lunedì 31 agosto 2009

Ehud Havazelet, Il peso del corpo, Einaudi, pp. 320, euro 21

Qualche volta s’incontrano libri che ridanno speranza. Speranza sulla possibilità di raccontare storie che toccano il profondo; che parlano di rapporti tra padri e figli e tra fratelli; che mostrano l’importanza della memoria per alimentare sentimenti veri, non televisivi. Il peso del corpo di Ehud Havazelet colpisce a fondo fin dalle prime pagine. La morte drammatica a San Francisco di un figlio lontano, Daniel Mirsky, fa mettere per strada, dall’altra costa degli Stati Uniti, suo fratello Nathan e il padre Sol. I frammenti dispersi di una famiglia ebrea. Daniel era tossicodipendente: geniale e irriverente, prima che la sua vita naufragasse. Nathan che, quasi quarantenne, non è ancora diventato dottore, ha sempre avuto un legame contrastato con il fratello, tra ammirazione, rabbia e invidia. Sol, vedovo di una donna molto amata, è sopravvissuto a un campo di sterminio: il ricordo che ancora ritorna e non dà pace. Havazelet ricompone così la vita dietro ogni personaggio. E, finalmente, le intreccia. La peregrinazione di Sol per San Francisco con la cassetta delle ceneri del figlio - il peso del corpo, appunto - è il tentativo doloroso e vitale di riconciliazione con il passato, di risarcimento per le parole non dette, di una seconda chance anche postuma. La scrittura sorprende e rende partecipi. Il libro, felicemente, commmuove. Mauro Querci Milano 29/06/09 http://www.mosaico-cem.it/

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