fear and love Arik Sharon (1997), riflessione sull'ambiguità di un leader, a Happy Birthday Mr. Mograbi (1999), sui propri 50 anni che hanno coinciso con quelli dello stato israeliano, a August - A Moment Before Eruption (2002), dedicato alla quiete apparente di un mese assolato a Tel Aviv. Tutti film dove Mograbi commenta in diretta il tema della sua opera, giocando con lo spettatore e con il dispositivo cinema, e in cui una risata e un dubbio permettono di risvegliare temi centrali che vanno dalla violenza nella storia a quella ancestrale. Come in Per uno solo dei miei occhi (2005), girato durante la seconda Intifada, dove il conflitto nei territori occupati viene riaperto concettualmente dagli antichi miti biblici di Sansone e Massada che insegnarono agli ebrei a morire per la patria. Come nel recente capolavoro Z32 (2008), dedicato a una spedizione punitiva dell'esercito israeliano, in cui i rei confessi di un crimine sono mascherati digitalmente. Un utilizzo della tecnica, su un dettaglio fondamentale come il volto degli assassini, che diventa strumento per riflettere sulla verità.I film di Mograbi hanno girato i Festival di Cannes, Berlino e Venezia, ma nonostante l'apprezzamento internazionale della critica la sua produzione è poco nota in Italia, dov'è stato distribuito solamente un titolo: Per uno solo dei miei occhi (2005). La retrospettiva, che comprende lungometraggi e cortometraggi, è la prima completa del genere e il regista arriva al Milano Film Festival dopo aver vinto nel 2004 con il cortometraggio Detail il premio Aprile alla nona edizione del Festival. Oltre alla proiezione delle opere maggiori, la rassegna vedrà allestiti i cortometraggi di Mograbi in alcune videoinstallazioni, secondo l'idea originaria del regista che li ha esposti in questo modo in diverse occasioni.Mograbi stesso, infine, racconterà il suo cinema in una masterclass al Milano Film Festival. a cura di Alessandro Beretta
http://www.milanofilmfestival.it/



mercoledì 2 settembre 2009

Dr. Doron Ben-Ami

Archeologia, scoperto a Gerusalemme un grande palazzo romano

Un «sontuoso» palazzo romano di due piani, di oltre mille metri quadrati, è stato rinvenuto nel parco archeologico della Città di David (il nucleo originario di Gerusalemme), poco fuori le mura attuali della Città Vecchia di Gerusalemme. In precedenza gli archeologi ritenevano che le rovine romane del III secolo dopo Cristo si estendessero solo fino ai bordi delle mura della città vecchia ottomana. Ma la scoperta di questo palazzo nell'area del parcheggio Givati, fuori dalle mura e adiacente alla Città di David, suggerisce che le costruzioni romane arrivassero fino al fondo della Valle di Silwan. Lo ha spiegato Doron Ben-Ami, direttore degli scavi, al «Jerusalem Post», secondo quanto riferisce il sito internet Israele.net.«La scoperta ci ha sorpresi - dice Ben-Ami -. Non ci aspettavamo di trovare resti di costruzioni romane entro la Città di David. Le dimensioni degli edifici sono sorprendenti: finora abbiamo scoperto mille metri quadri e la struttura si estende ancora al là dei limiti dell'area di scavo».Secondo Ben Ami, il ritrovamento ha già rivoluzionato la cognizione degli storici sull'insediamento romano a Gerusalemme. «La supposizione prevalente tra gli studiosi che la collina della Città di David restasse fuori dalla zona dell'insediamento romano al tempo di Aelia Capitolina (dal II secolo dopo Cristo) non è più valida», spiega Ben-Ami.La fastosità dell'edificio è provata dalle sue dimensioni e dai manufatti recuperati all'interno della struttura, sottolinea un comunicato della Antiquities Authority. Al centro c'era un grande cortile aperto, circondato da colonne. Tra le colonne e le camere accanto al cortile correvano delle gallerie. L'edificio si ergeva per due piani e era coperto da tetti di tegole. Tra le rovine è stata trovata una quantità di frammenti di affreschi, da cui gli archeologi hanno dedotto che alcuni dei muri delle stanze fossero intonacati e decorati con pitture colorate. I disegni colorati che ornavano le pareti intonacate consistevano principalmente in motivi geometrici e floreali. La ricchezza architettonica, la planimetria e in particolare i manufatti ritrovati tra le rovine attestano il carattere inequivocabilmente romano dell'edificio. I reperti più notevoli sono una figurina di marmo raffigurante un pugile e un orecchino d'oro con pietre preziose incastonate.L'edificio, costruito durante il III secolo dopo Cristo, fu colpito da un terremoto nel IV secolo le cui conseguenze sono ancora evidenti nell'area degli scavi: i muri cedettero e le pietre crollate, ammucchiate al suolo, coprirono i muri del piano terra, alcuni dei quali sono ancora in piedi e raggiungono una considerevole altezza. Le monete trovate tra le macerie e sui pavimenti suggeriscono che il crollo del palazzo avvenne intorno al 360.«Abbiamo la testimonianza archeologica degli effetti del terremoto che colpì la nostra regione nel 363», spiega Ben-Ami, che aggiunge: «Non conosciamo altri edifici del periodo romano scoperti in Israele che abbiano una planimetria simile a quella di questo edificio. I paralleli contemporanei più vicini sono situati in siti del II-IV secolo scavati in area siro-libanese. Si tratta di palazzi urbani del periodo romano scoperti ad Antiochia, Apamea e Palmira. Se il parallelo è corretto allora, nonostante le dimensioni e l'opulenza, significherebbe che l'edificio era nato come residenza privata». http://www.ilgiornale.it/ 31 agosto 2009

Tel Aviv

Negba - Il Festival della Cultura ebraica un'occasione di riflettere sui marrani

Negba – Verso il Mezzogiorno è il nome dato al Festival della Cultura ebraica che si svolgerà in Puglia dal 6 al 10 settembre. È un primo passo, coraggioso sì, ma anche doveroso. Perché il sud o, meglio, i marrani del sud ci aspettano da tempo. E chissà che i decenni ultimi, da quando cioè l’Italia è antropologicamente cambiata, a partire dalle grandi emigrazioni verso l’America dell’inizio del Novecento, non abbiano già chiuso un capitolo della nostra storia ebraica. Chissà che non sia troppo tardi.Speriamo di no. E speriamo anche che fra le numerose iniziative ci sia anche spazio e tempo per una riflessione filosofica attenta sui marrani. Le ricostruzioni storiche non mancano. Quello che manca è invece un ripensamento non tanto e non solo della storia, quanto della figura, inquietante e insieme seducente, del “cripto-ebreo” – come oggi si usa dire nei paesi, come l’America, in cui si cerca di essere politicamente corretti. Chi sono dunque i marrani, i conversos, gli anusim, che in una segretezza, al confine con la dissimulazione, hanno portato per secoli il ricordo dello Shabbat (magari solo nella ritualità dell’accensione delle candele) e i resti del loro ebraismo?In Italia non c’è ancora una riflessione sui marrani con i quali si è aperta in certo modo la modernità. E non sono stati ancora tradotti libri classici come quelli di José Faur o Carl Gebhart. Da poco, nel giugno scorso, è uscito il grosso volume di Yirmiyahu Yovel, il cui titolo significativo è: The Other Within. The Marranos. Split Identity and Emerging Modernity (L’altro dentro. I marrani: identità scissa e modernità emergente - 2009). Il marrano è un caso paradigmatico (il primo?) di non-identità, di fluttuazione della coscienza, nel frammezzo e nel tra, nello spazio tra religioni e culture diverse, di cui però il marrano (talvolta suo malgrado) costituisce un nesso di continuità. Si può dire che ogni fondamentalismo odierno è una reazione al marranesimo generalizzato e, d’altra, non fa che riprodurlo.Si parla molto di “identità ebraica”, mentre si dovrebbe parlare piuttosto di “differenza ebraica”. Perché l’ebraismo si sottrae a ogni identità e a ogni concetto identitario, ne fa saltare i confini. Come ha scritto Buber: “l’ebraismo è un fenomeno polare” e la coscienza ebraica è la coscienza scissa di questa polarità. E anni dopo Scholem ha ribadito che “l’ebraismo non può essere definito in base alla sua essenza, perché non ha un’essenza”. Ma non basterebbe lo spazio di queste poche righe per menzionare tutti i filosofi ebrei che hanno contribuito a riflettere sull’impossibilità di “una coincidenza di sé con se stesso” che l’ebreo – come ha osservato da ultimo Jaques Derrida – mette allo scoperto. E il marrano lo fa in modo ancor più vistoso e tormentato.Finché non saremo pronti a riflettere sull’ebraismo in modo nuovo, non nei termini di una identità antiquata e metafisica, imposta dalla difesa e dalla paura, non saremo pronti a incontrare i marrani che ci aspettano da secoli nel nostro sud, il sud del nostro paese, ma anche il sud della nostra anima.Donatella Di Cesare, filosofa www.moked.it/

Aharon Appelfeld


"Come Kafka non mi fido degli uomini" Intervista ad Aharon Appelfeld

Lei sarà al festival della Mente a Sarzana (4-5-6 settembre organizzato da Giulia Cogoli) e per questo ha preparato una conferenza sul tema “La differenza tra la cronaca e la letteratura”. Può spiegare qual è questa differenza?Nella cronaca si segue il tempo, la letteratura è qualcosa che appartiene alla vita interiore. Molta cronaca è stata scritta per esempio sul tema dell’Olocausto: la gente pensa che sia letteratura e invece non lo è. Ma Primo Levi, per esempio? Sta in mezzo. Ma quello che è molto interessante e che forse è l'unico scrittore che fa della cronaca-letteratura. Perché?Perché c'è molto della sua vita interiore. Prima dei campi di concentramento, durante e dopo. Per esempio, la notte prima della deportazione era con un gruppo di ebrei italiani e, dopo aver impacchettato i loro averi, si sono seduti e hanno cantato vecchie melodie ebraiche. Improvvisamente non era più una deportazione ma un lamento di ebrei riuniti insieme. Ma quali altri scrittori hanno raccontato bene l'Olocausto? Imre Kertész, che ha narrato la sua infanzia ad Auschwitz. Lei sta scrivendo invece un saggio su Kafka, come mai? Perché Kafka è molto vicino a me e viene dall'impero austro-ungarico. Addirittura dalla stessa regione dove sono nato io. Kafka ha una concezione profonda del momento catastrofico, di che cos'è davvero la catastrofe. Anche se non è passato attraverso l'Olocausto la sa riconoscere e raccontare. Un'altra cosa importante è il suo profondo senso di sospetto nei confronti degli esseri umani. E aveva ragione?Sì, certo. Ma lei non ha fiducia negli esseri umani? Quando dico essere umano penso a qualcuno in cui posso credere: purtroppo per ce ne sono molti di cui non si può avere fiducia. Il 18 ottobre a Parigi lei parteciperà alla Società Psicoanalitica Freudiana una serata in suo onore. Sente affinità anche con Freud? Certo, non si può capire l'uomo moderno senza Freud. Ci ha dato una lingua. Freud è ancora molto vivo. Le sue osservazioni sugli esseri umani furono in un certo senso profetiche. All'inizio del XX secolo ci ha detto che sotto la coperta della cultura vivono i demoni. Lui stesso è stato una vittima dei nazisti. E Dostoevskij? Dostoevskij mi ha insegnato ad essere religioso. In che senso? Nel senso che tutti i suoi personaggi hanno sete di religione, tutti. Lui è un antisemita, ma tutti i grandi scrittori russi lo erano, anche Tolstoj. Perché?Perché quei grandi geni vedevano gli ebrei come stereotipi: avari e con il naso grande. Non li vedevano come individui e questo è paradossale perché, nonostante avessero un grande senso dell'essere umano, credevano in tutte le stupidaggini convenzionali.Diceva che Dostoevskij le ha insegnato ad essere religioso, ma cosa è la religione? Un'attitudine positiva verso il mistero della vita. Non è certo dicendo che uno è neutrale al mistero della vita che lo si è veramente. Lei personalmente ha fede? Sì, una fede ebraica. Buber si definì un anarchico religioso, nel senso che non seguiva le regole e anch'io non seguo le regole. Lei è stato un grande amico di Singer, lo scrittore. Lo amavo molto perché era un fenomeno ebraico. La sua conoscenza dell'ebraismo era straordinaria. Sapeva tutto sugli ebrei, dal mondo antico al mondo moderno. Era una enciclopedia ebraica vivente. Era un grande scrittore? Sì, specialmente nei suoi racconti. E stato certamente uno dei migliori scrittori ebrei. Cosa pensa di altri scrittori ebrei, per esempio di Joseph Roth?Schnitzler, Stephen Zweig sono tutti scrittori che conosco molto bene ma non sono a livello di Kafka, Svevo o Babel, che sono invece dei grandi scrittori.Canetti?Penso che avesse un problema con il suo essere ebreo, e che per questo non sia diventato un grande scrittore. Se sei ebreo l'ebraismo deve essere parte di te, non puoi essere neutrale.Saul Bellow, Philip Roth, Malamud?Li ho conosciuti bene. Direi che l'ordine di importanza è Malamud, Bellow e Roth. Ognuno di loro ha portato qualcosa di nuovo all'America. Hanno aperto delle porte. E Potok?È un bravo scrittore, ma dì un altro livello. Allora quali sono gli scrittori che lei preferisce? Io scrivo di Kafka, è lui il mio scrittore preferito. Penso che sia la porta aperta per capire gli esseri umani e gli ebrei...
Alain Elkann, La Stampa, domenica 30 agosto 2009
Aharon Appelfeld (Žadova, Czernowitz, 16 febbraio 1932) è uno scrittore israeliano. Nato in Bucovina del Nord, allora in Romania, sopravvissuto alla Shoa in cui ha perso la sua madre e i suoi nonni, riuscì a fuggire da un campo di sterminio nazista in Ucraina e si unì all'Armata Rossa dove prestò servizio come cuoco. Nel 1946 è emigrato in Palestina, allora sotto mandato britannico. Laureatosi all'università di Gerusalemme in letteratura ha poi insegnato all'Università Ben Gurion del Negev.Nonostante abbia appreso l'ebraico tardi nella sua vita, Appelfeld è diventato uno dei più importanti scrittori israeliani. Nei suoi numerosi romanzi affronta esclusivamente, in modo diretto o indiretto, il tema della Shoah e dell'Europa prima e durante la seconda guerra mondiale. Per le sue opere ha ricevuto numerosi premi tra cui il Premio Israele, il Premio Mèdicis in Francia e il Premio Napoli in Italia.

martedì 1 settembre 2009

passeggiando a Tel Aviv

Intorno a “Inglorious bastards”, il film di Quentin Tarantino, è probabile che si scatenerà una discussione infinita tra ciò che un film è e come una parte, forse consistente, di pubblico lo guarderà usandolo come un documentario, ovvero penserà che ciò che è successo è esattamente ciò che il film mostra. La passione furibonda che prevedibilmente scatenerà non farà fare un passo avanti sul piano della chiarezza e della riflessione pubblica. Molti discuteranno di storia, scambiando un film per un documento, dimostrando ancora una volta di non distinguere tra questo e quello e soprattutto di non aver alcun interesse a saperlo.
David Bidussa, storico sociale delle idee,30 agosto 2009, www.moked.it/

Madonna arrivata a Tel Aviv

Popstar in Israele per concerti e visite di interesse spirituale
(ANSA) - TEL AVIV, 30 AGO - La pop star Madonna e' giunta ieri sera con un aereo privato in Israele, dove era attesa da fan e fotografi. La cantante, impegnata nella tournee' 'Sticky and Sweet', ha in programma due concerti nei prossimi giorni nel parco Yarkon di Tel Aviv. Durante il soggiorno in Israele prevede di compiere alcune visite in localita' che hanno per lei interesse di carattere spirituale accompagnata dal rabbino Michael Berg, che l'ha introdotta alla filosofia della cabala.

Vista System: protezione (israeliana) contro vandalismo e abrasioni

Vista System International, ditta in rapida crescita avente sede in Israele, precursore e leader mondiale nei sistemi e componenti di segnaletica offre una soluzione semplice per risolvere i problemi di vandalismo e abrasione che, ogni anno, comportano costi molto elevati per aziende, strutture sanitarie, enti amministrativi, istituti scolastici.Ricorrendo al Sistema di Profili Modulari Curvi (MCFT), tali problemi possono essere evitati.Quando si installano segnaletiche interne in aree pubbliche, spesso vengono danneggiate da atti vandalici o dall'usura. Gli atti vandalici, infatti, possono verificarsi in qualsiasi comunità, anche nelle migliori zone residenziali.
La gente impaziente nelle sale d'attesa può diventare molto creativa con la segnaletica; questa viene sottoposta ad un'eccessiva usura in normali situazioni, ad esempio spostando letti negli ospedali o spostando mobili, oppure quando la gente, camminando nei corridoi, passa vicino alla segnaletica.Inoltre, la segnaletica viene spesso pulita con detergenti aggressivi e panni ruvidi. Una segnaletica delicata può fare un'impressione negativa e determinare mancati profitti. Il risultato finale: costi che si aggiungono a mancati guadagni, una combinazione letale.Attualmente, la maggior parte delle aziende si concentra esclusivamente sul design senza considerare i problemi ricorrenti di vandalismo e usura.La segnaletica realizzata con tappi non avvitati può essere rimossa; il risultato è una segnaletica fragile che si può rompere facilmente.Inoltre, una segnaletica che cade può essere pericolosa per le persone. Vista System ha trovato una soluzione a tutti questi problemi. Con il Sistema di Profili Modulari Curvi i tappi rimangono fermi in posizione grazie a fissaggi estremamente resistenti. Tutte le parti vengono assemblate con l'impiego di materiali e viti ultra-resistenti senza compromettere il design semplice e moderno. I frontali trasparenti antiriflesso offrono la massima protezione e possono essere sostituiti facilmente con la ventosa Vista.Nei rari casi di vandalismo contro una segnaletica MCFT, è possibile sostituire velocemente e a costi minimi le parti danneggiate. La sostituzione di tali parti, nonché il futuro assemblaggio e smontaggio è facile e semplice, può essere effettuato anche da persone inesperte........fuoridalghetto.blogosfere.it/ 31.08.09

lunedì 31 agosto 2009

Ehud Havazelet, Il peso del corpo, Einaudi, pp. 320, euro 21

Qualche volta s’incontrano libri che ridanno speranza. Speranza sulla possibilità di raccontare storie che toccano il profondo; che parlano di rapporti tra padri e figli e tra fratelli; che mostrano l’importanza della memoria per alimentare sentimenti veri, non televisivi. Il peso del corpo di Ehud Havazelet colpisce a fondo fin dalle prime pagine. La morte drammatica a San Francisco di un figlio lontano, Daniel Mirsky, fa mettere per strada, dall’altra costa degli Stati Uniti, suo fratello Nathan e il padre Sol. I frammenti dispersi di una famiglia ebrea. Daniel era tossicodipendente: geniale e irriverente, prima che la sua vita naufragasse. Nathan che, quasi quarantenne, non è ancora diventato dottore, ha sempre avuto un legame contrastato con il fratello, tra ammirazione, rabbia e invidia. Sol, vedovo di una donna molto amata, è sopravvissuto a un campo di sterminio: il ricordo che ancora ritorna e non dà pace. Havazelet ricompone così la vita dietro ogni personaggio. E, finalmente, le intreccia. La peregrinazione di Sol per San Francisco con la cassetta delle ceneri del figlio - il peso del corpo, appunto - è il tentativo doloroso e vitale di riconciliazione con il passato, di risarcimento per le parole non dette, di una seconda chance anche postuma. La scrittura sorprende e rende partecipi. Il libro, felicemente, commmuove. Mauro Querci Milano 29/06/09 http://www.mosaico-cem.it/

Castello Nimrod (Golan)

Leggo sul Corriere della Sera di sabato 29 agosto a pagina 41 a cura di Giuseppina Manin la presentazione del lavoro teatrale di Filippo Del Corno che verrà presentato prossimamente a Milano al teatro Franco Parenti tratto dal libro di Genna Hitler.
Ho seguito con attento interesse tutto l'articolo, ne ho apprezzato la precisone dei passaggi, fatto salvo il punto in cui si parla di TV al tempo di Leni Riefensthal (!). Ma non ero pronta a ricevere il colpo finale! Genna esce dalla storia e fa un paragone fra la tragedia di ieri e l'attualità. Anche oggi, dice c'è: -"Una chiusura all'empatia, un riaffermare nazionalismi in questi orrendi mesi italiani. Le leggi contro i migranti, i barconi ricacciati in mare, le aggressioni ai gay... Tutto fa pensare che l'Hitler che è in noi non sia morto. E aggiunge: Questa è un'opera politica che pone domande e costringe a sporgerci su quel vuoto morale e ideale che sta pericolosamente tornando"-Sono troppo coinvolta nella ricerca storica per accettare in silenzio che si continui a "sfruttare" Hitler ed il nazifascismo per fare paragoni e pseudopolitica.Se è vero, e lo condivido pienamente, come dice l'autore del libro Hitler che il Male è in ognuno di noi, quello che non è vero è che si sappia davvero abbastanza di QUEL MALE. Nessuno dovrebbe permettersi di ridurre il dramma di milioni di ebrei, di omossessuali, di testimoni di Geova.... sterminati dai nazifascisti con un confronto poco calzante con l'attualità.Questo senza niente togliere alla preziosità del prossimo lavoro teatrale di Genna e di Del Corno che, pare, arriverà a "leggere" la potenza della dialettica di Hitler adoperando una tecnica all'avanguardia che toglierà le parole ai discorsi, lasciando solo il suono, con gli alti, i bassi, i vuoti, le pause.... ottenendo un risultato che, si dice, evochi la forza ipnotica wagneriana! Maria Pia Bernicchia

domenica 30 agosto 2009

Estetica

Il regista Quentin Tarantino è specializzato in film dove è di scena il fatto estetico di versare sangue umano con spadate, sventramenti e decapitazioni. Annusata l’insofferenza per la Shoah e per Israele, Hollywood promuove l’idea di utilizzare il bacino antisemita come immenso target cinematografico: è il momento industriale di “Inglorious basterds”. Vi si racconta di un gruppo di giovani ebrei che nel corso della Seconda Guerra Mondiale uccide nazisti con sanguinaria spietatezza. Non è mai successo, ma avrebbe potuto succedere, ha dichiarato il signor Tarantino. Poi ha aggiunto che è un film umoristico. Il cinereo ridere del XXI secolo.
Il Tizio della Sera www.moked.it/ 27 agosto 2009


La controversa epopea di Quentin Tarantino trova successo nelle sale americane Inglorious Basterds, il nuovo film di Quentin Tarantino, presentato nell'ultima edizione del Festival di Cannes, ha sbancato i botteghini nordamericani a una settimana dalla sua uscita. Il film, che prende il titolo da un B Movie degli anni ’70 di Enzo G. Castellari, racconta la storia di un gruppo di soldati ebrei-americani capitanati dal mezzo Apache Aldo Raine (Brad Pitt) paracadutati nella Francia Occupata dai nazisti per seminare puro terrore nelle truppe del Terzo Reich. La loro specialità è uccidere nazisti nella maniera più crudele possibile e collezionare scalpi. In poco tempo, e dopo molti soldati trucidati, il resoconto delle loro gesta arriva fino al Führer. La vicenda degli Inglorious Basterds s’intreccia con quella di Shosanna Dreyfus (Mélanie Laurant), una ragazza ebrea francese che vive a Parigi in incognito gestendo un cinema. Lei è l’unica sopravvissuta della sua famiglia, la cui tragica fine e raccontata all’inizio del film quando entra in scena l’odioso Landa (Christoph Waltz), lo charmant cacciatore di ebrei. Le due vicende si sviluppano separatamente in distinti capitoli e solo alla fine diventano una sola. Dato il delicato soggetto, il film ha ricevuto moltissime attenzioni: c’è chi lo ha definito un porno kosher, chi si è lamentato delle sequenze splatter e chi si è preoccupato di questioni morali. L’intenzione di Tarantino non era quella di fare un film storico né tanto meno un film sulla persecuzione e resistenza degli ebrei durante la guerra. Il recente film di Edward Zwick Defiance che narra la storia vera dei Fratelli Bielsky, ebrei e partigiani, invece lo è. Qui il regista usa le vicende storiche per realizzare quegli elementi che contraddistinguono il suo cinema: l’omaggio al cinema di genere, le scene di violenze, i dialoghi serrati e surreali e i complessi movimenti di macchina. Inglorious Basterds è pieno di riferimenti ai film di guerra americani: dal Sergente York di Howard Hawks a Quella Sporca Dozzina di Robert Aldrich, passando per I Cannoni di Navarone di J. Lee Thompson. Citati sono anche diversi film europei: L’Ultimo Metro di François Truffaut per esempio e le opere di Leni Riefenstahl e Georg Wilhelm Pabst. Compiendo un’operazione tipicamente post-moderna, Tarantino prende da questi film vari elementi stilistici e narrativi e li rielabora con una sensibilità contemporanea. Le inquadrature alla Riefenstahl, le musiche di Ennio Morricone, un nazista che fa il Sergente York, sono tutti elementi che contribuiscono alla creazione di una storia che non è la Storia ma sintesi di certe rappresentazioni filmiche di quel periodo. Nella grandiosa scena finale del film, una sorta di Götterdämmerung viscontiano,tutti i grandi nomi del Terzo Reich (Hitler, Goebbles, Bormann, Göring) muoiono nell’incendio del cinema di Shosanna. Riuniti lì per la prima di un film di Goebbles, i nazisti cadono nella trappola della giovane ebrea. Il film è interrotto da un primo piano di lei che, dichiarando la sua origine ebraica, invoca vendetta: fiamme gigantesche prodotte dalla combustione di pellicole si propagano dallo schermo alla platea. Il pubblico di ufficiali nazisti, intrappolato nell’auditorium, muore tra le fiamme mentre due Basterds con le mitragliatrici fanno fuori Hitler e Goebbles. La scena ricorda la sequenza finale di Indiana Jones e i Predatori dell’Arca Perduta nella quale la vendetta si sprigionava dall’Arca della Santa Alleanza, con gli angeli della morte che fanno strage di tutti i nazisti mentre qui è il potere del cinema, è l’immagine che distrugge. Tarantino gioca una partita pericolosa e il film non convince del tutto. Il problema sta nel fatto che lo spettatore non riesce a trascendere dagli eventi storici di quel periodo e così in buona parte del film rimaniamo distanti, estranei alle vicende sullo schermo. La distruzione dei nazisti nel fuoco di pellicole rimane soltanto un’immagine e il film si rivela in tutta la sua fragilità. Rocco Giansante www.moked.it/ 27 agosto 2009

soldatesse al museo
Pasti casher in volo

Premetto che questa nota non ha alcuna intenzione polemica, ma è solamente dettata da curiosità personale. Giorni fa durante un volo da Roma a una grande città americana con una compagnia aerea statunitense su mia richiesta mi è stato servito un pasto kasher. La confezione (di qualità ragionevole, a differenza di simili pasti offerti a volte su voli inter-europei) risultava prodotta da un'azienda industriale in una regione dell'Italia settentrionale. Il certificato di kasherut, sotto la dicitura Italian Kosher Food, risultava emesso dal Beth Din Tzedek – il Tribunale Rabbinico Ortodosso – di Lugano. Da questo derivano alcune domande: 1. Esistono in Italia autorità rabbiniche in grado di certificare la kasherut di un alimento prodotto e distribuito in Italia? 2. Visto che la Confederazione Elvetica non fa parte dell'Unione Europea, esistono normative Ue vincolanti in materia di kasherut? 3. Esiste un rapporto fra le circoscrizioni territoriali delle comunità ebraiche italiane, ognuna delle quali ha un Rabbino capo o facente funzione, e le competenze territoriali delle autorità rabbiniche che controllano la produzione di alimenti kasher? 4. Esiste, nell'ambito delle competenze del Rabbinato italiano, una procedura obbligatoria di certificazione e di autorizzazione in materia di kasherut? 5. E se almeno una della domande di cui sopra ha ricevuto risposta negativa, il pasto che io ho consumato in volo poteva ritenersi kasher? http://www.moked.it/ 27 agosto 2009
SergioDella Pergola,demografo,Università Ebraica di Gerusalemme

kibbutz Harbor
I tassi d'Israele e il fiuto di Fischer

di Alessandro Merli 26 agosto 2009 www.ilsole24ore.com/
Dal simposio dei banchieri centrali a Jackson Hole lo scorso fine settimana, i mercati finanziari hanno recepito un messaggio, sintetizzato dal governatore della Banca d'Israele, Stanley Fischer: la crescita sta cominciando a ripartire, ma è troppo presto per dichiarare la fine della crisi, anche se il peggio è passato e i segnali di crescita sono arrivati prima del previsto. Molto resta da fare per riportare in salute le banche e ci sono buone ragioni per temere una ripresa debole. Gli interventi di Ben Bernanke e Jean-Claude Trichet, in linea con Fischer, sono stati letti dai mercati così: che i tassi d'interesse negli Usa e in Europa (oltre che in Gran Bretagna e Giappone) resteranno ai minimi storici ancora per qualche tempo, anche se le autorità monetarie stanno cominciando a pensare alle strategie d'uscita, in altre parole a come e quando alzare i tassi e mettere fine all'espansione della moneta attraverso acquisti di titoli.Se non che, appena rimesso piede sul suolo d'Israele, Fischer ha decretato, il primo a farlo dopo la crisi, un immediato aumento dei tassi dello 0,25%, dopo che nelle scorse settimane aveva già interrotto l'espansione quantitativa della moneta e gli acquisti giornalieri di dollari sul mercato valutario. In mezzo, ci aveva piazzato due giorni di pesanti interventi per deprimere lo shekel, tanto per far capire ai mercati che lo stop al quantitative easing e agli acquisti di dollari non era un via libera incondizionato alla rivalutazione del cambio, evoluzione rischiosa in un paese dove l'export arriva al 40% del Pil.L'apparente contraddizione fra le parole di Jackson Hole e i fatti di Tel Aviv è facilmente spiegabile con le diverse caratteristiche di una piccola economia aperta, come quella israeliana, e le maggiori aree monetarie, e con il diverso momento congiunturale: Israele, nella valutazione del suo governatore, vede già una ripresa più imminente e un'inflazione più alta di altri. La conclusione di molti osservatori di mercato è che, per quanto riguarda le grandi banche centrali, il messaggio di Jackson Hole vale più dell'esempio israeliano, che difficilmente avrà un seguito a Washington o Francoforte, Londra o Tokyo. Il che è quasi certamente vero nel breve periodo.Fischer però non è un governatore qualsiasi: è il maestro di Bernanke, del numero due della Bce, Lucas Papademos, e del governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, ed è l'economista che ha dato sistematicità al pensiero sull'indipendenza delle banche centrali e l'inflation targeting. Dai suoi pari, è considerato un grande saggio: non a caso, a Jackson Hole, gli è stato riservata l'anno scorso la conclusione e quest'anno il discorso centrale.Non ci sarà una corsa a imitarlo, ma le sue azioni di questi giorni costituiranno un paradigma per le mosse delle grandi banche centrali quando le rispettive economie daranno il segnale di imboccare la strategia d'uscita. Intanto, ai suoi discepoli Fischer avrà dato un'altra lezione: quando lo farete, occhio al cambio.