martedì 1 maggio 2012

 Varsavia 1943, la rivolta del Ghetto minuto per minuto

 Tradotto il resoconto scritto subito dopo la guerra dal vice comandante degli insorti Marek Edelman
Dieci maggio 1943, ore 10 del mattino, in via Prosta, angolo via Twarda, a Varsavia, si aprono i tombini ed esce, armi in pugno, un manipolo di ebrei. Sono i sopravvissuti della Zob, la formazione armata della resistenza, che hanno ingaggiato con i tedeschi un violento conflitto armato durato quasi un mese, dal 19 aprile, e che ora, dopo aver attraversato carponi le fogne della città, immersi nel fango e nella melma, sbucano all’aperto, fuori dal Ghetto e salgono su un camion e s’allontanano. Il Ghetto brucia implacabilmente mentre gli ultimi due gruppi di combattenti resistono fino a metà giugno. Le truppe tedesche radono al suolo le case e uccidono tutti i sopravissuti. L’insurrezione del Ghetto ha mostrato a tutto il mondo che le vittoriose armate hitleriane non sono affatto tali, e che alcune centinaia di uomini possono tenere in scacco l’esercito tedesco e infliggergli consistenti perdite.La storia di questo episodio, diventato uno dei simboli della Seconda Guerra mondiale, è raccontata, subito dopo la fine del conflitto, in un piccolo libro redatto dal vicecomandante degli insorti, Marek Edelman: Il ghetto di Varsavia lotta , uscito in Polonia nel 1946 e ora tradotto, a cura di W. Goldkorn, dalla Giuntina (pp. 113, € 12), una delle prime testimonianze sulla deportazione e lo sterminio ebraico. Come ricorda nella sua prefazione, un vero e proprio racconto sul racconto, Wlodeck Goldkorn, quando il ventiseienne resistente ebreo polacco pubblica in patria il suo resoconto non esiste neppure la parola Shoah o Olocausto, e il tema dello sterminio non ha ancora trovato i suoi studiosi e le stesse testimonianze sull’evento sono appena agli inizi. Un altro ventenne, Primo Levi, pubblicherà un anno dopo, nel 1947, il suo resoconto della deportazione ad Auschwitz-Monowitz.Lo stile di Edelman è secco, cadenzato; il racconto, ricco di dettagli, è intessuto di orgoglio ed eroismo. La scelta del tempo presente quale tempo della narrazione mostra come Edelman, figura leggendaria della storia polacca del XX secolo, viva fino in fondo l’attualità perenne di quelle vicende, ed esprima la volontà di perpetuarne la memoria in modo attivo. Il susseguirsi dei fatti è scandito quasi minuto per minuto; lo sguardo del narratore - cronachista medievale, essenziale e puntuto – si sposta nei vari punti del Ghetto, entra nel bunker del comando in via Mila 18 (è appena ri-uscito in edizione italiana l’ampio romanzo di Leon Uris, ebreo americano, Mila 18 , ed. Gallucci, pp. 868, 19,70, il primo racconto romanzato della vicenda, del 1961), poi sale nelle soffitte, entra nelle case, attraversa le strade; afferra nomi e cognomi dei resistenti, dei feriti, dei morti, per salvarne la memoria. Veloce e istantaneo possiede il ritmo di una cavalcata, con il susseguirsi di scontri a fuoco, azioni, storie minime e minute nel grande affresco del Ghetto, che è storia comune e insieme individuale.Edelman aveva ben identificato già nel 1946 la tecnica con cui i tedeschi avevano irretito i Consigli ebraici su cui poi s’appunterà l’attenzione problematica di Hannah Arendt nel corso del processo di Eichmann a Gerusalemme, rivelando nel resoconto della lotta il collaborazionismo di una parte degli ebrei polacchi. Scrive: «L’istinto di autoconservazione porta la psiche umana a pensare che l’importante è salvare la propria pelle, anche a costo della vita altrui». La cosa terribile, spiega, è che nessuno, anche in presenza di testimonianze - Edelman e i suoi compagni stampano giornali ciclostilati distribuiti ogni giorno -, crede che la deportazione sia la morte. La tecnica dei nazisti di dividere la popolazione in due schieramenti finisce col produrre una situazione in cui «degli ebrei porteranno altri ebrei verso la morte, pur di salvaguardare la propria vita». Parole che sono state a lungo ignorate sino a quando la Arendt, nel 1963 con La banalità del male , e poi Levi, nel 1986 con I sommersi e i salvati, hanno posto il problema della «zona grigia».Il libro contiene inoltre una storia nella storia, quella che Goldkorn, cronista fedele di Edelman, ci racconta nell’introduzione. Il vicecomandante, eroe della resistenza, non solo verso i nazisti, ma anche contro il regime autoritario e oppressivo istituito dopo il 1945, arrestato, perseguitato fino alla caduta del regime comunista, è avvolto non solo dalla luce radiosa della lotta, ma anche da piccole ombre che Goldkorn racconta con grande delicatezza e precisione, e che finiscono col renderlo ancor più interessante e vero. Come la stessa storia della fuga dal Ghetto attraverso le fogne, con gli uomini lasciati indietro, il rifiuto di portare in salvo con sé le prostitute ebree che avevano accudito feriti e combattenti, con le versioni sempre mutevoli degli episodi.Una storia politica, scrive il curatore, e perciò sempre in marcia assieme a noi, ma anche una storia umana dalle molte sfaccettature come quella di Wiera Gran, cantante di cabaret nel recinto chiuso di Varsavia, emblematica per quanto riguarda l’uso e la sostanza della memoria. Wiera - la cui vita è raccontata da un bellissimo e inquietante libro della scrittrice polacca Agata Tusznska, Wiera Gran , l’accusata, appena tradotto per Einaudi (pp. 316, € 20 ) - è una donna affascinante dalla voce meravigliosa che ammalia gli ascoltatori. Fuggita dal Ghetto, verrà inseguita tutta la vita dalla nomea di collaborazionista che le rovinerà la carriera in Israele e in Europa. Dopo aver cantato con Aznavour e Brel, Wiera, perseguitata dalle voci senza prove, finisce paranoica e folle a Parigi, dove muore nel 2007. Nessuno, neppure Edelman che sapeva, l’ha mai scagionata da quelle infamie. La memoria cambia, dice Goldkorn, e noi con lei. Per questo il suo esercizio, come ci aveva avvisati Levi, è complesso e incerto.MARCO BELPOLITI
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Tea for Two - Il minotauro di Tammuz

 Questo secondo semestre universitario stava diventando una specie di tortura cinese. Per una serie di sfortunati eventi arrivavo terribilmente in anticipo a ogni lezione e mi trovavo a trascorrere le ore fissando il soffitto della sala vicina al dipartimento di mondo antico (ovviamente ad un piano sopraelevato come il Monte Olimpo) che perdeva pezzi lentamente. Dopo qualche giorno impiegato nel vano tentativo di studiare o di arrivare più tardi, ho preso una somma decisione: avrei portato con me un libro. Dato il carico di dolore che gravava sulla mia spalla tra quaderni, la collezione di bottigliette d'acqua mezze piene ed altre cose terribilmente inutili ma che permettono la sopravvivenza in facoltà, ho optato per un libro di piccole dimensioni. Eccolo, con la sua copertina giallo limone, era da parecchio che aspettava il suo turno, era stato ineducatamente scavalcato da libroni, romanzucci e giornali. Ma lui, come un vero signore non aveva battuto ciglio e attendeva in un silenzio maestoso. Il minotauro di Benjamin Tammuz, poco meno di duecento pagine e con un formato realmente tascabile (tanto da averlo portato il più delle volte proprio in tasca). I commenti sul retro non erano proclami strombazzanti ma piccole dichiarazioni d'amore. Il protagonista, un agente dei servizi segreti israeliani. "Fa che non sia giocato sulla tensione e che abbia di giallo solo la copertina" mi ripetevo impaurita. E lui rispondeva sempre più alle mie preghiere con una scrittura posata, discreta e allo stesso tempo intarsiata come una stoffa preziosa. L'agente incapace di amare se non in una situazione estrema e irrealizzabile rispecchiava in qualche modo questi versi di Bukowski (no, non ho mai scritto le sue poesie sui muri!): "C'è al mondo una così grande solitudine che la puoi vedere negli scatti lenti delle lancette di una sveglia, gente così stanca, mutilata d'amore e disamore". Tammuz infierisce sui personaggi e poi li culla. Sono tutti un po' Minotauro, un po' Arianna in un labirinto di emozioni e con un filo, la sua penna, che intreccia delicatamente le parole tra loro. "Allora Aleksandr guardò Lea negli occhi, per vedere se aveva capito quello che le aveva detto. Ma quello che vide gli riempì il cuore di stanchezza e disperazione: nei suoi occhi c'era un misto di implorazione, affetto e abnegazione. Perché non si metteva in salvo? Perché non se ne andava via offesa, sbattendosi dietro la porta? Se lo avesse fatto, probabilmente l'indomani lui sarebbe andato da lei. Invece continuava a sedergli di fronte". Israele è un'altra protagonista, alle volte silenziosa, altre roboante. Mi ha fatto pensare alla letteratura italiana del dopoguerra, a come per quanto gli scrittori fossero intimisti non potevano fingere di non essere immersi nel loro paese, nel passato e nel presente, rabbrividendo del futuro incerto. Poi per libere associazioni mi è balenata in testa Una questione privata di Beppe Fenoglio. La sorte del paese che ognuno sente sopra la propria testa e la guerra interiore quando la guerra c'è anche in strada. E l'amore che posto ha? Il libro era terminato e una lezione totalmente incomprensibile stava per iniziare. Ma la testa era completamente invasa da Tammuz e gli appunti a fine giornata erano semplicemente scarabocchi insensati.Rachel Silvera, studentessa - twitter@RachelSilvera2. http://www.moked.it/



Voci di donne nel dibattito ebraico

 “Questo appuntamento rappresenta una grande occasione di confronto. La sovrapposizione del Moked e della Festa del Libro ebraico di Ferrara ha costituito un errore che ne ha penalizzato la possibilità di partecipazione”. Così il presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna è intervenuto alla serata di inaugurazione ufficiale della tre giorni all’insegna di approfondimento e famiglie organizzate dal Dipartimento educazione e cultura dell’UCEI a Milano Marittima. “Protagoniste o comparse? Il ruolo della donna nel mondo ebraico di oggi” il tema al centro di un dibattito che sta proseguendo nei giorni intenso e partecipato. E proprio una donna ha ricevuto il Premio Cultura Ebraica 5772: Moria Maknouz, insegnante della Scuola dell’Infanzia della Comunità di Milano e coordinatrice del progetto Revivim, che negli ultimi anni ha offerto una serie di corsi di ebraismo a 360 gradi e per tutti i background. “Con questo riconoscimento vogliamo premiare l’impegno per la diffusione della cultura ebraica nelle nostre Comunità - ha spiegato il responsabile della manifestazione, il direttore del Dec rav Roberto Della Rocca - Revivim ha fatto un lavoro importantissimo, contribuendo a sfatare il mito che gli studi ebraici rappresentino qualcosa che deve essere riservato solo a una piccola parte della Comunità”.La serata è proseguita con il talk show “Tutte le sfumature del rosa” condotto da Daniel Fishman, aperto da un intervento a sorpresa, quello della moglie del rabbino capo ashkenazita di Israele, la rabanìt Metzger, in collegamento via Skype da Gerusalemme insieme a Milly Arbib “Uomini e donne si completano a vicenda, ciascuno compiendo i suoi doveri - ha spiegato la rabanit - L’uomo non vale più della donna, anzi, per la donna sono previste meno mitzvot perché è considerata più completa, più vicina al Cielo”. Sul palco Yarona Pinhas, studiosa di mistica ebraica, Daniela Ovadia, giornalista scientifica, Anna Segre professoressa torinese e animatrice del giornale HaKeillah, l’artista londinese Jacqueline Nicholls e la giornalista israeliana Bambi Sheleg, hanno dato vita a un confronto sul proprio modo di vivere l’ebraismo in quanto donne e di diverso background. Un confronto che ha toccato i risvolti più delicati, dal significato dell’esclusione della donna dal minyan alla discussione di alcuni tra i più problematici passaggi della Torah che fanno riferimento al ruolo delle donne nella comunità. Con un punto condiviso da tutte e riaffermato dal rav Della Rocca: l’importanza dello studio e della conoscenza, come punto di partenza fondamentale per qualsiasi discussione e comprensione della legge ebraica.Rossella Tercatin - twitter @rtercatinmoked http://www.moked.it/

 Gran Bretagna: «Sì al velo islamico, no alla croce cristiana»


Il governo inglese si era già schierato dalla parte dei datori di lavoro che vogliono vietare ai propri impiegati di indossare simboli religiosi. Ora, però, la Gran Bretagna si è spinta oltre, discriminando la libertà di espressione di alcune confessioni.Il fulcro della relazione che la Gran Bretagna ha portato davanti alla Corte dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo, sul caso di due donne licenziate perché portavano la croce al collo, dice – in sostanza – che a rimetterci deve essere la religione cristiana, proprio grazie al suo carattere liberale. Mentre quella musulmana deve essere rispettata per via delle norme che vincolano i suoi fedeli. Per il governo, insomma, le croci si possono vietare, mentre il velo e il turbante no.Le due vittime, Nadia Eweida e Shirley Chaplin, furono licenziate nel 2006 e, in seguito, persero il ricorso presentato davanti ai tribunali inglesi. La prima donna fu licenziata dalla British Airways perché si rifiutò di togliere la croce che portava al collo che, a parere dei dirigenti dell’azienda, rovinava la divisa della compagnia. La seconda fu esclusa dal reparto di un ospedale statale in cui lavorava da 30 anni per non aver accettato di nascondere la catenina.Neil Addison, avvocato del Thomas More Legal Centre (per la difesa delle vittime di discriminazioni religiose), ha sottolineato che le motivazioni del governo inglese si spostano sempre più in là: «Non si vietano più simboli religiosi in generale, ma si proibisce di portare simboli cristiani in pubblico per il fatto che non sono obbligatori. Diversamente dal velo o dal turbante islamici che, invece, devo essere accettati perché imposti dal credo musulmano. Questo significa privilegiare alcune religioni rispetto ad altre». Tale decisione, ha continuato Addison, è ancor più grave dal momento che «mina le fondamenta di uno Stato laico, lasciando che la giustizia prenda decisioni su basi religiose e teologiche per dire cosa sia obbligatorio o meno».I media europei non hanno parlato della vicenda. A dare, invece, ampio risalto alle nuove motivazioni legali è stata la televisione russa, che ha paragonato le misure inglesi a quelle sovietiche: «Un grande errore viene fatto oggi dall’Occidente liberale che impone alle persone libere le misure che ci imposero i regimi totalitari. (…) Non sanno cosa significa la persecuzione religiosa. È un segno di follia preoccupante quando norme di questo tipo non solo vengono introdotte, ma addirittura discusse come ragionevoli. Che c’è, infatti, di violento nel portare una croce al collo? Chi e cosa si può danneggiare? Perché si possono portare amuleti, veli o turbanti e non indossare simboli d’amore?»Twitter: @frigeriobenedet http://www.tempi.it/


 Lettera del Presidente Giorgio Napolitano

"La ricorrenza di Yom Ha'Atzmaut è una gradita occasione per formulare, a nome del popolo italiano e mio personale, i più sinceri auguri di pace e prosperità per l'amico popolo israeliano". È quanto scrive il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nel messaggio inviato al Presidente dello Stato di Israele, Shimon Peres."I profondi rivolgimenti intervenuti nell'area mediterranea e nel Medio Oriente presentano, - continua Napolitano – oltre che incertezze e rischi, importanti opportunità di dialogo e di sviluppo in tutta la regione. Israele è oggi chiamato a compiere quei passi decisivi per riavviare il processo di pace che ella da sempre sostiene con coraggio e determinazione, raggiungendo l'obiettivo di due Stati che convivano fianco a fianco, in pace e sicurezza"."Il suo Paese – sottolinea Napolitano – può dare un contributo fondamentale alla stabilità di tutta la regione. L'Italia – assicura – non farà mancare il proprio convinto apporto in tale direzione. In questo spirito di profonda amicizia, di cui il terzo vertice bilaterale di ottobre costituirà ulteriore conferma, - conclude il Presidente – formulo i migliori voti di benessere per la sua persona e per tutto il suo popolo". (aise) Comitato degli Italiani Residenti all'Estero (Comites)



La realtà di Israele

Mi è capitato di venire in Israele la settimana appena conclusa, quella che comprendeva Iom Hazicharon, dedicata al ricordo dei caduti delle guerre sostenute da Israele e del terrorismo, e subito dopo Iom Haatzmaut, la festa dell'indipendenza. Non voglio raccontare qui le mie emozioni personali, che sono facilmente immaginabili, perché condivise da quasi ogni ebreo italiano che abbia fatto un'esperienza analoga: commozione, tristezza, entusiasmo, gioia. Mi sembra più significativo cercare di riflettere su due impressioni forti che ho ricevuto dai comportamenti che vedevo e dai discorsi delle persone con cui ho parlato. La prima è la partecipazione e la solidarietà. Le feste nazionali nella maggior parte dei paesi europei e anche in Italia sono state abolite da tempo, come il nostro 4 novembre, o sono rimaste quasi solo occasione di vacanza, senza partecipazione collettiva, se non eventualmente di parte. Hanno perso cioè, salvo forse il 25 aprile, la funzione mobilitante e memoriale che è caratteristica della festa, quel ruolo di “monumenti del tempo” che la rivoluzione francese reinventò a partire dalla tradizione religiosa. In Israele non è così. Nonostante tutti i discorsi che si fanno e sono certamente ben fondati, sulla frammentazione della società israeliana in settori che si parlano poco e nonostante l'allontanamento dalla militanza sionista delle origini perseguito sistematicamente da intellettuali e governi di sinistra negli ultimi decenni sui media, nella politica e nella scuola, l'impressione della partecipazione collettiva, dell'esistenza di un soggetto comune, ci una passione patriottica largamente condivisa, è assolutamente dominante. Le bandiere nazionali su macchine e edifici, il silenzio e l'immobilità in risposta all'appello della sirena che chiama due volte per Iom Hazicharon alla meditazione, la partecipazione larghissima e piena di allegria alla festa dell'indipendenza: tutto parla di un paese che non dimentica affatto la sua identità e anzi vi partecipa appassionatamente. Questa impressione coincide con i dati dei sondaggi: il quotidiano più diffuso del paese “Israel Haiom” ne ha pubblicato l'altro giorno uno da cui si deduce che il 93% dei cittadini sono fieri di essere israeliani l'80 per cento non vivrebbe altrove, il 73 per cento pensa che Israele sia il paese dove si vive meglio.Si può partire di qui per cogliere l'altro aspetto che mi ha molto colpito. Nonostante tutte le minacce che ci preoccupano e di cui parliamo spesso, Israele appare al visitatore come un paese molto sereno, per nulla teso. Ormai sono veramente rari i locali pubblici protetti da una vigilanza serrata con scanner e perquisizioni, che erano diffusi dappertutto fino a qualche tempo fa. Anche entrando in qualche villaggio oltre la linea verde o percorrendo le strade di Giudea e Samaria, i check point sono piuttosto rilassati e l'atmosfera che si respira è di sicurezza. Il paese non appare concentrato sulla propria autodifesa, ma sullo sviluppo economico scientifico e culturale; l'economia non risente della crisi mondiale, i musei nuovi o rinnovati abbondano e sono molto frequentati, il clima è sereno e rilassato. Sono rari i posti nel mondo che danno oggi questa impressione. Ci si interroga naturalmente sulle ragioni di questa situazione, e le risposte possono essere molte (investimenti di lungo periodo sull'istruzione e l'economia, scelte di liberalizzazione, sviluppo tecnologico, soluzioni efficaci di sicurezza come la barriera, un governo che nonostante tutte le diffamazioni è il migliore da decenni a questa parte).Ma è più interessante forse chiedersi perché ci sorprendiamo. I fatti che ho descritto non sono nuovi, fanno parte di un'ondata che dura da parecchi anni, diciamo dalla sconfitta dell'ondata terrorista voluta da Arafat sotto il nome di seconda intifada. In realtà siamo tutti, anche chi sostiene Israele, accecati da una copertura giornalistica assolutamente scorretta, che cerca ogni pretesto per dipingere Israele per quel che non è, non solo un paese “occupante” o “di apartheid”, la cui democrazia sarebbe “in pericolo”, ma anche un luogo teso e rischioso. Chi si preoccupa di Israele e lo difende, rifiuta naturalmente le accuse più palesemente ideologiche e diffamatorie, ma spesso non riesce a evitare il condizionamento di rappresentazioni che ingigantiscono ogni incidente anche minimo e per esempio corre dietro a pseudoeventi creati appositamente per fini propagandistici, come la “flottiglia” dell'anno scorso, le manifestazioni sporadicamente organizzate dalle organizzazioni palestinesi e dai governi arabi degli ultimi mesi, con pochissima partecipazione, e le fly-tiglie, che hanno coinvolto poche decine di persone, sono state gestite facilmente dalla sicurezza e non hanno inciso minimamente sulla vita del paese. Certo, se il progetto di una villetta in un paese della Giudea viene descritto con toni assai più accesi delle decine di vittime civili prodotte in Siria ogni giorno, è difficile sottrarsi all'illusione di una guerra in atto. E però quest'impressione è falsa, gli appelli a rompere la quiete per la “resistenza popolare” sono sistematicamente caduti nel vuoto. Anche la popolazione araba preferisce lo status quo ed è contenta del suo progresso economico. Questo non significa ovviamente che il terrorismo sia finito per sempre (nuovi tentativi vengono sventati quotidianamente) né tanto meno che il pericolo iraniano sia scomparso. Ma l'Israele che si può vedere oggi è tutt'altra cosa da quel che raccontano i giornali italiani. E giustamente chi li legge qui si indigna.Ugo Volli - twitter @UgoVolli. http://www.moked.it/

 Al partigiano Rinaldo Laudi la medaglia d’oro al valore civile

Nei giorni scorsi si è ricordata la medaglia d’oro al valore civile che il Capo dello Stato consegnò nel 1964 all’Unione della Comunità Ebraiche Italiane.Quest’anno, il 24 aprile, alla vigilia della Festa della Liberazione, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha consegnato la medesima onorificenza ad un valoroso combattente e partigiano ebreo, il medico torinese Rinaldo Laudi.Nato a Torino nel 1908, Rinaldo Laudi si si laureò a pieni voti in medicina e chirurgia nel novembre del 1931 e si specializzò poi col massimo dei voti e lode in chirurgia. Partecipò come ufficiale medico alla campagna d’Africa orientale e a Mogadiscio fondò un piccolo ospedale per i locali. In quanto ebreo, nel 1938 fu espulso dall’ospedale Mauriziano di Torino; in seguito fu accolto a Piacenza nella clinica privata del prof. Arnaldo Vecchi che gli fu sempre vicino fino alla fine.Nel gennaio del ‘44 Laudi si unì ai partigiani di Giustizia e Libertà. Con il nome di battaglia “Dino” assunse la direzione dei Servizi sanitari della I Divisione Piacenza. Esattamente un anno dopo,  nel corso di un rastrellamento fu catturato ed incarcerato a Piacenza e il 25 gennaio prelevato dal carcere con altri partigiani. Di lui non si seppe più nulla.Sulla base al decreto del 2 gennaio 1958 la medaglia d’oro al valore civile viene assegnata come premio per “atti di eccezionale coraggio che manifestano preclara virtù civica” segnalandone “gli autori come degni di pubblico onore”.Nella motivazione che accompagna l’assegnazione della medaglia d’oro a Rinaldo Laudi si legge: Medico di origine ebraica, di elevate qualità umane e civili, nel corso dell’ultimo conflitto mondiale si prodigò, con eccezionale coraggio e incurante del grave rischio personale, nella generosa ed infaticabile opera di assistenza e cura dei civili, militari e partigiani in condizioni estremamente disagiate, in ospedali e casolari di montagna piacentini. Catturato dai nazifascisti mentre prestava soccorso ad un partigiano ferito, veniva rinchiuso nelle carceri di Piacenza e successivamente prelevato e barbaramente ucciso. Mirabile esempio di umana solidarietà e di altissima dignità morale, spinte fino all’estremo sacrificio. 1944/1945 – Piacenza.In assenza di eredi diretti, la medaglia a Laudi è stata consegnata alla città di Torino. Il premio è stato ritirato dall’assessore Spinosa.Alla cerimonia al Quirinale erano presenti le due nipoti, Bruna e Luciana Laudi, alle quali va il merito di aver ricordato pubblicamente la figura e il sacrificio compiuto dallo zio, combattente ebreo per la libertà dell’Italia.Nella foto:  Giorgio Napolitano e Luciana Laudi con il nipote. http://www.mosaico-cem.it/

domenica 29 aprile 2012

 Earth Day – In Israele carta riciclata e luci spente


Luci spente ieri sera alle otto in oltre venti città israeliane in occasione dell’Earth Day, la Giornata della Terra, dalla Città vecchia di Gerusalemme ai grattacieli di Tel Aviv. L’appuntamento per sensibilizzare l’opinione pubblica e i leader mondiali alla protezione dell’ambiente, inventata 42 anni fa dal senatore americano Gaylord Nelson è oggi una delle ricorrenze più celebrate del mondo, con eventi in oltre 180 paesi e la partecipazione stimata a un miliardo di persone. Non soltanto luci spente, ma anche tante altre iniziative in Israele: concerti, gruppi di volontari a pulire le spiagge, lezioni del ministro della protezione ambientale Gilad Erdan nei licei “L’educazione ambientale è educazione ai valori sionisti, che mette le nuove generazioni in contatto con l’ambiente in cui vivono e le spinge a pensare e agire per il futuro”. Anche al Kotel sono stati distribuiti foglietti di carta riciclata per scrivere i bigliettini che si infilano tra le pietre millenarie del muro. L’Earth Day è stata un’occasione per fare il punto sullo stato dell’arte della protezione ambientale nel paese, evidenziandone luci e ombre. Diversi progetti del Ministero dell’Ambiente stanno incontrando grosse difficoltà, come la legge che obbliga le industrie a utilizzare, per gli imballaggi dei prodotti, almeno una certa percentuale di materiale riciclabile, e il miglioramento delle reti del trasporto pubblico per disincentivare l’uso delle automobili, che in Israele sono una delle cause principali di inquinamento dell’aria. Anche il sistema generale di raccolta differenziata non decolla. Eppure non mancano i segnali positivi: il riciclo delle bottiglie di plastica, il primo progetto di smistamento dei rifiuti promosso in Israele, ha raggiunto il 72 per cento. Il mese scorso un serbatoio di ammoniaca è stato rimosso dall’area della Baia di Haifa. E la Knesset ha approvato una legge che obbliga le industrie ad adottare gli standard dell’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) in materia di report sull’impatto ambientale. In un’intervista al quotidiano israeliano Maariv, Erdan si è detto conscio del fatto che ci sono tanti settori in cui Israele deve migliorare molto “Ma penso che la consapevolezza dei problemi stia aumentando – ha concluso – Siamo sulla buona strada”. Rossella Tercatin – twitter @rtercatinmoked, http://moked.it



 Francobolli: 20 pezzi da collezione battuti a 324'000 fr

In un asta tenutasi oggi a Zurigo un collezionista si è aggiudicato per un ammontare di 324'000 franchi una ventina di esemplari del francobollo ginevrino intitolato "Le grand aigle vert", risalente al 1846. Un esemplare doppio della celebre "Colomba di Basilea", vecchio du quasi 170 anni, è stato battuto a 150'000 franchi. L'incasso sarà devoluto a una fondazione per un villaggio destinato all'infanzia, in Israele.http://www.ticinonews.ch/

 Yedioth Ahronoth: Hezbollah si sta dotando di droni contro Israele
 
Il quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth ha riportato oggi la notizia secondo cui Hezbollah si starebbe dotando di diversi piccoli aerei senza pilota – droni -, in vista di una guerra contro Israele.Secondo il giornale ebraico, il “Partito di Dio” sta lavorando per acquisire una grande fornitura di droni “da utilizzare per attaccare Israele nel caso questi decida di colpire l’Iran”.E ha aggiunto che Hezbollah riceve droni dalle industrie aeronautiche iraniane, e che alcuni di questi aeromobili sono in grado di trasportare decine di chilogrammi di esplosivo.Secondo il quotidiano, fonti della sicurezza israeliana, per timore che, in caso di guerra, Hezbollah faccia partire diversi di questi droni e li faccia esplodere contro obiettivi israeliani, hanno confermato che l’aviazione da guerra israeliana “sta facendo sforzi per affrontare questa crescente minaccia”.http://www.infopal.it/


 Valentina Monetta prosegue il giro d’Europa

Mentre sul fronte italiano  a quanto pare non ci saranno tappe straniere (la delegazione Rai partirà per Baku l’11 maggio e Nina Zilli fino al prossimo 5 maggio sarà impegnata con il suo tour italiano), la rappresentante di San Marino Valentina Monetta prosegue il suo giro d’Europa. Dopo Amsterdam sarà di scena all’Eurovision party di Londra. Domani si esibirà allo Shadow Lounge di Brewer Street a Soho. San Marino sarà uno degli 8 paesi presenti all’ evento e canterà dopo Slovenia, Lituania, Portugallo, Ungheria, la Francia di  e prima dei campioni in carica dell’Azerbaigian e della Macedonia.Accanto a Valentina Monetta, come già ad Amsterdam, ci saranno  Vera Klima e Alexandra Sieber, due dei cinque coristi che saranno sul palco di Baku il 22 Maggio, data della prima semifinale. Tre i brani in programma: esordirà con “Facebook Uh Oh Oh“, a seguire Una giornata bellissima“, tratta dal primo album di Valentina Monetta “Il mio gioco preferito” e per finire “The Social Network Song”, il brano in concorso.Dopo Londra volo intercontinentale per Tel Aviv. Il primo Maggio i fan israeliani potranno vederla ospite nel news program Tzinor Layla in onda su Channel 10 alle 14.30 (http://www.nana10.co.il/) ed in serata nel pubblico di Tribute to Eurovision a Gerusalemme. Nella mattinata del 2 maggio infine l’incontro con gli Izabo che rappresenteranno Israele e che canteranno decimi, proprio prima di San Marino. In serata bagno di folla nella club sede del fanclub israeliano della rassegna.video:http://www.eurofestival.ws/2012/04/28/valentina-monetta-prosegue-il-giro-deuropa/#

 Marocco: stampa, governo islamico e' il piu' aperto verso Israele

(Aki) - Nei primi mesi di vita il governo del premier islamico AbdeliIlah Benkirane ha smentito le previsioni, dimostrando di essere piu' aperto dei suoi predecessori nei confronti di Israele. Secondo quanto si legge in un editoriale del sito marocchino 'Alif Post', nonostante il partito islamico Giustizia e Sviluppo (Pjd) abbia vinto le elezioni dello scorso novembre e sia arrivato al governo di Rabat, non c'e' stata alcuna chiusura nei rapporti con lo stato ebraico.Al contrario, "si registra in questi giorni in Marocco una polemica sulle numerose attivita' e sui contatti avuti di recente tra il nostro paese e Israele". In particolare si conta che "ci sono stati negli ultimi quattro mesi almeno cinque episodi criticati da alcuni osservatori riguardo i contatti con Israele". L'ultimo e' quello della partecipazione di una tennista israeliana al torneo dedicato a Lalla Mariam, sorella di Mohammed VI, che si tiene in questi giorni a Fes.Prima ancora la stampa locale aveva discusso per giorni della polemica relativa all'organizzazione di un festival della danza a Marrakech, promosso da una ballerina israeliana, a cui era stato dato un permesso delle autorita' che poi e' stato annullato per motivi di sicurezza. "Le numerose attivita' registrate anche a livello politico e diplomatico tra i due paesi - si legge - hanno fatto pensare a un tentativo di normalizzazione dei rapporti tra Marocco e Israele. In molti si sono chiesti come sia possibile che un governo di ispirazione islamica possa tenere buoni rapporti con lo stato ebraico".http://www.adnkronos.com/

 ISRAELE, NASCE IL SITO INTERATTIVO DELL'AMBASCIATA A TEL AVIV

(VELINO) Roma, 27 apr. - Un sito Web interattivo per la promozione delle attivita' industriali-scientifiche tra Italia e Israele. L'iniziativa e' dell'ambasciata italiana a Tel Aviv, che ha annunciato l'attivazione del portale www.itembassy.com/telaviv, che affiancandosi a quello istituzionale, si pone come obiettivo una migliore diffusione al pubblico italiano e israeliano di tutte le attivita' in programma. Il sito contiene il calendario degli eventi e offre agli utenti la possibilita' di iscriversi per partecipare a convegni e seminari. Un servizio per i cittadini che allo stesso tempo permette all'ambasciata di registrare i dati delle persone interessate e conservarli per inviti a future attivita'. Dalla sede diplomatica riferiscono che sara' possibile conservare, attraverso supporti come Youtube, registrazioni delle conferenze, cosi' da creare un vero e proprio archivio facile da consultare. L'ambasciata, aggiungono da Tel Aviv, provvedera' inoltre a "pubblicizzare il nuovo sito presso ministeri e centri di ricerca israeliani, sperimentando con le prossime conferenze il successo del sistema interattivo".

 Con lo stop al gas per Israele si (ri)apre il fronte egiziano

Domenica 22 Aprile, l’Egitto ha deciso di interrompere la fornitura di gas naturale ad Israele. Riguardo i motivi, appare quanto mai improbabile che - in base a quanto riferito da Hani Dahi, direttore esecutivo dell’Egyptian General Petroleum Corporation - a causare lo stop siano state fantomatiche ‘inadempienze’ israeliane. Nonostante le autorità egiziane si siano prontamente spese per affermare la natura strettamente economico-commerciale di una scelta simile, l’annuncio, evidentemente, getta delle significative ed inquietanti ombre sulle relazioni tra i due paesi e sulla sicurezza dello Stato ebraico.Secondo quanto affermato dalle autorità israeliane, lo stop de Il Cairo alla fornitura di gas condurrebbe l’Egitto verso una piena ed aperta violazione degli accordi politico-economici tra i due paesi. L’Egitto, infatti, si era impegnato a fornire 7 miliardi di metri cubi di gas al mercato israeliano per 20 anni, con la possibilità addirittura di raddoppiare la cifra. Un accordo divenuto realmente effettivo nel 2008, e già corollario della pace di Camp David, tuttavia reso del tutto inapplicabile ed inesigibile stante gli innumerevoli sabotaggi a danno della pipeline del Sinai settentrionale che avrebbe dovuto condurre il gas in territorio israeliano.Fermo restando i rumors che vorrebbero un nuovo quadro contrattuale di riferimento (il ministro per la Cooperazione internazionale egiziana Fayza Abul Naga si è subito dichiarato favorevole ad un nuovo accordo con Israele che riveda prezzi e condizioni), per comprendere a fondo dinamiche del genere, occorre analizzare il contesto politico interno egiziano. Un contesto tutt’altro che favorevole per chi ha a cuore le sorti di Israele.La deposizione di Mubarak a seguito del fiorire delle primavere arabe dello scorso anno, ha portato sì al potere un’elite militare molto vicina all’ex Rais, ma ha anche provocato una crescita esponenziale di movimenti oltranzisti quali i ‘Fratelli Musulmani’ e i salafiti di ‘al Nour’. Un clima per nulla favorevole, se si considera altresì l’assalto all'Ambasciata israeliana de Il Cairo del Settembre scorso. Senza contare le elezioni presidenziali alle porte: si terranno il 23 e 24 Maggio prossimi, e potrebbero decretare il trionfo dei candidati più estremisti.I Fratelli Musulmani, inoltre, premono per la totale cancellazione degli accordi di pace di Camp David. Decenni di normalizzazione dei rapporti tra i due paesi e di cooperazione diplomatico-economica verrebbero totalmente accantonati. Per Israele equivarrebbe ad un nuovo fronte ad altissima tensione, che si aggiungerebbe al sempre imminente pericolo iraniano e agli annessi echi di un possibile intervento militare contro il regime di Teheran. Tanto per citare quanto dichiarato dal ministro degli Esteri israeliano Avigdor Lieberman, l’Egitto rappresenterebbe “un grande pericolo”, “una minaccia maggiore dell’Iran”, sebbene in un secondo momento egli si sia prodigato per ribadire l’importanza per lo Stato ebraico “di mantenere così com’è l'accordo di pace con l’Egitto”.L’affaire israelo-egiziano preoccupa (e non poco) anche la Casa Bianca. In base ad un report del 24 Aprile scorso del sito israeliano Debkafile (‘US bid to defuse Egyptian-Israeli tensions derailed by Egyptian Islamists’), l’amministrazione Obama sarebbe stata avvertita di un possibile scontro militare tra i due paesi, possibile conseguenza non solo dello stop egiziano alle esportazioni di gas, ma anche e soprattutto a causa dell’eventualità che possano essere condotti attacchi terroristici lungo il confine egiziano, nel Sinai (alcuni giorni fa il National Security Council’s Counter-Terrorism Bureaud israeliano ha emesso un comunicato nel quale si invitavano i turisti israeliani presenti in loco a lasciare l’area immediatamente e a fare ritorno in Israele il più presto possibile).Attentati che provocherebbero, ça va sans dire, la risposta israeliana e la messa in discussione degli accordi di Camp David.di Eugenio Del Vecchio, http://www.loccidentale.it/, 28.4.12


Quiche Zucchine e Pecorino

Ingredienti per 4 persone:6 zucchine  maggiorana e basilico qb  150 ml di panna  3 uova  150 gr di pecorino  1 rotolo e ½ di pasta brisè  sale Procedimento :Tritare le zucchine con maggiorana e basilico e, se necessario, strizzarle un po. Unire panna e uova e mescolare bene. Aggiungere anche pecorino e sale. Stendere un rotolo di pasta in una teglia e farcirlo con il composto di zucchine e pecorino. Ricavare delle strisce dall'altra pasta brisee e disporle a reticolato. Cuocere in forno a 180 gradi per 45 minuti. http://imenudibenedetta.blogspot.com/


Quadrotti al Cioccolato

Ingredienti per 4 persone:200 gr di cioccolato fondente  180 gr di burro  3 tuorli  2 uova  200 gr di zucchero  100 gr di farina  zucchero a velo qb Procedimento :Sciogliere il cioccolato con il burro. Mescolare i tuorli con le uova intere, lo zucchero e il cioccolato fuso. Unire anche la farina e mescolare bene. Versare tutto in una tortiera con carta forno. Cuocere 20-30 minuti a 180 gradi. Tagliare a quadrotti e completare con zucchero a velo http://imenudibenedetta.blogspot.com/