martedì 1 maggio 2012

Tea for Two - Il minotauro di Tammuz

 Questo secondo semestre universitario stava diventando una specie di tortura cinese. Per una serie di sfortunati eventi arrivavo terribilmente in anticipo a ogni lezione e mi trovavo a trascorrere le ore fissando il soffitto della sala vicina al dipartimento di mondo antico (ovviamente ad un piano sopraelevato come il Monte Olimpo) che perdeva pezzi lentamente. Dopo qualche giorno impiegato nel vano tentativo di studiare o di arrivare più tardi, ho preso una somma decisione: avrei portato con me un libro. Dato il carico di dolore che gravava sulla mia spalla tra quaderni, la collezione di bottigliette d'acqua mezze piene ed altre cose terribilmente inutili ma che permettono la sopravvivenza in facoltà, ho optato per un libro di piccole dimensioni. Eccolo, con la sua copertina giallo limone, era da parecchio che aspettava il suo turno, era stato ineducatamente scavalcato da libroni, romanzucci e giornali. Ma lui, come un vero signore non aveva battuto ciglio e attendeva in un silenzio maestoso. Il minotauro di Benjamin Tammuz, poco meno di duecento pagine e con un formato realmente tascabile (tanto da averlo portato il più delle volte proprio in tasca). I commenti sul retro non erano proclami strombazzanti ma piccole dichiarazioni d'amore. Il protagonista, un agente dei servizi segreti israeliani. "Fa che non sia giocato sulla tensione e che abbia di giallo solo la copertina" mi ripetevo impaurita. E lui rispondeva sempre più alle mie preghiere con una scrittura posata, discreta e allo stesso tempo intarsiata come una stoffa preziosa. L'agente incapace di amare se non in una situazione estrema e irrealizzabile rispecchiava in qualche modo questi versi di Bukowski (no, non ho mai scritto le sue poesie sui muri!): "C'è al mondo una così grande solitudine che la puoi vedere negli scatti lenti delle lancette di una sveglia, gente così stanca, mutilata d'amore e disamore". Tammuz infierisce sui personaggi e poi li culla. Sono tutti un po' Minotauro, un po' Arianna in un labirinto di emozioni e con un filo, la sua penna, che intreccia delicatamente le parole tra loro. "Allora Aleksandr guardò Lea negli occhi, per vedere se aveva capito quello che le aveva detto. Ma quello che vide gli riempì il cuore di stanchezza e disperazione: nei suoi occhi c'era un misto di implorazione, affetto e abnegazione. Perché non si metteva in salvo? Perché non se ne andava via offesa, sbattendosi dietro la porta? Se lo avesse fatto, probabilmente l'indomani lui sarebbe andato da lei. Invece continuava a sedergli di fronte". Israele è un'altra protagonista, alle volte silenziosa, altre roboante. Mi ha fatto pensare alla letteratura italiana del dopoguerra, a come per quanto gli scrittori fossero intimisti non potevano fingere di non essere immersi nel loro paese, nel passato e nel presente, rabbrividendo del futuro incerto. Poi per libere associazioni mi è balenata in testa Una questione privata di Beppe Fenoglio. La sorte del paese che ognuno sente sopra la propria testa e la guerra interiore quando la guerra c'è anche in strada. E l'amore che posto ha? Il libro era terminato e una lezione totalmente incomprensibile stava per iniziare. Ma la testa era completamente invasa da Tammuz e gli appunti a fine giornata erano semplicemente scarabocchi insensati.Rachel Silvera, studentessa - twitter@RachelSilvera2. http://www.moked.it/



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